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22 Novembre 2007

Figlie di Sherazade in scena al Teatro Dell’Angelo

In occasione della “Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne”, Chiara Casarico e Tiziana Scrocca presentano uno spettacolo con la straordinaria partecipazione di Rosie Wiederkehr e Ruth Bieri

Appntamente importante e da non perdere, domenica 25 Novembre al teatro dell’Angelo. In occasione della Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne, la compagnia teatrale Il Naufragarmedolce in collaborazione con la Fondazione Pangea Onlus, presentano lo spettacolo Figlie di Sherazade al Teatro dell'Angelo a Roma. L'apertura sarà coordinata da Simona Lanzoni: interverranno Adriana Spera (Presidente Commissione delle Elette del Comune di Roma), Pina Rozzo (Vice presidente della Provincia di Roma) e il Centro Donna Lisa.

Figlie di Sherazade, Raccontare per salvarsi la vita , è un'Iniziativa inserita nell'Anno Europeo delle Pari Opportunità per Tutti, Finalista al premio Ustica 2007 per il Teatro di Impegno Civile, Premio Radio Rai Microfono di Cristallo, Finalista al Festival Internazionale di Lugano.

Il progetto nasce dal bisogno di capire e raccontare, al di là di giudizi e pregiudizi, situazioni di disagio dovute alla diversità di genere nel mondo. L'idea è quella di testimoniare la storia vera di due giovani donne attraverso uno spettacolo di narrazione agile ed improntato all'essenzialità.

L'apporto musicale di Rosie Wiederkehr e Ruth Bieri è stato appositamente pensato per lo spettacolo. Le scene sono sottotitolate o intramezzate da un canto che rappresenta la voce dell'anima di tutte le donne schiave della loro condizione.

La scena è costituita da luci e ombre generate dalla proiezione di immagini che Franca D'Angelo, fotografa e scenografa , ha raccolto nei suoi percorsi di ricerca e di vita. Proiezioni visive, impresse sui personaggi e da loro stessi emanate, quale esperienza indelebile che il corpo secerne. Gli unici elementi di scena sono costituiti dalle sculture a forma di cubo di Nato Frascà (realizzate tra il '64 e il '65 ed esposte alla decima Quadriennale di Roma), sui quali le attrici si siedono per raccontare la loro storia.

Il progetto prevede inoltre la prossima produzione di un ricco ed interessante DVD che raccoglierà brani originali ed inediti della colonna sonora , inserti video che documenteranno parti dello spettacolo e storie vissute da giovani donne che raccontano le violenze subite e donne che lavorano nei centri di accoglienza per i diritti umani.

Inviando un SMS al 48584 dal 17/11 al 2/12 e sostieni il progetto Jamila della Fondazione Pangea Onlus.

INGRESSO GRATUITO Teatro dell'Angelo Via Simone de Saint Bon, 19 (zona Prati) Roma

Organizzazione e Info: Laura Gentile tel: 347 51 68 116 info@ilnaufragarmedolce.it www.ilnaufragarmedolce.it
Maria Antonietta Amenduni


17 Novembre 2007

Torna al Teatro Eliseo il Teatro Ragazzi con il Mini Musical “le mille e una nota”.

Liberamente ispirato a “Le mille e una notte” di Galland, lo spettacolo mette in scena le storie, i temi, i colori, le suggestioni e la magia di una delle raccolte di novelle più celebri al mondo.

Sogno, magia e fantasia la fanno da protagonisti, nello spettacolo nato per i bambini, ma adatto a tutte le età, “Le mille e una note”.
Al Teatro Eliseo (dal 14 novembre al 16 dicembre e poi dal 10 al 27 gennaio), su grande richiesta del pubblico, ritorna per il Teatro Ragazzi: Le mille e una note, il Mini Musical liberamente ispirato a Le mille e una notte di Galland. Spettacolo che Gigi Palla, come si può intuire dal titolo, ha elaborato in forma di musical, mettendo in scena le storie, i temi, i colori, le suggestioni e la magia di una delle raccolte di novelle più celebri al mondo: Le mille e una notte, divulgata quasi trecento anni or sono da Antoine Galland, bibliotecario e studioso delle civiltà orientali, il quale la tradusse in francese, con il nome Les Mille et une nuits, contes arabes traduits en français, per farne dono a Madame la Marquise d'O, figlia di una dama di palazzo della duchessa di Borgogna.
Dopo la mediazione del francese Galland, l’opera, ha continuato a riscuotere successo fino ai giorni nostri e molte delle sue storie hanno ispirato diversi adattamenti rivolti soprattutto ai ragazzi: basti pensare al cinema, alla musica, alle numerose edizioni di libri per bambini, e soprattutto ai cartoni animati, tra cui l’Aladin di Walt Disney, ma anche il recente e splendido Azur e Asmar di Ocelot.
Le mille e una notte (titolo originale in arabo: Alf laila wa laila) è un’opera vastissima -probabilmente la più celebre della letteratura araba- contenente fiabe, favole, novelle borghesi, racconti popolari di argomento fantastico o realistico, tutti inseriti in un racconto-cornice, elaborati in luoghi e tempi diversi ma che rinviano palesemente al mondo islamico, in particolare al Medioevo della città di Baghdad.
Sull’origine dell’opera la querelle filologica è ancora insoluta sebbene negli ultimi anni parecchi studiosi, tra cui René R. Khawam, abbiano tentato di redimere la questione con rigore scientifico.
Le vicende si svolgono in luoghi orientali o medio-orientali: a volte in città precisate (Baghdad, Bassora, Samarcanda, Il Cairo) altre volte in paesi nominati in modo generico (Egitto –soprattutto di epoca mammalucca-, Iraq, India, Cina, Oriente).
I personaggi del racconto-cornice, in particolare i due protagonisti Shahrazàd e Shahriyàr, sono aristocratici. I personaggi delle varie narrazioni appartengono a tutte le classi sociali: re, principi, visir, sceicchi, califfi; ma anche mercanti, pescatori, maestri, facchini, sarti, barcaioli, bottegai, ladri, cammellieri, mulattieri, ladri, poeti, adultere, schiavi; e ancora animali, nonché personaggi fantastici quali vampiri, ginn, irift; uomini e donne sono quindi i personaggi che popolano un mondo vivo, immerso nella vita quotidiana. Nell’opera sono presenti anche oggetti magici.
I temi sono noti: l’amore -motore dell’azione-, la fedeltà, il tradimento, l’odio, la vendetta, la povertà e l’agiatezza. Inoltre gli elementi culturali provenienti da Persia, Bisanzio, India, Asia e Cina, vengono rielaborati dalla civiltà araba, in particolare per quanto concerne l’impianto sociale fissando regole per l’organizzazione della vita privata (successione, matrimonio, dote) o pubblica (diritto di vendetta, parola data e ricevuta, diritto dell’ospitalità, norme di compravendita).
L’allestimento, prodotto dal Teatro Eliseo, vuole coniugare l’allegria, la vivacità, il ritmo del musical, con le magiche atmosfere di un oriente da favola, senza tralasciare contenuti di profilo più didattico, tra cui, su tutti, quello della pace, dell’intercultura e della comunicazione tra i popoli. L’obiettivo è come sempre offrire ai giovani spettatori e a chi li accompagna, genitori e insegnanti, due ore di divertimento sano e intelligente, con le musiche curate da Davide Caprelli. I fantastici costumi e le scene di Santuzza Calì trasportano i piccoli spettatori nell’oriente magico e coloratissimo aiutati da Mattia Cianflone, Gerardo Fiorenzano, Ciro Limatola, Sergio Mancinelli e Denize Osdogan, che interpretano tutti i personaggi: da Aladino a il Genio della lampada, da Alì Babà alla principessa Sharazade, da Sindbad al Sultano, e a tanti altri, coinvolgendo nel gioco teatrale anche gli adulti.
Ecco come il regista racconta lo spettacolo: “La monumentale opera restituitaci da Antoine Galland tre secoli or sono e su cui si sono poi sbizzarriti critici e orientalisti, appare per chi sta accingendosi ad offrirne umilmente una elaborazione teatrale, come un immenso oceano in cui sarebbe fin troppo facile smarrirsi. Eppure, quando tra le varie ipotesi di spettacolo, l’idea delle Mille e una notte ha fatto la sua comparsa, il pensiero è andato subito a Bagdad, oggi. La città, un tempo culla di una civiltà fiorentissima, oggi territorio al centro di sanguinosi contrasti, di guerre nei fatti ancora non concluse. Ed è proprio nella odierna Bagdad che abbiamo voluto ambientare il nostro spettacolo. In un presidio militare dove il comandante Warno e la sentinella Peacedone stanno passando l’ultima notte prima di lasciare con tutto il loro contingente la città irachena (sarà arrivato veramente quel giorno quando andremo in scena o quanto ancora dovremo aspettare?). Proprio in quell’ultima notte, magica e misteriosa, ecco comparire ai due soldati una fanciulla che chiede aiuto: è Sharazade, la giovane sposa del sultano…”
Maria Antonietta Amenduni


17 Novembre 2007

“Altro Amleto”, in scena a Roma alla Casa delle Culture

“In una terra ricca solo di desolazione, un paese allo sbando, stancamente uscito da una qualche tempesta, non c'è più posto per i padri”. Lo spettacolo, è adattato e diretto da Gabriele Linari.

Quando si prende un testo sacro della drammaturgia mondiale, lo si rielabora, e a questo ci si ispira per trarne un nuovo lavoro, si ha sempre un po’ la tendenza a diffidare, perché “giocare” con un nome altisonante quale quello di Shakspeare, è sempre operazione difficile. Ma per fortuna non sempre è così, e quando si ha a che fare con attori e registi che hanno amore e rispetto per il mestiere del teatro, Sir William Shakespeare non ha nulla da temere, anzi viene spontaneo incoraggiare certe proposte curiose, innovative ed interessanti, come “Altro Amleto”, da Shakespeare, con Gino Auriuso, Peppe Bosone, Raffaella Cavallaro, Manuel Fiorentini, Alessandro Porcu, Antonella Schiamone, assistente alla regia Chiara Laureti, adattamento e regia Gabriele Linari. Lo spettacolo è un scena alla Casa delle Culture fino al 25 novembre. Snocciolare un testo così e approfondire determinanti aspetti, ancora oggi, è sempre molto importante e attuale. Sì, tutto questo oggi è molto tangibile. Sicuramente non siamo più in quelle condizioni, ma di certo l’anelito verso un mondo in cui possiamo sentirci veramente liberi, veramente noi stessi, in contatto col nostro mondo interiore è molto grande. Anche perché oggi siamo distratti, non abbiamo più un solo ruolo - madre, matrigna, amante -, sono tanti, invece, i ruoli che si sovrappongono, e sono tutti terribilmente forti, ci incasellano, ci imprigionano nelle nostre situazioni. In realtà conosciamo pochissimo noi stessi, abbiamo più occasioni per essere frastornati che per trovare il vero centro di noi. Il nostro centro resta ignoto. Ed ecco come il regista, che ha curato anche l’adattamento, racconta il suo spettacolo “Altro amleto”: “In una terra ricca solo di desolazione, un paese allo sbando, stancamente uscito da una qualche tempesta, non c'è più posto per i padri. Figli, fratelli e mogli vagano sperduti in una continua, stanca ricerca di un appiglio. Così è l'uomo della nostra Elsinore. Figure smorte di una festa ormai finita, volti affranti, spiriti insonni. Non c'è l'altro Amleto, padre del giovane protagonista e non c'è (nella nostra scena) traccia dell'altro “padre”: Polonio. Abbiamo scelto di far tacere, di far “sparire” il personaggio del ridondante genitore di Ofelia e Laerte, per acuire la mancanza di genitori, per rendere tutto il mondo circostante ancora più inadeguato e precario. Polonio, nel nostro Amleto, è non-presente, ancora prima della sua tragica scomparsa. Proprio da qui partiamo, da queste due assenze paterne, per descrivere un mondo sterile, improduttivo, in cui i padri o sono morti o sono feticci, inutili forme di una guida perduta, non visibili. Rimangono i figli con le loro irrisolte domande, le mogli con le loro inespiate colpe, i fratelli sporchi dei loro inevitabili delitti. Finché posto ci sarà solo per il silenzio, per l'inadeguatezza, la goffaggine di vivere in una terra desolata dove un dio, forse, non è mai esistito. Abbiamo seguito la storia come vedendola con l'occhio decomposto del principe danese: un incubo costante, un Amleto “altro” (difforme e conforme), un altro Amleto da far morire, altri dolori da acuire, altro teatro – nonostante tutto – da portare a termine...” In scena alla Casa delle Culture Via S. Crisogono 45 (Trastevere) Info e prenotazioni: 339 5763121 - 320 9317687 - comp.prosa@fastwebnet.it LABit - compagnia e laboratori www.teatrolabit.com info@teatrolabit.com Maria Antonietta Amenduni


17 Novembre 2007

“Si sente solo il rumore del mare”

Al Teatro Testaccio, dal 20 novembre al 31 dicembre, è di scena la divertente commedia scritta e diretta da Marco Falaguasta. E’ la storia di Tobia, un giovane che dopo mille peripezie, riesce finalmente a coronare il suo sogno: andare a vivere da solo, ma…

Molti lo conoscono, perché è uno dei protagonisti della fictio “cento vetrine”, ma chi ne sa un po’ di più, sa anche che non c’è solo questo. Ha fatto parlare di se, Marco falaguasta, quest’estate, riscotendo successo di critica e di pubblico con la pièce “So tutto sulle donne ….20 anni dopo”, presentato a Villa Sciarra nella scorsa estate, (7 luglio-19 agosto). Ora torna al teatro testaccio dal 20 novembre, la compagnia bonalaprima, con la divertente commedia scritta e diretta da Marco Falaguasta “si sente solo il rumore del mare”. E’ la storia di Tobia, un giovane che dopo mille peripezie, riesce finalmente a coronare il suo sogno: andare a vivere da solo. E all’insegna del monito del Ministro Padoa Schioppa, secondo cui i giovani italiani sono dei bamboccioni, il protagonista dello spettacolo vuole dare dimostrazione che per fortuna non tutti sono così, anzi al contrario c’è chi ha il coraggio di cavarsela da solo. La differenza sta però nel fatto che il grosso problema dei giovani di oggi è quello della precarietà lavorativa, mentre il protagonista dello spettacolo riesce ad avere quel colpo di fortuna in cui tutti sperano. Infatti, ottenuto un lavoro stabile, Tobia si trasferisce in un piccolo appartamento dove potrà finalmente godersi la sua amata e agognata libertà e coltivare la sua grande passione: la Roma. Certo l’interesse in questione non è poi così profondo e di spessore; ma in giornate come queste, dove, dopo la morte del tifoso laziale Gabriele Sandri, per mano di un poliziotto, il calcio è divenuto un pretesto per inneggiare alla violenza, giocare e ridere un po’ su quello che lo sport dovrebbe essere realmente, non è poi male. La serenità di Tobia, tutto preso dalla sua Roma, dura ben poco, e pian piano la sua casa si popola di presenze non previste…Federico il marito della sorella, (cacciato di casa), con un suo amico Pierluca, Elena, la sua vicina, della quale è segretamente innamorato, Azzurra e via via… tanti altri personaggi! La vicenda è tenuta tra realtà, immaginazione e presunti poteri magici. “La fantasia umana - commenta Marco Falaguasta - può non avere limiti, sia nel creare nuove storie, sia nel crederle! Altrimenti non si spiegherebbe la nascita, quasi quotidiana, di nuove filosofie di vita, di sette e novelli maestri e monaci che promettono di svelarci, spesso dietro il versamento di una “piccola” offerta in denaro, il sentiero della felicità e della serenità. E noi siamo così fragili e insicuri, che quasi ci sentiamo sollevati al pensiero che esista chi può svelarci la strada verso quelle emozioni che non riusciamo più a trovare tra le pareti domestiche, tra gli amici o negli occhi delle persone amate. La domanda che pongo a tutti è: ma davvero esiste chi conosce la ricetta della felicità sicura? Attraverso questa storia comica, spensierata e leggera anche io, per gioco, servendomi della macchina teatrale, ho provato a inventare una nuova religione. La mia è una religione che fa ridere, che si prende gioco, bonariamente, di tutte le tendenze trascendentali del momento, ma che soprattutto vuole lanciare un avvertimento: la felicità potrebbe essere così vicina, così a portata di mano che basterebbe magari saperla riconoscere, invece che puntare lo sguardo chissà dove! E se alla fine, dopo aver interpellato sedicenti guru, maestri di vita, sensitivi, illuminati dell’ultima ora, maestri zen e quant’altro ancora, l’unica cosa ancora in grado di rilassarci e regalarci un’emozione fosse solo….il rumore del mare”?! Con Marco Falaguasta, sono in scena: Piero Scornavacchi, Marco Fiorini, Danilo De Santis, Silvia Pasero, Valerio Isidori,Vasco Montez, Claudia Cirilli, Silvia Catalano,Marilisa Mustica In scena al Teatro Testaccio (via Romolo Gessi 8 tel.06/5755482) dal 20 novembre al 31 dicembre. Orario spettacoli: dal martedì al sabato ore 21.15-Domenica e festivi ore 18.00-Lunedì riposo. (24 e 25 dicembre riposo, 26 dicembre ore 18, 31 dicembre spettacolo ore 21,euro 55, cotechino, lenticchie, dolce e brindisi di mezzanotte con Marco Falaguasta e la compagnia). Biglietto: intero euro 14-ridotto euro 12.00.ridotto cral e10,00.
Maria Antonietta Amenduni


12 Novembre 2007

Un caloroso applauso accoglie “La Mandragola”

In scena al Teatro Eliseo di Roma, uno dei capolavori di Niccolò Macchiavelli. Ugo Pagliai, superlativo protagonista, regala una interpretazione magistrale, per uno spettacolo che scorre come un respiro.

Uno spettacolo che gli amanti del teatro e non solo, non dovrebbero lasciarsi sfuggire. Un vero e proprio capolavoro della drammaturgia italiana. Dopo il grande successo di critica e di pubblico ottenuto al suo debutto nell’ottobre 2006 a Genova, la Mandragola di Niccolò Machiavelli (1469-1527), sarà in scena al Teatro Eliseo dal 6 al 18 novembre. Diretta da Marco Sciaccaluga, Mandragola è affidata ad un attore di grande prestigio quale Ugo Pagliai (Messer Nicia) accanto al quale recitano Gianluca Gobbi nel ruolo di Callimaco, Massimo Mesciulam (frà Timoteo), Alice Arcuri (Lucrezia) e inoltre Enzo Paci, Pier Luigi Pasino, Barbara Moselli e Silvia Quarantini. La scena e i costumi sono di Valeria Manari, le musiche di Andrea Nicolini, luci di Sandro Sussi. Considerata la più bella commedia italiana del Rinascimento (scritta nel 1518), e forse dell'intero teatro italiano, la Mandragola attinge con ironia alla grande tradizione del teatro classico latino, inserendola nello schema narrativo delle novelle boccaccesche del raggiro e della beffa. Ai personaggi tipici della commedia classica, il padrone, il servo, e l’innamorata (i nomi dei personaggi sono tutti di origine greca, tranne Lucrezia che è di origine latina e si collega alla famosa matrona romana), si vanno ad aggiungere personaggi novelleschi che ricordano da vicino quelli di Boccaccio Il mondo descritto è privo di ideali, dominato da calcoli, interessi meschini e passioni irrefrenabili. La trama ricorda lo schema delle novelle boccacciane del raggiro e della beffa ai danni di mariti idioti: Callimaco, di ritorno da Parigi, dove ha vissuto vent’anni, sente parlare delle virtù della bella, ma sposata, Lucrezia. Nonostante non l’abbia mai vista, Callimaco se ne innamora, tanto da tramare un piano con il perfido Ligurio, ai danni dell’onore della donna e del povero marito Nicia. Sfruttando il desiderio insoddisfatto dei coniugi di avere un figlio, Callimaco si spaccia per un dottore venuto da Parigi e consiglia a Nicia di far bere alla moglie una fantomatica pozione a base, dice, di mandragola. La pozione ha il potere di rendere fertile la donna, ma ucciderà il primo uomo che giacerà con Lucrezia. Per ovviare a questo “inconveniente”, Callimaco propone a Nicia di costringere un giovane ad unirsi alla donna, questo morirà ucciso dal veleno che avrà assorbito e Nicia potrà così unirsi alla moglie senza alcun pericolo. Con l’aiuto di Fra’ Timoteo, l’impenitente confessore di Lucrezia, Callimaco si finge un “garzonaccio” e viene così rapito e costretto a unirsi con la ritrosa Lucrezia. Compiuta la beffa, Callimaco rivela la sua identità e il suo amore alla non più ingenua Lucrezia, mentre Nicia, ignaro del raggiro, dimostra ai due imbroglioni tutta la sua gratitudine. Machiavelli si sofferma a descrivere quel mondo che ai suoi occhi appariva degradato e in rovina e che non accettava correzioni, ironizzando su di esso in modo tagliente, ma disilluso. Nonostante lo sfondo tutt’altro che ottimista, la commedia rimane piacevole e divertente, e lascia intravedere il lato giocoso dell’autore. Un calorosissimo e lungo applauso, è stata la giusta ricompensa per la prima dello spettacolo andato in scena al Teatro Eliseo, diretto da Marco Sciaccaluga. Uno regia fantasiosa, movimentata, agile e tecnicamente irreprensibile. Il protagonista Ugo Pagliai, da una vera e propria lezione di teatro, regalando l’interpretazione magistrale di un personaggio ricco di sfumature, di umori, con un'ampia mimica, comico e patetico insieme in una costruzione psicologica sostenuta con leggerezza e spigliatezza. A regalere un valore aggiunto a tutto la costruzione scenica le eleganti musiche scritte da Andrea Nicolini su versi di Machiavelli.
Maria Antonietta Amenduni


12 Novembre 2007

Amore e odio, si esplicano in un difficile rapporto padre/figlio

“Mio caro papà”, di e con Natale Russo, liberamente tratto dalla “Lettera al padre” di Franz Kafka, in scena al Teatro Stanze Segrete. Al debutto alla regia, il giornalista Gianluca Verlezza.

L’eco del passato si fa sentire in questo testo che è tratto dalla scrittura kafkiana. “Mio Caro Papà” non è solo un assunto che prende ispirazione da un trascorso illustre, è anche una rielaborazione fatta da Natale Russo sul legame irrisolto tra un figlio ed un padre, e vede al debutto alla regia Gianluca Verlezza. Lo spettacolo sarà in scena dal 20 novembre al 9 dicembre, al Teatro Stanze Segreta.
L’amore in questo caso è il leit motiv della rappresentazione, un amore contrastato che attraverso la scrittura in questo caso diventa uno sfogo che colma il vuoto delle parole che il protagonista non ha mai pronunciato.
Un amore e odio che si risolve in parte in una confessione letteraria, a tratti ironica, commovente e dispreggiativa nei confronti di chi ci ha dato la vita. Ad essere evocata è la parte più intima del nostro essere che sotto forma espistolare del protagonista, è messa in luce senza fraintendimenti, con la generosa esternazione di momenti episodici che hanno toccato l’ego infantile.
Ad emergere nella lettera, a volte, è un padre tiranno che mostra la sua forza come apice della mascolinità, mettendo in ombra la virilità di un figlio in cerca di sè. Il gioco delle parti è qui più che mai visibile, anche perchè il figlio vorrebbe, anche se non accetta il ruolo, essere nelle vesti del suo dispotico pater familias, ma la debolezza del bambino che è in lui sopraffa la parte adulta.
Così Gianluca Verlezza racconta la sua regia: “ Sulla scena vediamo un figlio che tenta di scrivere l’ennesima lettera a suo padre, cercando di spiegargli la sua posizione, di raccontargli la sua vita, di confessargli i suoi dubbi e le sue paure.Ma quel figlio non è solo, o meglio non è “uno solo”, in lui vediamo echi e rimandi letterari (la famosa “Lettera al padre” di Kafka) ed anche cinematografici (la biografia di Mozart in “Amadeus”), nonché musicali, perché la conflittualità del rapporto padre/figlio è quasi un archetipo. Raccontare questa storia è anche raccontare tutte le storie, tutte quelle che parlano di rapporti conflittuali, di amore ma anche di castrazione delle aspirazioni artistiche, di inconciliabilità di posizioni, di quotidiane umiliazioni subite in seno alla famiglia, di un dialogo a volte impossibile ad ottenersi anche oltre il tempo e lo spazio. Il protagonista del nostro spettacolo è un innamorato della vita, che vorrebbe solo far capire al padre che lo ha amato nonostante tutto, pur non comprendendo la posizione dell’uomo così diversa dalla sua…Il nostro non vuole certo essere un lavoro definitivo sulla questione, magari portatore di verità rivelate, ma soltanto uno spunto di riflessione. E’ un work in progress, perché lavorando a questo testo abbiamo continuato a scoprirne l’universalità, il valore generale”.
Protagonista e autore dello spettacolo è Natale Russo; anche di lui, ha parlato il regista: “Un attore che è piaciuto a Fellini, ma che sarebbe piaciuto anche ai maestri della Commedia dell’Arte, capace di registri tragicomici, vera marionetta che si muove in uno spazio al di là del tempo, dove esistono ricordi reali e fittizi, pensieri e rimorsi, parole mai dette e lettere mai spedite, dove musica ed oggetti sono riferimenti della memoria e dell’immaginazione, dove luci ed ombre ci rimandano al mondo dell’infanzia, delle paure di un bambino che non è mai cresciuto, forse proprio perché non vuole crescere e che si rifugia, quando può, nell’accogliente ventre materno”.
Maria Antonietta Amenduni


11 Novembre 2007

Tre importanti interpreti illuminano il Teatro India

Massimo Popolizio, Maria Paiato, e Manuela Mandracchia, sono i protagonisti dello spettacolo Ritter/Dene/Voss di Thomas Bernhard. La regia è di Piero Maccarinelli.

Uno spettacolo che fu scritto per tre importanti protagonisti. Quando, nel 1984, Thomas Bernhard scrive Ritter/Dene/Voss, la sua attenzione è rivolta a tre grandi attori della compagnia di Claus Peymann (che due anni dopo lo mette in scena per la prima volta al Festival di Salisburgo): Ilse Ritter, Kirsten Dene e Gert Voss.
Il titolo dell’opera, quindi, è fatto dai nomi dei tre attori, che però non rappresentano se stessi, bensì tre surreali, tragicomici fratelli.
Il tempo è passato e ad altri tre grandi protagonisti si rivolge anche oggi questo spettacolo.
Oggi Piero Maccarinelli, già autore di diverse regie del drammaturgo austriaco, mette in scena per il Teatro di Roma quello che lui stesso definisce “un Bernhard per la mia generazione”, incentrato su tre grandi attori del teatro contemporaneo che interpretano i tre fratelli protagonisti della commedia: Manuela Mandracchia/Ritter, Maria Paiato/Dene e Massimo Popolizio/Voss.
Lo spettacolo ha debuttato in prima nazionale al Teatro India il 6 Novembre, con repliche fino al 2 Dicembre 2007.
Ritter, Dene e Voss sono tre fratelli, figli del ricco industriale Worringer. La vicenda - surreale, grottesca e tragicomica - si svolge nell’abitazione di famiglia, dove vivono le due sorelle Ritter e Dene, attrici, in attesa del fratello Voss, “filosofo”, autore di un trattato di logica, la cui figura allude a Ludwig Wittgenstein.
Tre personaggi ai limite della follia: Voss si è fatto volontariamente rinchiudere nel manicomio di Steinhof e saltuariamente viene convinto a ritornare a casa dalla sorella Dene, contro il parere di Ritter.
Lo spettacolo racconta l’attesa di Voss, il suo arrivo a casa e gli eventi che ne conseguono.
“Un Bernhard per la mia generazione”, così Piero Maccarinelli ha definito questo testo; il regista ha aggiunto: “Il grande austriaco finora l’ho sempre affrontato con gli attori più prestigiosi della generazione dei mostri sacri. Gianrico Tedeschi e il suo splendido Riformatore del mondo, la grande indimenticabile Valeria Moriconi e la sua terribile madre in Alla meta e la sua acida e grottesca gigantesca Clara di Prima della pensione insieme a Umberto Orsini, il fratello sinistro ex nazista e Milena Vukotic, Vera, la muta implacabile testimone d’accusa che i fratelli vestono da deportata… Tutti grandi attori che, per usare un termine caro a Bernhard, sanno di sangue sudore e stallatico, perché questo credo sia il segreto del genio austriaco: scrivere testi apparentemente solo alti o gelidi che riescono a innervarsi e a diventare capolavori anche grazie al sangue al sudore e allo stallatico degli attori che gli danno vita, passando dai vertici Wittgenstaniani e filosofici alle contaminazioni più basse e sordide proprio come nella vita…L’alta marea segue la bassa marea nel ciclo della vita e delle stagioni, alla depressione segue l’euforia, alla lucidità lo sconquasso…Ecco perché ritengo per me doveroso affrontare questo Bernhard generazionale dove Ritter, Dene e Voss, i tre fratelli-attori, in un gioco al massacro dissacrante e lucido, prenderanno vita grazie alle voci e ai corpi di tre fra i migliori attori della mia generazione: Maria Paiato, Manuela Mandracchia e Massimo Popolizio. Tre attori della mia generazione alla ricerca costante di quello stesso sangue sudore e stallatico che, con rigore, gli attori che li hanno preceduti hanno saputo trovare. Come in Prima della pensione di nuovo tre fratelli, con altre età, fuori dal minimalismo e dal classicismo, dentro al gioco della vita che si fa teatro per, spero, una indimenticabile partita”.
Maria Antonietta Amenduni


5 Novembre 2007

Prendendo spunto da una banalissima partita a tennis, due amici ne approfittano per raccontarsi l'un l'altro…

In scena al Teatro Tordinona, il divertente “Le regole del giuoco del tennis”, interpretato da Angelo Campolo e Luca Fiorino, diretto da Rosario Arena e scritto da Mario Gelardi.

(.....) Ci sono partite che durano molte ore, partite che sembra stiano per concludersi e poi basta un fallo. Una battuta fatta male. E il gioco si riapre. La partita ricomincia. Sono le regole del gioco del tennis.

Il tennis è uno degli sport più amati del nostro paese. Ma che questo possa portare a fare delle profonde riflessioni, sulla vita e su fatti che mai si sarebbe pensato di raccontare, potrebbe sembrare difficile. Non si può negare che le regole di gioco del tennis, siano una metafora di come certi eventi possono spesso condizionare la vita. Il tennis dunque come metafora della vita? Forse si, infatti nel gioco del tennis è paradossalmente possibile che chi segna più punti possa perdere l'incontro. Per esempio: se i due giocatori terminano la partita o set con il punteggio di 7-5, concludendo ogni gioco ai vantaggi, il giocatore che vince la partita o set ha segnato 4 punti in più dell'avversario per ogni set che vince in tale maniera. Supponendo che l'avversario vinca il secondo set per 6-0 (tutti i giochi ai vantaggi) avrà realizzato in quel set 12 punti in più. Pertanto il vincitore avrà vinto i due set facendo in tutto 8 punti in più dell'avversario, mentre quest'ultimo nell'unico set vinto ha fatto 12 punti in più.
In termini "pugilistici" ai punti avrebbe vinto il giocatore che ha fatto meno set, cosa che ovviamente nel tennis non conta. Lo stesso si può dire per quanto riguarda i giochi vinti in totale e l'esempio precedente (7-5, 0-6, 7-5) ne è riprova.
In definitiva il vincitore è colui che avrà totalizzato almeno 2 set negl'incontri al meglio dei 3 set e almeno 3 set in quelli al meglio dei 5.
Insomma, senza perdersi troppo in regole, questo che potrebbe sembrare un discorso complesso, diviene molto più semplice e affascinante, nello spettacolo “Le regole del giuoco del tennis”, il divertente atto unico, prodotto dalla DAF, è interpretato da due giovani attori, Angelo Campolo e Luca Fiorino, diretto da Rosario Arena e scritto da Mario Gelardi, in scena al Tearo Tordinona di Roma, dal 6 all’11 Novembre.
Vincitore del concorso nazionale di atti unici U.A.I. festival di Reggio Emilia e già presente in numerose rassegne teatrali svoltesi in tutta Italia, “Le regole del giuoco del tennis” prosegue la sua tournée, e dopo Roma, sarà anche al teatro Elicantropo di Napoli dal 22 al 25 novembe.
Prendendo spunto da una banalissima partita a tennis, due amici ne approfittano per raccontarsi l'un l'altro cose che in una normale conversazione non avrebbero mai avuto il coraggio di dirsi. E allora la partita assume un altro significato, un'altra prospettiva che è quella di uno scambio serrato di battute volte a mettere alla prova l'altro, a conoscerlo sempre più a fondo, per poi, alla fine, rivelarsi e ridefinire i contorni e le regole di un'amicizia ormai consolidata da anni.
Il testo prende spunto da una semplice partita a tennis come metafora per raccontare le dinamiche dei rapporti all’interno di un’amicizia fra due studenti universitari di diversa estrazione sociale. Matteo De Rossi e Guido Fracassi sono i protagonisti di questa storia. Uno più spavaldo, sicuro di sé, l’altro più timido e sensibile. La contrapposizione evidente fra i due è solo il punto di partenza di una vicenda che, con numerosi colpi di scena, ribalta di continuo il punto di vista dello spettatore. Il testo è infatti caratterizzato da un tono leggero e vivace, ricco di brio e ironia, che appassiona, coinvolge e non annoia mai lo spettatore.
Appuntamento interessante, divertente, con attori e regista, meritevoli di molta attenzione.
Dal 6 all' 11 Novembre al Teatro Tordinona di Roma, via degli Acquasparta, 16 (p.zza Navona). h. 21.00, domenica: h. 17.30. Ingresso: euro 10, ridotto 8. Info e prenotazioni: 06/68805890 – 349/4279985. www.teatrotordinona.it
Maria Antonietta Amenduni


5 Novembre 2007

Uomini, sbaragliati dal fascino femminile, in preda alla “crisi finale”!

In scena al Teatro dei Satiri di Roma, “Uomini alla crisi finale” scritto da Pino Ammendola che torna sul palcoscenico assieme a Giorgio Gobbi, Angelo Maggi ed alla bellissima Anna Jimskaya.

Parla di uomini, ma piacerà sicuramente anche alle donne. L’eterna dicotomia uomo donna, sentimenti, passioni, amori e fascino, quel fascino a cui gli uomini proprio non sanno resistere, a costo di finire in crisi, una crisi che solo una donna può curare. Dal 6 novembre al 2 dicembre è in scena al Teatro dei Satiri di Roma Pino Ammendola che torna sul palcoscenico assieme a Giorgio Gobbi, Angelo Maggi ed alla bellissima Anna Jimskaya con la nuovissima commedia “Uomini alla crisi finale” una sorta di ultimo capitolo della fortunata serie di commedie, che lo hanno visto protagonista e che tanto successo hanno riscosso presso il pubblico romano. Tutto ebbe inizio con uomi sull’orlo i una crisi di nervi, ma prima op poi il cerchio si doveva chiudere. I requisiti del fascino femminile, la relazione tra fascino e bellezza, i tipi di bellezza preferiti, e tutto ciò che in una donna può stregare l’uomo…insoma tutta una serie di fattori che hanno causato e ancora causano, una profonda crisi nei divertenti protagonisti di questo spettacolo. In un sondaggio di qualche tempo, commissionato da una nota casa produttrice di cosmetici condotto su un campione nazionale di 1000 individui, 500 donne e 500 uomini, tutti di età compresa tra i 15 e i 54 anni, tutti sembravano essere concordi su un solo fattore: il fascino femminile esiste anche senza bellezza. Ne sono convinti il 97% delle donne e il 94% degli uomini. Il fascino, infatti, dipende più da qualità interiori (lo confermano l'87% delle donne e il 78% degli uomini) che dall'aspetto fisico (11 % e 21%). Per le donne il fascino è soprattutto una questione di stile (43%) e di intelligenza (37%). Tra gli uomini, invece, si registra una maggiore considerazione degli aspetti fisici: il fascino femminile è sì questione di stile (37%) e di intelligenza (29%), ma per il 30% soprattutto di femminilità. Ma a che età una donna raggiunge il culmine del suo fascino? Tra i 30 e i 40 anni secondo il 76% delle donne. Gli uomini tendono a identificare con più decisione il culmine del fascino femminile con i 30 anni di età (51%). Sta di fatto che per i protagonisti di “Uomini alla crisi finale”, sono letteralmente sbaragliati dal fascino femminile. I tre amici s’incontrano nella piccola garconiere dove si sono riuniti per anni, ogni lunedì a giocare a poker e a parlar male delle proprie donne. La casa è chiusa da quando il quarto del gruppo è misteriosamente scomparso, inseguito da mogli e creditori. La visita smuove nei tre un mare di emozioni e tra prese in giro e piccoli scontri ritrovano la vecchia complicità, ma ad animare la serata uno straordinario imprevisto… una chiave gira nella toppa ed ai loro occhi si presenta una avvenente ragazza dell’Est : ci vuole poco a capire che si tratta di una professionista del mestiere più antico del mondo. Sostiene di venire tutti i lunedì da quasi un anno, di entrare al buio e fare l’amore a turno con ognuno di loro. Pino e i suoi amici cadono dalle nuvole, poi cominciano ad accusarsi a vicenda scatenando situazioni di grande comicità. Alla fine appare evidente che qualcuno si spaccia per loro… chi sarà? E perché? Forse l’amico non è morto come credevano? I tre uomini si scervellano per cercare di capire. Ma la ragazza è bella e disponibile e soprattutto gia pagata dal misterioso cliente… chi riuscirà a godere di questa inaspettata fortuna?
Maria Antonietta Amenduni


5 Novembre 2007

Amore, passione e religione in: “La Papessa Giovanna”

In scena al Teatro dei Documenti, Sandra Collodel, tra leggenda e riferimenti storici, interpreta la papessa che secondo la leggenda Venne eletta dopo la morte di papa Leone IV (17 luglio 855) in un'epoca in cui il metodo di selezione dei papi era fortuito, prendendo il nome di papa Giovanni VIII.

Una storia assai commovente, dove il bisogno d’amore regna sopra ogni cosa, e se è vero che Dio è amore, regna anche l’ignoranza di chi fanatizza la religione, coprendo gli occhi alle grandi verità che ogni giorno ci passano davanti indisturbate, comportandosi da “bastiancontrari” e dimenticando i veri insegnamenti del proprio credo. E’ la storia/leggenda de “La Papessa Giovanna”, di Claudio Pallottini - Massimiliano Giovanetti, interpretata da Sandra Collodel, con Andrea Pirolli, per la regia di Terry D’Alfonso, con la partecipazione nei contributi video di Giorgio Albertazzi,Gigi Proietti e Giorgio Lupano. Lo spettacolo sarà in scena al Teatro dei Documenti dal 6 al 18 Novembre. Le musiche originali sono di Marco Podda.
Secondo la leggenda, una donna inglese, educata a Magonza e vestita in abiti maschili, a causa della natura convincente del suo travestimento divenne un monaco con il nome di Johannes Anglicus. Venne eletta dopo la morte di papa Leone IV (17 luglio 855) in un'epoca in cui il metodo di selezione dei papi era fortuito, prendendo il nome di papa Giovanni VIII.
La papessa era sessualmente promiscua e rimase incinta da uno dei suoi amanti. Durante la processione di Pasqua, nei pressi della Basilica di San Clemente, la folla entusiasta si strinse attorno al cavallo che portava il pontefice. Il cavallò reagì, quasi provocando un incidente. Il trauma dell'esperienza portò "papa Giovanni" ad un travaglio prematuro.
Scopertone il segreto, la papessa Giovanna venne trascinata per i piedi da un cavallo, attraverso le strade di Roma, e lapidata a morte dalla folla inferocita. Venne sepolta nella strada dove la sua vera identità era stata svelata, tra San Giovanni in Laterano e la Basilica di San Pietro. Questa strada venne (apparentemente) evitata dalle successive processioni papali - anche se quando quest'ultimo dettaglio divenne parte della leggenda popolare, nel XIV secolo, il papato era ad Avignone, e non c'erano processioni papali a Roma.
Sempre secondo la leggenda, a Giovanna successe papa Benedetto III, che regnò per breve tempo, ma si assicurò che il suo predecessore venisse omesso dalle registrazioni storiche. Benedetto III si considera abbia regnato dall'855 al 7 aprile 858. Il nome papale che Giovanna assunse venne in seguito autilizzato da un altro papa Giovanni VIII (pontefice dal 14 dicembre 872 al 16 dicembre 882).
Nessuno può dire se la papessa Giovanna sia o no mai esistita. C’è chi sostiene che sia un racconto nato dallo "spettegolio" popolare, causato dai “vizietti” dei papi, che a volte tanto casti non sono stati, facendo così attribuire il nome di papessa alle donnine che con loro trascorrevano qualche ora di libertà. Si dice che una tra tutte spiccò perché più gradita ai pontefici del tempo, e si narra che il suo nome fu proprio Giovanna.
Un altro elemento che avrebbe potuto scatenare la già fertile fantasia medievale, facendo nascere così la storia di Giovanna, furono le sedie “stercolarie”.
Tre sedie dotate di un taglio centrale a forma di mezzaluna posto sul sedile all’altezza dei genitali del prossimo successore di Pietro, che permetteva a un cardinale scelto il controllo del reale sesso del papa appena eletto, prima dell’investitura. La chiesa del tempo però si difendeva attribuendo significati teologici, ad esempio la sedia era simile ad una sedia da parto per simboleggiare la “chiesa madre” e tre per richiamare la trinità (due di queste sedie sono ancora visibili, una è conservata nei musei vaticani e l’altra al Louvre di Parigi).
Costui doveva sedersi in successione su ognuna delle tre sedie per ricevere i simboli del suo pontificato, sul seggio di destra il pontefice riceveva il bastone e le chiavi, in quello di sinistra una cintura rossa dalla quale pendevano dodici gemme ed infine si sedeva in quello centrale ormai divenuto papa. Ma per la gente comune era il modo che la chiesa aveva adottato per non incappare nuovamente in tragedie simili ed impedire così per sempre alle donne l’ascesa al pontificato. Come per tutti gli altri miti in generale, esiste una parte di verità, abbellita da uno strato di finzione. La Papessa Giovanna è una leggenda, ma con dei precisi riferimenti storici e quindi reali. Potrebbe forse anche essere un’invenzione della tradizione popolare anticlericale ed eretica.
Questo spettacolo in scena al teatro dei Documenti, tiene in considerazione le diverse ipotesi, fondendole attraverso la chiave dell’ironia e del grottesco. Il gioco, il divertimento, la fantasia ma anche il dramma sono alla base della narrazione dell’evento, accettato e poi rifiutato dalla Chiesa attraverso gli undici secoli che ci separano dall’accadimento.
Una testualità che, prendendo spunto dalla Papessa Giovanna, racconta l’ansia, le gioie e l’avventura di una donna innamorata, una donna che rifiuta il suo ruolo subalterno per essere protagonista del proprio destino e dei propri sentimenti.
Una storia straordinariamente viva ed attuale che annulla di un colpo il divario di tempo, fornendo allo spettatore un sentimento di eternità.
La narrazione della vicenda della papessa Giovanna, oltre all’abilità dell’attrice in scena, si affida anche all’uso di video, fondendo in sintesi espressiva ed emozionale molti linguaggi in un risultato per il pubblico di assoluto ed emotivo coinvolgimento.
Maria Antonietta Amenduni


30 Ottobre 2007

Mariangela Melato: “Sola me ne vo”…in scena al Teatro Sistina.

La grande attrice italiana si confronta con un genere per lei nuovo, nel quale racconta storie, recita monologhi intensi e brillanti, canta e balla affiancata da ballerini e musicisti.

Mariangela Melato, un simbolo del teatro italiano. Inutile ricordare la carriera (o il mestiere, come dice lei) di questa grande attrice: ha lavorato con quasi tutti i maggiori registi della scena italiana e ha meritato numerosissimi premi e riconoscimenti attribuiti alla sua attività d'attrice teatrale e cinematografica, tra i quali due «Premio Eleonora Duse», quattro «David di Donatello», sei «Nastri d'argento», quattro «Maschere d'oro», tre «Grolle d'oro», due «Premi Ubu», il «Premio Simoni», il «Grifo d'oro della Città di Genova».
Ora l’attrice milanese, torna al Sistina, teatro nel quale non si esibiva dal 1974, e sarà in scena dal 30 ottobre al 25 novembre.
La grande attrice italiana si cimenta in un genere per lei assolutamente insolito. Difficile però inquadrare questo particolare show in una categoria definita: lo spettacolo non permette etichette, virando all'improvviso dall'one women show, al musical, al monologo. "Sola me ne vo", testo di Vincenzo Cerami, Giampiero Solari, Riccardo Cassini e Mariangela Melato, per la regia di Giampiero Solari, è il nuovo spettacolo teatrale che propone Mariangela Melato calandosi in una veste completamente insolita.
Mariangela Melato ci racconta con ironia ed emozione un suo modo particolare e personale di porsi davanti alla vita. Ci racconta della sua Milano degli anni ‘60.
Ci racconta di sé come attrice e come donna che con orgoglio ha fatto della solitudine una scelta di vita ed è così, sola, che si presenta sul palco al suo pubblico: “Sono anni ch e faccio teatro, e sono anni che riempio i teatri, mi imbarazza dirlo ma è così. Tutti mi vedono in maniera diversa, e chi mi viene a trovare poi in camerino, scopre che sono una persona normale. In questo spettacolo voglio incontrare il pubblico in modo diretto e senza paraventi. La gente che va a teatro va premiata, e io voglio avvicinarmi a loro e regalare un pò più di me”.
"Sola me ne vo" è una parentesi leggera nel percorso teatrale della Melato e al tempo stesso una grande prova d’attrice, elegante e originale. Le musiche originali e gli arrangiamenti delle canzoni sono del maestro Leonardo De Amicis, le coreografie originali di Luca Tommassini.
Gli anni passano ma per lei il tempo sembra essersi fermato: “Ero una promessa del teatro italiano, apparentemente la promessa è stata mantenuta, ma gli esami non finiscono mai; sono la persona timida di una volta, ma lo maschero meglio…me la faccio sotto, questa è la verità” (ride, ndr).
Una donna sola per scelta, con il suo modo originale e personale di affrontare il mondo, in questo caso cantandoci e ballandoci sopra, che fa dello spazio teatrale un contenitore dei suoi umori, dei suoi ricordi, delle sue fantasie, "diventando" lì dentro se stessa. Sola, ma allo stesso tempo assieme a tutti noi: “C’è un uso un po’ nostalgico delle canzoni, c’è la meoria, il ricordo, l’allegria, la felicità, insomma c’è un condensato di emozioni”.
E la Melato, pur essendo sola in scena (a parte il corpo di ballo di 6 elementi), non è la protagonista assoluta: come dice lei stessa, il protagonista è il teatro, che lei omaggia e predilige, nel sempiterno rapporto tra chi sta sul palco ed il pubblico.
Ha scelto di essere sola sul palco, ma un'attrice, sola sul palco, non è mai: “Mi sono sempre appassionata di ballo, ma non mi definisco una ballerina; però se avessi partecipato a ballando con le stelle, li stendevo tutti! (ride, ndr). Luca Tommasini, ha capito che sono musicale e mi ha lasciata libera. Mi sento a mio agio con il corpo di ballo…anche se no ballo sulle punte”!
Stuzzicata sul cinema, dice la sua senza peli sulla lingua: “Il cinema oggi in italia non c’è. Ci sono registi bravi come soldini per esempio. Lo stesso doppiaggio italiano, che da noi è fatto benissimo, è un deterrente, infatti tra un film italiano e uno con nomi come Brad Pitt e altri, la gente sceglie quello con Pitt, che tanto è doppiato divinamente! Vedi per esempio i francesi, che non mi stanno simpatici, sanno difendere il loro prodotto. Io non ho delle preferenze, ma per esempio i film americani, sono di solito delle grandi s……..!”
Maria Antonietta Amenduni


29 Ottobre 2007

Al Teatro dell’Orologio, è tempo di “Notti bianche”.

Lorenzo salvati, dirige lo spettacolo, adattato dal testo “le notti bianche”, di Fëdor Dostoevskij. Incentrato su due soli personaggi, il protagonista e Nasten'ka. Tutto inizia e finisce lì, in quel piccolo angolo di Pietroburgo.

Le magiche atmosfere di una Pietroburgo deserta, irreale, sono le protagoniste dello spettacolo “le notti bianche”, di Fëdor Dostoevskij, adattamento e regia di Lorenzo Salvati. In scena Selvaggia Quattrini e Rosario Cappolino.
Il romanzo breve “Le notti bianche”, pubblicato nel novembre 1848, titolo originale "Belye noci. Sentimental'ny roman" è un romanzo breve giovanile di Fëdor Dostoevskij. L'opera prende il nome dal periodo dell'anno noto col nome di notti bianche, in cui nella Russia del nord e in particolare nella zona di San Pietroburgo, il sole tramonta dopo le 22. Il racconto ha ispirato il film omonimo di Luchino Visconti, ed è incentrato su due soli personaggi, il protagonista e Nasten'ka. Tutto inizia e finisce lì, in quel piccolo angolo di Pietroburgo; il tutto è lì, in quella panchina e in quello scorcio di canale.
Lo spettacolo, è in scena al Teatro dell’Orologio di Roma dal 25 ottobre fino al 11 novembre 2007. Il racconto si apre con la descrizione, fatta in prima persona dal protagonista, della città in primavera, quando la natura si riscegliae tutti se ne vanno a riposare nelle loro case di campagna. Il giovane sognatore, eroe del romanzo, resta da solo in città, senza amici, senza conoscenti, poiché in tanti anni che vive lì non è riuscito a crearsi nessun legame.
Gli unici contatti da lui instaurati sono con i palazzi, con le strade di Pietroburgo. Il suo vivere distaccato dalla realtà, in un mondo etereo, termina quando, su un ponte della città, gli appare Nasten'ka, che diventa per lui l'essenza preziosa dei suoi sogni diurni, della sua illusione e disillusione. Per la prima volta il protagonista riesce a stringere un rapporto con un altro essere umano, e capisce di aver perso gran parte della sua esistenza fino ad allora, intuisce che fra la sua vita e la realtà esiste un abisso che deve essere riempito.
Questa rivelazione è l'inizio di quattro notti di illusioni, di compassione prima e poi di amore, di folle e innegabile amore.
E alla fine tutto crolla, i sogni svaniscono. L'ultimo episodio si intitola significativamente "Mattino", quasi a significare che la bellezza e il fascino delle notti era ingannevole ed il risveglio è spesso una delusione.
Del protagonista non sappiamo niente, nemmeno il nome. I personaggi però appaiono chiari, netti, ben delineati, grazie all'uso dei dialoghi. E proprio in questi si scorgono in secondo piano due figure che rimarranno nell'ombra ma che baleneranno per pochi significativi istanti sulla ribalta: la nonna e l'amante di Nasten'ka.
La nonna concorrerà a rendere miserevole e compassionevole la figura della ragazza all'inizio della trattazione, e sarà un ulteriore colpo al muro eretto dal protagonista attorno a sé. L'amante compare alla fine, quando, in un istante, annienta i sogni di quattro notti dell'eroe del romanzo.
L'amante si contrappone al sognatore-protagonista. Tanto deciso l'uno quanto fragile l'altro; così realista il primo che lascia la ragazza rinviando le nozze con lei per guadagnare il necessario per il loro sostentamento, quanto illuso il secondo che vede cambiata la sua esistenza nell'arco di poche ore. Entrambi, però, sono due figure positive; non sono in competizione, ma parallele a Nasten'ka. Tutti e due la amano e tutti e due sognano la sua felicità.
Maria Antonietta Amenduni


28 Ottobre 2007

Qui comincia l’avventura del signor Bonaventura.

Marco Baliani dirige lo spettacolo ispirato al famoso personaggio, il Signor Bonaventura di Sergio Tofano. Il fumetto fu pubblicato per la prima volta sul Corriere dei Piccoli nel 1917.

Era Il 28 ottobre 1917, quando sul Corriere dei Piccoli, fu pubblicata per la prima volta, la tavola del Signor Bonaventura di Sergio Tofano. Il Teatro di Roma, in collaborazione con la Fondazione Cinema per Roma, nell’ambito della seconda edizione di Cinema. Festa Internazionale di Roma, sezione Alice nella Città, presenta Qui comincia l’avventura del signor Bonaventura, con la regia di Marco Baliani. Protagonisti dello spettacolo saranno: Silvia Briozzo, Stefania Carnevali, Giacomo Curti, Massimo Esposito, Carlo Ottolini, Alberto Nicolino, Mariano Nieddu, Patricia Savastano.
Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Argentina, domenica 28 ottobre 2007 ore 18.00, prima nazionale, Teatro di Tor Bella Monaca, 4, 5, 7 Novembre, Teatro India: 12 – 17 novembre 2007 Lo spettacolo è stato presentata in anteprima al Teatro Argentina, proprio il 28 ottobre, serata conclusiva di Cinema. Festa internazionale di Roma.
Si trattava di un fumetto a tutta pagina composto da otto vignette, ciascuna corredata da un testo in versi. Il successo del Signor Bonaventura fu immediato e da quel momento fece la sua comparsa ininterrottamente ogni settimana per ben ventisei anni, fino al 1943, diventando uno dei fumetti di maggior successo della prima metà del Novecento. Dopo la guerra le pubblicazioni vennero riprese, per poi essere ridotte progressivamente nel corso degli anni cinquanta e cessare definitivamente negli anni sessanta.
Negli anni ottanta il personaggio è stato ripreso dal disegnatore Carlo Peroni.
Oltre alle famose storie a fumetti, Tofano si dedicò anche alle rappresentazioni teatrali del Signor Bonaventura, interpretando personalmente il personaggio in sei commedie musicali da lui stesso scritte, messe in scena e dirette.
Un personaggio molto amato e per lungo tempo dimenticato; il regista Marco Baliani, racconta così il suo ricordo: “L’immagine del signor Bonaventura che più mi è rimasta impressa nella memoria è quella di una figurina vestita di rosso e di bianco con due lunghe scarpe da clown che casca di sotto sporgendosi troppo da un qualche balcone, accompagnato nella caduta da un giallo cane bassotto che gli sta sempre tra i piedi”.
Indefinibile l'età di Bonaventura, immaginario l'ambiente in cui egli vive, stilizzato il suo costume e quello dei personaggi minori ma necessari allo svolgimento delle sue mille avventure ... . A voler precisare poi se sia nato prima l'attore o il vignettista, non ci si cava nulla: “Nelle tavole disegnate da Sto – afferma Baliani - Bonaventura inciampa, cade, precipita, sbatte, imprevedibili sfortunati eventi si abbattono su di lui, ma Bonaventura, mantenendo intatta una sorta di istintiva e primitiva innocenza, sempre riesce a cavarsela, non solo, ma ogni atto maldestro trova nel giro di poche sequenze una spropositata ricompensa, un fazzolettone bianco di carta con su scritto “un milione”. Il milione di Bonaventura è come il deposito di fantastiliardi di zio Paperone, ma qui, nelle tavole di Sergio Tofano, la cifra resta astratta, è solo scritta, non è un denaro da vedere o toccare, resta un puro sogno.
Il regista e attore Marco Baliani, continua così il suo racconto dello spettacolo: “La ricompensa è un ringraziamento. Bonaventura, proprio in virtù dei suoi infortuni, ripara danni da altri subiti,ritrova preziosi oggetti smarriti, permette la cattura di ladrucoli e lestofanti, salva vite di affogati, toglie il bel Cecè dai guai. E se la sciagura è il perfido Barbariccia che gli tende un agguato, ecco che Bonaventura trasforma la batosta subita in una nuova meritevole impresa. Bonaventura è parente non troppo lontano dello sciocco Giufà del nostro sud e sarà poi ispiratore del Marcovaldo calviniano del nord.
Queste figure innocenti di sbadataggine inveterata, di stoltezza dolce e ingenua, ci raccontano che la vita dopo averci tanto spintonato e bistrattato ci può d’improvviso ricompensare. Le loro storie assolvono così alla funzione di ogni storia, cercare di rendere il mondo meno terribile. Bonaventura permette a tutti noi di credere, sognare, immaginare che le batoste che il mondo continuamente ci propina possano rivelare inaspettate vie d’uscita. E l’ innocente serenità con cui Bonaventura sopporta i più spericolati imprevisti potrebbe essere un ottimo antidoto alla spietata oggettività del vivere. In questo nostro tempo dove sembrano vincere la sopraffazione e la protervia, dove la smania di successo e l’ansia di apparire sembrano l’unica misura dell’esistere, Bonaventura è ancora più attuale, con leggerezza ci indica altre strade possibili da percorrere,mettendo alla berlina la presuntuosa compattezza del mondo”.
Maria Antonietta Amenduni


24 Ottobre 2007

Un viaggio nell’infanzia suddiviso in capitoli.

Il talento di Davide Enia fa nuovamente centro al Teatro Piccolo Eliseo di Roma. fantasia e la sensibilità artistica si concretizzano in uno spettacolo che è un bellissimo gioco teatrale.

Quali sono gli sviluppi e le conseguenze di uno spiccato talento creativo unito ad intelligenza e personalità peculiari? L’invenzione di giochi teatrali, e la scoperta di chiavi inedite della realtà. Tutto questo è Davide Enia, alle prese al Teatro Piccolo Eliseo Patroni Griffi, con lo spettacolo: “I capitoli dell’infanzia” che fa parte del progetto Eliseo Lab, la sezione dell’Eliseo dedicata alle forme più nuove e interessanti delle arti sceniche. In programma dal 23 ottobre al 2 dicembre, lo spettacolo è diviso in due capitoli, che saranno messi in scena separatamente a settimane alterne, Capitolo 1: Antonuccio si masturba, Capitolo 2: Piccoli gesti inutili che salvano la vita. La musica, parte attiva e narrante, che accompagna Davide Enia, grande talento affabulatore che affonda le sue radici ne “lu cuntu” siciliano, è eseguita dal vivo da Giulio Barocchieri e Rosario Punzo. Nato a Palermo nel 1974, è autore e interprete di molti spettacolo tra cui Italia-Brasile 3 a 2 (2002) e Maggio '43 (2004); entrambi hanno riscosso successo proprio al Piccolo Eliseo, due anni fa, e molti sono stati in questi anni, i successi da lui riscossi. Davide Enia riesce a concretizzare le sue doti artistiche. La fantasia e la sensibilità artistica cono i cardini dei suoi spettacolo, ma si confrontano col bisogno di ordine e con la necessità di analizzare e valutare. Tutto questo l’artista siciliano riesce a farlo in maniera concreta, mettendo su un bellissimo gioco teatrale nel quale da anche prova, della sua ottima padronanza del movimento e del corpo. Efficacia dunque, uniti a concretezza e semplicità, sono le doti di questo bel lavoro di Davide Enia. I capitoli dell’infanzia sono il primo tassello di un ciclo di storie più ampio che accompagnerà l’intero arco della vita di tre fratelli. I capitoli dell’infanzia raccontano questo momento della loro età. Ecco comee Enia racconta, a modo suo, lo spettacolo: “La città che ìddi attraversano e s’insìgnano a conoscere è Palermo.Il più grande dei tre fratelli si chiama Angelino. Ha lo sguardo trafittìvu come una freccia, la curva delle labbra come la curva del fiume ed è bello come un agosto, e come agosto non ha pioggia accussì i suoi occhi non conoscono lacrime, Angelino che partirà per la guerra e che sul campo di battaglia morirà, due volte. Il mezzano è Antonuccio. Parla in sogno con il pesce squalo, sta scoprendo la sessualità ed è agli occhi di tutti caro e prezioso come un ricordo tanto dolce e segreto che si è disposti a morire pur di difenderlo. Il piccolo è Asparino, che osserva non soltanto con gli occhi, che da grande vuole abitare in una casa da dove si vede il mare e che desidera ardentemente abbracciare gli alberi, Asparino che diverrà il custode dei segreti della città di Palermo. Loro zio è Concetto, un cieco che parla con gli uccelli e considera il piccione Pierino suo fratello di sangue. Fiore è la madre, che osserva con occhio di sfida il mare nero e oscuro che da sempre sta davanti Palermo e che le portò via, una notte d’inverno, Toti il pescatore, suo marito e padre dei suoi tre figli. Palermo è crocifissa da un sole impietoso, come i suoi abitanti. I suoi sette fiumi scorrono e raccontano ognuno una storia apparentemente diversa, come il dedalo di strade che percorrono le sue viscere intarsiandosi infine un unico arcano disegno ancora incompreso. E, nel sottosuolo, vive la Palermo dell’ombra, in tutto e per tutto uguale a quella di sopra ma rovesciata, ché per ogni città che si erge contro il cielo ne esiste una simmetrica fatta di vuoto e di pietra sottratta E poi, inevitabile, c’è la guerra, che sempre arriva e sempre distrugge. Dentro (e fuori) tutto questo, vivono i tre fratelli. Chìsta è la loro storia”.
Maria Antonietta Amenduni


22 Ottobre 2007

“Non ti conosco più” in scena al Teatro Manzoni

La divertente commedia di Aldo De Benedetti, diretta da Carlo Alighiero, che è anche interprete, vede protagonisti Fabrizzio Frizzi ed Edy Angelillo.

Una commedia scritta nel 1932 e messa in scena quello stesso anno dalla Merlini-Cimara-Tofano con enorme successo. E’ “Non ti conosco più” di Aldo De Benedetti, In scena al Teatro Manzoni, per la regia e il libero adattamento di Carlo Alighiero, anche in scena con Fabrizzio Frizzi ed Edy Angelillo. In scena anche: Massimo Abbate, Barbara Begala, Annalisa Amodio e Lucia Ricalzone. I costumi sono di Irene Corda, le musiche e le canzoni sono elaborate da Enzo De Rosa e Carlo Alighiero Commedia brillante italiana, che propone un tipo diverso di rappresentazione rispetto ai soliti vaudeville. E' un opera fine ed elegante che, fa divertire il pubblico e va a stuzzicarlo senza mai cadere in situazioni troppo ovvie o banali. Decisamente una grande commedia. Già nel ’34 Nunzio Malasomma curava una prima versione cinematografica del testo, che fu poi ripreso in teatro nel 1977 da Renato Rascel e Giuditta Saltarini. È del 1980 l’esilarante remake di Sergio Corbucci che vede protagonisti della pellicola lo stesso Gigi Proietti con Johnny Dorelli, Monica Vitti e Franca Valeri. Storie vissute all'interno dei salotti della buona borghesia italiana, dove medici, politici ed eleganti signore si trovano coinvolti in complicate schermaglie sentimentali, al limite della moralità e del lecito ma sempre convogliate al dovuto, apparente lieto fine. Con uno stile secco e pungente, De Benedetti analizza e porta alla ribalta la crisi della borghesia e dei suoi riti famigliari, denunciando il vuoto di passione e sentimenti che l'esteriorità perfetta del rapporto di coppia tenta inutilmente di nascondere. Aldo de Benedetti, un grande autore italiano.( nasce a Roma nel 1892) Un autore di piccoli gioielli in commedia, che sa divertire e interessare il pubblico in ogni momento, con la malizia del suo dialogo, e l’abilità con la quale disegna i suoi tre personaggi principali. Siamo a Roma in una bella casa con giardino. In un ambiente alto borghese sereno, apparentemente tranquillo. La padrona di casa, suona il pianoforte e canta le amate canzoni napoletane con le cameriere e il segretario maggiordomo. Ma in casa dei coniugi Paolo e Luisa Malpieri è scoppiato il dramma. Paolo (Fabrizio Frizzi) è disperato, sua moglie Luisa (Edy Angelillo) non lo riconosce più, e lo vuole cacciare di casa come se lui, il marito, fosse un intruso. Il professor Alberto Spinelli (Carlo Alighiero) medico psichiatra, chiamato da Paolo, diagnostica un vuoto di memoria,“un’epistassi fisionomica,” che si spera, limitata nel tempo. Infatti mentre stanno parlando, come è comparso il dramma sembra sparire: la signora Luisa dall’altra stanza ha riconosciuto la voce del marito Paolo. Tutto sembra tornare nella normalità……La signora Luisa entra saluta e sotto lo sguardo esterrefatto di Paolo, abbraccia e riconosce come marito Alberto, il professore. A nulla valgono le proteste di Paolo, tenuto calmo da Alberto per non esasperare la situazione. Il professore Alberto Spinelli è eccitato e piacevolmente imbarazzato di trovarsi di fronte a un caso così interessante. Paolo, il marito, è stravolto di dover assistere a scene di tenera affettuosità tra sua moglie e il professore. Luisa la moglie… invece è felice! Brilla nei suoi occhi una strana luce…… Ma a complicare ulteriormente la situazione sarà l'arrivo inaspettato della cugina Clotilde Lawrence, eccentrica scrittrice inglese, e della figlia Evelina. In scena al Teatro Manzoni (via monte Zebio 14/c tel.06/3223634) dal 30 ottobre al 25 novembre. Orario spettacoli: dal martedì al venerdì ore 21 sabato ore 17-21 giovedì 15 novembre ore 17-21 domenica ore 17.30 lunedì riposo.
Maria Antonietta Amenduni


20 Ottobre 2007

Come ti vorrei!?…in scena al Teatro Agorà di Roma

Commedia romantica e brillante che analizza con pungente e disarmante umorismo le difficili dinamiche di coppia, la diversità tra l’universo femminile e quello maschile.

“Passerà, tutto passerà. Ma perché io ti ho lasciato andar? Come ti vorrei, come ti vorrei, vorrei, vorrei: ti vorrei qui con me”.
Questi sono alcuni i versi di una famosa canzone cantata da Iva Zanicchi.
In questo caso non stiamo però parlando della Iva nazionale, ma di uno spettacolo che del “come ti vorrei”, fa il suo filo conduttere e ne prende il titolo: “Come ti vorrei” di Alessandro D’Ambrosi e Santa de Santis.
La trama è presto detta: commedia romantica e brillante che analizza con pungente e disarmante umorismo le difficili dinamiche di coppia, la diversità tra l’universo femminile e quello maschile, il desiderio e la ricerca di una perfezione tanto necessaria quanto illusoria.
In una folle notte insonne si intrecciano i destini di quattro personaggi in cerca d’amore: un ironico fotografo squattrinato, una manager ossessiva e rigorosa, un irriverente dirimpettaio gay, un timidissimo attore ed un taciturno pesce rosso in cerca di una famiglia…
Attraverso una vivace dialettica tra sogno e realtà, i protagonisti si alternano e si rapportano con le divertenti e deliranti proiezioni dei propri desideri, giungendo infine alla consapevolezza che molto spesso “COME TI VORREI…è come sei”.
Un viaggio alla ricerca dell’ideale in una fredda Vigilia di Natale... (con un inaspettato ospite finale). Come scriveva Hazrat Inayat Khan, nel libro “La ricerca dell’idela”, Viene un momento in cui l’uomo cerca una giustizia più completa di quella che trova fra gli uomini, allorché cerca qualcuno in cui possa avere fiducia con più sicurezza che nei suoi amici nel mondo. Arriva il momento in cui egli sente un desiderio di aprire il proprio cuore ad un Essere che sia al di sopra degli esseri umani e che possa comprendere il suo cuore. L’uomo desidera per natura incontrare qualcuno più grande di sé. Egli cerca il suo ideale nel mondo della mortalità, ma poiché l’anima umana non può rispondere al suo ideale, egli è naturalmente portato a rivolgersi a Qualcuno che è più in alto dell’uomo. L’uomo desidera sentire che esiste Qualcuno che gli viene in aiuto, Qualcuno che gli è vicino nella sua solitudine. Egli sente il bisogno di chiedere perdono a Qualcuno che è al di sopra delle piccolezze umane, e di cercare rifugio in Qualcuno più forte di lui. E a tutte queste naturali tendenze umane c’è una risposta, la risposta data dalla religione, e la risposta è Dio.
Forse la ricerca dell’ideale dello spettacolo non arriva a questo livello, ma nell’epoca della comunicazione globale si palesa con crescente urgenza la consapevolezza che “comunicare molto” non è sinonimo di “comunicare meglio”.
Le ormai molte occasioni di apertura su universi culturali e sociali, da noi spesso molto lontani, ci inducono ad una paradossale chiusura: un consolidamento della nostra identità individuale e, contemporaneamente, una conoscenza del “diverso” perlopiù affrettata e dominata da principi generalizzanti.
Siamo naturalmente portati a colmare la distanza che ci separa dallo “sconosciuto” attribuendogli una definizione, classificandolo in base alle caratteristiche più evidenti, a noi più familiari e molto spesso limitanti ed ingannevoli.
L’accettazione incondizionata dell’ ”alienus” può attuarsi, dunque, solo attraverso uno sforzo cognitivo ed emotivo teso alla sua profonda conoscenza, attraverso il riconoscimento della sua innata complessità, in tutto simile alla nostra.
“COME TI VORREI” è tutto questo. Una ridefinizione dei propri valori come relativi anziché assoluti. La storia esilarante di una famiglia elettiva che ha scoperto il segreto per restare unita. Lo spettacolo richiede uno spazio scenico nudo di circa 7m di larghezza per 8m di profondità. La scenografia, composta nella sua struttura perimetrale da tre pareti componibili, riproduce l’interno dell’appartamento di una giovane coppia. In scena dal 30 ottobre al 18 novembre 2007. Con Alessandro D’Ambrosi, Santa De Santis, Silvano Loia, Simone Raineri. Lo spettacolo è in scena al Teatro Agorà, Via della Penitenza, 33 (Trastevere)
Maria Antonietta Amenduni


16 Ottobre 2007

Lunga Giornata verso la notte

Un testo “immortale” di Eugène O'Neill, in Scena al Teatro Eliseo, per la regia di Piero Maccarinelli. In scena quattro bravissimi interpreti del teatro italiano: Remo Girone, Annamaria Guarnirei, Luca Lazzareschi e Daniele Salvo.

“Un testo che è una lezione di teatro, per i giovani e non solo; i piani di ascolto sono fondamentali. Un esempio di come è teatro è immortale, per la sua contemporaneità”. Così Piero Maccarinelli, definisce il testo di “Lunga giornata verso la notte”, spettacolo da lui diretto, e in scena al Teatro Eliseo, dal 16 ottobre al 4 novembre. In scena quattro attori di peso come Remo Girone, Annamaria Guarnirei, Luca Lazzareschi e Daniele Salvo. La traduzione è di Masolino D’amico. Un covo di vipere, una sonata di fantasmi. Facendo, prima di essere distrutto dal Parkinson, i conti con la sua vita e soprattutto con la sua famiglia e i suoi morti, l'immenso Eugène O'Neill scrive nel 1950 il suo ultimo capolavoro, Lunga giornata verso la notte: ma il testo, per suo volere, resta inedito e viene rappresentato postumo, per la prima volta, a Stoccolma. Dopo alcuni capolavori quali Desiderio sotto gli olmi, Strano interludio, Il lutto si addice ad Elettra, e dopo un Premio Nobel per la letteratura, Lunga giornata verso la notte si pone come uno spietato riepilogo di tutta la drammaturgia di O'Neill, che con questo testo decide finalmente di fare i conti con se stesso affrontando le inquietudini e i fantasmi del suo passato. Qui, in un denso girotondo di dolore, sopraffazione, malattia, droghe, alcool, O'Neill racconta quella lunghissima notte del 1912 che scopre tutte le carte, del resto risapute, della famiglia Tyrone: – in realtà la famiglia dell’autore – nell’abitazione di campagna in Connecticut. Chiusi in casa, i quattro personaggi (madre, padre e i due figli) iniziano una conversazione tranquilla al mattino di una giornata che si annuncia come un lungo viaggio verso l’oscurità. Quela che sembrava essere una tranquilla giornata, si dimostra essere invece una resa dei conti. Qui, in un denso girotondo di dolore, sopraffazione, malattia, droghe, alcool, O'Neill racconta quella lunghissima notte del 1912 che scopre tutte le carte, del resto risapute, della famiglia Tyrone: il padre attore popolare che ha gettato il suo talento impigrendosi in spettacoli commerciali, avaro e ubriacone; la madre morfinomane inchiodata alla dipendenza per colpa di un medico che le ha prescritto la droga con leggerezza per lenire il dolore artritico alle mani (in realtà la madre era morfinomane ma per via di un cancro al seno); il fratello alcolizzato che è entrato in una spirale irrefrenabile di distruzione. E poi c'è lui, Edmund, ormai tubercolotico per la vita che ha condotto facendo la fame, all'avventura fra navi, porti e puttane, che proprio quando gli si rivela il proprio talento naturale per la scrittura, deve entrare in sanatorio per cercare di sopravvivere, ma il padre non vuole tirare fuori i soldi e vuole mandarlo in un ospedale di carità. La giornata del titolo li vede nella casa di campagna del Connecticut fra siepi da tagliare, cameriere avventizie, e una nebbia che circonda tutto come un'ovatta minacciosa: proprio quella nebbia come simbolo di spaesamento, di impossibilità di vedere e dunque di capire, di mistero da sempre uno dei «personaggi» chiave nei testi di O'Neill. Falsi valori, luci artificiali, ma anche un disperato bisogno di amore, fino all’ultima straziante dichiarazione. Remo Girone. Definisce così il senso di questo spettacolo: “E’ come se O'Neill, ci volesse dire – quello che ci è capitato, è capitato; ora vale la pena di continuare a vivere”. “La bellezza di questo lavoro di O'Neill – aggiunge uno dei progonisti Daniele Salvo - è che la poesia del testo è interna e non esibita” Conclude il regista Piero Maccarinelli: “E’ un dipanarsi lento dei temi, fino ad arrivare alla catarsi del finale sospeso, su una grande dichiarazione di aiuto”.
Lo spettacolo è molto bello, grazie ad una validissima regia e a quattro interpreti di tutto rispetto. Remo Girone è adattissimo e completamente a suo agio nel personaggio. Affascinante è la naturalezza di Anna Maria Guarnirei, anche se a volte la sua voce è troppo bassa. Molto bravo Daniele Salvo nel rendere al massimo il suo personaggio che non ha mai un calo di energia ed emozione. Una conferma, come sempre, Luca Lazzareschi, perfetto nel rendere ogni più piccola sfumatura del suo personaggio, capace di passare da un piano emozionale ad un altro con assoluta naturalezza…personalmente, mi ricorda molto Umberto Orsini. Un po’ meno convincente la traduzione di Masolino D’amico, forse un pochino edulcorata. Un dettaglio risulta essere un po’ stonato e fuori luogo: la voce fuori campo, registrata, che scandisce il tempo; se ne poteva fare a meno
Maria Antonietta Amenduni


14 Ottobre 2007

Da clawn a sensuali spogliarelliste!? Scopritelo con Striptease

In scena al Teatro Italia di Roma, un divertente spettacolo, con quattro ironiche e fascinose protagoniste. Il regista Patrick Rossi Gastaldi lo definisce: “Un testo che è un pretesto per…”

Cosa hanno in comune quattro attrici come Alessandra Pierelli, Monica Sallese, Valeria Magistero e Livia Cascarano e il regista Patrick Rossi Gastaldi? …è semplicissimo, hanno in comune un pretesto! E si, perché è così che il regista definisce la commedia musicale “Striptease”, in scena fino al 21 ottobre al Teatro Italia, scritto dallo stesso regista insieme a Francesca Nunzi, Mario Scaletta, Valeria Magistero.
Alessandra, Francesca, Valeria e Livia, una finestra sul mondo dei giovani di oggi, che tra difficoltà quotidiane, e un mondo del lavoro assai poco sereno e gratificante, cercano nonostante tutto di andare orgogliosamente avanti. E se a questo ci aggiungi l’aspetto di una generazione difficile anche dal punto di vista dei sentimenti, e bene, il gioco è fatto.
Metti le quattro ragazze a gestire una piccola società di animazione per feste di bambini, metti che la società non va proprio bene, aggiungi il lavoro quotidiano, condisci il tutto con vicende personali: storie d’amore appena sbocciate o da poco concluse. Ne vengono fuori sogni nel cassetto destinati a rimanere sogni; gioie e speranze di un futuro migliore. Ma proprio mentre tutto sembra scorrere nella banalità più totale un bizzarro equivoco si trasforma in una svolta d’ alternativa.
A questo punto il dilemma: spogliarsi di tutto e lanciarsi in una nuova vita o lasciare che tutto rimanga come è sempre stato? Avvolte da buffi costumi, accompagnate da musiche cartoon,tra una risata e l’altra, le quattro protagoniste guidano il pubblico attraverso un’esperienza esilarante. L’infanzia che ci attraversa……l’infanzia che non vuole finire e che per magia svanisce: questo è il magico gioco di “Striptease”.
In una piacevolissima chiacchierata, ne abbiamo parlato con Patrick Rossi Gastaldi.
Come hai impostato il tuo lavoro di reggia su questo testo?
“Ho lavorato molto sull’ironia e la comicità femminile, sfruttando le possibilità delle attrici, che hanno a loro volta tirato fuori il loro modo ironico e divertente di vedere la vita e gli uomini. Penso di essere riuscito nel mio intento, anche se ha volte, come in tutti gli spettacolo c’è qualche falla, qualcosa che si può sempre migliorare, ma credo che il risultato buono”.
Come è stato mettere insieme quattro donne sul palcoscenico?
“Quattro donne per metterle insieme, bisogna amarle; io amo molto l’elemento femminile, al di la della mia vita privata. E con loro è stato molto bello giocare sul loro modo di mettere in evidenza il loro lato comico. Io ho avuto la fortuna, anche da attore, di lavorare con donne che hanno fatto della loro comicità, la loro fortuna. Una tra tutte, alla quale devo tanto e dalla quale ho imparato molto, è Franca Valeri; per me è un vero esempio,con lei ho avuto la fortuna di creare una grande complicità. E anche in questo spettacolo, l’elemeto della complicità è importante”.
Cioè?
“Le attrici del mio spettacolo sono molto giovani e ancora un pochino inesperte, e su questo aspetto si gioca molto, anche per farsi venire altre idee, cose nuove alle quali magari prima, in lettura non avevi pensato, ma che mettendolo in scena sono venute in mente. Insomma è stato uno scambio continuo di idee”.
Ma il tuo impatto col testo come è stato?
“Difficile. E’ un testo che è un pretesto, che va sempre rivisto e corretto. Un testo fatto per divertire, è sempre un pretesto, ma io ad ogni testo, mi approccio sempre come fosse la prima volta, con qualcosa di nuovo da scoprire”.
A breve riprenderai il tuo lavoro nella scuola di “Amici”. Ma è una scuola come le altre?
“No, non lo è, io la definisco una scuola di vita ad elettroshock! Non mi pongo come insegnate, apporto la mia esperienza di attore e di regista, con un approccio un po’ psicologico, con uno sguardo alla ricerca di se stessi, per conoscersi meglio. Quell’esperienza non è il fine ma un mezzo, e quando ne escono, sono nella nebbia; io voglio aiutarli ad orientarsi meglio in quella nebbia”.
Cos’è che ti deve colpire in un attore quando gli fai un provino?
“Mi deve far dimenticare che devo morire! Deve brillare di luce propria; se non ha la luce è difficile che mi possa colpire”.
Oltre “Amici” e “Striptease”, quali sono i tuoi prossimi impegni?
“C’è la ripresa di “Indovina chi viene a cena”, “Mal di madre” sempre al Teatro Italia, e poi ci sono altri due progetti, di cui ancora non posso parlare…”
Allora ci diamo appuntamento tra qualche tempo per parlarne?
“Quando vuoi tu”!
Grazie e a presto dunque!
“Grazie a te e ci sentiamo presto”.
Maria Antonietta Amenduni


8 Ottobre 2007

Giorgio Panariello a tutto tondo, debutta al Sistina

A tu per tu con il comico toscano, che ritorna con il suo spettacolo “Faccio del mio meglio”. Dopo il successo della passata edizione, Panariello, ci riprova e tocca anche la sue corde più drammatiche.

Cinema, teatro e tv: Panariello a tutto tondo, imperversa con la sua comicità. I manifesti pubblicitari danno spazio a “Sms - Sotto mentite spoglie”, il nuovo film di Vincenzo Salemme, dove lui è protagonista, mentre lui ha appena finito di girare la fiction “Matilde” con Sabrina Ferilli. In tutto questo il comico toscano non poteva farsi mancare il teatro, è così eccolo arrivare al Teatro Sistina con il suo nuovo one man show “Faccio del mio meglio, ancora”, in scena dal 9 al 14 ottobre Tra sketch e risate, c'è anche una sottile riflessione sull'evoluzione dell'uomo moderno, trasformatosi da homo sapiens a “uomo Vogue. Nella performance c'è spazio anche per un appello contro l'abbandono degli animali. Il finale dello spettacolo è affidato alla toccante interpretazione di un anziano, incaricato di ricordare alla platea che «la solitudine è una prigione a cielo aperto». Un epilogo triste e inatteso, probabilmente ispirato dalla sua storia personale, essendo stato abbandonato in fasce e cresciuto dagli anziani nonni. 58,400 spettatori hanno assistito alla prima edizione di “Faccio del mio meglio”. Il successo di pubblico e di critica che hanno accompagnato lo spettacolo hanno spinto l’attore toscano a riprenderlo, con le dovute variazioni, inevitabili aggiornamenti e nuove soluzioni registiche di Giampiero Solari. La formula è invariata. Giorgio in scena, accompagnato da un’orchestra composta da un solo elemento (il pianista Dino Mancino) e con un grande schermo dal quale entrano ed escono indisturbati alcuni fra i suoi personaggi più popolari (da Renato Zero a Naomo), affronta, attraverso i suoi monologhi più riusciti, in maniera straordinariamente divertente, coinvolgente, emozionante e con quel pizzico di poesia che lo contraddistinguono, il tema dell’incomunicabilità. Nell’era della comunicazione, da internet al digitale terrestre, comunicare con il nostro vicino di casa sembra diventata la cosa più difficile. Comunicare agli altri le nostre debolezze, parlare per risolvere una crisi di coppia, trovare le parole giuste per comunicare l’amore, è diventa un’impresa ardua. Eppure sono le parole il nostro grande dono. Sono le parole che compongono le canzoni, che raccontano le fiabe, che esaltano i poeti, che fanno compagnia quando c’è troppo silenzio. Che sono il nostro aiuto per chi non può parlare… Oggi le parole si affacciano dai computer, rimbalzano dai satelliti, sono un messaggio sul tuo telefonino, passano dappertutto meno che dalla bocca. Cosi diventano un “linguaggio”, un nuovo dialetto per un mondo che cambia mentre noi stiamo cambiando, sempre più vicino mentre noi ci stiamo allontanando. Di questo e altro, abbiamo parlato con Giorgio Panariello.
Arrivi al Sistina ma ci eri andato vicino già un paio di volte!
“E’ vero c’erano stati già dei tentativi con Garinei ma ogni volta per impegni televisivi ho dovuto rinunciare. La televisione mi ha dato tanto ma mi ha anche tolto molto”.
Nel tuo spettacolo, giochi molto con il linguaggio usato dai ragazzi.
“Si infatti, ma non è solo una questione di invasione dell’inglese, o del tvb mvb, ma anche quando vai in un negozio e chiedi come ti stà un abito, ti dicono: veramente vintage, molto glamour, non rischia il trash, è molto trendy. O ancora le magliette del tipo “University of California”, va bene io me la metto questa maglietta, ma tu americano ti metti la maglietta con scritto Istituto Tecnico Industriale Lampolecchio, altrimenti c’è qualcosa che non va in questa globalizzazione”.
E’ vero che in Italia esiste purtroppo la TV deficiente, ma certa stampa aveva montato un caso dicendo che la Signora Franca Ciampi, ti avesse accusato di fare proprio TV di questo tipo. Ora è tutto risolto?
“Assolutamente si; finalmente è tutto chiarito, anzi ringrazio e saluto la Signora Ciampi e dedico anche a Lei il mio show, perchè mi ha dato una mano a rendere ancora più sereno questo spettacolo; con le sue dichiarazioni ha smontato il caso e ora si può dire che ha fatto un po’ parte del cast!”.
Panariello e la TV’?
“Mi piacerebbe fare un varietà nuovo, con luci nuove, uno spettacolo tipo “Allegria” del Cinque du Soleil. Mi piacerebbe fare uno spettacolo con quel tipo di energia, luci, colori, insomma uno spettacolo sognante e purtroppo la televisione non ti permette di sognare.”
I momenti più belli della tua vita/carriera?
“Ricordo il primo spettacolo davanti a settemila persone, quando, io E Carlo Conti, facevamo Aria Fresca. Ricordo ancora il primo applauso alla prima puntata di “Torno sabato”. Un altro momento importante, è quando è arrivato per la prima volta in casa il mio cane Zeus e quando sono andato al canile e ho detto: il primo cane che mi viene incontro è mio…era una lei e si chiama Crusca”.
Maria Antonietta Amenduni


7 Ottobre 2007

Il lirismo vivianesco in scena al Teatro delle Muse

Vito Matassino, dirige Rino Santoro in “L’ultimo scugnizzo” di Raffaele Viviani. In questa commedia dominano due temi che ricorrono spesso nel teatro di Raffaele Viviani: la miseria e l'emarginazione.

I figli di un Dio minore ante litteram, raccontati da Raffaele Viviani. Così Vito Matassino, definisce lo spettacolo “L’ultimo scugnozzo”, in scena al Teatro delle Muse dal 12 ottobre al 2 dicembre. Raffaele Viviani con “L’ultimo scugnizzo” (la commedia che gli conquistò definitivamente Milano nel 1933) creava un altro dei suoi famosi personaggi: quell’Antonio Esposito che “cresciuto alla scuola della strada, dove si passa senza esami” sente, nell’imminenza di essere padre, la responsabilità di trovare un’occupazione qualsiasi, che gli permetta di sposare la ragazza ch’è stata sua e far si che il neonato abbia uno stato civile. La sua necessità d’inserirsi nella società, che lo ha “lassato” da bambino, lo porta ad entrare in casa di un avvocato filisteo, e a coprire tutte le storture di una famiglia, piccolo-borghese, immoralista e bigotta. Egli è consapevole tuttavia di macchiarsi la coscienza onde sbrigare le pratiche “pulite e sporche” che il suo benefico sfruttatore gli affida. Ma il figlio gli muore appena nato; e Antonio, nel suo schianto invoca un impossibile ritorno all’infanzia. E’ la tragedia dello scugnizzo. Protagonista dello spettacolo al Delle Muse, è Rino Santoro, che interpreta il delicato ruolo del protagonista Antonio Esposito. L'ultimo scugnizzo è una commedia in tre atti rappresentata da Viviani per la prima volta il 16 dicembre 1932 al teatro Piccinni di Bari (Viviani interpretava il ruolo di 'Ntonio e Luisella Viviani quello di 'Nnarella). Il lavoro fu rappresentato l'anno seguente prima a Napoli al teatro Fiorentini e, poi, a Milano. In questa commedia dominano due temi che ricorrono spesso nel teatro di Raffaele Viviani: la miseria e l'emarginazione. La scena del primo atto della commedia è ambientata in un interno: lo studio dell'avvocato Razzulli. Il secondo atto si svolge all'esterno, nei pressi di un basso, nel vico Lepri ai Ventaglieri. L'ultimo atto è di nuovo in un interno: lo studietto di 'Ntonio, in casa Razzulli. Tra i ventitré personaggi che vi compaiono emerge il personaggio principale: 'Ntonio Esposito, l'ultimo scugnizzo. 'Ntonio vuole cambiare vita, desidera abbandonare il suo passato precario, è deciso a superarlo, ma non a rifiutarlo; tenta di procacciarsi un lavoro onesto per vivere dignitosamente ed per offrire al figlio, che sta per nascere, una famiglia ed un'esistenza felice. Ma l'annuncio della morte del nascituro recide il filo della speranza e della rinascita di 'Ntonio. Nonostante i suoi sforzi di inserirsi nel mondo del lavoro, 'Ntonio comprende di essere diverso dagli altri, e ricade nel suo ruolo di emarginato senza alcuna speranza di cambiamento. Ecco che i concetti di scugnizzo, di emarginato e di povero si identificano. Il lirismo vivianesco splende alto (oltre che nel finale della commedia) in un secondo atto corale, notturno, dove i compagni di “’Ntonio” - ormai uominisistemati” - si ritrovano, in un ritorno festoso di memoria; che si concreta in voci e canti e gridi da marciapiede dove gli scugnizzi lasciavano la notte le loro persone “incustodite... e ‘a matina appriesso ‘ ttruvavemo llà”. E’ un contrappunto di mielismi della più lucente suggestione, è la “Rumba degli scugnizzi”, adesione morale agli “spirituals” negri, che Raffaele Viviani crea con uno dei suoi piu’ icastici e surreali ritmi giullareschi. “Viviani – scrive il regista Vito Matassino - è il cantore più fedele di questa umanità di disperati. Un mondo fatto di drammi, di violenza e di grandi riscatti. Il tema dell’ultimo scugnizzo è un tema di incredibile attualità: lo scugnizzo inteso come persona ai margini della società, di una società borghese, sicuramente chiusa verso di loro e spettatrice disinteressata della loro vita. L’impossibilità di riscattarsi e di poter trovare una dignità sempre negata è il filo conduttore di questo spettacolo. Viviani questi diseredati, in qualche modo, non li salva: li fa perdere nel loro dolore che diventa l’epilogo naturale di un’umanità destinata a continuamente a perdersi.
Maria Antonietta Amenduni


2 Ottobre 2007

Il Piccolo Eliseo apre la stagione in nome della memoria.

Massimo Wertmüller e Ilaria Falini interpretano lo spettacolo “A memoria”; agli scritti di grandi autori e poeti si uniscono le testimonianze drammatiche di gente comune.

“Perche’ l’orrore non torni a ripetersi con altri popoli e con altre genti, la violenza dell’uomo sull’uomo e’ una lezione da tenere a memoria”. È questo il necessario monito ed il senso stesso di un recital che, prendendo in prestito le parole di grandi scrittori e poeti sulla guerra - da Ungaretti a Neruda - e le terribili testimonianze di uomini sopravvissuti allo sterminio nazista - da Levi a Celan - crea un percorso narrativo nel quale si mescolano in un necessario e faticoso convivere bene e male, guerra e pace, amore e morte. Il valore, l’importanza della memoria, la necessità di coltivarli sempre, giorno dopo giorno, e non solo in occasione delle ricorrenze speciale, ma nell’educazione e nel rispetto di tutti i giorni. Il tempo passa, e noi cambiamo, ma non dobbiamo mai dimenticare, per non correre il rischio di ripetere certi madornali errori, che purtroppo ancora oggi si commettono nelle tragedie di quei paesi troppo spesso dimenticati dall’opinione pubblica, dove la violazione dei diritti umani è all’ordine del giorno. I crimini dunque non sono qualcosa che appartiene al passato, ma li troviamo troppo spesso solo nei trafiletti dei giornali, e uomini, donne e bambini, muoiono, per causa di poteri forti che passano sopra tutto e tutti, in nome del dio denaro e del potere. In questo spettacolo, agli scritti di grandi autori e poeti si uniscono le testimonianze drammatiche di gente comune: di ebrei morti o sopravvissuti ai campi di sterminio, di partigiani condannati a morte e di testimoni di tragici fatti. Voci di genti diverse insieme per raccontare il dolore della guerra che non vive sotto una sola bandiera e che accomuna tutti i popoli di tutte le epoche. Interpreti dello spettacolo (in scena al Piccolo Eliseo Patroni Griffi dal 2 al 7 ottobre), voluto e ideato da Massimo Wertmüller e Anna Ferruzzo, lo stesso Massimo Wertmüller e Ilaria Falini, (che sostituisce la Ferruzzo dal 2 al 5 ottobre) e Anna Ferruzzo in scena il 6 e 7 ottobre. Le musiche, originali dal vivo di Andrea Farri, sono il “fil rouge” che lega i vari racconti, il raccordo emotivo tra le varie letture. Voci recitanti e musica per non dimenticare, nella speranza che si impari prima o poi dagli errori commessi. Perché nella storia la violenza dell’uomo sull’uomo e’ una lezione da tenere per sempre…a memoria.
Maria Antonietta Amenduni


2 Ottobre 2007

“Romana, omaggio a Gabriella Ferri”

Il teatro Eliseo, completamente rinnovato, riapre il sipario e lo fa con la bella voce e la prorompente presenza scenica di Tosca

Nella rinnovata sala con le nuove poltrone, disegnate dallo studio londinese Foster+Partners e realizzate da poltrona Frau, Tosca inaugura la stagione del Teatro Eliseo, (dal 4 al 7 ottobre) con il suo successo Romana, omaggio a Gabriella Ferri. Lo spettacolo è un omaggio, un atto d’amore offerto a Gabriella Ferri, un’occasione per affacciarsi sul mondo Romano e sulla sua canzone, passando attraverso Balzani, Petrolini, Fellini, Pasolini, la Masina, la Magnani e ovviamente la Ferri. Accompagnata dalla ‘Nica Banda’, piccola orchestra diretta da Ruggiero Mascellino, con la quale collabora da lungo tempo, Tosca, trascinando faticosamente un carretto, sotto una cascata di lucine colorate, interpreta grandi canzoni, da Cosa Sono Le Nuvole di Pasolini e Modugno, Serenata De Paradiso’ di Balzani e Sempre di Gabriella Ferri, a Canzone Arrabbiata di Rota, Nina Si Voi Dormite, Le Mantellate di Carpi e Strehler e Il Carrozzone di Renato Zero, passando attraverso un inedito medley petroliniano e un’esilarante ‘stornellata a dispetto’, fino alla citazione del famoso numero di Totò-Magnani: Geppina Geppy’… Le canzoni si intrecciano con brani recitati, scelti da Roberto Agostini, in una tessitura ritmica continua, diventando anch'essi musica. Tosca, che ormai da tempo si divide tra musica e teatro, mette in gioco la sua voce e il suo corpo lasciandosi guidare dalla sua sensibilità di attrice e di cantante e dalla sua grande passione per Roma. Sullo sfondo di una irreale notte d’estate, un’orchestrina romana sotto un gazebo di luci colorate suona alla luna, mentre una donna, a metà tra una zingara e un clown, si aggira col suo carretto carico di oggetti misteriosi e piani di memoria, alla ricerca di qualcosa che ella stessa non sa. Le canzoni si intrecciano con i momenti recitati: brevi interventi che, senza alcuna intenzione biografica, si incastrano prepotentemente, come libere associazioni di sentimento, più che di idee, in una tessitura ritmica continua, diventando anch’essi musica. Quasi un melologo, un’unica lunga canzone disperata e rabbiosa, malinconica e ironica eseguita da una delle più belle voci che Roma possa vantare. Orario spettacoli: Giovedì, venerdì, sabato – ore 20,45 ; domenica – ore 17,00
Maria Antonietta Amenduni


2 Ottobre 2007

Presentata la stagione del Teatro Tor Bella Monaca

Il Teatro diretto da Michele Placido, si avvia alla sua terza stagione, con un cartellone lungo ricco e vario, che accontenta tutti, ma che data la sua vastità avrà tanto da dimostrare.

Terza stagione consecutiva per il Teatro Tor Bella Monaca, diretto da Michele Placido. Diventato ormai un punto di riferimento per i romani, e particolarmente amato nel suo quartiere, il teatro stà ormai acquisendo una sua identità. Certo è che non dispiacerebbe un po’ di sicurezza in più. E si, parlando anche per esperienza personale, non è piacevole, in più di un’occasione, uscire da teatro e trovare danni alla propria auto, o essere importunati da personaggi di infima qualità che si appostano nelle vicinanze del teatro, in attesa dell’uscita della gente che ha appena terminato di godersi lo spettacolo. E’ questo è purtroppo una nota dolente, per un teatro che ha vinto il Premio Cultura di Gestione assegnato da Federcultur, e vuole valorizzare le periferie, perché valorizzare, a mio avviso vuol dire anche sentirsi più sicuri e godersi la serata spensieratamente. E’ ovvio che ciò non dipende dal teatro, ma da ben più alte sfere! Ma torniamo a ciò che inerente lo spettacolo; ben oltre 30.000 le presenze del pubblico, a fronte di circa 130 recite nei complessivi 193 giorni di programmazione, compresi i giorni di laboratorio. Tutto ciò viene evidenziato con vanto e soddisfazione dal Direttore Artistico Michele Placido, che presenta poi il cartellone ricco, articolato e vario tra teatro musica, cinema e tanto altro. Una stagione lunga che avrà ben molto da dimostrare. Anche quest’anno il Teatro Tor Bella Monaca è uno dei “palcoscenici” scelti per ospitare una sezione di Cinema. Festa internazione di Roma. Due i film in programma, L’uomo giusto di Toni Trupia, e Le pere di Adamo di Guido Chiesa con protagonista Luca Percalli. Il lavoro sull’attore e le grandi opere classiche disegnano un percorso ideale nel Teatro: Marco Baliani incontra la metafisica di Sergio Tofano con Qui comincia l’avventura del Signor Bonaventura; per i giovani Allievi dell’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica l’incontro è con l’ironia di Central Park West testo di Woody Allen, mentre per gli altrettanto giovani The Company questa volta l’affondo è sul Racconto d’inverno di Shakespeare. Ancora Shakespeare per Giuseppe Marini con il suo Amleto. Poi il Dürrenmatt di Roberto Guicciardini, il Finale di partita di Beckett messo in scena da Franco Branciaroli, sono invece Umberto Orsini e Giovanna Marini guidati da Elio De Capitali nell’afflato poetico de La ballata del carcere di Reading di Oscar Wilde. Patrick Rossi Castaldi dirige in Mal di ma(d)re Urbano Barberini e la strepitosa Franca Valeri, e ancora un gioco di leggerezza musicale è il Gastone di Ettore Petrolini con Massimo Venturiello e Tosca. Carlo Cecchi è il protagonista di Claus Peymann compra di Thomas Bernhard e Sik sik di Eduardo De Filippo; approda invece al Così è se vi pare di Pirandello Massimo Castri. Anna Gualdo, Manuela Mandracchia, Sandra Toffolatti e Mariàngeles Torres ci riportano a un tragico fatto di cronaca con Roma ore 11. Un approccio al dramma così come quello di altri grandi autori quali Bulgakov e Tolstoj, riletti rispettivamente da Francesco Giuffrè e da Alvaro Piccardi. Streghe, giganti, il problema del lavoro minorile, e ancora le favole, Andersen e Pinocchio, insomma una carrellata di immaginari e di suggestioni oniriche e colorate, ma anche problematicizzate, entrano nel programma come sezione dedicata al teatro per ragazzi, offrendo la creatività di gruppi storici impegnati da anni nella ricerca di una specifica sensibilità scenica come Drammatico Vegetale, Compagnia Teatrale Piccoli Principi, Crest, Ca’ Luogo D’Arte, Teatro Kismet, La Città Del Teatro/Fondazione Sipario Toscana e Sinequanon. Ai tradizionali appuntamenti musicali del Natale e di Capodanno, si aggiunge il concerto di Ada Montellanico che omaggia Billie Holiday. Anche la proposta delle realtà artistiche del territorio è ricca di spettacoli, di vere e proprie rassegne (di danza), incontri tematici e convegni. Nino Castelnuovo è diretto da Filippo D’Alessio ne La lettera scarlatta, Edoardo Torricella recupera la tradizione romanesca con Roma Bbella ma si diverte e diverte con Serata futurista. Due Eduardo: il Natale in casa Cupiello messo in scena da Lucio Garofano, e un Sabato Domenica e Lunedì con la regia di Giuseppe Cantagallo; poi ancora il teatro musicale de Il barbiere di Siviglia orchestrato da Pasquale Carlo Failaci, lo Shakespeare di Romeo e Giulietta realizzato dagli studenti dell’Università degli Studi di Tor Vergata e la regia di Alessia Pomposelli, un Miseria e nobiltà di Scarpetta e Nemico di classe di Nigel Williams. E ancora la rassegna di danza Romadelletorri Dance e, infine, il Concorso internazionale vocale e strumentale Anemos. Un momento molto atteso è la serata con Giobbe Covatta, sensibile a tematiche sempre urgenti, tematiche che riguardano l’uomo e le sue sofferenze, le sue povertà, la sua inettitudine.
Maria Antonietta Amenduni


1 Ottobre 2007

“Le tre sorelle” aprono la stagione del Teatro Argentina

Massimo Castri torna a Chechov: “Un testo che parla di noi a distanza di un secolo in maniera sorprendente, e ci racconta in tutta la nostra incapacità di vivere il presente e di costruire il futuro”.

Un ritorno a Cechov a distanza di vent’anni, dopo Il gabbiano che gli valse il premio Ubu e dopo aver lavorato sui grandi autori del teatro, da Euripide a Pirandello, da Ibsen a Strindberg. Così Massimo Castri mette in scena Tre sorelle, prodotto dal Teatro di Roma (in prima nazionale al Teatro Argentina il 1° Ottobre 2007, con repliche fino al 27 Ottobre), che egli stesso definisce: “il testo più bello e duro di Cechov” e al quale riconosce, a distanza di un secolo dalla sua apparizione, una sorprendente attualità. Così, la straordinaria capacità dell’autore russo di tratteggiare stati d’animo complessi, sfumature emozionali di personaggi apparentemente quotidiani ma portatori di istanze universali, prende forma in uno spettacolo duro ed essenziale, in cui lo “storico” collaboratore del regista, Maurizio Balò, ha realizzato una scenografia altrettanto scarna. Il “collaudato” cast è composto da quattordici attori, quasi tutti assidui interpreti del teatro di Castri. Nel ruolo delle “tre sorelle”: Bruna Rossi (Olga), Laura Pasetti (Maša), Alice Torriani (Irina). A guardarle e sentirle parlare capiamo subito quanto sono diverse. Olga, così misurata, un’esistenza scandita da impegni e scadenze, senza mai perdere l’autocontrollo. Irina, innamorata della vita, del lavoro, fresca come un fiore che impiega così poco per appassire. E infine Maša, la più complicata, la più indecifrabile, sempre in bilico. Eppure una cosa le unisce, a parte il sangue: le tre sorelle vanno incontro allo stesso destino; nei loro occhi scorgiamo costellazioni di sogni e nessun futuro. E’ il dramma di ogni donna, di ogni uomo, che Cechov ha saputo dipingere sulla tela del teatro con affetto e maestria. Lui amava i suoi personaggi, così come amava le persone che incontrava per strada e lo ispiravano coi loro piccoli gesti, il loro fardello di speranze e di dolore. Ecco perché la versione del regista Maurizio Panici, andata in scena all’auditorium, ci ha convinti e commossi. Panici ha lo stesso rispetto che aveva Cechov, sa dove osare e quando fermarsi; e soprattutto cosa dire o non dire, perché il non detto ha la forza dell’oblio e del mistero…tutti temono di scomparire, di non lasciare traccia, di essere vissuti invano oltre che infelici. Scrive Castri: “I testi che scelgo, ovviamente, corrispondono ad una mia poetica e ad una mia propensione per un ambito di testi teatrali di confine, testi, cioè, che si pongono e nascono dentro la crisi o il cambiamento di un mondo e cercano forme nuove per raccontare questo cambiamento: Euripide e Cechov, pur nella loro grande lontananza, sono attraversati da questa tensione comune, un teatro della crisi che intreccia, in un laboratorio di altissimo livello, lo smantellamento delle vecchie forme con la ricerca di nuove forme per i nuovi modi di umanità e società”. Tre sorelle è, secondo Castri, un testo che parla di noi a distanza di un secolo in maniera sorprendente, e ci racconta in tutta la nostra incapacità di vivere il presente e di costruire il futuro; un testo che modifica l’immagine del cantore del crepuscolo della borghesia russa tardottocentesca e ci svela la complessità di un autore che espande la proprie radici molto lontano nell’accidentato territorio novecentesco con un atteggiamento disincantato e spietato nella sua lucidità, tanto da evocare il nichilismo di Beckett. In questo testo corale che presenta, nel corso dei quattro atti, quattro tranche de vie, quattro istantanee di vissuto quotidiano, segmenti di un’esistenza qualunque, si può leggere in profondità la rappresentazione di un’umanità che oscilla tra passato e futuro come tra due età dell’oro che non esistono. Cechov, attraverso un realismo che si radicalizza, diventa cioè ipersignificante e simbolico, dipinge il ritratto freddo e ironico di una comunità inconsapevole in marcia verso il niente. In scena, in ordine alfabetico: Roberto Baldassari, Paolo Calabresi, Claudia Coli, Milutin Dapcevic, Angelo Di Genio, Miro Landoni, Mauro Malinverno, Laura Pasetti, Sergio Romano, Bruna Rossi, Roberto Salemi, Renato Scarpa, Alice Torriani, Barbara Valmorin.
Maria Antonietta Amenduni


1 Ottobre 2007

Al Tearo India si alza il sipario con Pirandello

“L’innesto”, opera poco frequentata ed erroneamente sottovalutata dell’autore siciliano, darà il via alla stagione del Teatro India. A dirigerla, una regista da tenere d’occhio: Monica Conti

L’innesto, un'opera di Luigi Pirandello erroneamente meno nota e purtroppo poco rappresentata. Testo prgevole perchè pone delle tematiche di vita sul rapporto d'amore coniugale d'intensa attualità. E’ sarà proprio questo lo spettacolo che debutterà il prossimo mercoledì 3 Ottobre 2007 al Teatro India (repliche fino al 12 Ottobre), messo in scena da Monica Conti. L’innesto è una pièce composta tra il settembre e l’ottobre del 1917, offerta a Virgilio Talli che, nel giugno dello stesso anno, ha portato al successo il Così è (se vi pare). Pirandello gli spedisce il copione il 14 dicembre 1917. Talli, però, dopo averlo letto, non è affatto convinto che il testo abbia la capacità di imporsi all’attenzione del pubblico e così scrive: “…L’innesto mi ha fatto l’effetto di un lavoro sulla cui base filosofica troppo vasta e profonda ho paura gravino sensualità volute e comuni, e per quella poca pratica che ho della scena, temo che la base non sarà scorta, dal cervello dell’uditorio colla necessaria limpidità, e che risulti invece troppo crudo il dramma delle persone. Il non aver un successo mi dispiacerebbe assai”. Quando, un anno dopo, L’innesto andò in scena, il pubblico diede ragione a Talli. La commedia non piacque né a Milano (29 gennaio 1919) né a Torino. A Roma, infine, i contrasti crebbero in violenza e, a quanto scrisse Tilgher, in volgarità. I motivi sono abbastanza evidenti, fra tutti, la presunzione della moglie di far riconoscere al marito la gravidanza conseguita a una violenza. Pirandello difende il dato di fatto dell'alterità femminile che l'ordine e la logica maschile tentano di annullare. Nessuna compagnia, che si sappia, s’attentò a riprenderla. Sicché, quando nel dicembre 1927 Pirandello decise di allestirla con la propria compagnia, valeva quanto una novità. Anche su questa messinscena abbiamo troppi scarsi elementi per valutarne la qualità e l’eventuale originalità. Si ha però la sensazione che la prova d’appello confermò i giudizi (o pregiudizi) di otto anni prima. Bello il primo atto, scarni il secondo e il terzo, disagio per lo scabroso argomento. L’innesto è un testo di grande modernità, che affronta un argomento scabroso e fa riflettere sulla maternità e la difficoltà di prendere la giusta decisione. Secondo la regista Monica Conti: “l’innesto è un canovaccio dell’inconscio. Uno svelamento progressivo d’immagini, sghembo, come quando vogliamo raccontare e, in parte, nascondere. Per questo motivo a Pirandello i linguaggi sfuggono di mano e oscillano brutalmente dalla commedia al melodramma, quasi fossero“fasciature di protezione”messe lì per nascondere argomenti troppo sporchi. Ho scelto allora, in maniera radicale, di comporre i tre brevissimi atti usando tre registri diversi, come fossero frammenti disuguali ma staccati dello stesso incubo. Ho usato il testo molto liberamente per cercare di decifrare questa scrittura e di dare corpo alle assenze”. In scena: Maria Ariis, Francesco Coltella, Marianella Laszlo, Sonia Bonacina, Oreste Valente, Carlotta Viscovo, Luigi Mezzanotte, Nicola Stravalaci, Carlotta Viscovo, Sergio Mascherpa, Aurora Falcone
Maria Antonietta Amenduni


20 Settembre 2007

Sei appuntamenti a Roma per raccontare la storia tra arte e teatro.

La gioiosa seduzione di Paolina Borghese al Museo Napoleonico. La storia affascinante di Giovanni Barracco al Museo Barracco e le sue donazioni. Stralci delle lettere dal carcere di Gramsci alla Casa della Memoria e della Storia

La magia del teatro per raccontare la storia. E l’emozione? la storia? Il teatro? Come si manifestano e si fondono queste emozioni? ... lati del triangolo di partenza si incontrano nel centro e il centro Sarà ancora una volta Roma. La capitale si presterà nuovamente ad essere il teatro di “Esplor/Azioni Tra Arte e Teatro”, manifestazione dedicata a figure letterarie ed artistiche che sono state protagoniste della storia di Roma. La suggestiva ambientazione, si svolge in luoghi storici diversi allestendo letture sceniche con l’intento di unire il piacere della scoperta del sito alla narrazione di vicende con eventi teatrali affidati all’interpretazioni di grandi attori. Una rassegna dunque affascinante quella diretta da Gioia Costa, organizzata dall’Associazione Culturale Esplor/Azioni con il sostegno del Comune di Roma Assessorato alle Politiche Culturali che giunge quest’anno alla sua ottava edizione. Unire il piacere della scoperta di luoghi poco noti e ricchi di fascino alla narrazione di storie che sono collegate con questi luoghi, con raffinati eventi teatrali affidati all’interpretazione di grandi attori: è questa la volontà del festival Esplor/Azioni Tra Arte e Teatro. In otto edizioni ha prodotto oltre venti ritratti teatrali di figure dell’arte, della letteratura e del pensiero: letture, spettacoli, recital sono ciascuno una dedica a coloro che hanno abitato Roma e i suoi luoghi più suggestivi, e che grandi interpreti hanno reinventato in spazi trasformati per poche notti in palcoscenici d’eccezione. Dal 20 al 30 settembre saranno proposti al pubblico sei appuntamenti (due per ogni tema) dislocati in tre importanti siti culturali. Questi i prossimi appuntamenti. Il Museo Barracco, riaperto alla fine dello scorso anno, ospiterà giovedì 20 e venerdì 21 settembre “Parole di luce: letture dedicate a Giovanni Barracco”, con Caterina Carpio e Luca Di Prospero, un appuntamento dedicato alla figura di Giovanni Barracco, barone calabrese, antiborbonico e filounitario che ha donato al Museo ben 380 capolavori egizi, assiri, ciprioti, fenici, etruschi, greci e romani. Il Museo Napoleonico, mercoledì 26 e giovedì 27 settembre sarà lo scenario di Milena Vukotic per “Paolina Borghese, la reine des colifichets”, incentrata sulla storia della bellissima sorella di Napoleone, che tanta parte della sua vita passò a Roma. Il Museo Napoleonico, che conserva alcuni “reperti” di Paolina, come il libro dei conti in marocchino rosso o il calco del seno che fece Canova per immortalare la sua bellezza, si propone in tal modo quale luogo ideale per questa rappresentazione narrata della sua vita. Una vita nella quale i capricci della sorella di Napoleone hanno in un certo senso costruito la sua leggenda e la bellezza che la contraddistingueva la sua unicità. Sarà invece Antonio Gramsci: “Tutto ciò avendo i polsi legati” l’ultimo appuntamento nato in collaborazione con l’ANPI di Roma: la scelta di alcune lettere dal carcere di Antonio Gramsci che, con la voce di Valerio Binasco, sabato 29 e domenica 30 settembre sarà ospitata alla Casa della Memoria e della Storia. Lettere che ha scritto durante i dieci anni della sua prigionia, lettere quasi tutte familiari, indirizzate alla moglie, alla cognata, alle sorelle, ai figli lontani. Sarà come ascoltare una sorta di “diario”, che permetterà di ricostruire il ritratto di un protagonista dei drammatici eventi della storia italiana nella prima metà del XX secolo. E questo carattere è rafforzato dalla particolare condizione dell’autore, sottoposta all’azione di quella “lima sottile che disgrega la mente e la volontà del condannato”, che è il carcere. Un modo nuovo, quello ideato da Gioia Costa, di reinterpretare la storia per cercare di vedere, oltre le sembianze, i legami che uniscono parole opere persone e luoghi. Legami segreti che raccontano come i luoghi hanno un’anima e, seguendola, le creazioni nascono con una facilità “sospetta”, come se da tempo non attendessero altro.
Maria Antonietta Amenduni


20 Settembre 2007

Si aprono i battenti al Teatro Manzoni, presentata la stagione 2007/08

Una stagione nella media, in linea con quelle che sono abitudini e richieste del pubblico del teatro del quartiere prati. Tra i protagonisti di sempre spiccano alcuni nomi come quello di Paola Gassman.

Un rituale, un appuntamento fisso tra pubblico, stampa e artisti. Questo è ormai da parecchi anni l’appuntamento per la presentazione della stagione del Teatro Manzoni di Roma. Non una semplice conferenza stampa con artisti e stampa ma una vera e propria serata alla quale è invitato anche il pubblico che non manca mai di essere molto generoso ed affettuoso con i suoi artisti, perché sembra di essere ad una cena con una grande famiglia. Gli applausi si sprecano, a volte anche troppo, gli artisti si presentano e raccontano il loro spettacolo. Particolarmente amati sono il direttore artistico Pietro longhi, insieme a Carlo Alighiero ed Elana Cotta che sono “i padroni di casa”, le figure simbolo di un teatro che del rapporto con il suo pubblico del quartiere prati ha fatto la sua forza. Questo è quanto accaduto alla conferenza stampa di presentazione della stagione 2007/08 del teatro Manzoni. I battenti del teatro si sono già aperti il 18 settembre con lo spettacolo “Una notte bianca” con Gabriele Pignotta, Veruska Rossi e Fabio Avaro. In scena fino al 30 settembre. Dal 3 al 28 ottobre 2007 è la volta di Paola Gassman in “L’appartamento è occupato!” di Jean Marie Chevret Regia di Maurizio Panici Dal 30 ottobre al 25 novembre 2007 Fabrizio Frizzi ed Edy Angelillo con Carlo Alighiero, calcheranno il palcoscenico con lo spettacolo “Non ti conosco più” di Aldo De Benedetti regia di Carlo Alighiero. dal 27 novembre al 23 dicembre 2007, Franco oppini e Patrizia Pellegrino sarano i protagonisti di “Baciami Stupido” per la regia di Ennio Coltorti. E siamo arrivati al 27 dicembre, quando, fino al 20 gennaio 2008, Pietro Longhi e Paola Quattrini, interpreteranno “Adorabile Giulia” di M. G. Sauvajon, spettacolo affidato alala regia di Silvio Giordani. Dal 29 gennaio al 24 febbraio 2008, la coppia storica Carlo Alighiero ed Elena Cotta, saranno i protagonisti di “Una donna…nella mente” di Alan Ayckbourn, dove Alighiero curerà anche la regia. E si arriva diritti al 26 febbraio, quando Gianfranco D’angelo e Ivana Monti, interpreteranno uno spettacolo che tanto successo ha già riscsso la scorsa tsgaione: “Indovina chi viene a cena” per la regia di Patrick Rossi Gastaldi. In scena fino al 23 marzo 2008. Dal 20 marzo al 15 aprile 2008, Silvio Spaccasi sarà il protagonista di “Don Pasquale” da Gaetano Donizetti regia di Silvio Giordani. Dal 22 aprile al 18 maggio 2008, toccherà a Nicola Pistoia in coppia con Sergio Fiorentini, che saranno interpreti di “Bumbuazi”, spettacolo scritto a quattro mani da Max Tortora e Nicola Pistoia, per la regia di Renato Giordano. L’ultimo spettacolo in cartellone è quello di Martufello che dal 20 maggio al 15 giugno 2008, sarà in scena con “I casi sono due”, per la regia di Silvio Giordani.
Maria Antonietta Amenduni


20 Settembre 2007

Il Teatro Olimpico come Broadway!? …intanto ci sono musica e musical

Presentata solo in questi giorni la stagione. Si inizia con “Tre metri sopra il cielo”, passando per "Scooby-Doo live on stage", per finire con “Bello di papà” di Vincenzo Salemme.

”Il Teatro Olimpico era l’unico posto a Roma è l’unico posto che mi ricorda l’atmosfera dei Teatri di Broadway”. A dirlo anni fa è stato Orson Welles. Forse il paragone è un po’ eccessivo, di anni ne sono passati e le cose sono cambiate parecchio sia a Roma che a Broadway, ma nonostante tutto il Teatro Olimpico di Roma, che ha da pochi giorni definito in maniera ufficiale la sua stagione 2007/08, conferma la sua vocazione alla musica e al musical. E si inizia con un titolo altisonante dal punto di vista della fama. Si perché se non vi era bastato lo stress da follia collettiva (inspiegata!) per il romanzo di Federico Moccia e per il film di Lucini, sappiate che ora ci aspetta il musical, che debutterà il 9 ottobe con Massimiliano Varrese e Martina Ciabatti. Una storia che parla d’amore, l’amore universale e senza tempo, ma con nomi da cartone animato. Lui è Step lei è Babi. Con due nomi così stravaganti, gli amici del cuore non potevano che chiamarsi Pallina e Pollo!!! Dal 12 novembre, ancora amore, ma questa volta c’è da ridere con “Ti amo o qualcosa del genere”, con Diego Ruiz, Fiona Bettanini, Walter Nanni, Francesca Nunzi., di Diego Ruiz. Un divertito Antonio Giuliani firma la regia. Poi tocca a Cinzia Leone con "Poche idee ma.... molto confuse" dal 26 novembre. Dal 3 dicembre è la volta di un ritorno, con "La febbre del sabato sera", regia di Massimo Romeo Piparo. Non mancheranno anche in questa stagione i maestri di ballo di varie edizioni della fortunata trasmissione televisiva di Rai Uno “Ballando con le Stelle”. Protagonista femminile, sarà, Hoara Borselli accompagnata sul palco da Simone Di Pasquale. Ad affiancarli, Stefano Masciarelli, il quale vestirà i panni di DJ Monty. Ancora un musical ma questa volta con un amico dei più piccoli: dal 20 dicembre è di scena "Scooby-Doo live on stage". Dopo il successo ottenuto in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove lo spettacolo ha registrato sempre il tutto esaurito "Scooby-Doo " arriva anche in Italia. Dal 7 gennaio ancora risate con la grande comicità di Dado in “Suono Canto Recito e Ballicchio”, uno spettacolo di Gabriele Pellegrini, Marco Perrone, Mario Scaletta e Augusto Fornari, il quale cura anche la regia. Altro ritorno: il musical “Grease”. Lo spettacolo sarà in scena con una versione completamente rinnovata nelle scene e nei costumi, nel cast e nella regia, affidata a Federico Bellone. Per gli amanti della danza dal 12 febbraio è in cartellone “Why_Be extraordinary when you can be yourself” il nuovo spettacolo di Daniel Ezralow. Dal 26 febbraio è di scena la magia con “Supermagic” la quinta edizione del primo e unico Festival di Magia in Italia. E non poteva mancare la canzone romana, presentata dall’ Accademia Filarmonica Romana e Ambra Jovinelli con “Semo o nun semo" a cura del premio Oscar per la musica Nicola Piovani con Pino Ingrosso, Donatella Pandimiglio, Tosca e Massimo Wertmüller, in scena dal 25 marzo. “Bello di papà”,spettacolo teatrale di Vincenzo Salemme, che sarà in scena dal 7 aprile. Uno spettacolo che Vincenzo Salemme aveva pensato diversi anni fa e che solo ora ha deciso di portare in scena. Undici attori che si dimeneranno tra intrighi familiari, nevrosi, cure psicanalitiche tra cui l’ipnosi e la paura di crescere e diventare grandi che inevitabilmente travolgerà i protagonisti.
Maria Antonietta Amenduni


15 Settembre 2007

Dal vivo, tra teatro e musica, all’Eliseo e all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Una nuova iniziativa culturale, una speciale formula di abbonamento con la quale sarà possibile seguire nel corso della stagione, cinque spettacoli teatrali e cinque concerti, scegliendo fra due diversi carnet “Grandi Classici” e “Esplorazioni”.

Un modo intelligente per venire incontro alle esigenze di un pubblico sempre più variegato e attento alle proposte di qualità. L’emozione del teatro e della musica si fondono in un solo grande simposio, dal quale nascono e si trasformano importanti sinergie. Tutto questo è “Dal vivo, tra teatro e musica”, una nuova iniziativa culturale realizzata dal Teatro Eliseo e dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: una speciale formula di abbonamento con la quale sarà possibile seguire nel corso della stagione, cinque spettacoli teatrali e cinque concerti, scegliendo fra due diversi carnet “Grandi Classici” e “Esplorazioni”. Aprono il ciclo degli abbonamenti ai “Grandi Classici”: al Teatro Eliseo Mandragola di Niccolò Macchiavelli ( 6 / 18 novembre) con protagonista Ugo Pagliai diretto da Marco Sciaccaluga, e il 28 novembre il Guillaume Tell di Rossini diretto da Antonio Pappano. A seguire Le Concert d’Astrée, diretto da Emmanuelle Häim con Dixit Dominus di Händel e Magnificat di Bach; Maurizio Pollini al pianoforte interpreta Debussy, Boulez, Webern; il 19 febbraio grande Concerto per il centenario dell’Orchestra di Santa Cecilia diretto da Antonio Pappano con musiche di Rossini, Beethoven, Mozart, Wagner; ultimo dei cinque concerti il Gala Rachmaininoff diretto da Pinchas Steinberg. Per il Teatro Eliseo oltre a la Mandragola, La vedova scaltra di Goldoni con la regia Lina Wertmuller e Raffaella Azim protagonista; Otello di Shakespeare interpretato da Andrea Giordana diretto da Giancarlo Sepe; Il Malinteso di Albert Camus interpretato da Giuliana Lojodice con Galatea Ranzi dirette da Pietro Carriglio; Sinfonia d’autunno di Ingmar Bergman protagoniste Rossella Falk e Maddalena Crippa con la regia di Maurizio Panici. Per il pubblico intrigato dalle “Esplorazioni” Santa Cecilia apre con il concerto di Gal Costa il 7 novembre, e propone poi Tan Dun che dirige alcuni suoi brani musicali di Falla e di Ives; per “Pollini Prospettive” musiche di Stockhausen, Schonberg, Brahms eseguite al pianoforte da Hagen Quartett e Maurizio Pollini diretti da Peter Eotvos; segue il concerto diretto da Yuri Temirkanov con Sergej Krylov al violino con musiche di Cajkovskij e Prokof’ev; gli Ottoni dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretti da Antonio Pappano eseguono musiche di Hindemith, Strass, Bernstein. Al Teatro Eliseo e Piccolo Eliseo Patroni Griffi della cinquina fanno parte Noccioline – Peanuts di Fausto Paravidino con la regia di Valerio Rinasco; Roma ore 11 di Elio Petri con Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariàngeles Torres; Miracoli e canzoni di Giovanni Veronesi (anche regista) e Rocco Papaleo, intepretato dallo stesso Papaleo con Alessandro Haber; Andrea Rivera con la sua nuova versione di Prossime aperture; e Quasi liberi con il Balletto Civile di Michela Lucenti. Un modo importante e significativo per rispondere alle richieste sempre più attente e selettive di un pubblico che dalla cultura vuole il meglio e che per fortuna non si limita a perder tempo di fronte alla TV, a guardare insignificanti reality o quanto di peggio ci viene spacciato per coltura, informazione e intrattenimento. Lo spettacolo italiano, ha tanto di buono da offrire e troppo poco spesso viene incoraggiato dalle istituzioni. C’è sempre bisogno di idee buone e di grandi artisti in grado di dare emozioni. E’ c’è anche bisogno di proposte come quella dell’Eliseo e dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. In tale contesto l’abbonamento “Dal vivo – fra teatro e musica” si distingue invece per la politica di marketing culturale perseguita dall’Eliseo e dal Santa Cecilia che da anni portano avanti forme di collaborazione (prevedendo riduzioni e agevolazioni reciproche) puntando alla condivisione e promozione delle proprie stagioni di prosa e di musica. Politica culturale che, per la stagione 2007/2008, culmina con la proposta di un abbonamento congiunto che nasce, naturalmente, con l’obiettivo di offrire una nuova opportunità al pubblico che abitualmente frequentano i teatri e le sale concertistiche ma che si rivolge in particolar modo a quella consistente fascia di potenziale pubblico che ancora non ha scoperto la magia e l’emozione insostituibile dello spettacolo Dal Vivo, qualunque sia la sua forma (musicale o di parola) Gli abbonamenti “Dal Vivo – tra teatro e musica” saranno in vendita da Lunedì 24 settembre presso i botteghini delle due istituzioni con prezzi che vanno dai 110 fino ai 270 euro.
Maria Antonietta Amenduni


15 Settembre 2007

Torna la magia del teatro sul palcoscenico del Teatro Comunale di Formello

Si inizia ad ottobre con Rossana Casale, passando per Ennio Coltorti, Amanda Sandrelli, Claudio Insegno, e molti altri. Una stagione importante e di qualità, per un teatro che è diventato una certezza.

Una realtà importante che dalla provincia ha portato con se tutte le sue certezze. Il Teatro Comunale di Formello, riapre il sipario anche per questa stagione 2007/08. La magia del teatro in una provincia sempre più attiva, importante e propositiva.
E’ la seconda stagione curata dal direttore artistico Tomaso Thellung, che di quella precedente fa un bilancio positivo: “la crescita di pubblico è stata esponenziale dal primo all’ultimo degli spettacoli rappresentati e tantissimi son stati gli studenti che hanno seguito la programmazione a loro riservata nelle matinée dedicate alle scolaresche; gli spettacoli di musica e danza hanno completato le proposte con ampio seguito di pubblico…un grande successo anche per l’intera area a Nord della capitale e per tutti i Comuni limitrofi, da Sacrofano a Campagnano per arrivare fino all’Olgiata e La Storta, Prima Porta e più in generale Flaminia e Cassia che hanno condiviso l’interesse verso l’arte”.
Un perfetto incontro di sinergie tra dirigenti e collaboratori, che ha fatto del Teatro Comunale di Formello un concreto punto di riferimento per le compagnie che passano poi sulla piazza di Roma: molte sono infatti quelle che decidono di allestire i propri spettacoli qui con un debutto in Prima Nazionale e poi trasferirsi nei grandi teatri della città, dalla Cometa all’Eliseo, dal Valle al Vittoria, ecc. Un’ occasione per assistere a grandi spettacoli con prezzi contenuti. Una sorta di banco di prova, un metro di misura che permette di testare uno spettacolo; a dimostrazione che anche un teatro di provincia è in grado di offrire un pubblico importante, per spettacoli altrettanto importanti. Ed ecco quindi in anteprima il programma della terza stagione stilato tenendo sempre conto della dinamicità di un territorio così vasto dove si ritrovano persone con esigenze culturali diverse, con un occhio sempre puntato ai giovani, alla risata intelligente senza però dimenticare il pubblico più esigente e il teatro “classico”. 13 e 14 ottobre Rossana Casale aprirà la stagione con il concerto-spettacolo “Circo immaginario”. Il 27 e 28 ottobre “Complici” una commedia thriller dell’americano Rupert Holmes, diretta Ennio Coltorti e da lui stesso interpretata assieme a Gianluca Ramazzotti, Cinzia Mascoli ed Adriana Ortolani. Il 10 e 11 novembre in anteprima sul successivo debutto alla Cometa di Roma, gran ritorno di Amanda Sandrelli in compagnia di Duccio Camerini, che firma anche il testo e la regia, con “Bambinacci”, uno spettacolo intenso, drammatico e toccante. L’1 e 2 dicembre Serena D’ercole e Sandro Scapicchio propongono “Roma S…..canzonata”. Il 15 e 16 si ride con “La Baita degli Spettri” ultimo successo della coppia composta da Greg e Lillo mentre uno dei più bei classici del teatro napoletano “Natale in casa Cupiello” rallegrerà l’avvio nel nuovo anno il 12 e 13 gennaio. Anche in questa stagione uno speciale angolo è dedicato alla giornata della memoria, qui ricordato dallo spettacolo interpretato da P. Minacciosi, N. Pistoia e P. Triestino “Li romani in Russia”. Il 24 e 25 febbraio un grande interprete del teatro torna a far visita con il suo “Napoleone a Sant’Elena”: si tratta di Ennio Coltorti qui in una veste assolutamente profonda ed intensa. “Risate al 23° piano” è la brillante commedia di Neil Simon diretta da Claudio Insegno, mentre “Grisù, Giuseppe e Maria” è la novità presentata da N. Pistoia, P. Triestino e C. Guarnirei in anteprima sul debutto romano alla cometa. Chiude ad aprile la stagione Grazia Scuccimarra con il suo “Noi, le ragazze degli anni 60” entrato oramai nella storia teatrale per la sua divertente e trascinante capacità di scatenare la risata.
Maria Antonietta Amenduni


12 Settembre 2007

All’India la Nuova Generazione del Teatro Italiano

Ventisei spettacoli da ottobre 2007 a giugno 2008. Nuovi autori e nuovi protagonisti, riletture di grandi classici e classici contemporanei, sensibilità femminili in scena; non mancano i grandi nomi: Herliztka, Popolizio, Paiato e Baliani.

Il Teatro di Roma focalizza l’attenzione su quanto di più nuovo, interessante e significativo avviene sulla scena nazionale. È questo lo spirito della stagione 2007-2008 del Teatro India, presentata tra gli altri dal Presidente e dal Direttore del Teatro di Roma, Oberdan Forlenza e Giorgio Albertazzi, e che prevede dal 3 ottobre 2007 al 22 giugno 2008 ben 26 spettacoli. Al teatro India, dunque, una ricognizione a 360 gradi sulla “nuova generazione” del teatro italiano, con grandi classici e classici “contemporanei” riletti dai più interessanti registi e gruppi teatrali; e poi il punto di vista femminile al centro di tante pièces, le cui protagoniste sono donne. Due nuove produzioni del Teatro di Roma andranno in scena a novembre 2007. Tre straordinari attori, Manuela Mandracchia, Maria Paiato e Massimo Popolizio saranno i tre fratelli “Ritter Dene Voss” nell’omonima, surreale commedia di Thomas Bernhard (6 novembre - 2 dicembre 2007, prima nazionale), con la regia di Piero Maccarinelli, che definisce questo lavoro “un Bernhard generazionale”. Dedicato ai ragazzi e non solo: “Qui comincia la sventura del Signor Bonaventura” (matinée, 8 - 18 novembre 2007), dalle tavole di Sergio Tofano per la regia di Marco Baliani. A maggio del 2008 debutterà “E la notte canta” (13 maggio - 8 giugno 2008, prima nazionale), di Jon Fosse, il più emblematico drammaturgo norvegese contemporaneo, diretto e interpretato da Valerio Binasco. Chiuderanno la stagione, due coproduzioni del Teatro di Roma con la Fondazione del Teatro Stabile di Torino e la Fondazione Teatro Due: la ripresa di Antigone di Sofocle, per la regia di Walter Le Moli e “The Changeling (Gli incostanti)”, di Thomas Middleton e William Rowley. Si comincia con un Pirandello anomalo e di sorprendente modernità: “L’innesto” (3 - 12 ottobre 2007), per la regia di Monica Conti. Ma scorriamo la stagione con ordine. Un percorso sul mito della barbara assassina dei propri figli è “Studio su Medea” (15 - 21 ottobre 2007) per la regia di Antonio Latella. Seguirà “La busta” (23 - 31 ottobre 2007) di Spiro Scimone, regia Francesco Sframeli. Dopo le due produzioni del Teatro di Roma “Ritter Dene Voss” (6 novembre - 12 dicembre 2007) e “Qui comincia la sventura del signor Bonaventura” (8 - 18 novembre 2007), sarà la volta di “Le cinque rose di Jennifer” (4 - 13 dicembre 2007), protagonista Annibale Ruccello. Giuliano Vasilicò, riallestisce: “Le 120 giornate di Sodomia”, da De Sade (12 - 16 dicembre 2007). Aprirà il 2008 “Rumore rosa” dei Motus (12 - 17 febbraio 2008). Roberto Herliztka sarà “Edipo a Colono” (19 febbraio – 2 marzo 2008). E ancora “Primavera di Praga” (27 febbraio - 1 marzo 2008), “Dare al buio (la fine e l’inizio)” (5 - 9 marzo 2008), “Nnord” (11 - 16 marzo 2008), “Misterioso concerto trio” (18 - 20 marzo 2008). Marco Baliani è il protagonista di “La notte delle lucciole” (26 marzo - 6 aprile 2008), lo seguiranno, “La gabbia – figlia di notaio” (27 - 30 marzo 2008), “Hedda Gabler” (2 - 6 aprile 2008), “La buona madre” (9 - 13 aprile 2008), “Amleto”, (15 - 23 aprile 2008), “Il triangolo degli schiavi” (28 - 30 aprile 2008), di e con Ulderico Pesce, “Eva Peron” (5 - 9 maggio 2008), “E la notte canta”, “disonorata” (14 - 18 maggio 2008), “L’assoluto naturale” (20 - 25 maggio 2008), “Il calapranzi” (27 - 31 maggio 2008) di Harold Pinter, “Antigone” e “The Changeling (Gli incostanti)” (10 - 22 giugno 2008).
Maria Antonietta Amenduni


8 Settembre 2007

“Come vi piace”: la più musicale e "mozartiana" delle commedie di Shakespeare

In scena al Silvano Toti Globe Thatre, l’ultimo spettacolo del cartellone estivo del teatro di Villa Borghese. Nella foresta di Arden, Shakespeare, mette sulle labbra dei propri personaggi le liriche più leggiadre della propria arte.

L’estate volge al termine e le temperature degli ultimi giorni ne sono la prova evidente. Con l’estate se ne va anche la stagione del Silvano Toti Globe Theatre, che chiude con lo spettacolo “Come vi piace” per la regia di Loredana Scaramella in scena dall’11 al 23 settembre 2007. Onestà e tradimento, amore e odio, città e campagna, guerra e pace. Il testo si presenta come una grande sinfonia degli opposti in cui ci si dispera, si fugge, ci si innamora, ci si traveste, si gioca e si recita la vita in un luogo finalmente protetto, la Foresta di Arden, un bosco capace di rispecchiare le emozioni degli uomini. Per l’occasione, la traduzione e riduzione sono di Loredana Scaramella e Mauro Santopietro. Scritto nel 1600 per la compagnia dei Lord Chamberlain’s Men, “Come vi piace” scorre su un’onda musicale. Le canzoni suggeriscono climi melodici e struggenti, ispirati alla nostalgia della patria perduta, ma anche giocosi, irriverenti come in un numero di avanspettacolo. La commedia si apre con il tema della giustizia. Il duca, padre della bella Rosalind, è stato spodestato dal prepotente fratello e padre di Celia, legata da sincero affetto a Rosalind. Il duca si è rifugiato con pochi fedeli nella foresta di Arden. Intanto Orlando, orfano di sir Rowland de Boys, amico del duca deposto, è costretto a subire le angherie del fratello maggiore, il malvagio Oliver. Orlando e Rosalind si innamorano, ma Rosalind è bandita da corte, si rifugia nella foresta travestendosi da maschio, assumendo il nome di Ganymede. Con lei, Celia che si fa passare per la sorella di Ganymede, Aliena; e il buffone Touchstone (Paragone). Orlando li segue senza scoprire la vera identità di Ganymede. Nella foresta ci sono anche i rustici pastorelli Silvius e Phebe innamorati. Ma quando Phebe vede Ganymede, se ne innamora. Touchstone corteggia rusticamente Audrey, una ragazza del villaggio, sottraendola a William. Al seguito del duca c'è anche Jacques, prototipo dell'elisabettiano che soffre di malinconia d'amore. Alla fine, scoperta l'identità di Rosalind le coppie di ri-assortiscono in modo appropriato. Arriva la notizia che l'usurpatore si è pentito, dopo l'incontro con un eremita. Il duca può riavere il trono. Fonte della vicenda è il romanzo "Rosalinda" di Thomas Lodge. Siamo all'epilogo. Rosalinda, la protagonista di questa commedia pastorale, parla al pubblico. Rivolgendosi dapprima alle donne dice: "Vi ordino, donne, per il vostro amore per gli uomini, di approvare di questa commedia quel che vi piace. Vi ordino, uomini, per il vostro amore per le donne…che, fra voi e le donne, la commedia vi piaccia tutta…”. Shakespeare sembra volerci dire: "ho scritto la commedia con un lieto fine, così come vi piace, ma sappiate che al di là della satira che in essa straripa da ogni battuta, al di là del buonismo tipico del genere pastorale, al di là del tutti vissero felici e contenti, ho voluto anche prospettarvi la possibilità che nella vostra vita non è detto che la tragedia e la sofferenza sia d'obbligo. Può anche accadere la felicità. Però, il tutto va subordinato al luogo: lo "spazio scenico" della vita va riconsegnato alla natura, situato nella foresta, nel luogo della spontaneità, della semplicità, della naturalità, dell'innocenza. Non solo: occorre anche che ogni personaggio sia consapevole di essere personaggio, maschera di qualcosa di più duraturo". Chi qualifica questa deliziosa commedia come minore, a mio avviso ha capito poco di Shakespeare. In scena Riccardo Barbera, Alberto Bellandi, Mimosa Campironi, Federigo Ceci, Beppe Chierici, Filippo Dini, Roberto Mantovani, Francesco Mastrorilli, Carlo Ragone, Riccardo Ricci, Mauro Santopietro, Loredana Scaramella, Federica Ugolini, Valentina Vacca, Mario Zinno,Taiyo Yamanouchi. Lo spettacolo risulta essere esageratamente lungo, e a volte poco energico! E’ evidente un certo dislivello di età tra i vari attori, il che non è proprio funzionale con lo spettacolo stesso. In realtà i dislivelli si notano anche in bravura e in molte occasione le battute sono buttate al vento come se si stesse leggendo la lista della spesa. Da evidenziare i bei costumi di Susanna Proietti e la regia che fornisce spunti originali, oltre che quella che ormai è la firma distintiva di Loredana Scaramella: musica e cantanti in scena. Molto bravo, efficace e divertente è Carlo Ragone nel ruolo di Paragone.
Maria Antonietta Amenduni


8 Settembre 2007

C’era una volta il Teatro Politeama Brancaccio…secondo Gigi Proietti



Mai si era vista una così grande mobilitazione di solidarietà come per il caso Gigi Proietti/Politeama Brancaccio; ciò nonostante l’idillio ha avuto vita breve! Di cosa sto parlando? Facciamo subito un riassunto. Era il 17 luglio quando Proietti si è visto sfrattare dalla direzione artistica del Politeama Brancaccio, a favore di Maurizio Costanzo. Le motivazioni, ad oggi non sono ancora ben chiare anche se voci di corridoio dicono che vi fosse già un accordo tra Costanzo e la società che gestisce il Politeama Brancaccio e lo da in affitto al comune di Roma. Sta di fatto che Proietti da subito si è apprestato a sollevare da ogni responsabilità il Sindaco di Roma Valter Veltroni. Il danno nei confronti dei Gigi Proietti era ed è notevole, in quanto il direttore artistico aveva due spettacoli in produzione, oltre all’aver già definito tutto il cartellone che doveva essere presentato alla stampa di li a pochi giorni. E’ stato a questo punto che si è scatenata una mobilitazione generale per sostenere Proietti e farlo tornare al suo posto: tra petizioni in rete e raccolte firme fuori dal Brancaccio e dal Silvano Toti Globe Theatre di Villa Borghese, anche quest’ultimo diretto da Gigi Proietti, si sono mossi romani, giornalisti, attori e registi. Lo stesso Veltroni ha manifestato tutto il suo appoggio al “neo sfrattato” direttore artistico, ma quello che ha stupito in particolare è stato l’appoggio arrivato proprio dagli addetti ai lavori. A quel punto Costanzo, che non aveva neanche fatto una telefonata a Proietti per chiarire la questione, vista l’ostilità nei suoi confronti, ha (finalmente) saggiamente pensato di rifiutare l’incarico al Brancaccio. Ciò nonostante il danno ormai era stato fatto e la poltrona non è stata comunque restituita all’attore e regista romano. Così, dopo qualche giorno, quando è arrivata la notizia che con l’appoggio di Veltroni, si era trovata come soluzione quella di spostare tutta la stagione del Brancaccio al Gran Teatro di Tor di Quinto, la favola sembrava aver avuto il suo lieto fine. Ma così non è stato: a fine agosto, arriva la notizia che la stagione non si farà neanche al Gran Teatro perché le compagnie si sono rifiutate di accettare il trasloco del cartellone! La domanda nasce spontanea: ma fino ad un mese prima non erano stati gli stessi addetti ai lavori ad appoggiare anima e cuore la causa di Proietti? Che fine ha fatto cotanto amore e cotanta solidarietà? E le numerosissime firme raccolte allora, che senso avevano? La risposta è subito data: amore e solidarietà sono andate a farsi friggere di fronte al vile denaro! E si perché il problema delle compagnie in cartellone riguarda proprio questo: non se la sentono di andare a fare uno spettacolo in un teatro non centrale, ma periferico, senza alcun tipo di coperture, e la copertura in questione altro non sono che gli abbonamenti; dunque, incasso non garantito spettacolo svanito! Se si era pensato che la passione per un mestiere bello come quello del teatro, la stima e l’affetto per un artista come Gigi Proietti, potessero far superare ogni difficoltà, ancora una volta si è avuta dimostrazione di come, di fronte all’incasso certo, non c’è sentimento che tenga. E vissero…senza cartellone e senza abbonamenti.
Maria Antonietta Amenduni


2 Settembre 2007

Il teatro va in periferia: in scena “La lettera scarlatta”

Roma, Municipio VII - Il celebre romanzo di Nathaniel Hawthorne, nella libera trasposizione teatrale di Francesco Fanuele e Filippo D’Alessio vede in scena nei panni di John Wilson, Nino Castelnuovo.

Il più importante romanzo americano dell’ottocento scritto da Nathaniel Hawthorne, “La Lettera Scarlatta”, prende vita in occasione della terza edizione della rassegna “Passeggiate teatrali”. Questa libera trasposizione teatrale di Francesco Fanuele e Filippo D’Alessio vede in scena Nino Castelnuovo, nei panni di John Wilson, con Gianluigi Pizzetti, Maddalena Rizzi, Maria Cristina Di Nicola, Andrea Murchio. Regia di Filippo D’Alessio. “La Lettera Scarlatta”, rivela la capacità dell’autrice, di analisi psicologica, oltre a dare vita ad un’ indimenticabile rappresentazione dello spirito puritano dell’America nell’epoca coloniale, offre una liberatoria concezione dell’amore come grande forza creatrice della natura. L’intensa storia dell’adultera Hester Prynne, bollata come peccatrice dai suoi freddi e intransigenti concittadini, si trasforma infatti in vera e propria apologia degli istinti nella scoperta, dopo la terribile espiazione e la dissoluzione del senso di colpa, della gioia selvaggia e pura di vivere fino in fondo la propria esistenza, rivendicando i diritti della passione. La trasposizione teatrale ne conserva lo spirito intatto portando sulla scena personaggi complessi che si confrontano sul senso del peccato, dell’amore, della libertà. Nel romanzo, la scena si apre con Hester mostrata al popolo di Salem, sul patibolo. È il risultato del processo che è stato intentato contro di lei per adulterio. Hester infatti ha dato alla luce una bambina, Pearl, nonostante il marito sia assente da anni dalla città. Oltre al pubblico ludibrio, Hester deve sottostare a un'altra pena per la sua colpa: deve portare sul petto una A scarlatta (che sta per "Adultera"), diventando così la pecora nera della comunità puritana, assai poco incline al perdono e alla comprensione. Hester non vuole rivelare chi sia il padre della bambina. Ma dopo qualche capitolo Hawthorne ci svela che il suo amante è il giovane reverendo Dimmesdale, colto teologo, eccellente predicatore, uno degli uomini più rispettati e venerati della città. Si capisce allora che se Hester tace, lo fa per amore, cioè per proteggere Dimmesdale. Il quale però si tormenta per la propria vigliaccheria e la propria falsità: predica ripetutamente contro il peccato, ma il primo a peccare è stato proprio lui; ed è un'altra, cioè Hester, a scontare la pena per entrambi. La situazione si complica quando il marito di Hester, che in città nessuno conosce, torna dalla sua lunga assenza, che si spiega con la sua cattura da parte degli indiani e la successiva prigionia. Il marito di Hester impone alla moglie di non rivelare la sua identità: questo perché vuole indagare in incognito sull'identità dell'amante, il cui nome Hester si rifiuta categoricamente di rivelare anche al marito. Quest'ultimo assume così il nome di Roger Chillingworth, e prende a esercitare l'attività di medico in città, forte dei suoi studi in Inghilterra, ma anche delle cognizioni di medicina indiana che ha appreso durante la prigionia. La vicenda si snoda quindi nel patologico triangolo che si viene a formare tra Hester, Roger e Dimmesdale, con un crescendo di tensione, sofferenza e angoscia che porta alla rivelazione finale. Da più parti, il romanzo della Hawthorne, è stato paragonato a “I promessi sposi” si Alessandro Manzoni, pubblicati una ventina d'anni prima. Effettivamente, tutti e due i romanzi sono storici, e tutti e due sono ambientati nello stesso secolo, il Seicento. I fatti raccontati da Hawthorne avvengono in America più o meno negli stessi anni in cui avvengono in Lombardia i fatti narrati da Manzoni. Entrambi i romanzieri vogliono raccontare ai propri lettori una storia dimenticata del proprio paese. I due romanzi hanno a che fare con la giustizia, e vengono presentati come basati su documenti autentici, e imperniati su una storia vera; non a caso, entrambi i romanzi si aprono con un'introduzione che racconta come siano stati trovati i documenti "storici" dagli autori (documenti in realtà assolutamente inventati). È comunque innegabile che le due opere, pur differendo considerevolmente per dimensioni, per stile, per struttura, hanno posto all'attenzione della coscienza collettiva di entrambi i paesi d'origine due importanti questioni che hanno a che fare con le rispettive identità nazionali: il peso dell'eredità puritana per gli Stati Uniti, il peso delle dominazioni straniere per l'Italia. La rappresentazione, patrocinata dall'ex circoscrizione e dall'associazione Culturale "Tramartis", è in scena a Cinecittà Est, via Libero Leopardi (Biblioteca Casa dei Bambini), Il 9 settembre al Borgo San Vittorino, il 15 settembre a Piazza dei Cigno a Torre Maura, il 16 settembre a Gregna di Sant’Andrea in Via Gianrinaldo Cerli, il 22 Settembre a Largo Bradi in Via Petrocelli, e il 23 settembre al Castello di Lunghezza dalle ore 21 alle ore 23.30. Ingresso gratuito
Maria Antonietta Amenduni


27 Agosto 2007

Ambizioni e tradimenti, in scena al Silvano Toti Globe Theatre

Al teatro di Villa Borghese, è di scena il “Giulio Cesare” di Shakespeare, che prende in esame un aspetto attualissimo del potere: il controllo del linguaggio. Chi controlla l’uso del linguaggio ha in mano le folle.

“L’umiltà e la scala sulla quale si arrampica l’ambizione”. Questa potrebbe essere la frase chiave del “Giulio Cesare” di Shakespeare in scena al Silvano Toti Globe Theatre, dal 25 agosto al 6 settembre. E sembra di essere ai nostri giorni con questo spettacolo, dove si celebra l’ossessione del potere, il tutto con la regia di Daniele Salvo e la traduzione di Masolino D’Amico. Il destino fa il suo corso travolgendo la morale, portando via con sé il senso etico, l’umanità e il cuore degli uomini. La mente corre inevitabilmente alla nostra attualità, al nostro mondo politico e agli eventi con cui ci confrontiamo ogni giorno. Shakespeare prende in esame un aspetto attualissimo del potere: il controllo del linguaggio. Chi controlla l’uso del linguaggio ha in mano le folle, il consenso e può cambiare i comportamenti degli altri uomini. Il grande poeta in quest’opera parla al futuro, alla nostra quotidianità dominata dai “persuasori occulti”. A differenza degli altri personaggi a cui l'opera è intitolata, (Amleto, Enrico V, Macbeth) Giulio Cesare non è il protagonista dell'azione. Egli appare infatti solo in tre scene e muore all'inizio del terzo atto. Il protagonista è invece Bruto, e il dramma è costituito dal suo conflitto psicologico tra l'onore, il patriottismo e l'amicizia. La scena dell'assassinio di Giulio Cesare è forse la parte più conosciuta della tragedia, insieme al discorso di Marco Antonio. Dopo aver ignorato l'avvertimento dell'indovino e le premonizioni della moglie, Cesare viene assassinato durante una riunione del Senato. Il primo a colpirlo è Casca, l'ultimo è Bruto. Alle famose parole di Cesare "Et tu Brute?" Shakespeare aggiunge "Allora cadi, o Cesare!", suggerendo così che Cesare si rifiuta di sopravvivere ad un tale tradimento da parte di una persona in cui egli aveva riposto la sua fiducia. Il nobile Bruto è il migliore amico di Cesare, ma si lascia convincere ad entrare in una cospirazione, ordita da alcuni senatori romani tra cui Cassio, per impedire che Cesare trasformi la Repubblica romana in una monarchia. Nel frattempo un indovino dice a Cesare di guardarsi dalle Idi di marzo, ma egli ignora l'avvertimento, e viene assassinato proprio quello stesso giorno. Dopo la morte di Cesare, comunque, un altro personaggio compare sullo sfondo come amico di Cesare: si tratta di Marco Antonio che, tramite il celeberrimo discorso “Amici, Romani, cittadini, prestatemi orecchio”, muove l'opinione pubblica contro gli assassini di Cesare. Dopo la morte di Cesare, Bruto attacca Cassio; i due in seguito si riconciliano, ma mentre entrambi si preparano alla guerra contro Marco Antonio e Ottaviano, lo spettro di Cesare appare a Bruto, annunciandogli la sua prossima sconfitta ("Ci rivedremo a Filippi"). Durante la battaglia le cose si mettono male per i cospiratori e sia Bruto che Cassio decidono di suicidarsi piuttosto che essere fatti prigionieri. La tragedia termina con un accenno alla futura frattura dei rapporti tra Marco Antonio e Ottaviano, che sarà sviluppata nella tragedia Antonio e Cleopatra. Lo spettacolo evidenzia delle belle idee di regia, molto belle anche le luci e gli effetti. Bravi Gianluigi Fogacci, Giacinto Palmarini, Virgilio Zernitz, rispettivamente Brut, Cassio e Casca. L’allestibento è buono ma risulta a tratti debole e faticoso dal punto di vista interpretativo; un pizzico di energia in più non avrebbe certo fatto male. C’è però un particola assolutamente spiacevole: il microfono! Ma dove sono finti gli attori che sapevano usare la voce???
Maria Antonietta Amenduni


27 Agosto 2007

All’Ambra Jovinelli, lacrime di coccodrillo e grandi nomi.

Possibilità economiche precarie, mettono a rischio il futuro del teatro diretto dalla Dandini. Nonostante tutto la stagione 2007/08, propone grandi nomi del teatro italiano, da Neri Marcorè a Paolo Rossi.

Dopo le lacrime di coccodrillo, sparse al Teatro Ambra Jovinelli, la stagione sembra andare avanti nonostante tutto. Contratti d’affitto che scadono, locali che chiudono. Quante volte abbiamo assistito ad episodi del genere? Sembrava che un’altra storica meta dell’intrattenimento romano rischiasse di chiudere i battenti: il teatro Ambra Jovinelli il cui direttore artistico Serena Dandini, alla presentazione della stagione 2007-2008 ha espresso perplessità sulle possibilità economiche dell’attuale gestione che rischia di non poter sopportare gli aumenti di un nuovo contratto d’affitto. Il produttore della struttura, Valerio Terenzio, sostiene che il teatro ha attualmente spese per 1,3 milioni di euro. Parte di questi sono coperti dallo sbigliettamento, parte dal contributo del Comune di Roma e parte dal Fondo Unico per lo spettacolo (rispettivamente 400mila, 300mila e 60mila euro), con un disavanzo notevole che fino ad ora il teatro è sempre riuscito a colmare. Almeno fino ad ora, perché un eventuale aumento dei costi, primo su tutti quello d’affitto già citato, potrebbe condannare il teatro alla chiusura a quasi cento anni dalla sua prima inaugurazione (1909). La domanda che sorge spontanea è: ma di tutti questi debito so sono accorti solo ora? Come è possibile che nessuno si sia accorto prima della situazione? Come un teatro come questo che vanta un sostegno mediatico non indifferente, abbia tutti questi problemi? Cosa dovrebbero dire allora tutti i teatri più piccoli che questi conti li devono fare giorno dopo giorno? Comunque, nonostante tutto la prossima stagione, l’ottava (forse l’ultima?), si presenta ricca di appuntamenti e grossi nomi: previsti spettacoli con Neri Marcoré , Francesca Reggiani , Giobbe Covatta, Tosca, Paolo Hendel. Ma procediamo con ordine. La Dandini punta sui suoi grandi interpreti di sempre come Lella Costa che con l’aiuto di Giorgio Gallione e le musiche di Stefano Bollani propone una versione del tutto personale di un “Amleto” giovane intellettuale che attraverso la finta follia cerca di raggiungere la verità. Il bravissimo Neri Marcoré rende omaggio al grande Giorgio Gaber con lo spettacolo “Un certo signor G” che racconta il pericolo di inciampare nell’imbecillità e nel qualunquismo. Direttamente dal palcoscenico di Zelig, Antonio Cornacchione si avventura nella commedia sentimentale “Non svegliate Cecile, è innamorata!” Una Pièce a sei personaggi del caustico vignettista francese Gérard Lausier. E ancora spazio alle donna, è questa volta tocca ad Angela Finocchiaro, in scena con “Miss Universo”, storia di una donna normale che scopre di esser molto arrabbiata col mondo. Poi tocca ad un grande della comicità italiana: Giobbe Covatta ci fa scoprire in “Seven” quanto i sette vizi capitali siano parte integrante della nostra cultura occidentale. Prodotto da Ambra Jovinelli con Rolando Ravello e Riccardo Sinigallia c’è “Agostino”, un uomo che trovato il suo appartamento occupato si rassegna a vivere con moglie e figli sul pianerottolo. Claudio Gioè e Donatella Finocchiaro sono i protagonisti de “L’Istruttoria”, regia di Ninni Bruschetta, che ripercorre la vicenda processuale sull’assassinio del giornalista Giuseppe Fava. Con “Appunti per un film sulla lotta di classe” Ascanio Celestini affronta il mondo del precariato, Tosca e Massimo Venturiello con “Gastone” rendono omaggio a Petrolini; Francesca Reggiani e Gabriella Germani detteranno in simpatiche imitazioni dei loro personaggi. Torna Paolo Hendel con “Il bipede barcollante” che fa risalire tutti i nostri guai al peccato originale mentre Paolo Rossi proporrà la sua nuova, segreta, creatura ancora avvolta nel mistero.
Maria Antonietta Amenduni


27 Agosto 2007

PREMIO TUTTOTEATRO.COM ALLE ARTI SCENICHE

"DANTE CAPPELLETTI" 2007 - quarta edizione

Cade il 18 settembre 2007 il bando di concorso per la partecipazione alla quarta edizione del Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche "Dante Cappelletti", istituito dall'Associazione culturale Tuttoteatro.com nel 2004, con la direzione di Mariateresa Surianello. Il Premio, sostenuto dall’ETI - Ente Teatrale Italiano, dal Comune di Roma - Assessorato alle Politiche Culturali, realizzato in collaborazione con Provincia di Roma - Assessorato alle Politiche Culturali, Comune di Piancastagnaio e Armunia, dedicato a Dante Cappelletti, studioso, critico teatrale e docente universitario, e al ricordo delle memorabili lezioni di vita e di scienza che ha saputo trasmettere alle nuove generazioni, è stato vinto fino ad oggi da A.V. di Narramondo (2004), ‘Ccelera! di Maurizio Camilli (2005), Primo clown, secondo clown, Amleto di Michelangelo Dalisi in scena con Salvatore Caruso e Francesco Villano (2006). Il Concorso con un premio di produzione di 6000 euro si pone l'intento di promuovere, diffondere, valorizzare e sostenere lo spettacolo dal vivo e le arti sceniche nella loro complessità, nonché la ricerca e la sperimentazione di diversi linguaggi, senza limitazioni di genere e forma, attraverso nuove produzioni artistiche. La giuria della quarta edizione, presieduta da Vincenzo Maria Vita, Assessore alle Politiche Culturali della Provincia di Roma, e composta da Roberto Canziani, Gianfranco Capitta, Massimo Marino, Renato Nicolini, Laura Novelli, Aggeo Savioli e Mariateresa Surianello, selezionerà progetti di spettacoli presentati da singoli artisti o da gruppi senza distinzione tra categorie di artisti (attori, cantanti, danzatori, musicisti, artisti visivi), né tra discipline (danza, musica, parola, arti visive). I progetti selezionati saranno mostrati alla giuria in novembre a Castello Pasquini di Castiglioncello e ne giungeranno in finale un massimo di sette al Teatro India di Roma, l’8 e il 9 dicembre 2007. Informazioni 331.4878355 per scaricare il testo del bando consultare il sito http://www.tuttoteatro.com
Maria Antonietta Amenduni


22 Agosto 2007

Premi Olimpici del Teatro: Gianni Letta premia Carlo Giuffrè.

Con l’assegnazione del “Premio Speciale del Presidente” a Carlo Giuffrè, si avvia al gran finale la quinta edizione del Premo ETI Gli Olimpici del Teatro, dopo la scelta delle discutibili terne dei finalisti

Bisognerà aspettare la gran serata al teatro Olimpico di Vicenza il 14 settembre prossimo (trasmessa in diretta alle 23.20 da Rai Uno), per conoscere i vincitori dell’edizione 2007 del PREMIO ETI – GLI OLIMPICI DEL TEATRO, l’oscar del teatro, promosso dall’Ente Teatrale Italiano e dal Teatro Stabile del Veneto, che già dal 2003 è diventato un atteso appuntamento d’incontro e di festa per la scena italiana. Dopo la serata delle nominations, svoltasi al Teatro Quirino di Roma lo scorso giugno, quando una giuria di esperti ha scelto la terna, discutibile, di candidati per ciascuna delle quattordici categorie in gara, il Premio si avvicina alla sua fase finale con una prima notizia, quella dell’avvenuta assegnazione dello speciale “Premio del Presidente della Giuria”. E se la scelta delle terne è risultata alquanto discutibile, su una cosa, gli amati del teatro, esperti, ed addetti ai lavori, saranno sicuramente d’accordo: la scelta del nome per il premio speciale del presidente. Ogni anno, infatti, il Presidente della Giuria Gianni Letta attribuisce a suo insindacabile giudizio un premio speciale (che si aggiunge a quelli votati dalla giuria dei 400 artisti e professionisti dello spettacolo) ad uno degli artisti che hanno segnato indelebilmente il teatro e la cultura italiana. E sarà CARLO GIUFFRÈ, straordinario protagonista della nostra scena da quasi sessant’anni, a ricevere quest’anno l’ambita onorificenza sul palco del Teatro Olimpico. La serata finale della consegna dei Premi a Vicenza (condotta da Tullio Solenghi su Rai Uno), sarà l’occasione per festeggiare un grande interprete capace di emozionare il pubblico sia nei ruoli drammatici che comici, una carriera piena di successi dalla Compagnia dei Giovani fino al repertorio eduardiano. Una scelta che, dopo Mario Scaccia, Giorgio Albertazzi, Armando Trovajoli e Rossella Falk conferma la volontà dei Premi Olimpici di celebrare le personalità artistiche che hanno fatto la storia del teatro, in un’ideale staffetta fra i grandi maestri e gli attuali protagonisti del palcoscenico. “Il teatro serve a comunicare sensazioni, vibrazioni. E perché la comunicazione funzioni deve essere semplice ma anche nutrita di cultura profonda: cultura umana, non paludata. Se non arrivano sentimenti, è cattivo teatro”; questa profonda verità è stata detta proprio da Carlo Giuffrè, in occasione di una conferenza stampa per un suo recente spettacolo. Carlo Giuffrè, simbolo del nostro teatro, (Napoli, 3 dicembre 1928) è un attore italiano di cinema e teatro, conosciuto al grande pubblico anche per il suo sodalizio artistico con il fratello Aldo. Nato a Napoli nel 1928, fratello minore di Aldo, consegue il diploma all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica iniziando a lavorare con il fratello in teatro nel 1947. Due anni dopo la coppia debutta con Eduardo De Filippo, interpretando la maggior parte delle commedie napoletane del grande autore, grazie alle quali il giovane Carlo manifsta le sue doti di attore dalla vocazione comica e grottesca. Nel 1963 entra nella Compagnia dei Giovani lavorando con Giorgio De Lullo, Rossella Falk, Alida Valli e Elsa Albani, con cui reciterà per ben otto stagioni consecutive tra l'altro in Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello, Tre sorelle di Cechov, Egmont di Goethe. In seguito approda col il fratello Aldo al repertorio di Eduardo mettendo in scena, anche come regista commedie come Le voci di dentro, Napoli milionaria!, Non ti pago e la celeberrima Natale in casa Cupiello. Numerose le sue interpretazioni cinematografiche e nelle fiction televisive. Il prossimo 10 settembre inoltre sarà proprio Carlo Giuffrè a guidare la delegazione di artisti della scena (composta dai finalisti per il Premio ETI– Gli Olimpici del Teatro 2007 e dai vincitori della passate edizioni), che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano riceverà per la consueta udienza al Quirinale.
Maria Antonietta Amenduni


5 Agosto 2007

Avvelenamento, inimicizia tra vecchi amici, gelosia e lieto fine, a Villa Borghese

E’ in scena al Silvano Toti Globe Theatre, “Racconto d’inverno” con la regia di Francesco Manetti. La condizione temporale è qui, non solo una necessità narrativa, ma un vero e proprio colpo di teatro…

Dal 7 al 19 agosto al Silvano Toti Globe Theatre va in scena una tragedia a lieto fine, “Racconto d’inverno” con la regia di Francesco Manetti. Traduzione di Augusto Lombardo. Una rappresentazione sulla gelosia, sull’errore e sul tempo che mette tutti alla prova e che ha il potere di ridare un senso agli eventi di una intera vita. Sicilia: improvvisa e immotivata è la gelosia del re Leonte per la sua regina Ermione e l’amico d’infanzia Polissene re di Boemia. Leonte è nemico a se stesso, è Iago e Otello insieme. Genera e rende reali le proprie ossessioni fino a processare pubblicamente l’amata moglie, a far esporre la figlia appena nata e a far morire di dolore il giovane figlio Mamilio. Boemia: sono passati sedici anni. Florizel e Perdìta, due ragazzi perdutamente innamorati, si trovano ad una festa campestre. Attraverso il loro amore gli adulti potranno redimersi: canti, risate, sorprese e truffe generate da Autolico, un furfante venditore di storie. Quindi la riconciliazione e la gioia del ritrovarsi. “Racconto d’inverno” è stato scritto nel 1611 da uno Shakespeare maturo che, tra viaggi in mare, salti temporali, statue che prendono vita, ci conduce all’interno di questa grande favola con uno sguardo compassionevole e privo di giudizio. “Racconto d’inverno” perché raccontare è conoscere, comprendere; è ciò che ci permette di agire sulla realtà, di renderla nostra grazie alle parole: i personaggi di Shakespeare tentano di trasformare la realtà, mostrando un’assoluta fiducia nel potere della parola. Governa su tutto la trama del tempo che crea e svela l’errore, che mette tutti alla prova, che ha il potere di ridare senso agli accadimenti di una vita intera. Il tempo, la vita più forte delle ossessioni, delle paure e degli errori degli esseri umani. Il racconto d'inverno è una tragicommedia o commedia romantica. È stata tuttavia considerata a lungo, in passato, semplicemente una commedia o una tragedia a lieto fine. Polissene e Leonte sono, rispettivamente, i re di Boemia e di Sicilia, grandi amici di infanzia. Polissene va a rendere omaggio a Leontes in Sicilia, e vi permane nove mesi, al termine dei quali si accinge a salutare l'amico per tornare nel suo regno. Leonte, dispiaciuto per la partenza, supplica l'amico di restare, e prega anche la propria moglie, Ermione, di dissuaderlo dall'andar via. Inizialmente inamovibile, Polissene cede alle lusinghe di Ermione e decide di prolungare il soggiorno: Leonte, però, sembra turbato dall'eccessiva confidenza tra i due. Poiché Ermione è in avanzato stato di gravidanza, in Leonte si insinua il sospetto che la paternità non sia sua ma dell'amico Polissene. Leonte ordina al cortigiano Camillo di avvelenarlo, ma questi non gli ubbidisce e scappa con Polissene in Boemia. Leonte istruisce un processo per adulterio contro Ermione e fa interpel-lare l’oracolo di Delfi. Nasce intanto la figlia, Perdita, e il re ordina al fido Antigono di abbandonarla su una spiaggia deserta. L’oracolo però svela che la moglie è innocente. Ma la situazione ormai precipita: Ermione è morta di dolore, Antigono è stato divorato da un orso, Perdita viene salvata e allevata da pastori boemi. Una volta cresciuta, la fanciulla ama riamata il figlio del re Polissene, Florizel. I due giovani per sfuggire l’ira del re si rifugiano in Sicilia dove, alla fine, con l’arrivo di Polissene, la figlia è riconosciuta e accolta con gioia dal padre Leonte, afflitto dal senso di colpa per la morte della moglie innocente. A sancire la riconciliazione generale, al re di Sicilia viene mostrata una statua che non soltanto somiglia perfettamente a Ermione, ma è Ermione. La condizione temporale è qui, non solo una necessità narrativa, ma un vero e proprio colpo di teatro: il suo intervento, infatti, fa cambiare il registro portandolo da quello propriamente tragico a quello comico. Riccardo Ballerini, Claudia Benassi, Franz Cantalupo, Michele Demarca, Azzurra Fiume Garelli, Giulioforges Davanzati, Marica Gungui, Aglaia Mora, Andrea Ricciardi, Alessandro Rognone, Arpad Vincenti, Stefano Vona Bianchini e con Iacopo Olmo Antignati e Emanuele Restivo. Silvano toti Globe Thatre, Roma, Largo Aqua Felix (Piazza di Siena), Villa Borghese. Per informazioni +39 06 82059127 (tutti i giorni dalle ore 9.00 alle ore 19.30) www.globetheatreroma.com
Maria Antonietta Amenduni


5 Agosto 2007

Tutta l’emozione di High School Musical nel grande spettacolo sul ghiaccio

Disney’s High School Musical:The Ice Tour, sarà in scena questo inverno al Palalottomatica, dal 5 al 9 dicembre 2007

Con l’atteso debutto, il prossimo 28 novembre, sarà proprio l’Italia a ospitare la prima europea del tour che toccherà Milano e Roma. I più virtuosi e scatenati pattinatori sul ghiaccio del mondo scenderanno in pista per impersonare i protagonisti del film in un travolgente mix di canzoni, musica, ballo e divertimento per tutta la famiglia che intreccerà i ritmi e le storie di High School Musical, il film vincitore di due Emmy Awards che ha conquistato i giovani di cinque continenti, e High School Musical 2, in arrivo a settembre. Ormai è ufficiale: la prima europea di “Disney’s High School Musical: The Ice Tour”, il grande spettacolo sul ghiaccio prodotto da Feld Entertainment e Kenny Ortega, allestito in collaborazione con Thomas Schumacher e il suo team di Disney Theatrical Productions e presentato in Italia da Applauso Spettacoli avrà luogo al Palasharp di Milano il prossimo 28 novembre. Dopo il debutto, la compagnia resterà a Milano fino al 2 dicembre per offrire al pubblico altri sette spettacoli prima di approdare a Roma, al Palalottomatica dove resterà dal 5 al 9 dicembre. Il tour mondiale, che partirà da New York il prossimo settembre, prevede di toccare ben 100 città nel primo anno. Il successo mondiale del Disney Channel Original Movie “High School Musical”, lanciato in Italia lo scorso settembre, ha registrato numeri da record anche nel nostro Paese: Ecco numeri e successi di questo atteso spettacolo: colonna sonora al 1° posto per 6 settimane consecutive su iTunes e nella classifica compilation FIMI Nielsen, 1 disco di platino per oltre 140.000 copie vendute, oltre 200.000 copie di DVD vendute, 130.000 copie del Poster Book distribuite E la febbrile attesa per High School Musical 2, in arrivo su Disney Channel a fine settembre, è ormai alle stelle… Ecco di seguito il calendario del tour italiano. Milano: dal 28 novembre al 2 dicembre Roma: mercoledì 5 dicembre ore 19.00, giovedì 6 dicembre ore 19.00, venerdì 7 dicembre ore 20.45, sabato 8 dicembre ore 15.15 e 19.00, domenica 9 dicembre ore 11.30, 15.15 e 19.00
Maria Antonietta Amenduni


5 Agosto 2007

A Corchiano l’ottava edizione del Premio “Fescennino d’Oro”

in Piazza Pina Piovani, l’artista Tosca ha ricevuto il premio “Fescennino d’Oro” e ha portato sul palco, brani di “Romana” lo spettacolo dedicato a Gabriella Ferri.

Si sa che in estate proliferano premi e serate di vario genere, più o meno interessanti. Nella schiera però delle belle serate che la nostra estate ci offre, c’è la proposta che arriva da Corchiano, paese antico, dove la splendida vegetazione nasconde e quasi protegge le bellezze archeologiche. Corchiano è un comune di 3.337 abitanti in provincia di Viterbo. Le origini del paese, molto probabilmente, sono precedenti al periodo etrusco esattamente ai Falisci, l'antica città di Fascennium sorgeva dove attualmente è situata Corchiano. Dista circa 25 Km da Viterbo, il territorio circostante è ricco di vegetazione, particolarmente fiorente è la coltivazione della vite. Il paese raggiunse il periodo di massimo splendore sotto il dominio dello Stato Pontificio, durante il quale assunse le connotazioni attualmente visibili. Intorno all'anno mille il territorio fu feudo dei Farolfo, poi degli Orsini, successivamente divenne dominio dei Farnese e dei Santa Croce. Luoghi da Visitare: Chiesa di S. Biagio, è molto interessante in quanto al suo interno è possibile ammirare numerosi affreschi di Lorenzo da Viterbo e di altri artisti della sua scuola. Ma da vedere sono ancora la Chiesa della Madonna del Soccorso e la Cappella del Paradiso affrescata da Federico Zuccai. Oggi è possibile visitare il suggestivo borgo medievale, con vicoli tortoosi e suggestive piazzette. In questi luoghi quasi magici sorgeva l’antichissima Fescennium, cittá che raggiunge il suo massimo splendore tra il IV e il III secolo a.C. e dove presero corpo i ludi Fescennini dando i primi elementi di rappresentazione teatrale. Molto importante è il debito che i romani ebbero verso la cittá falisca di Fescennio, dalla quale, in epoca repubblicana, portarono in Roma una prima forma di rito teatrale. Inoltre, da piú di duemila anni, l’aggettivo “fescennino” è riferito a composizione in versi mordace o goliardicamente oscena. Questa è la ragione per la quale Nicola Piovani (nato a Roma ma corchianese non solo onorario) e il sindaco Bengasi Battisti, hanno voluto instaurare il Premio “Fescennino d’oro”. Nella sua prima edizione, settembre 2000, il Premio fu consegnato a Fiorenzo Fiorentini che in una splendida serata, sul palcoscenico allestito appositamente in Piazza Pina Piovani, fece rivivere con il “suo Petrolini”, i primi decenni del secolo scorso. Seguirono Anna Campori, Leopoldo Trieste, Massimo Wertmuller, Ascanio Celestini, Davide Enia, Angela Pagano. Ogni premiato regala al pubblico di Corchiano un suo spettacolo. Quest’anno la bella serata si è svolta venerdì 3 agosto, e l’artista premiata è stata Tosca, che, ha portato sul palco allestito appositamente nella piazza Pina Piovani, brani di “Romana” lo spettacolo dedicato a Gabriella Ferri (che proprio a Corchiano viveva). Ma il Fescennino non è solo un momento di spettacolo è anche motivo di confronto e grande solidarietà. Dal 2003 anni la comunità corchianese ospita bambini del Congo che senza cure specifiche e attrezzature ospedaliere adeguate, rischiano ogni giorno di morire a causa delle molteplici infezioni e malattie. Con i soldi raccolti durante la manifestazione del “Fescennino d’Oro” si sono potute sostenere le spese per il viaggio e l’assistenza medica di nove dolcissimi bambini, purtroppo cardiopatici. La generosità della gente di Corchiano, la disponibilità della Fondazione Gaslini di Genova che ha garantito le delicate operazione, l’infinita umanità di padre Ugo, l’impegno di Bengasi Battisti, l’amore di tanti uomini e donne, i sorrisi dei bambini, tutto questo grande progetto di solidarietà, hanno permesso a nove piccole creature, di tornare a vivere senza problemi.
Maria Antonietta Amenduni


29 Luglio 2007

Europa duemilasette teatro e danza a Roma.

In occasione dei cinquant’anni dei Trattati di Roma, Il Teatro di Roma dà il suo contributo alle celebrazioni. Tanti appuntamenti in scena tra i teatri Argentina, India e Valle.

Cinquant’anni dei trattati di Roma. Anche il teatro celebrerà l’evento. Il Teatro di Roma dà il suo contributo alle celebrazioni per il Cinquantesimo Anniversario dei Trattati di Roma, nella convinzione che una vera Europa unita passi anche attraverso il confronto, il dialogo e l’interscambio tra culture.
Da questa premessa nasce Europa duemilasette, teatro e danza a Roma una rassegna internazionale, realizzata in collaborazione con l’ETI – Ente Teatrale Italiano, che si svolgerà dal 18 settembre al 5 ottobre prossimi. Sui palcoscenici dei teatri Argentina, India e Valle si alterneranno ben 12 spettacoli di prosa e danza oltre a diversi incontri, workshop, laboratori.
Ecco gli appuntamenti.
Dante legge Albertazzi Se è vero che Dante e Shakespeare possono essere considerati i padri della cultura occidentale moderna, Europa duemilasette non poteva “ignorarli”, ma ha scelto di accostarsi a questi due imprescindibili punti di riferimento in maniera trasversale e del tutto singolare. Sarà infatti un reading dall’emblematico titolo al rovescio Dante legge Albertazzi ad aprire la rassegna, il 18 settembre al Teatro Argentina.
Nekrosius. Ritratto d’autore ; l’inconfondibile teatro del maestro lituano Eimuntas Nekrosius, alle prese con la trilogia shakespeariana: Otello (19 settembre), Amleto (21 settembre) e Macbeth (23 settembre). Inoltre, in prima nazionale, l’ultima regia cechoviana di Nekrosius: Il giardino dei ciliegi (28 e 29 settembre).
Genèse n. 2 Europa duemilasette vuole accendere i riflettori anche sui giovani, sui talenti del nuovo teatro e della danza. Come per esempio con lo spettacolo Genèse n. 2, al Teatro India il 20 e il 21 settembre: la regia è di Galin Stoev, enfant prodige del teatro bulgaro (Paese appena entrato nell’Unione) trapiantato in Belgio, che ha recentemente “conquistato” la Francia.
Madrid danza a Roma Sarà poi la volta della danza, con il progetto Madrid danza a Roma, al Teatro India dal 25 al 29 settembre. Si tratta di un festival itinerante, che si propone di creare un dialogo culturale tra diversi Paesi attraverso la danza. Il progetto, ideato e diretto dal ballerino e coreografo Juan De Torres, propone a Roma 4 compagnie di punta nel panorama della danza madrilena e spagnola. La compagnia La rumbe Danza presenta lo spettacolo DKda 1 – sólo diez anos ya! (25 settembre), con musica dal vivo e coreografie di Cesc Gelabert, Teresa Nieto, Daniela Merlo, Juan De Torres. Losdedae propone Veintisiete (26 settembre), con le coreografie di Chevi Muraday. La compagnia di Teresa Nieto presenta Ni palante ni patrás (no hay maniera, oiga...) (27 settembre), mentre il gruppo 10&10 Danza propone Hebras de Mujer (28 settembre), con le coreografie di Mónica Runde. Infine, un Gala di solisti con danzatori spagnoli e italiani concluderà il festival, il 29 settembre.
Durante i cinque giorni della rassegna, inoltre, le compagnie terranno al Teatro India e in altre sedi laboratori, incontri, dibattiti sul tema della danza.
Progetto BDanse : BDanse è una compagnia francese di danza contemporanea, fondata nel 2006 dai coreografi e ballerini Emilio Calcagno e Olivier Dubois, che restituisce attraverso la danza l’atmosfera intima, ludica, a volte delirante del fumetto. Lo stesso nome della compagnia rimanda al francese BD, acronimo per “bande dessinée”: strisce, fumetti, “strips”. BDanse presenta al Teatro India due brevi coreografie ispirate ai fumetti di due disegnatori “cult” francesi: En sourdine, ispirato alle Histoires muettes di Stéphane Blanquet e Peter Pan, ispirato all’universo di Régis Loisel (5 ottobre).
Maria Antonietta Amenduni


29 Luglio 2007

Civitavecchia in festival: tra tanto teatro e molta bella musica.

Tanti gli appuntamenti in scena questa settimana, alla scoperta di luoghi incantevoli a Civitavecchia. Da Goldoni a Shakespeare, fino al blues, e a momenti di sano divertimento con Lillo e Greg.

Ancora tanti gli appuntamenti che arricchiscono il Civitavecchia Festival. Questi i tanti incontri tra teatro, musica e cultura di questa settimana.
Mercoledì 1 agosto, alle 18,00, si esibiscono I Tiracantini sono uno dei tanti gruppi di musica d’insieme dell’associazione “Amici della Musica” di Allumiere, nascono dalla necessità di aggregare i tanti violinisti che frequentano la classe di violino della prof.ssa Maria Letizia Beneduce che ha ideato ed è alla guida di questo gruppo. Il gruppo è composto da circa trenta elementi, piccoli musicisti d'età compresa tra i cinque ed i sedici anni. Alle 21.00 nvece grande appuntamento con Daniele Silvestri in concerto.
Il 2 agosto, alle 18 è la volta della Rassegna Goldoniana in Piazza Leandra, mentre alle 21 è la volta di Timone D’Atene di William Shakespeare Con Pino Quartullo Regia di Jurij Ferrini. Testo poco rappresentato sulle scene italiane, narra la vicenda di un uomo, Timone, che nella sua vita, potendosi anche permettere un certo agio si allontana dalla stringente logica della convenienza e decide di coltivare lo spirito, di amare l’arte e soprattutto gli amici. Un’opera meravigliosa, che scava nei nostri sogni infranti, che parla di generosità e ingratitudine, dell’arida logica del profitto e degli spietati paradossi del mercato, di voltafaccia improvvisi che lasciano solo un uomo nella sua caverna di angoscia.
A mezzanotte, concerto “Notte alla Ficoncella” Genere: Blues classico.
Venerdì 3 agosto, ancora rassegna Goldoniana con lo spettacolo Il Burbero Benefico, alle 18,00. Ore 21.00 – Lillo e Greg e Latte e i Suoi Derivati Un micidiale crossover pop, rock, dance, liscio, rock and roll, surf, swing, punk, ska, fumetto, cartoni animati, comicità surreale e rimandi continui all'immaginario collettivo, con la chiassoneria di un Animal House Picture Show ambulante: Latte & i Suoi Derivati è il gruppo musicomico per eccellenza da cui proviene la celebre coppia televisiva Greg & Lillo. Alle 24 alle Terme della Ficoncella, il concerto di Endangered Species.
Sabato 4 agosto, alle 10,30 presso la Spiaggia di Civitavecchia, è di scena Le guarattelle di Pulcinella - Di e con Gianluca Di Matteo. Alle 18,00 in Piazza Leandra, è di scena La Bottega del Caffè; alle 21 presso la Banchina San Teofanio è la volta di “la serata della danza”. Alle 24,00, preso le Terme della Ficoncella, il concerto “Red Wagons”.
Domenica 5 agosto sulla spiaggia di Civitavecchia, alle Ore 10.30 – Compagnia OltreilPonte – presenta La Principessa Preziosa Con Beppe Rizzo, Manfredi Siragusa. La fuggiasca principessa Preziosa, trasformatasi in scimmia con l’aiuto di una fata, conquista il cuore del principe di Acquacorrente, che un giorno spiandola ne vede le reali fattezze. La regina, scoprendo l’amore del figlio, fa allontanare l’animale. Il principe si ammala: solo l’amata può curarlo. Ispirato ad una fiaba di Giambattista Basile, l'allestimento affianca l'immediatezza e la freschezza d'invenzione del teatro dei burattini alla presenza di un narratore musicista.
Alle 24 solito appuntamento alle Terme della Ficoncella con la “Paride small blues band”- Genere: Rithm&Blues Il repertorio della “P.S.B.B.” alterna brani inediti e famose cover del Blues Internazionale. Nata nel 2005 da un’ idea del vulcanico e virtuoso chitarrista Paride De Carli (musicista a fianco di Vinicius De Moraes in Sud America ed in altre parti del Mondo, fondatore della “Seconda Genesi” gruppo distintosi nel folto panorama della musica Progressive dei primi anni ’70), la band ha diviso il palco con artisti del calibro di Giorgia, Agricantus e Niccolò Fabi, esibendosi peraltro al prestigioso festival “Pistoia Blues”.
MUSICISTI: Paride De Carli – chitarra, Rita Gavagnin – voce solista, Roberto Pizzo – chitarre, Fabio Caponi – basso elettrico, Alessio Campogiani – batteria
Maria Antonietta Amenduni


22 Luglio 2007

Al Globe si sogna in una notte di mezza estate

Riccardo Cavallo confeziona uno spettacolo travolgente, con un bel cast e tanti uccelli a cinguettare in scena. Gigi Proietti, Direttore Artistico del teatro, saluta il pubblico e non risparmia qualche frecciata

“Venite tutti al globe, prima che ce lo tolgono!” sono queste le parole con cui Gigi Proietti ha salutato il pubblico alla prima di “Sogno di una notte di mezza estate”, in scena al Silvano Toti Globe Thatre di Villa borghese dal 20 luglio al 5 agosto, per la regia di Riccardo Cavallo. “Hanno capito” – ha detto ancora il direttore artistico del Globe Theatre - “quanto è importante il teatro in questa città, è fanno di tutto per scipparcelo, e purtroppo a volte ci riescono. Ma io continuerò a fare la mia attività a Roma, e per questo devo ringraziare il Sindaco Veltroni, che mi ha sempre sostenuto”.
Tutto questo è avvenuto il 20 luglio, due giorni prima che Costanzo comunicasse la sua rinuncia alla Direzione del Brancaccio, mentre attorno a lui si faceva il vuoto e gli voltavano le spalle anche alcuni amici, accorsi invece da Proietti scippato della sua creatura. Intanto nei confronti di Proietti, aumentavano l’affetto del pubblico e le petizioni in suo favore, a dimostrare la stima e l’amore che la città di Roma ha per Gigi Proietti.
Insomma, l’antefatto allo spettacolo è stato scoppiettante, ma “il sogno di una notte di mezza estate”, non è stato di certo da meno.
Riccardo Cavallo ha impacchettato uno spettacolo molto ben fatto, bella regia, belle musiche, belli i costumi e soprattutto bravi gli interpreti. Solo il primo atto risulta appena un po’ più lento del secondo, ma lo spettacolo cattura e si lasci seguire con molta semplicità. Bisogna anche riconoscere che la traduzione di Simonetta Tra versetti fa bene la sua parte. Il "Sogno" diviene in questo allestimento di Cavallo, spettacolo ricco di invenzioni, giocato all'insegna della grande teatralità, senza troppe leziosaggini, capace di trasportarci in un mondo onirico tra l'intrecciarsi di parole, danze e musica…. "ogni attore usa la più giusta tonalità, in un perfetto bilanciamento, come l’ingranaggio di un orologio, la regia e l’interpretazione rendono giusto onore alla perfetta partitura che la genialità di Shakespeare, ha creato con questo spettacolo. La prosa diviene come musica, in questo spettacolo, e Oberon, interpretato da Gianni De Feo, ne diviene un bravo direttore d’orchestra.
Molto brava è Valentina Marziali, naturale e convincente, dotata, di una bella “prepotenza scenica”, sa passare da un piano di emozione all’altro con semplicità. Molto bella la scena del secondo atto con i quattro innamorati, fascinosa e divertente anche Federica Bern. Esilaranti i siparietti dei comici, capitanati da due bravissimi Marco Simeoli e Gerolamo Alchieri. Convincente anche Sebastiano Colla. Divertentissimi Cristina Nocie e Fabio Grossi. Il cast è completato da Claudia Balboni nel ruolo di Titania, Nicola D’Eramo, Daniela Tosco, Stefano Mondini, Marco Paparella, Fabrizio Amicucci, Roberto Stocchi, Alessio Caruso, Andrea Pirolli.
Non si sa con certezza quando la commedia Sogno di una notte di mezza estate fu scritta o messa in scena per la prima volta, ma si presume tra il 1594 e il 1596. Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che potrebbe essere stata scritta nel febbraio del 1596 per una rappresentazione in occasione del matrimonio tra Sir Thomas Berkeley ed Elizabeth Carey.
La commedia presenta tre storie intrecciate, collegate tra loro dalla celebrazione del matrimonio tra Teseo, duca di Atene e Ippolita, regina delle Amazzoni. Il tutto si svolge in una notte singolare, densa di emozioni, desideri e strane alchimie, sospesa in un ambito atemporale. Due coppie di sfortunati amanti gravitano intorno alle figure del duca Teseo e di Ippolita, il cui imminente matrimonio sta catalizzando l'attenzione di un'intera regione. Ermia e Lisandro, Elena e Demetrio si inseguono, tra i tortuosi sentieri di un bosco incantato. Fuggono da genitori dispotici che vorrebbero gestire le loro vite, da una realtà di pregiudizi e divisioni di casta, sostenuti da un folle desiderio d'amore. Dietro l'apparente immobilità di un'anonima ed afosa notte estiva, si cela un mondo popolato da fate e folletti, dediti ad orgiastici riti e a bizzarri giochi magici. Il contrasto d'amore fra il Dio delle Ombre e la Regina delle fate spinge il malizioso folletto Puck a tessere una tela di improbabili scambi di coppie ed assurde trasformazioni (un attorucolo da quattro soldi si ritrova nelle irsute vesti di un asino), fino al sorgere della prima luce del mattino, quando la magia cede il posto ad una realtà che in fondo, non è poi così amara.
Maria Antonietta Amenduni


22 Luglio 2007

“L’armadietto cinese” e “Miles Gloriosus”, in scena all’Anfiteatro della Quercia del Tasso

Sergio Amirata e Patrizia Parisi, tornano a rallegrare le serate estive con due spettacoli in scena dal luglio fino al 3 settembre. In scena anche Gustino De Filippis, Francesco Madonna, Susanna Bugatti.

Si accendono i riflettori, come ogni estate, all’Anfiteatro della Quercia del Tasso, che festeggia quest’anno la 41° Stagione Estiva. E come ogni anno, torna anche Antonio Amirata con i sui spettacoli, per trascorrere in simpatia una serata estiva. Due spettacoli scandiranno le serate in Via della Passeggiata del Gianicolo di fronte al Bambin Gesù “L’armadietto cinese”, di Aldo De Benedetti con Sergio Ammirata e Patrizia Parisi, sarà in scena dal 7 luglio al 3 settembre tutte le domeniche e lunedì alle 21.15, con Francesco Madonna, Susanna Bugatti, Vincenzino Pellicanò, Paola Barini, regia di Sergio Ammirata. Il secondo spettacolo “Miles Gloriosus”, di Tito Maccio Plauto, con Sergio Ammirata e Patrizia Parisi, in scena dal 11 luglio al 01 settembre tutte le sere dal martedì al sabato 21.15, con Giustino De Filippis, Gabriele Tuccimei, EnricoPozzi, Gianfranco Guerra, Vittorio Aparo, Ilaria Coppini, PaolaBarini, Marco Delle Fratte, Stefania Ventura, scene e costumi di Clara Surro, regia di Sergio Ammirata. Così amirata racconta “Miles Gloriosus”: “Tutti sanno (la storia la racconta ogni maestro ai suoi alunni fin dalle scuole elementari) che la commedia tratta del vanaglorioso soldato Pirgopolinice, sensibile alle lodi e assuefatto alla vanteria priva di fondamento. L’abile servo Palestrione riesce a gabbarlo come e quando vuole, facendo leva sulla furbizia, sull’intuizione, sull’acutezza che la fame inesauribile di sottoposti esalta ogniqualvolta si tratta di nutrirsi alle spalle dei padroni. C’è una bella schiava restia e ci sono il suo innamorato, un vecchio vicino di casa, la cortigiana, la fantesca, i valletti tuttofare, eccetera.Vale a dire il mondo coloratissimo dei “tipi” plautini, già debitore a quello greco e poi ispiratore, col procedere delle ere teatrali, sia delle stilizzazioni della Commedia dell’Arte, sia, sia di tante enfatizzazioni posteriori. A Plauto importa il divertimento dei personaggi più che una poco probabile pregnanza del contenuto: il senso speziato e profondo della sua drammaturgia sta proprio nell’interazione fra figura e figura nei ritmi del quotidiano, nella vita. Così Sergio Ammirata, che ha instaurato con l’autore annose consuetudini, privilegia giustamente il girotondo dei caratteri, l’allegria del senso comune trasformato in non senso, l’esagerazione consapevole, “osata” per catturare scopertamente il divertimento del pubblico”. Ma non è tutto. Amirata ci racconta anche il lavoro di regia fatto con “L’armadietto cinese”: “Nell’interno di un armadietto cinese venduto ad un’asta giudiziaria sono nascoste alcune lettere d’amore che due donne sposate hanno scritto, l’una all’insaputa dell’altra, ad un avvenente playboy dell’epoca: il conte Ludovico della Lattuga Prezzolati (detto Giangi), appena fuggito, chissà dove, perché indebitato fino al collo. Le due belle signore tentano di acquistare l’armadietto per ecuperare le lettere, ma il mobile viene assegnato ad uno dei due mariti delle stesse due donne. Da questo momento le due colpevoli signore faranno di tutto per impossessarsi delle lettere, prima che possano cadere nelle mani dei mariti. Equivoci ed incertezze caratterizzano questa esilarante commedia, tra le più divertenti di Aldo De Benedetti, sempre straordinario nell’imbastire colpi di scena coadiuvati costantemente da un dialogo straordinariamente leggero, intelligente, veloce, umoristico. Ritengo Aldo De Benedetti un fulgido esempio della commedia teatrale italiana, un maestro! Tanti i critici e gli intellettuali hanno tentato di denigrarlo, sminuirne il genio, si sono ricreduti quando hanno visto con invidia, “dall’aldilà”, il gran successo del De Benedetti. Orari Spettacoli: Tutte le sere ore 21.15. Prezzi : € 18,00, ridotti € 12,00 . Per ogni 10 persone ci sarà un biglietto omaggio. Prenotazione obbligatorio, anche in giornata. Info – prenotazioni : Tel. 06/5750827 Fax 06/5783116 cell. 348 8240450
Maria Antonietta Amenduni


18 Luglio 2007

Assurda sostituzione al Brancaccio: Costanzo prende il posto di Proietti.

L’attore romano: “Nessuno si azzardi ad affermare che c'è responsabilità del sindaco.” Il Personale del Brancaccio avvia una petizione in favore di Proietti.

Le ultime parole famose, furono quelle di Silvio Di Francia, Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Roma, il quale, venti giorni fa, durante la conferenza stampa di presentazione della stagione estiva del Silvano Toti Globe Thatre, teatro diretto da Gigi Proietti, affermò che il comune di Roma confermava tutta la sua fiducia per il lavoro svolto, a Gigi Proietti. E bene dopo tre settimane da allora, Proietti si vede sfrattare dalla direzione artistica del Politeama Brancaccio, a favore di Maurizio Costanzo. Ora viene da chiedersi cosa è successo? Cerchiamo di ricapitolare; dunque: il Politeama Brancaccio è un teatro di proprietà privata, dato in affitto al Comune di Roma, che in collaborazione con la famiglia proprietaria, lo gestisce. La conferma della nomina del direttore artistico per il 2007/08, a favore di Gigi Proietti era scontata, e doveva essere stata fatta già un po’ di tempo fa, tanto è vero che Gigi Proietti, aveva già preparato la stagione prossima che sarebbe stata presentata a giorni. Voci di corridoio dicono che già da tempo vi fosse un avvicinamento di Maurizio Costanzo, alla famiglia proprietaria del Brancaccio. Ora, vuoi i ritardi del Comune, vuoi l’avvicinamento, vuoi chi sa quale “strana coincidenza astrale”, il 17 luglio Proietti viene “sfrattato in favore” di Costanzo. Quest’ultimo nega ogni pressione alla famiglia, Proietti invece si riserva di parlare prima con il Sindaco Walter Veltroni. «E' chiaro che io non mi metto a lavorare sotto la direzione artistica di Costanzo, me faccio frate, prima!». Travolto dalle sensazioni che lo ha colto quando è giunta inaspettata, la notizia della sua sostituzione alla direzione del teatro di via Merulana con Maurizio Costanzo, Gigi Proietti si lascia andare allo sfogo. «Personalmente mi provocano dei danni enormi - aggiunge - io avevo due spettacoli in produzione al Brancaccio». Il Direttore Artistico in carica fino al 31 luglio afferma: «Qui non ci sono né complotti né nient'altro: è successo che un proprietario non vuole avere più contatti col Comune perché c'avrà altri interessi economici. Qualcuno gli ha offerto di più e lui ha dato a Costanzo la direzione artistica». «Sta di fatto - continua l'attore - che io non farò più il mio spettacolo che avevo già messo in cartellone, se la cosa rimane in questi termini. E invece del mio spettacolo ci sarà il suo spettacolo, che sarà sicuramente bellissimo, piacerà molto al pubblico, con Platinette e Calissano! Sul fatto che cambierà la cifra estetica non ci sono dubbi e non voglio dire se in meglio o in peggio». Quindi Proietti torna ad attaccare Costanzo: ««Il nemico vero, in quest'operazione del Brancaccio, del Teatro a Roma, del comune di Roma e di Gigi Proietti, è Costanzo. Io ho coraggio di dire la mia opinione e dico che se qualcuno mi avesse detto in quel teatro c'è la direzione artistica di Costanzo, siccome devono rinnovare il contratto perché‚ non la prendi tu? Io ne sarei stato onorato, ma avrei rifiutato o, quantomeno, avrei fatto una telefonata, prima. Per cui il nemico, in senso metaforico (ma mica tanto metaforico), l'avversario culturale di questa situazione è Costanzo». Ora viene da chiedersi come sia plausibile una situazione del genere, in cui un giornalista come Costanzo dopo i recenti flop televisivi, e gli scarsi risultati con la gestione del Parioli, possa mantenere la qualità che il Politema Brancaccio, teatro popolare per eccellenza, grazie a Proietti, aveva raggiunto. In sei anni Proietti con un lavoro egregio, ha fatto del Brancaccio prima e del Brancaccino poi, un vero è proprio successo, e un punto di riferimento per tutta Roma, il teatro popolare per eccellenza, ed è assurdo ora che si verifichi una situazione del genere! Proietti ha aggiunto: «Ci tengo a dire che nessuno si azzardi a affermare che c'è responsabilità del sindaco. Il sindaco è quello che insiste più di tutti perché io resti al Brancaccio e vuole che si faccia di tutto perché io ci resti, perché sennò qui strumentalizziamo politicamente pure i cessi pubblici. Che nessuno mi tocchi il Sindaco. È una dichiarazione di voto, quasi, la mia». Direttore artistico del Brancaccio fino a fine luglio, Proietti aveva già preparato il prossimo cartellone: «La stagione mi è stata scippata. Per quanto mi riguarda, non potrò far altro che avvertire le compagnie che il cartellone 2007-2008 non mi riguarda piu». Intanto è giunta nella tarda serata di mercoledì 18 una mail dal Politeama Brancacci, che qui riporto di seguito: Il personale del Teatro Brancaccio di Roma, si affida a tutti gli affezionati spettatori, abbonati e romani per sostenere e caldeggiare la prosecuzione artistica di Gigi Proietti presso il teatro. Inviate e-mail e lettere firmate ( firmate altrimenti non hanno valore) al seguente indirizzo:
Teatro Politeama Brancaccio Via Merulana, 244 00185 Roma
Stampa@teatrobrancaccio.net
Promozione@teatrobrancaccio.net
Grazie
Il personale del Teatro brancaccio
Maria Antonietta Amenduni


15 Luglio 2007

“Lo stato d’assedio” secondo Giampiero Cicciò

Il Festival Taormina Arte presenta, in prima nazionale, lo spettacolo “Lo stato d’assedio”; libera elaborazione dall’opera di Albert Camus, di Giampiero Cicciò e Marco Carroccio. Regia di Giampiero Cicciò.

Tragico e grottesco allo stesso tempo. E’ “Lo stato d’assedio” Albert Camus. Protagonisti sono la peste, la sua segretaria ed una coppia di innamorati. Il contagio svela la natura di ciascun personaggio: i coraggiosi diventano vigliacchi ed i deboli di cuore dimostrano una forza inaspettata. L’amore diviene una forma di ribellione che da forza. Ad una prima lettur di questo testo, viene fuori tutto il lavorìo della mente dell’autore, fedele fino in fondo alla sua idea di libertà, sino alla sua delicata ma ferma apologia di un possibile suicidio finale. Eppure nonostante la durezza del tema ci troviamo di fronte ad una preziosa e fragile icona, colorata di palpiti che sembrano non esistere più. Sullo sfondo della guerra e del totalitarismo, personaggi semplici, quotidiani, umanamente difettosi, mediocri, paurosi, si muovono sempre e comunque “imbavagliati”, in balia dello Stato, della Chiesa, del censo, del vento: della Peste. La ricerca di un perché appartiene a pochi, reietti dalla società per gli interrogativi che pongono e le soluzioni che danno, pericolosi per la gioia e la disperazione su cui hanno imperniato con forza tutta la loro esistenza. Un testo sicuramente difficile, ma per chi conosce Giampiero Cicciò, non v’è dubbio che la sfida si fa interessante. Il regista infatti, insieme a Marco Carroccio, propone una sua libera elaborazione dell’opera, per la traduzione di Cesare Vico Ludovici e la regia dello stesso Giampiero Cicciò. Lo spettacolo sarà in cena presso il Palazzo dei Congressi di Taormina, il 22 luglio, alle 21,30. In scena: Giovanni Moschella, Maurizio Marchetti, Angelo Campolo, Antonio Fermi, Marilena Vinci e Oreste De Pasquale. Ecco come Giampiero Ciccio racconta lo spettacolo: “Ho letto “Lo stato d’Assedio” di Albert Camus molti anni fa, mentre ero allievo della Bottega Teatrale di Firenze. Ero lontano dalla mia città, Messina, e lontano dal mio mare. Lontano da una città che mi stava stretta e lontano da quel dono che lo stesso mi ha sempre fatto amare Messina: la vista del mare. In questo testo di Camus, su tutto domina il mare. Un mare che si oppone alle numerose prigioni che il mondo o gli uomini preparano all’uomo. Un Mediterraneo di incombente antichità che ci racconta la Storia, che è un invito a correre incontro al vento, al sale, per non infettare la futura Storia. E la collera di questo mare è la nostra e nostro è il desiderio profondo di una terra senza muraglie e senza porte. Così è il mare. Ma siamo fatti al tempo stesso di azzurro e di abissi, di cielo e di malattie. E il mondo che invecchia può solo sognare onde cullanti, spiagge vergini in cui la sabbia ha la freschezza di labbra giovani. In Camus c’è anche questo dolore: la consapevolezza che il germe della Peste non morirà mai malgrado spesso l’uomo tenti di guarire. La Peste, la Dittatura, il Potere degli uomini che schiaccia altri uomini, sono mostri che cambiano faccia, che si imbellettano per camuffarsi e aprono le loro dentature orribili in sorrisi accattivanti e simpatici. Camus ci dice che bisogna comunque brandire la spada: lottare con amore e con la fiducia nella libertà. Il teatro è anche questo. E’ divertimento e rivolta, bellezza e specchio delle nostre brutture, buio e luce delle nostre città”.
Maria Antonietta Amenduni


15 Luglio 2007

Il Giulio Cesare rivive nei luoghi in cui grandi drammaturghi li hanno immaginati.

L’undicesima edizione de “I passaggi segreti”, propone il “Giulio Cesare” di Shakespeare, in scena tra i due Fori di Cesare e Augusto. I luoghi non sono scenografie, ma concrete parti di un dialogo.

Quale ambientazione migliore se non quella dei fori imperiali per il Giulio Cesare di Shakespeare! L’opportuntà la offre l’undicesima edizione de “I Passaggi segreti”. Dall'8 luglio e fino al 5 agosto infatti, un esperimento completamente nuovo vedrà protagonisti i due Fori di Cesare e Augusto, con un allestimento che spezza la consuetudine e si lancia nell’innovazione. Un nuovo spettacolo dunque, la messinscena di una sola grande opera, e una nuova sfida: vedere agire personaggi famosi della storia del teatro, nei luoghi in cui grandi drammaturghi li hanno immaginati. Si comincia con una figura indimenticabile, delineata magistralmente da uno dei più grandi autori della storia: il Giulio Cesare di William Shakespeare. A differenza degli altri personaggi a cui l'opera è intitolata, Giulio Cesare non è il protagonista dell'azione. Egli appare infatti solo in tre scene e muore all'inizio del terzo atto. Il protagonista è invece Bruto, e il dramma è costituito dal suo conflitto psicologico tra l'onore, il patriottismo e l'amicizia. La scena dell'assassinio di Giulio Cesare è forse la parte più conosciuta della tragedia, insieme al discorso di Marco Antonio. Dopo aver ignorato l'avvertimento dell'indovino e le premonizioni della moglie, Cesare viene assassinato durante una riunione del Senato. Il primo a colpirlo è Casca, l'ultimo è Bruto. Alle famose parole di Cesare "Et tu Brute?" Shakespeare aggiunge "Allora cadi, o Cesare!", suggerendo così che Cesare si rifiuta di sopravvivere ad un tale tradimento da parte di una persona in cui egli aveva riposto la sua fiducia. Un'opera apparentemente lineare, semplice, senza "sorprese". In realtà una tragedia che si muove inquieta, misteriosa, imprendibile. Uno di quei capolavori misteriosi del grande bardo inglese, formato, sembra, da due distinte "opere interne" con due protagonisti diversi: i primi atti dedicati a Cesare, gli ultimi due a Bruto. Come a dire che il vero protagonista non è un uomo, ma un concetto: il rapporto tra potere e libertà. L'idea interpretativa che sottende alla scelta del Foro di Cesare e del Foro di Augusto è che i luoghi non sono scenografie, ma concrete parti di un dialogo che si intreccia con quello dei personaggi. Sarà quindi il pubblico a muoversi e non la scena a cambiare, e sarà sempre il pubblico a scoprire la prospettiva giusta dalla quale osservare una certa azione del dramma, perché l’oggetto architettonico che la sosterrà ne narrerà anche un più profondo significato. Allora Cesare può agire dall’alto del suo Tempio di Venere, visto che l'imperatore stesso si proclamava discendente della Dea; oppure Bruto, vinto dall'esercito di Ottaviano, può morire sulla scala del Tempio di Marte Ultore, che Ottaviano stesso fece costruire per ricordare Cesare da lui vendicato. E il classico intervallo si trasformerà in un una passeggiata culturale che porterà il pubblico dal Foro di Cesare a quello di Augusto. Il teatro diventa una evento speciale, le regole si ribaltano: il pubblico si muove e non la scena; lo spettatore scopre la sua personale prospettiva dalla quale osservare l'azione; ogni oggetto visivo è costretto a mostrare il suo significato più profondo. Si ripropone nella sua massima espressione quella emozione che il pubblico di Passaggi segreti® ha sempre vissuto e cioè il poter vedere vive quelle pietre che spesso sembrano solo inerti, misteriosi manufatti umani.
In scena fino al 5 agosto. Botteghino del Teatro de’ Servi, Via del Mortaro, 22 Tel. 06.6795130
Orario Botteghino: dal martedì al sabato: 11.00 - 19.00 - domenica: 16.00 - 19.00; lunedì riposo
Gruppi e Cral: Giorgia Ferrarese, Tel. 06.69923068 - Fax 06.69789697, prenotazioni@teatroservi.it
Vendita on line: www.passaggisegreti.it - http://www.teatroservi.it
Maria Antonietta Amenduni


15 Luglio 2007

In una cornice pittoresca, teatro e musica si alternano al Malborghetto Roma Festival 2007.

Da “La vedova scaltra”, con Gianni Cannavacciolo, a “Quando eravamo…da sola”, di Anna Mazzamauro, fino a “La Casina” di Plauto, sono alcune delle proposte dell’edizione di quest’anno.

Spettacolo e atmosfera, si fondono al “Malborghetto Roma Festival 2007”, che si svolgerà dal 16 al 25 luglio nell’omonimo parco archeologico sulla via Flaminia al km 19,90. Alla sua seconda edizione la rassegna, ideata e diretta da Guido Mazzella, si è già conquistata un suo spazio nel panorama delle manifestazioni di rilievo rivolte al pubblico di Roma e dintorni. Il festival nasce con l’intento di valorizzare e far conoscere un sito di particolare interesse storico e di grande fascino archeologico, alle porte di Roma, su una delle maggiori strade consolari, la Flaminia: Malborghetto appunto. E’ da qui che si scontrarono, sino a Ponte Milvio, nel 300 d.C., gli eserciti di Massenzio e Costantino. E’ qui che Costantino ebbe la miracolosa visione che determinò la sua vittoria e il trionfo del Cristianesimo. A ricordo di quella vittoria fu eretto, sempre nel IV secolo d.C., un Arco di Trionfo quadrifronte, trasformato poi, nel Medioevo, in un casale fortificato e circondato da un borgo chiamato “Malborghetto”. Ed in questa suggestiva e fascinosa cornice, si possono accogliere finoa a 420 presenze. Belle proposte, alcune impegnate e raffinate, altre volte a trascorrere una serata allegra e divertente. Il “Malborghetto Roma Festival” propone, quest’anno, sette appuntamenti, con tre anteprime su Roma. Spettacoli diretti da nomi storici del teatro che saranno nei piu’ importanti teatri della capitale nella stagione invernale: Gabriele Lavia, ha inaugurato la rassegna il 16 luglio con la regia di “Molto rumore per nulla”, con Pietro Biondi e Lorenzo Lavia. Il 21 luglio, direttamente dalla Biennale di Venezia Lina Wertmüller sarà presente con la regia di “La vedova scaltra”, con Gianni Cannavacciolo e Raffaella Azim, scene e costumi di Enrico Job. La terza anteprima è “Quando eravamo…da sola”, lo spettacolo di Anna Mazzamauro, che chiude il festival il 25 luglio. Una novità di questa edizione: una serata dedicata alla musica con i ritmi cosmopoliti degli Acustimantico il 18 luglio. il 24 luglio “La Casina” di Plauto, con Virginio Gazzolo e Adriana Russo per la regia di Renato Giordano. Il 23 luglio, infine, “Icaro Scalzo” è l’allestimento teatrale del testo di Marcello Ienca, 1° classificato al “Premio Michele Mazzella per una drammaturgia giovane 2006”, realizzato in collaborazione con A.C. Teatro Giovane, per la regia di Antonio Mastellone. “Obiettivo del Festival –dice il Direttore artistico Guido Mazzella- è quello di valorizzare un sito archeologico di grande fascino come il Malborghetto, con eventi teatrali di risonanza nazionale”. “Un’occasione ricca di interesse che consentirà di avvicinare il teatro d’autore ai cittadini della nostra regione –dice Piero Marrazzo, Presidente della Regione, principale sponsor dell’iniziativa- Credo infatti che la promozione e la diffusione della cultura rappresenti uno degli obiettivi principali che deve porsi un’istituzione. Contribuendo all’organizzazione di questo evento abbiamo quindi assolto ad un compito chiave. La splendida cornice di Malborghetto e la qualità degli attori e dei registi faranno il resto”. Prima dello spettacolo, per tutta la durata del Festival, sarà visitabile la mostra “Malborghetto, continuità di un segno” organizzata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, con la collaborazione di Akropolis 2000 per divulgare e approfondire la conoscenza del luogo. L’ingresso è gratuito per tutti gli spettacoli. All’ingresso sarà chiesto un contributo minimo di 1 euro per finanziare l’attività di volontariato dell’associazione “Il Girasole” per il Reparto Oncologico Pediatrico dell’ Ospedale Bambino Gesù di Roma.
Maria Antonietta Amenduni


9 Luglio 2007

Grandi Nomi per la stagione 2007-2008 del Teatro Sistina.

Mariangela Melato, Maurizio Micheli e Barbara D’Urso, Loretta Goggi, Johnny Dorelli, Vanessa Incontrada, Giorgio Panariello, sono solo alcuni dei nomi in cartellone al teatro di Via Sistina.

In questa nuova stagione il Teatro Sistina, ed i suoi nuovi direttori artistici Enzo Garinei e Gianmario Longoni, hanno preparato un cartellone che presenta 7 spettacoli in abbonamento e 6 fuori abbonamento. Filo conduttore in questi titoli e come da sempre al Teatro Sistina, sono i grandi nomi che segnano o un felice ritorno, o sono una presenza affezionata costante. Ad aprire la stagione arriva “Peter Pan”, il musical dedicato al “bambino che vola” che, grazie anche alle intramontabili musiche di Edoardo Bennato, è in grado di far sognare ad occhi aperti grandi e bambini. Lo spettacolo ritorna a roma dopo il successo dello scorso anno al Teatro Brancaccio. Debutta poi Mariangela Melato che con il suo “one woman show” ritorna al Sistina dopo il felice debutto con Proietti e Rascel in “Alleluja Brava Gente” del 1974. “Sola me ne vo’” è uno spettacolo teatrale che propone Mariangela Melato in una veste insolita: insolita ma apprezzatissima dal pubblico che nella passata stagione l’ha fatto diventare uno degli spettacoli record per incassi , affluenza e gradimento. E’ un po’ una piccola avventura teatrale della vita di Mariangela Melato. E’ una parte della Melato. E’ un’occasione per vederla in scena senza “maschera”. Sarebbe meglio dire con una “maschera” diversa, che le assomiglia. L’idea e il tema dello spettacolo sono lei, la sua sensibilità, i suoi ricordi, la sua immaginazione, la sua ironia e una grande voglia di giocare con sé stessa. A seguire Maurizio Micheli e Barbara D’Urso e la regia di Gino Landi riportano la grande commedia presentando l’esilarante testo “Il letto ovale” di Ray Cooney e John Chapman. La storia: a Milano, in appartamento appena ristrutturato sopra gli uffici della casa editrice di Filippo ed Enrico, si ritrovano, un venerdì sera, i due soci con le loro mogli, un eccentrico arredatore, una ragazza alla pari disinibita, una centralinista del Grand Hotel, un esperto d’arti marziali e una scrittrice bizzarra. La mancanza di segnale dei telefoni cellulari creerà una serie di imbarazzanti equivoci. Giovanna, moglie fedele di Filippo, si troverà al centro di un intreccio di tradimenti di cui diverrà l’inconsapevole vittima. Ma a tanta frenesia, eccitazione e follia, in una serie di esilaranti colpi di scena, seguirà la resa dei conti finale dove, come in ogni commedia che si rispetti, trionferà la verità… A gennaio arriva Loretta Goggi, protagonista di uno spettacolo ideato e creato appositamente per lei: “Se stasera sono qui…”. Subito dopo Johnny Dorelli torna, questa volta affiancato da Maria Laura Baccarini, in uno spettacolo dedicato al grande Cole Porter: “Night and Day”. A maggio invece il programma presenta due giovani beniamini del nostro pubblico impegnati in un omaggio a Garinei e Giovannini: Chiara Noschese – chi non la ricorda nel recente “Aggiungi un posto a tavola” – e Christian Ginepro – irresistibile maestro delle cerimonie in “Cabaret” – protagonisti della commedia musicale “Il giorno della Tartaruga” proprio di G&G. A chiudere il programma degli abbonamenti una affascinante e sorprendente Vanessa Incontrada nel musical “Alta Società”. Completano il programma appuntamenti attesissimi: Giorgio Panariello con il suo nuovo spettacolo, Lucio Dalla con le sue intramontabili canzoni, Julio Bocca con il suo spettacolo d’addio, Massimo Ranieri con il suo nuovissimo show e i ritorni a Roma– si direbbe a grande richiesta visto il successo della passata stagione – di Arturo Brachetti e Christian De Sica. Completano il cartellone gli spettacoli per le scuole ovvero il Geronimo Stilton Super Show e i musical delle 10,30 della Compagnia delle Stelle Inoltre quest’anno, per festeggiare i 60 anni del Palazzo Sistina, chi si abbona risparmia 2 volte: la prima con il 10% di sconto sull’abbonamento e il secondo sugli spettacoli fuori abbonamento con il 20% di sconto sul prezzo del biglietto
Maria Antonietta Amenduni


9 Luglio 2007

Al Teatro Olimpico di Roma, un cartellone ricco di musica e musical!

Si inizia con “Tre metri sopra il cielo”, passando per "Scooby-Doo live on stage", e “Grease”, si conclude in bellezza con "Semo o nun semo", per la regia di Nicola Piovani.

Una stagione che segue un solo filo conduttore: Tanta musica e musical. E’ la stagione del Teatro Olimpico di Roma. Si parte il 9 ottobe con “Tre metri sopra il cielo” con Massimiliano Varrese e Martina Ciabatti Dopo il grande successo del romanzo di Federico Moccia e del film di Lucini, non potevano farcelo mancare anche in teatro. Una storia che parla d’amore, l’amore universale e senza tempo. Una candida neve natalizia cade leggera e come un mantello si posa sulla città. La magica atmosfera notturna viene interrotta dal rumore delle moto di ragazzi che irrompono sul palcoscenico. Tra loro, lui: capelli corti, giubbotto scuro, colletto tirato su, occhiali da sole e aria da duro. E' STEP, che in una mattina di un giorno mai finito ripercorre i momenti felici trascorsi insieme a lei, Babi. Un flashback ci riporta a quel giorno... Uno come tanti altri, se non si fossero incontrati. Ma proprio quel giorno il destino aveva riservato una sorpresa per loro due, così diversi. Lei, Babi, è una ragazza di buona famiglia, che frequenta il miglior liceo della città e che fino a quel giorno è sempre stata la figlia impeccabile che tutti i genitori avrebbero voluto avere. Lui, Step, appartiene al mondo della strada, delle corse. Un mondo fatto di istinti, di forza, di violenza, il cui motto potrebbe essere "sopravvivere ogni giorno". Questi due mondi, apparentemente così inconciliabili, sono destinati a unirsi, grazie all'inconsapevole complicità dei rispettivi migliori amici, Pollo e Pallina. Da qui qualcosa succede. E poi dal 12 novembre, ancora amore, ma questa volta c’è da ridere con “Ti amo o qualcosa del genere”, con Diego Ruiz, Fiona Bettanini, Walter Nanni, Francesca Nunzi., di Diego Ruiz Un divertito Antonio Giuliani firma la regia di questo spettacolo in cui Diego Ruiz, Fiona Bettanini, Francesca Nunzi e Walter Nanni danno vita a una girandola di equivoci e di fraintendimenti impossibili creando un groviglio inestricabile di bugie e mezze verità. Tra mille risate, situazioni imbarazzanti e gags esilaranti, tutti I nodi verranno al pettine e sarà l’amore a trionfare su tutto… o forse no? Poi tocca a Cinzia Leone con "Poche idee ma.... molto confuse" dal 26 novembre Dal 3 dicembre, è la volta di un ritorno con "La febbre del sabato sera" per la regia di Massimo Romeo Piparo Ancora un musical ma questa volta con un amico dei più piccoli: dal 20 dicembre è di scena "Scooby-Doo live on stage". Dopo il successo ottenuto in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove lo spettacolo ha registrato sempre il tutto esaurito "Scooby-Doo in Live on Stage" arriva anche in Italia. "Scooby-Doo live on stage" è uno spettacolo pensato per tutta la famiglia, che non mancherà di conquistare i grandi che hanno conosciuto Scooby-Doo durante la loro infanzia, e i più piccini, che guardano adesso Scooby-Doo e i suoi amici impegnati in nuove divertenti avventure, sempre pronti a smascherare "il cattivo di turno" e risolvere il mistero. Ancora un ritorno, ancora un musical con “Grease”, per le coreografie di Franco Miseria. Lo spettacolo sarà in scena nella stagione 2007-2008 con una versione completamente rinnovata nelle scene e nei costumi, nel cast e nella regia, affidata a Federico Bellone, 25 anni sulla carta d’identità e una passione per il musical da sempre, già collaboratore di Saverio Marconi in numerosi musical. Regia: Federico Bellone. In scena dal 22 gennaio 2008. Dal 12 febbraio 2008, è in scena "WHY", spettacolo che vede le coreografie di Daniel Ezralow. E dal 25 marzo, Pino Ingrosso, Donatella Pandimiglio, Tosca e Massimo Wertmuller, saranno i protagonisti di "Semo o nun semo", per la regia di Nicola Piovani "Semo o nun semo" e’ il titolo di una canzone di Romolo Balzani ed e’ il titolo che abbiamo scelto per questa nostra serata di canzoni classiche romane – afferma Nicola Piovani - E’ noto che la storia della canzone romana e’ una storia minore rispetto a grandi tradizioni come quella napoletana, la cui araldica fa impallidire qualunque concorrenza, italiana e europea. Eppure anche Roma ci ha lasciato qualche serenata, qualche stornello, qualche saltarello che meritano di essere ricordati. Così abbiamo pensato di riunire in una serata alcuni dei pezzi piu’ pregiati che ancora oggi ci appaiono come i canti di Roma piu’ emozionanti, gli stornelli piu’ profumati, insomma "i meglio fichi del bigoncio". Le abbiamo rispolverate, lucidate e infiocchettate per presentarle in un concertino festoso, col vestito, col colore, con l’arrangiamento che possa di piu’ rendere il loro sapore originale. Tre cantanti, un attore, un piccolo ensemble strumentale, e buon divertimento a tutti”.
Maria Antonietta Amenduni


2 Luglio 2007

Al Silvano Toti Globe Theatre si scatena “La Tempesta”

Una stagione tutta all’insegna di William Shakespeare, vede il debutto del primo spettacolo in cartellone: “La Tempesta”. Traduzione ed elaborazione Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale

E’ ormai convenzionalmente considerata la penultima opera shakespeariana , ma La tempesta, in scena al Silvano Toti Globe Theatre di Villa Borghese, dal 4 al 15 luglio, e' probabimente la piu' importante delle sue commedie,in cui viene sintetizzato tutto il pensiero di William Shakespeare e la gran parte dei temi su cui si regge il suo teatro. Lo spettacolo in questione si avvale della traduzione di Andrea Camilleri e Giuseppe Di pasquale, quest’ultimo anche regista. Questa è l'unica opera di Shakespeare in cui sono rispettate quasi sempre le unità di tempo, di luogo e d'azione del dramma classico. L'unità di luogo è conseguita ambientando le vicende su un'isola remota. L'unità di tempo è ottenuta facendo svolgere tutte le azioni nello spazio di poche e ben precise ore. L'unità d'azione, in effetti, non è propriamente conseguita. Il motivo per cui Shakespeare rispettò le unità ne La tempesta non è noto. Nella maggior parte delle sue opere, gli eventi accadono in diversi giorni ed i personaggi si muovono in vari luoghi. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che, dato il contenuto fantastico de La tempesta, Shakespeare possa aver voluto rispettare le unità per aiutare il pubblico a superare la sua incredulità. Altri hanno evidenziato le critiche che Shakespeare ricevette perché non rispettava le unità. Un'opinione diffusa tra i critici italiani è che il rispetto delle unità sia stato voluto dall'autore per sottolineare maggiormente il tema del meta-teatro (sotteso a tutta la sua opera). Infatti, all'inizio della commedia viene sottolineato che sull'isola sono le 2 di pomeriggio: è la stessa ora a cui si tengono le rappresentazioni teatrali in quell'epoca. È come se si volesse far assistere il pubblico a delle vicende in tempo reale. Qualche critico è arrivato ad affermare che il soggetto de La tempesta è la messa in scena di una commedia intitolata La tempesta, enfatizzando l'aspetto del teatro sul teatro che è certamente presente in quest'opera. Il racconto della commedia inizia quando gran parte degli eventi sono già accaduti. Il mago Prospero, legittimo Duca di Milano, e sua figlia Miranda, sono stati esiliati per circa dodici anni in un'isola (forse dell'Adriatico, o in Francia), dopo che il geloso fratello di Prospero, Antonio — aiutato dal re di Napoli — lo aveva deposto e fatto allontanare con la figlia di tre anni. In possesso di arti magiche dovute alla sua grande conoscenza e alla sua prodigiosa biblioteca, Prospero è servito controvoglia da uno spirito, Ariel, che egli ha liberato dall'albero dentro il quale era intrappolato. Ariel vi era stato imprigionato dalla strega africana Sycorax, esiliata nell'isola anni prima e morta prima dell'arrivo di Prospero. Il figlio della strega, Calibano, un mostro deforme, è l' unico abitante mortale dell'isola all'arrivo di Prospero. Provocato dalla avvenenza di Miranda, le propone di unirsi con lui per creare una nuova razza che popoli l'isola. A questo punto inizia la commedia… La tempesta è una delle poche opere di Shakespeare per le quali non si conosce nessuna fonte per il complesso della narrazione. Alcune parole e immagini nella commedia sembrano derivare da un vero rapporto di William Strachey su un reale naufragio nel 1609 sulle isole Bermuda di marinai che stavano viaggiando verso la Virginia. La Tempesta e i suoi personaggi suggeriscono un percorso scenico che si snoda nel labirinto estremo dell’immaginazione, lasciandosi cullare dalla necessità di alludere, indicare, plasmare e far risuonare memorie e realtà apparentemente sconosciute. Il gioco scenico e quello dell’anima, procedono legati dal filo invisibile dell’alchimia teatrale. Ma La Tempesta non è soltanto un gioco scenico. E' anche e soprattutto un percorso spirituale, un messaggio poetico dai contorni ben delineati. Silvano Toti Globe Theatre, Roma, Largo Aqua Felix (Piazza di Siena), Villa Borghese. Per informazioni +39 06 82059127 (tutti i giorni dalle ore 9.00 alle ore 19.30) www.globetheatreroma.com Tutte le domeniche continua l’iniziativa “i fidanzati di Villa Borghese”. I “fidanzati” di tutte le età avranno diritto a una riduzione sul biglietto di ingresso (escluso posti in piedi). Il mercoledì per gli over 65, il venerdì per i ragazzi al di sotto dei 25 anni speciale promozione “biglietto 2x1” (escluso posti in piedi)
Maria Antonietta Amenduni


25 Giugno 2007

Presentata la stagione del Silvano Toti Globe Theatre di Villa Borghese.

Una stagione “Coraggiosa e sfacciata”, come la definisce lo stesso Gigi Proietti, che accompagnerà l’estate di Roma dal 26 giugno al 23 settembre 2007.

“Ci vuole coraggio e sfacciataggine, come facciamo noi con Shakespeare, ma fino ad ora ci siamo riusciti”. E’ quanto affermato da Gigi Proietti, in una accaldata conferenza stampa, a Villa Borghese, per la presentazione della nuova stagione teatrale del Silvano Toti Globe Theatre, il teatro elisabettiano nato nel 2003 da un’intuizione di Gigi Proietti - che anche quest’anno cura la direzione artistica - grazie alla generosità della Fondazione Silvano Toti e all’impegno dell’Amministrazione comunale. Dopo il successo della scorsa stagione che ha visto oltre 32.000 spettatori, si Riparte dal 26 giugno al 23 settembre 2007 farà rivivere nel cuore di Villa Borghese il teatro shakespeariano portato in scena soprattutto da giovani compagnie e attori emergenti, confermando così la sua vocazione a sperimentare nuovi talenti. Proietti ha presentatao tutti gli spettacolo, sottolineando la massiccia presenza di Loredana Scaramella come regista, la bella novità di “Sogno di una notte di mezza estate” di Riccardo Cavallo, e la bella traduzione di Masolino D’Amico per il “Giulio Cesare”, “una traduzione – afferma Proietti – in cui si capisce tutto”! A dare il via alla ricca stagione 2007 sarà, dal 26 giugno al 1° luglio “Molto rumore per Nulla” di William Shakespeare con la regia di Loredana Scaramella. Uno spettacolo che ritorna in scena al Globe dopo il successo dello scorso anno confermando lo stesso cast, la stessa verve degli interpreti, la stessa possibilità di ballare al ritmo della pizzica. Dal 4 al 15 luglio sarà riproposto un altro successo dello scorso anno “La Tempesta” di Shakespeare con la regia di Giuseppe Dipasquale. Traduzione ed elaborazione Andrea Camilleri e Giuseppe Di Pasquale. Un’opera che, affrontando il tema dell’illusione e del sogno, mostra come l’essere umano viva e agisca sotto l’influsso di due realtà parallele: la vita reale e quella di un universo misterioso, a volte più vero del reale. Dal 21 luglio al 5 agosto il Globe Theatre ospita un altro grande classico shakespeariano “Sogno di una notte di mezza estate” nella versione scenica di Riccardo Cavallo. Traduzione di Simonetta Traversetti. Una commedia in cui si contrappongono tre mondi: quello della realtà (dove vivono Teseo, Ippolita e la corte), quello del teatro (dove gli artigiani si preparano alla rappresentazione) e quello della fantasia. Un mondo onirico e stregato in cui domina il capriccio, il dispotismo e la follia dell’amore. Dal 7 al 19 agosto è la volta di una tragedia a lieto fine, “Racconto d’inverno” con la regia di Francesco Manetti. Traduzione di Augusto Lombardo. Un’opera scritta da uno Shakespeare maturo che tra viaggi in mare, salti temporali, statue che prendono vita, ci conduce all’interno di questa grande favola con sguardo compassionevole e privo di giudizio. Una rappresentazione sulla gelosia, sull’errore e sul tempo che mette tutti alla prova e che ha il potere di ridare un senso agli eventi di una intera vita. Una grande tragedia shakespeariana sull’ossessione del potere sarà invece rappresentata dal 25 agosto al 6 settembre. Nel “Giulio Cesare”, portato in scena al Globe da Daniele Salvo, Shakespeare racconta il dramma vissuto da Bruto, diviso tra onore, patriottismo e amicizia prendendo in esame un aspetto atualissimo del potere: il controllo del linguaggio. Traduzione di Masolino D’Amico. La stagione estiva del Silvano Toti Globe Theatre chiude con una grande favola, “Come vi piace” per la regia di Loredana Scaramella in scena dall’11 al 23 settembre. Onestà e tradimeno,amore e odio, città e campagna, guerra e pace. Il testo si presenta come una grande sinfonia degli opposti in cui ci si dispera, si fugge, ci si innamora, ci si traveste, si gioca e si recita la vita in un luogo finalmente protetto, la Foresta di Arden, un bosco capace di rispecchiare le emozioni degli uomini. Traduzione e riduzione Loredana Scaramella e Mauro Santopietro. Il teatro elisabettiano di Villa Borghese, con la sua scena fissa ed i suoi spazi essenziali, riaccende quindi i riflettori sul suo protagonista incontrastato: uno Shakespeare riconsegnato al pubblico nella sua integrità di trama, linguaggio e ambientazione.
Maria Antonietta Amenduni


25 Giugno 2007

Appuntamento a Villa Sciarpa con “So tutto sulle donne….20 anni dopo…..”.

Marco Falaguasta, in pausa dalla televisione, torna alla sua grande passione: il palcoscenico. Presenta con la sua compagnia “Bona la prima” la nuova e divertente commedia “So tutto sulle donne….20 anni dopo…..”

Un appuntamento che si rinnova, in questa calda estate romena, a Villa Sciarra. Inizia il 7 luglio, “Roma che ride”, pronta ad accogliere tutti coloro che intendono trascorrere serate, all’insegna dell’allegria, del divertimento, della fantasia. Marco Falaguasta, in pausa dalla televisione (è Michele Raggi in “Centovetrine”-Mediaset, e coprotagonista in “la Terza Verità”, film-tv in onda su Rai Uno a novembre, per la regia di Stefano Reali) torna alla sua grande passione: il palcoscenico. Presenta con la sua compagnia “Bona la prima” la nuova e divertente commedia “So tutto sulle donne….20 anni dopo…..” con: Piero Scornavacchi - Marco Fiorini, Vanessa Fulvio, Danilo De Santis, Vasco Montez. Ci racconta una storia d’amore, di amicizia, di piccole e grandi verità dove ognuno di noi può riconoscersi. Piero, a quattro mesi dal matrimonio, viene lasciato dalla sua fidanzata storica. Una sera d’estate si ritrova con i suoi tre amici a parlare di donne: questo mondo intricato, particolare, così difficile da comprendere… E man mano che la conversazione cresce, escono fuori le paure, le vere “finte” certezze, le gioie, le difficoltà, i ricordi che ogni rapporto presenta. L’alba si avvicina, la luce del giorno fa capolino: i nostri quattro fantastici “eroi” avranno le idee più chiare su questo “microcosmo” femminile? Ecco come Marco Falaguasta racconta il suo spettacolo: “Sedici anni fa iniziava quella che poi sarebbe stata l’entusiasmante avventura di “Bona la prima”, la mia compagnia e iniziava proprio con “So tutto sulle donne” la mia prima commedia. Il titolo raccontava tre ragazzi, allora ventenni, che trascorrevano un intero pomeriggio a dibattere, a confrontarsi a fantasticare sul loro argomento preferito: le donne! All’esito della storia emergeva chiaramente che come ogni uomo di donne ne sapeva pochissimo, per non dire niente. Ho voluto scrivere il sequel di quella storia che tanta fortuna ci ha portato per provare a vedere se dopo tutti questi anni il risultato in termini di conoscenza delle donne sarebbe cambiato. Per dare a tutta la storia un ulteriore sapore di verità, per portare sul palco le nostre autentiche paure, insicurezze e anche le nostre goffe esperienze di uomini, per dare continuità ho deciso di chiamare i personaggi con i nomi reali degli attori, come accadeva nella prima edizione. Piero sta vivendo un delicato momento sentimentale, meglio un vero e proprio problema che non lo fa pensare ad altro, la sua testa è sempre li a quella lei che non lo fa stare un attimo tranquillo. Marco, Fiorini e Danilo, i suoi amici, trascorrono la nottata insieme a lui a consigliarlo a incoraggiarlo, a sostenerlo. Ma la nottata è anche un’occasione per confrontare le reciproche esperienze, le gioie e le sconfitte che il gentil sesso ha rappresentato o rappresenta per ognuno di loro, per parlare di coppie di fatto, coppie aperte, eterosessuali, omosessuali e tutte le altre esasperate definizioni figlie dei nostri tempi che non fanno altro che aumentare la confusione! Alla fine arrivano ad una conclusione della quale sembrano convintissimi: “ … se quando nasci, sei previsto come accoppiato, allora prima o poi la tua anima gemella la trovi, se invece sei spaiato … “ “E noi siamo spaiati secondo te?” “ Spaiatissimi!” … quindi non rimane che prenderne atto e rassegnarsi, aiuta anche a soffrire di meno … Ma poi quando meno te lo aspetti la vita ci dimostra che senza l’emozione dell’amore, della conquista, non sappiamo proprio stare! Per noi questa commedia è stata una piacevole ed esilarante occasione per ritornare indietro nel tempo alla nostra leggerezza giovanile, per voi tutti spero sia l’occasione per trascorrere una divertente serata … tra amici! Villa Sciarra, dal 7 luglio al 19 agosto.
Maria Antonietta Amenduni


25 Giugno 2007

Al via anche quest’anno, l’appuntamento estivo con la Pirandelliana 2007.

In scena, nella bella cornice del Giardino della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino, un doppio appuntamento con il teatro di Pirandello: “Sei personaggi in cerca d’autore”, e “I giganti della montagna”.

Ritorna anche quest’anno l’ormai consueto appuntamento estivo con la Pirandelliana. Anche per questa stagione l’appuntamento è presso lo splendido Giardino della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino (Piazza Sant’Alessio 23, Roma) che dall’alto del colle Aventino si affaccia maestosamente su Roma, dal Gianicolo al Campidoglio. Qui gli amanti del teatro troveranno una cornice rara. Due sono gli appuntamenti con Pirandello, per la regia di Marcello Amici. Sei personaggi in cerca d’autore inaugura la rassegna di teatro il 5 luglio, I giganti della montagna debutta il 6 luglio. Così, a giorni alterni, fino al 5 agosto. Sono passati molti anni da quella sera del 10 maggio 1921 in cui quei Sei personaggi in cerca d’autore andarono in scena per la prima volta al Teatro Valle di Roma e, tuttavia, ancora oggi, a distanza di tanti anni, gli spettatori in ogni parte del mondo hanno un brivido quando quei sei fantasmi arrivano in palcoscenico e si verifica quel misterioso, stranissimo corto circuito tra la vita e il teatro. Come il Gabriel Conroy joiciano, con il suo viaggio per l’ovest, il gruppo di famiglia che arriva sul palcoscenico del malcapitato capocomico rifiuta la piatta quotidianità. I Sei hanno abbandonato la famiglia per rendere icastica sulla scena la loro estraneità esistenziale. La regia racconta una storia che supera il testo in cui le creature cessano di essere fissate immutabilmente nell’espressione del proprio sentimento fondamentale. Ne è nata una dissugata incisione dei personaggi che raccontano l’antefatto come persone, una scomposizione della maschera che ha creato fotogrammi intensi e vivi. I volti dei Sei sono stati segnati come quelli degli attori della Compagnia della Contessa che arriveranno di sera, alla fine della storia umana dell’Autore, nella decrepita villa di Cotrone. Così i personaggi, isolati all’interno di una panoramica e con la coscienza di essere tanti, rifiutano il ruolo di armonizzatori, di utili idioti, di volontari inventori di maschere ideologiche e morali, agiscono come comuni mortali, capaci anche di commettere azioni basse. I loro voli diventano icàri e fonte di dolore, si affacciano nel teatro, ma il teatro è incapace di trascrivere quel loro fièri. La Graffiti Art segna un confine inquietante, di qua le speciali maschere suggerite dall’uomo del Kaos, di là uno strappo nel cielo di carta. Non sono bozzetti di regia, esaltazioni illusorie, caratterizzazioni del testo; è lettura condotta per immagini: una realtà che nasce evocata, attratta, formata dalla stessa scena. Al «mito» dei Giganti della montagna, rimasto incompiuto, Pirandello aveva cominciato a pensare fin dall'estate 1928, rilasciando anticipazioni alla stampa sulla nuova opera; ma solo tra il 1931 e il 1932 ne pubblicò un atto con il titolo I Fantasmi. L'azione di questo «mito» dell'Arte si svolge in un «Tempo e luogo indeterminati: al limite fra la favola e la realtà». Il Mago Cotrone, «un omone barbuto, dalla bella faccia aperta, con occhioni ridenti splendenti sereni», con in capo «un vecchio fez da turco», dimissionario dal mondo, «per il fallimento della poesia della cristianità», si è assegnata una singolare missione filantropica, quella di fornire l'alimento dei sogni a sei «scalognati», ospiti della misteriosa villa detta «La Scalogna», posta «agli orli della vita», in un'isola abbacinata dal sole. In scena: Marcello Amici, Marco Vincenzetti, Elisabetta Cianchini, Mirella Martinelli, Umberto Quadraroli, Simone Mariani, Anna Varlese, Cristina Cubeddu, Marco Tonetti, Paola Tripodo, Giorgio Corcos, Gioia Cellentani, Fabio Biscozzo, Carlo Bari.
Maria Antonietta Amenduni


17 Giugno 2007

Il Teatro di Roma presenta la stagione 2007 – 2008 dell’Argentina

Albertazzi: “Al meglio, il teatro che si fa”. L’impegno produttivo dello Stabile capitolino: in cartellone 12 spettacoli, con 6 produzioni e coproduzioni l’intensità, la ricerca, la ricchezza, la diversità di grandi autori, registi, interpreti

Una combinazione tra i classici, la tradizione e la ricerca. E’ quello che viene fuori dal cartellone del Teatro Argentina di Roma, dal presidente e dal direttore del Teatro di Roma, Oberdan Forlenza e Giorgio Albertazzi, che così sintetizza: “al meglio, il teatro che si fa: “Dodici le proposte, con ben sei produzioni e coproduzioni del Teatro di Roma. “In tempi non facili per il teatro – commenta Albertazzi – ci vogliamo impegnare in questo ‘importante’ progetto produttivo che coinvolge alcuni tra gli artisti più significativi del teatro italiano, insieme con i registi e gli interpreti più affermati della nuova generazione. Produrre cultura è del resto il primo compito di uno Stabile pubblico”. Queste le sei produzioni e coproduzioni: “Tre sorelle” di Cechov per la regia di Massimo Castri (1-27 ottobre 2007, prima nazionale); un classico della drammaturgia moderna definito dal regista “il testo più bello e più duro di Cechov, che parla di noi a distanza di un secolo in maniera sorprendente”. “I giganti della montagna” il dramma più arcaico di Pirandello, regia Federico Tiezzi con Sandro Lombardi (3-25 novembre 2007, prima nazionale); l’atteso spettacolo-evento “Moby Dick” di Melville con la regia di Antonio Latella e Giorgio Albertazzi nel ruolo del capitano Achab (28 novembre-16 dicembre 2007); Un regime che condanna i libri al rogo è al centro di “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, per la regia di Luca Ronconi (15 febbraio-2 marzo 2008). E poi concluderà il 2007, a grande richiesta, uno spettacolo che ha “segnato” la scorsa stagione teatrale, riscuotendo un incondizionato successo di critica e di pubblico: “Le voci di dentro” di Eduardo, regia Francesco Rosi con la compagnia Luca De Filippo (26 dicembre 2007-6 gennaio 2008). Ancora un capolavoro della letteratura russa, “Memorie dal sottosuolo” (25-30 marzo 2008) di Dostoevskij, adattato, diretto e interpretato da Gabriele Lavia, che dà vita ad un personaggio spietato e patetico nello stesso tempo, a volte comico, grottesco o ridicolo. Questi gli altri sei spettacolo in cartellone. La stagione vede in scena una borghesia sull’orlo del declino è anche quella raccontata ne “Il Ventaglio” (9-27 gennaio 2008), uno dei testi più intriganti di Carlo Goldoni, per la regia di Luca Ronconi. Lo spettacolo, coprodotto dal Piccolo di Milano e dall’Odéon di Parigi, ha inaugurato la scorsa stagione le celebrazioni per il terzo centenario della nascita dell’autore veneziano. Anna Bonaiuto e Frédérique Loliée sono le affascinanti e opposte protagoniste di “Maria Stuart” (30 gennaio-10 febbraio 2007) di Schiller, il nuovo, atteso spettacolo di Andrea De Rosa prodotto dal Mercadante di Napoli, di cui inaugurerà la stagione il prossimo ottobre. Torna a dirigere attori italiani Eimuntas Nekrošius, che questa volta si cimenta con il capolavoro di Tolstoj, “Anna Karenina” (4-16 marzo 2008), in uno spettacolo coprodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione, Biondo Stabile di Palermo e Aldo Miguel Grompone. L’inferno coniugale di una coppia in crisi è al centro di “Danza di morte” (1-6 aprile 2008) di Strindberg, testo cardine del teatro del Novecento, per la regia di Marco Bernardi con Paolo Bonacelli (produzione Teatro Stabile di Bolzano). Eros Pagni è un memorabile Shylok ne “Il mercante di Venezia” (8-20 aprile 2008) di Shakespeare, per la regia di Luca De Fusco, che ambienta la vicenda in un’astratta Venezia trasfigurata in una città orientale, romantica e decadente a un tempo (coproduzione dello Stabile del Veneto). Concluderà la stagione “Chantecler” (6-18 maggio 2008), capolavoro in versi di Edmond Rostand, per la regia di Armando Pugliese, produzione Teatro Stabile di Catania: opera corale, festosa, i cui protagonisti sono tutti pennuti, che gioca con le rime, i ritmi, i bisticci linguistici, le musiche eseguite dal vivo.
Maria Antonietta Amenduni


17 Giugno 2007

Gli allievi dell’Accademia Silvio d’Amico, in scena…in Cucina!

Al Teatro Tor Bella Monaca, è di scena il saggio di diploma III anno di recitazione, dei diplomandi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Lo spettacolo “La Cucina” di Arnold Wesker, è diretto da Armando Pugliese.

Le promesse del teatro di domani. Gli allievi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, saranno in scena al Teatro Tor Bella Monaca, per il Saggio di diploma del III anno di recitazione dal 19 al 24 giugno ore 21, con lo spettacolo La Cucina di Arnold Wesker, regia di Armando Pugliese. “Per Shakespeare il mondo sarà stato un palcoscenico ma per me è una cucina, dove la gente va e viene senza potersi fermare il tempo necessario per comprendersi e dove amicizie, amori e odi si dimenticano con la stessa rapidità con cui nascono. La qualità del cibo non ha tanta importanza quanta ne ha la velocità con cui viene servito. Ognuno ha una sua mansione specifica. Noi possiamo fissare lo sguardo su una persona singola o su un gruppo di persone e osservarli nella loro individualità, ma il personale di cucina non lo fa mai. È preso dal suo lavoro.”(Wesker, La cucina, Introduzione e avvertenze per la messa in scena ). Arnold Wesker nato a Londra nel 1932 da una famiglia operaia e ebrea (il padre russo, la madre ungherese), ha esercitato vari mestieri - è stato militare e poi pasticcere - prima di giungere alla notorietà con la Trilogia Teatrale rappresentata al Royal Court (lo stesso teatro in cui fu rappresentato Ricorda con rabbia di Osborne), composta da: Brodo di pollo con orzo (Chicken Soup with Barley, 1958), Radici (Roots, 1958), Parlo di Jerusalem (I'm Talking About Jerusalem, 1960), parabola su una famiglia di ebrei immigrati che passa da un entusiastico comunismo al più rassegnato conformismo. La Trilogia complessivamente si basa sulle contraddizioni tra gli ideali di socialismo e le arretratezze sociali, e ha carattere semi-autobiografico. Wesker è poi passato a un atteggiamento meno velleitario, concretamente riformista, con La cucina (The Kitchen1961), dal carattere grottesco, in cui la cucina di un grande ristorante funge da universo. “The Kitchen in gran parte si ispira a una cucina in cui ho lavorato a Parigi, dove il locale aveva effettivamente quella forma e realmente i camerieri e le cameriere dovevano servire a quella velocità. Mi ricordo che il primo giorno di lavoro a Parigi quasi morivo perché c’era meno di un metro tra il banco da cui servivo i camerieri e le cameriere, e i forni in cui si tenevano in caldo i cibi preparati durante la mattinata… alla fine della giornata mi dissi: ‘Non posso tornarci, è impossibile, chi può lavorare in simili condizioni?’ Il sudore mi colava a rivoli. Ma ci si abitua, si prende il ritmo e The Kitchen è basata su quel ritmo…” (Wesker intervistato da Simon Trussler, 1966) “ Il ritmo che governa La cucina segna il tempo delle vicende che avvengono all’interno della cucina – afferma il regista Armando Pugliese - dà la misura, come un metronomo, ai rapporti che si sviluppano all’interno di questo avamposto dell’inferno che per Wesker, è semplicemente una metafora dell’esistenza. Ho trovato che questo testo fosse, più di qualunque classico, adatto ad essere rappresentato dai giovani allievi neo-diplomati dell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico. La loro energia, di neo-attori pronti ad affrontare i rischi e le sorprese di un mestiere tanto seducente quanto incerto, trova abbondantemente modo di essere espressa. Allo stesso modo i rapporti e il carattere dei personaggi, la loro giovane età, la loro condizione di convivenza coatta e precaria, trovano un corrispettivo poco rassicurante (ma ahimé molto concreto), nella realtà di oggi che non mi appare molto distante da quell’Inghilterra del ’61. Lì, giovani emigranti di varia provenienza, per lo più europea, cercavano disperatamente un risarcimento sociale ed economico alla fatalità di essere nati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Qui, in Italia come nel resto d’Europa, assistiamo a un fenomeno di identica natura che ci mette a confronto, che ci piaccia o no, con lo stesso urgente bisogno. La circolarità frenetica e ossessiva dei movimenti in scena, non priva di spunti comici, rimanda alla immutabile ripetitività delle vicende umane”.
Maria Antonietta Amenduni


10 Giugno 2007

Trib Hop: dove il teatro diventa danza etnica, tribale e danza urbana

In scena al teatro vascello solo per tre giorni lo spettacolo Trib Hop! Laura D’Angelo e Maria grazia Sarandrea nei loro interventi prendono per mano lo spettatore e lo accompagnano in quella second life che è essa stessa Trib Hop.

Danze etniche e tribali e danza urbana. E’ al Teatro Vascello fino al 13 giugno, l’appuntamento con le forme del nostro tempo figlie di una stessa fonte. Nato dalla esperienza coreografica e di ricerca di Laura D’Angelo e Maria Grazia Sarandrea, lo spettacolo Trib Hop! unisce idealmente due mondi artistici fusi nell’atto danzante, la armonia di un linguaggio che è la musica della nostra vita. Trib Hop…in una strada che si fa teatro una donna di mercato una intellettuale un matto un informatico un tossico una cultrice di Tai Chi una prostituta ed un soldato, icone del tempo che è nostro, tra percussioni e rime in Rap interpretano ciascuna il loro Trib Hop. Laura D’Angelo e Maria grazia Sarandrea nei loro interventi prendono per mano lo spettatore e lo accompagnano in quella second life che è essa stessa Trib Hop. Attraverso un percorso giocoso di musica, movimento e ritmo, si verrà condotti nel fascino e nella magia della danza etnica. La danza popolare è danza collettiva, è armonia di gesti, espressioni, sorrisi, vicinanza che unisce magicamente e gioiosamente i protagonisti al pubblico. E poi c’è la danza tribale è uno stile che ha come base la danza del ventre e movimenti di altre danze di diverse culture. E’ una danza fatta in gruppo, la collettività è una forte caratteristica portata dalle danze tribali. Favorisce l'espressione della forza interiore femminile: le ballerine, come una tribù, celebrano la vita e la danza in gruppo. Ogni gruppo ha le sue proprie caratteristiche e diverse influenze; può essere fatta in circolo e semi – circolo favorendo la comunicazione tra le ballerine, oppure può essere eseguita in coppie o a gruppi di tre o quattro ballerine. La danza può essere eseguita con delle improvvisazioni e coreografie che si creano attraverso dei codici particolari per ogni gruppo. Il vestito è molto particolare: si veste una grande gonna, si appendono vari oggetti, come collane e cinture pesanti che mettono in evidenza i movimenti della danza; inoltre viene realizzato un make-up disegnando dei tatuaggi. La danza tribale è iniziata in America, per questo motivo ha il nome “American Tribal Dance”. Negli anni '80 diverse troupe sono state create in America, una tra le più importanti è stata la troupe di Carole Nericcio, “Fat Chance Belly Dance” che ha dato un nuovo impulso alla danza tribale introducendo nuovi stili di abbigliamento e l'improvvisazione coordinata. La danza tribale non è ancora tanto conosciuta, quindi questa è senza dubbio una buona occasione. La danza urbana viene così interpretata in modo innovativo e fondamentale e ciò anche allo scopo di spingere la danza stessa a riflettere sul proprio modo di essere e di esprimersi, ma soprattutto a ripensarsi e a ripensare la propria relazione con il pubblico e il territorio. Maria Grazia Sarandrea, danzatrice, coreografa e percussionista è l’ideatrice del Tribal Jazz, un nuovo stile di danza che fonde ritmi e movimenti tribali con quelli propri della nostra cultura. Studiosa di danze etniche di tutto il mondo, si specializza in India nella danza Chhau e si laurea in ‘Discipline dello Spettacolo’ presso l’Università ‘La Sapienza’ di Roma. Laura D’Angelo, artista poliedrica, conduttrice su Uno Mattina, Rai Uno, di una rubrica di approfondimento degli stili coreografici oggi più danzati e autrice di importanti trasmissioni Rai, è tra i primi coreografi ad importato in Italia lo stile dell’Hip Hop che rappresenta il linguaggio coreografico degli afroamericani. Tutt’oggi la sua specializzazione nella danza Hip Hop la vede a fianco dei più grandi esponenti mondiali di tale specialità. Interpreti:Sandro Bilotta, Silvia Fagioli, Emanuela Mastrandrea, Sabrina Sepe, Massimiliano Pederiva, Cristina Pensiero, Alessandro Pustizzi, Davide Zongoli. Con la partecipazione di Laura D’Angelo e Maria Grazia Sarandrea
Maria Antonietta Amenduni


10 Giugno 2007

In una conferenza stampa colma di polemiche, presentata la stagione dell’Eliseo

Tra nuove proposte, grandi nomi del teatro e lavori di restauro, presentata la stagione 2007/08 dell’Eliseo. Tra la carrellata di artisti c’è stato anche spazio per la polemica…

In una conferenza stampa piuttosto movimentata, è stata presentata la stagione 2007-2008 del Teatro Eliseo, che riparte dal nuovo direttore artistico Massimo Monaci e dai lavori di restauro che daranno nuova luce al teatro. Un cartellone interessante, un mix di nuove proposte, attori, registi e autori giovani, insieme a grandi nomi del teatro. La stagione prenderà il via il 2 ottobre presso il Piccolo Eliseo Patroni Griffi con uno spettacolo proposto dalla Provincia di Roma su testi di Massimo Wertmuller e Anna Ferruzzo ‘A Memoria’. Il 4 nel Teatro Eliseo la cantante Tosca proporrà uno spettacolo interamente dedicato a Gabriella Ferri dal titolo significativo di ‘Romana’. Interessantissime le proposte delle compagnie ospiti, a partire da la ‘Mandragola’ di Machiavelli con Ugo Pagliai del Teatro Stabile di Genova, un adattamento di Lina Wertmuller della goldoniana ‘La Vedova scaltra’ del teatro stabile pistoiese, 'Otello' di Shakespeare con Andrea Giordana per proseguire con Albert Camus del quale Giuliana Lojodice presenterà ‘Il Malinteso’. E poi toccherà ad O’Neill con ‘La lunga giornata verso la notte’ con la partecipazione di Remo Girone ed Anna Maria Guarnieri così come Ionesco con ‘Il re muore’ del Teatro Biondo Stabile di Palermo. Appuntamento interessante con ‘Aldo Moro, una tragedia italiana’ di Corrado Augias e Vladimiro Polchi con Paolo Bonacelli. Spazio poi ai progetti speciali come ‘Eliseo Lab’ che propone lo spettacolo di Michele Murgia ‘Il mondo deve sapere’ e ‘Noccioline-Peanuts’ di Fausto Paradavino. Altro progetto speciale è ‘Face a Face’ che vede l’atteso ritorno di Fanny Ardant con ‘L’adorazione’ di Jean-René Le moine. Importantissimo appuntamento è ‘Teatro e Carcere’ con ‘Ora Daria’ con la partecipazione di Vladimir Luxuria e ‘La ballata del carcere di Reading’ di Oscar Wilde con Umberto Orsini e Giovanna Marini.Anche quest’anno si rinnova il consueto appuntamento con il ‘Teatro Ragazzi’ con ‘Se son note fioriranno’. Da segnalare ancora ‘Artisti Riuniti’ che proporrà, dei lunedì dedicati alla scoperta del teatro contemporaneo e del quale verrà riproposto il grande successo di ‘Roma ore 11’. Questi gli altri appuntamenti al teatro Eliseo: E’ tempo di Miracoli e canzoni con Alessandro Haber e Rocco Papaleo, Il Circo immaginario con Rossana Casale, In the food for love, Sinfonia d’autunno con Rossella Falk e Maddalena Crippa, Quasi liberi. Al Piccolo Eliseo due appuntamenti da non perdere: il primo è quello con Davide Enia che propone I capitoli dell’infanzia, il secondo è con Andrea Rivera con lo spettacolo Prossime Aperture. Questi gli altri appuntamenti al Piccolo: A piedi nudi, Les aventures de Nathalie Nicole Nicole, Troia’s discaunt, La langue d’Anna, Il mondo deve sapere e L’ultima radio con Tullio Solenghi. Una accesa discussione ha movimentato la conferenza stampa. L' intervento scatenante è stato quello di Piero Maccarinelli, direttore della rassegna 'Artisti riuniti', che ha denunciato con forza l’indifferenza di artisti come Albertazzi, Scaparro, Lavia, Ronconi, Orsini e Melato, nella lotta che "gli artisti dello spettacolo dal vivo" conducono al disegno di legge Montecchi, che delega alle regioni il finanziamento dello spettacolo con la sola esclusione di festival ed grandi eventi che rimarranno competenza del ministero. Giovanni Costantino, giovane attore e marito di Raffaella Azim, affermato che i “giovani “ non hanno alcun interesse a difendere uno 'status quo' che li penalizza a favore dei soliti noti che monopolizzano i fondi impedendo ad altri di emergere. Giuliana Loiodice ha risposto duramente a Giovanni Costantino, invitato i "giovani" ad essere meno arroganti e a fare la gavetta. Certo è che queste discordie non portano da nessuna parte, sarebbe anzi utile unirsi per un obiettivo comune.
Maria Antonietta Amenduni


2 Giugno 2007

Le comiche tragedie della vita quotidiana, secondo Campanile.

In scena al Brancaccino di Roma, lo spettacolo “Tragedie in due battute” di Achille Campanile, senza dubbio il più grande umorista italiano del ‘900. La regia è di Riccardo Cavallo

Ultimi giorni al Brancaccino di Roma per lo spettacolo Tragedie in due battute di Achille Campanile, per la regia di Riccardo Cavallo. Uno spettacolo umoristico dunqe che chiude questa stagione della “costola” del Politeama Brancaccio. O spettacolo sarà in scena fino al 10 giugno e vede protagonisti Lucia Bendia, Daniele Grassetti, Ilaria Daph Mereu, Silvia Morganti, Andrea Peghinelli, Fabrizio Picconi , Francesco Transatti; al pianoforte Stefano De Meo Achille Campanile è senza dubbio il più grande umorista italiano del ‘900. Da molti amato e definito geniale, odiato da altri, Campanile non ha mezze misure, o lo ami o lo odi. Stà di fatto che è comunque un simbolo del teatro italiano. Campanile (Roma, 28 settembre 1899 – Lariano, 4 gennaio 1977) è stato uno scrittore, giornalista e autore teatrale italiano, celebre per il suo umorismo surreale e i giochi di parole. Fra le prime sue opere, le "Tragedie in due battute" (rappresentate per la prima volta intorno al 1925) rappresentano certamente un contributo di grande innovazione ed un'opera in sé irripetuta. Malgrado il nome con cui sono note, si tratta ovviamente di opere del genere della commedia, e destinate dallo stesso autore ad una prevista lettura libresca piuttosto che alla resa scenica. Si tratta di piccoli atti, sceneggiati per il teatro, effettivamente composti da un numero irrisorio di battute (termine usato nel senso del gergo teatrale e non in quello umoristico). Alcuni sono rimasti noti presso il pubblico, spesso senza che sia noto da dove provengano, come ad esempio il notissimo scambio di battute: «Dove vai?» «All'arcivescovado. E tu?» «Dall'arcivescovengo.» Campanile è in grado di “fulminare” in poche battute, con epigrammatica esplicitazione della potenziale pericolosità paradossale di un apparentemente innocente assunto. È questa infatti una delle tecniche più caratteristiche di Campanile: recepire l'assunto esterno, sia esso il titolo, sia esso una battuta dei uno dei suoi protagonisti, con sospensione temporanea di giudizio, portandolo perfidamente alle sue estreme conseguenze di paradosso, implicitamente denunciando che nessun assunto è sufficientemente ristretto in una definizione unica, inequivoca ed incontrovertibile, insuscettibile di esiti perniciosi. In altri casi, la chiave è ribaltata e le tragedie riassumono in un titolo formalmente corretto situazioni di vaga eccezionalità, la cui racchiudibilità in un concetto banalmente consueto svilisce il contenuto di eccezionalità, o forse irride l'intento o l'istinto di considerare talune situazioni come eccezionali, come cioè non riconducibili a già esplorate categorie dell'ordinarietà. Lo spettacolo raccoglie una scelta delle “ tragedie in due battute” (e qui si potrebbe aprire un contenzioso, quante sono in verità le “tragedie in due battute” 200 oppure 2000? sembra che Campanile stesso non ne conoscesse il numero), e alcuni dei più noti atti unici: “ Centocinquanta la gallina canta”, “L’orrenda parola”,“L’acqua minerale”. Ne viene fuori il ritratto di un’Italia che forse non esiste più, ma che è popolata di caratteri in cui ancora oggi ci riconosciamo, o meglio ci specchiamo. Un omaggio ad un autore geniale che non si è mai piegato alle mode, che anzi è sempre stato un anticipatore e che regge il confronto con alcuni mostri sacri della comicità del ‘900 dai fratelli Marx a Woody Allen.
Maria Antonietta Amenduni


4 Giugno 2007

Una delicata partita a quattro, giocata sulle corde del cuore, dell’anima e delle “affinità elettive”.

In scena al Teatro dell’Orologio, “le affinità elettive”, tratto dal romanzo di Johann Wolfgang Goethe, per la regia di Ilaria Testoni. Un testo difficile, delicato, intenso che raramente si vede sulle scene italiane.

“Ci sono cose che il destino persegue con ostinazione. E’ inutile che la ragione e la virtù cerchino di sbarrargli il cammino, bisogna che accada ciò che per lui è giusto e che a noi non sembra giusto; e possiamo comportarci come vogliamo, alla fine è lui che vince” (Johann Wolfgang Goethe) Una rigorosa partita a quattro, giocata sulle corde del cuore e dell’anima, in cui è facile cadere. Questo è, Le affinità elettive tratto dal romanzo di Johann Wolfgang Goethe, che ha debuttato il 23 maggio, e sarà in scena nella sala grande del Teatro dell’orologio fino al 17 giugno.La drammaturgia e la regia sono state curate da Ilaria Testoni, regia alla quale ha collaborato anche Annalisa Biancofiore. Un testo difficile, delicato, intenso che difficilmente vediamo in scena in Italia, sicuramente a causa della sua particolarità. Senza dubbio anche una sfida interessante per la regista e per tutto il cast, proporre uno spettacolo del genere. Bisogna comunque riconoscere che proprio in coda ai cartelloni di questa stagione teatrale romana 2006/07, si sono avute proposte interessanti. Composto tra il 1808 e il 1809, "Le affinità elettive", il famoso romanzo di Goethe, dai più considerato, insieme a "Guerra e pace", il più bel romanzo dell’Ottocento, esprime l’intuizione sinistra del destino e della natura, concezione elaborata proprio in quegli anni dall’autore. La vicenda si snoda in un luogo imprecisato della Germania, in un anno indeterminato del diciottesimo secolo. In un castello, situato al centro di un rigoglioso parco, abita Edoardo, insieme alla moglie Carlotta. Privi di ogni sorta di preoccupazioni, Edoardo e Carlotta sono votati alla cura della loro tenuta. La coppia, non senza riluttanze della donna, che quasi presagisce la bufera che sta per abbattersi sulla loro vita, invita al castello prima un amico di gioventù di Edoardo, "il Capitano", e poi la nipote Ottilia, ed ecco che si scatenano le "affinità elettive". Edoardo s’innamora di Ottilia e Carlotta del Capitano; l’epilogo della vicenda sarà drammatico. Tutto il romanzo si svolge in uno spazio circoscritto, chiuso in se stesso, all’interno di un castello protetto da un giardino che lo isola perfettamente dall’esterno, in cui sovrani regnano i quattro abitanti, conducendo un’esistenza civile ed amabile, turbata solo dall’innescarsi dell’amore che turberà gli animi in profondità, sconvolgendoli fino alla tragedia, scatenata da passioni contro le quali nulla potranno né la ragione né la virtù. La partita a quattro, in scena, è giocata da Marco Blanchi nel ruolo di Edoardo, Claudia Mei Pastorelli nel ruolo di Carlotta, marco Paparella nel ruolo del Capitano e Cristina Giannattasio nel ruolo di Ottilia. Al centro di ogni cosa, l’uomo dominato da sensazioni, attrazioni, da un cuore sempre alla ricerca di qualcosa – cosa? – e da una testa che non può fare a meno di pensare. Per alcuni si tratta di pensare alle conseguenze, per altri si tratta di pensare a realizzare i desideri dell’anima inquieta. Ma qual è lo spazio della felicità? Esiste un luogo dei desideri, dove le immagini ci inseguono e qualcosa ci inganna. La mente, viaggiatrice solitaria, da sola s’illude di non perdere nulla, pur desiderando cambiare ogni cosa. Al di là della ragione, esiste un’affinità chimica dei corpi, degli sguardi, delle menti, che per degli attimi sospesi nel tempo oscura ogni cosa. Ma che accadrebbe se per quell’attimo sentito rinunciassimo a tutto ciò che abbiamo già costruito? “Sentire è tutto” – dice l’insaziabile Faust. Scegliere è importante.
Maria Antonietta Amenduni


27 Maggio 2007

“La Parigina”: sulla scena vuota, quattro attori, tre uomini e una donna

In scena al Teatro India, “La Parigina” di Henry Becque uno spettacolo di Massimiliano Civica: “pièce sentimentale sulla spregiudicatezza dimessa di una donna che si barcamena tra marito e due amanti”

La stagione teatrale sarà pure agli sgoccioli, ma il Teatro India è instancabile. In linea con la sua apertura ai nuovi talenti, alle istanze e proposte di giovani autori, registi e interpreti, il Teatro India propone La Parigina di Henry Becque (29 maggio – 3 giugno), uno spettacolo di Massimiliano Civica che recupera un testo del 1883, “pièce sentimentale sulla spregiudicatezza dimessa di una donna che si barcamena tra marito e due amanti” . Lo spettacolo è prodotto da Compagnia Civica-Benedetti-FelizianiOttobrino-Piseddu, Armonia Festival Costa degli Etruschi. Per Becque il «mistero» non si nasconde, è taciuto: non c’è né gioco né burla e la casa è il luogo prediletto dove può maturare la noia e il tradimento. Noia e tradimento che non ricercano le origini: semmai una soluzione provvisoria, che è quella che offre la vita ad ogni momento. In questo cerchio chiuso, ogni cosa può, anzi deve tornare al suo posto; e la morte non è nemmeno nominata, tanto presente è lo scorrere della vita. I personaggi de La Parigina sono quattro; ma intorno a questi quattro raggi del cerchio si muovono i sentimenti che danno ordine apparente al mondo. C’è Du Mesnil, padrone di casa e marito della giovane Clotilde; c’è Lafont, amico di Du Mesnil e amante di Clotilde; e c’è Simpson, secondo amante di Clotilde. La storia è semplice, banale; ma quello che importa è il crescere e lo svelarsi graduale della natura dei personaggi. Sulla scena vuota, quattro attori, tre uomini e una donna. La storia è semplice, banale; ma quello che importa è il crescere e lo svelarsi graduale della natura dei personaggi. Si parlano quasi senza inflessione, come angeliche voci fuori campo che coniugano al passato il presente della loro storia…a tratti ci s può confondere con Pinter! Quel che Civica ha fatto alla sua scena, infatti, lo fa anche al testo, trasformando una pièce naturalistica del 1885 in cui è questione di tradimeti, fiducia e un folgorante ideogramma morale che si imprime debolmente solo per incidere il segno più a fondo. Prima spiazza e disorienta per il ritmo implacabile della recitazione, un metronomo limpido e quasi incantato in se stesso, e per la studiata parsimonia del gesto Dopo, torna sull'altra riva della visione, per risorgere in noi, sguardo solitario e senza teatro. E' un effetto simile all'immobile carillon che suggella il finale: marito, amante e moglie, si ritrovano ricomposti in una geometria che nella sua forma cristallizzata sospende ogni esistenza, ogni psicologia - per divenire pura figura, al di là di essere e tempo. “ Vorrei continuare a lavorare seguendo alcune regole che mi sono autoimposto”. Così il regista Massimiliano Civica racconta il suo spettacolo, e aggiunge: “Non avere né scenografie né costumi, non utilizzare musiche, tenere le luci fisse e far recitare gli attori in uno spazio vuoto. Ogni tanto devo rammentare a me stesso il motivo di queste rinunce, perché, quando vado a teatro a vedere spettacoli pieni di luci, musiche e cambi di scene, mi piacciono molto e mi ritrovo a prender mentalmente nota di questa o quest’altra bella soluzione, da riproporre poi in un mio lavoro. I miei piccoli comandamenti servono a farmi rimanere concentrato su quello che per me conta a teatro: i miei attori…Mi sembra che il teatro, nel suo grado zero, sia già un accadimento miracoloso: uomini che si riuniscono per osservare altri uomini che rendono presente quello che non c’è, ciò che è invisibile, ciò che è Altro.” In scena: Gabriele Benedetti, Mirko Feliziani, Aldo Ottobrino, Monica Piseddu
Maria Antonietta Amenduni


27 Maggio 2007

Helleven: la storia di un viaggio al Teatro Spazio Uno

Un “viaggio” metaforico tra 8 canti dell‘inferno della divina commedia che rivelano l’ordine del mondo in cui natura e spirito si accordano e dove non è possibile certo dimenticare la componente umana dei sentimenti.

“La storia di un viaggio”. Così l’attore Giovanni Nardoni definisce il suo spettacolo Helleven. Con l’intenzione di mostrare al pubblico la sua chiave di lettura di Dante e dei sui passi più belli dell’ ”Inferno”, Giovanni Nardoni mette in scena Helleven gioco di parole tra Hell (Inferno appunto in inglese) ed Eleven (undici in inglese, come i famosi endecasillabi della nostra poesia migliore e della “Divina Commedia” in particolare). Uno spettacolo che è un incontro tra voce, musica ed immagine: C’è la recitazione affidata al talento poetico ed attoriale di Giovanni Nardoni e Stefano Masala. C’è la musica, affidata ad un quartetto acustico (chitarra, contrabbasso, piano, sax tenore) diretto daBernardo Nardini, che eseguirà musiche dal vivo, Ma c’è anche l’immagine, affidata ad una serie di video che affiancheranno i momenti poetici dello spettacolo. Helleven è la storia del Viaggio, il viaggio metaforico descritto da Dante all’interno dell’Inferno (di cui vengono presi in esame 8 canti), un viaggio umano, universale ed individuale, spirituale e materiale, di chiaro carattere esoterico, a cui si unisce un’altra specie di viaggio iniziatico e psicologico, quello adombrato da Charles Baudelaire, nel suo capolavoro, la raccolta poetica de “I Fiori del Male”. Dante e Baudelaire si incontrano così in uno spettacolo suggestivo ed evocativo, all’insegna dell’alta letteratura e del teatro di qualità, all’interno del Teatro Spazio Uno, dal 28 amggio al 2 giugno, luogo scenico storico della Capitale. Con Helleven, Giovanni Nardoni mostra ancora una volta il suo carattere eclettico, poliedrico di regista ed attore attento ad un aspetto formale alto ed elegante, senza mai dimenticare la comunicazione e la nostra realtà di uomini contemporanei. Ecco come Giovanni Tardoni racconta il suo spettacolo. : “Un “viaggio” metaforico tra 8 canti dell‘inferno della divina commedia che rivelano l’ordine del mondo in cui natura e spirito si accordano e dove non è possibile certo dimenticare la componente umana dei sentimenti. Ma anche un momento di riflessione attraverso immagini filmiche che vogliono raccontare la nostra paura, il nostro “personale” inferno in un mondo dilaniato dalla disperazione e dall’ assenteismo. Un concerto di “sintesi” come già suggerisce il titolo Hell-eleven (Helleven): un Inferno delle aberrazioni umane rinchiuso, o meglio, contenuto nelle undici sillabe del verso dantesco. Chiaro riferimento al Dante esoterico…Un Inferno, quindi, che non fosse solo quello di Dante, ma dell’animo umano, a cui contrapporre anche un’altra sensibilità poetica, un'altra forza espressiva: Dante e Baudelaire, coi suoi “fiori del male”, visione “maledetta” di un “eguale” viaggio immaginario verso la morte. Viaggio meno “ultraterreno” ma certamente non meno visionario. Poesia, come fuga dallo “spleen”, dall’angoscia esistenziale, dal dualismo della condizione umana. Un uomo, forse, represso ma certamente intrappolato dalla sua inconsapevolezza, inseguito dal tempo, che non lo uccide ma al massimo lo digerisce. Quindi, utilizzazione del male come forza espressiva, come strumento e non come punizione, senza esorcizzarlo, o raccontarlo, ma fondendolo, tra poesia ed espressione, tra vita reale e metafora poetica. Come Baudelaire stesso spiega tentando di "estrarre la bellezza del male", così la mia interpretazione dell’inferno dantesco, affiancata ad una rosa di poesie del grande poeta francese eseguite da Stefano Masala, cerca di esorcizzare la nostra paura per l’ignoto e avvicinarci all’incomprensibile. Alla ricerca di un probabile equilibrio estetico che determina la spinta alla mia vita”.
Maria Antonietta Amenduni


19 Maggio 2007

Eleonora Danco in scena al Teatro India con lo spettacolo “Ero purissima”

Eleonora Danco, attrice, autrice e regista ormai di culto, porta sulle scene del Teatro India un’idea che va oltre lo scenario periferico, trattando la realtà nella sua degenerazione, dando vita a personaggi dove nel pensiero non c’è morale e lo spietato diventa umano.

Ultimo spettacolo della stagione al Teatro India prodotto dal Teatro di Roma e fortemente voluto dal Direttore Artistico, Giorgio Albertazzi: è Roma, 7 Maggio 2007 – Debutta lunedì 21 maggio – con repliche fino a domenica 17 giugno 2007 – al Teatro India di Roma, Ero Purissima,in scena dal 21 maggio al 17 giugno, testo e regia di Eleonora Danco. La retorica rimane fuori dal Teatro di Eleonora Danco, le figure che delinea, evocano la condizione drammatica degli esseri umani appartenenti al mondo contemporaneo; a loro va l’attenzione dell’autrice ed anche in fondo una sorta di affetto disperato. Eleonora Danco, attrice, autrice e regista ormai di culto, porta sulle scene del Teatro India un’idea che va oltre lo scenario periferico, trattando la realtà nella sua degenerazione, dando vita a personaggi dove nel pensiero non c’è morale e lo spietato diventa umano. Ecco come la danco racconta il suo spettacolo: “…Foglie. Un giardino pubblico ai margini di una grande città. La scena è popolata da quattro protagonisti. Un tossicomane di trentotto anni, suo padre alcolizzato, un giovane cocainomane nullafacente, la sua fidanzata aspirante star. Tutti aspettano qualcosa. La loro vitalità è spiazzante, a tratti tragicomica. I personaggi pur comunicando tra loro non si toccheranno e guarderanno mai. Isolati alle loro panchine come al loro destino, ritagliati in una realtà senza elementi. Il Testo è in dialetto romano per la sua arroganza poetica e immediatezza visiva. Trattare una realtà mostrandola nella sua degenerazione, dar vita a personaggi dove nel pensiero non c’è morale e lo spietato diventa umano. Un’idea che va oltre lo scenario periferico. Sono i personaggi e le loro parole a costruire la storia, creando atmosfere, ritmo, rovesciando violenta sul palcoscenico la loro condizione, in un intreccio di rabbia e vitalità, fino al tragico finale. ” Ero purissima è una messa in scena fortemente voluta dal Teatro di Roma, da sempre attento alla drammaturgia e alla scena contemporanea. Eleonora Danco, attrice, autrice e regista ormai di culto, è una delle voci più interessanti e innovative della prosa italiana. I suoi spettacoli, sia in italiano che in dialetto romano, sono poetici, spiazzanti per la loro immediatezza, per il suono violento della strada anche come riferimento interiore, dell’inconscio e dell’animo umano. La retorica rimane fuori dal Teatro di Eleonora Danco, che è divenuta un’artista imprescindibile nella riflessione sul linguaggio della scrittura e della scena contemporanea. Eleonora Danco, fa parlare di se già nel 1998 con il suo primo spettacolo Ragazze al muro; Seguono: Mignotta ’56, Nessuno ci guarda, Me vojo sarva’’, Sabbia, La giornata Infinita, e poi la raccolta di poesie Trattatelo poetico senza speranza e alcuni racconti tra cui Corso, Scroscio, Tromba delle scale. Per Radio Rai Tre realizza il documentario Il vuoto e sempre su Radio Rai Tre va in onda il monologo Non parlo di me. Sta ultimando la lavorazione del documentario Il collo e la collana da lei scritto e diretto. In scena con l’autrice, troviamo Paolo Sassanelli, Marco Lorenzi, Elisa Tavolini. In scena al Teatro India (sala B, lunedì 21 maggio ore h. 21,00), dal 22-26/5 ore 22.15, dal 29/5-2/6 ore 22.00, dal 3-17/6 ore 21.00. Info per il pubblico: 06.68.40.00.346, promozione@teatrodiorma.net.
Maria Antonietta Amenduni


19 Maggio 2007

Un’emozionante Ennio Coltorti in scena al Teatro Stanze Segrete

L’attore interpreta e dirige “Napoleone a Sant’Elena”, da Jean Claude Brisville. Uno spettacolo che emoziona e affascina anche grazie alla scenografia e ai costumi. Molto bella anche l’interpretazione di Roberto Mantovani e Bruno Governale

Viene da chiedersi perché, nonostante i “fasti” dei grandi teatri romani, in questa stagione teatrale che volge al termine, per vedere finalmente uno spettacolo bello e degno di essere definito tale, ci si debba rivolgere ai teatri “meno noti”. E’ quello che succede sempre più spesso negli ultimi anni: spesso i grandi cartelloni sono deludenti mentre per trovare qualcosa di interessante bisogna spulciare nei cartelloni di tutto rispetto dei cosiddetti teatri di nicchia. E finalmente questa stagione teatrale, proprio sul finire, ci ha regalato uno spettacolo veramente bello, che vede protagonista un Ennio Coltorti in splendida forma. Lo spettacolo in questione è Napoleone a Sant’Elena da Jean Claude Brisville, con Ennio Coltorti, Roberto Mantovani, Bruno Governale, per la traduzione e la regia di Ennio Coltorti. Uno spettacolo che gli amanti del buon teatro non possono perdere, in scena al Teatro Stanze segrete ancora fino al 3 giugno. Questo testo, rappresenta con dovizia di particolari, con fortissima tensione drammatica e con teatralissima ironia lo scontro tra Napoleone Bonaparte e il suo carceriere, il Governatore dell’isola, l’inglese Hudson Lowe. Lo scontro si rivelerà assolutamente impari: politicamente e praticamente, visto il potere del Governatore e l’impotenza dell’ex imperatore (ormai degradato a Generale), sarà tutto a vantaggio del Lowe ma la grandezza d’animo, la fantasia, la personalità, il peso umano, storico e carismatico del geniale corso schiacceranno il grigio esecutore di ordini. Un terzo personaggio misterioso e sorprendente, Montholon, cortigiano volontariamente esiliatosi insieme a Napoleone, renderà la vicenda ancora più intrigante e piena di suspence: perché decide di condividere l’esilio con un uomo ormai (almeno all’apparenza) finito? Fedeltà? Ammirazione? Calcolo? O tradimento? E Bonaparte è al corrente del perché? Ma soprattutto è schiavo del suo grande passato o sta costruendo grazie a questa sua infelice condizione attuale un futuro ancora più glorioso? E tutta questa intrigante e misteriosa vicenda avviene in un “non spazio” senza tempo: la sua prigione/residenza di Longwood. L’oceano che circonda l’isola (Sant’Elena è ancora oggi difficilmente raggiungibile), l’arido vento, l’Aliseo, che la tormenta, il duro clima e la selvaggia natura che la opprimono rendono l’ultima dimora di Napoleone un inferno. E proprio qui tuttavia la personalità complessa e contraddittoria del grande corso, pur nella miseria della sua condizione attuale, in contrasto con i suoi aspetti banalmente quotidiani, a volte anche meschini, avrà modo di esaltarsi e di ergersi come un tempo al di sopra dell’umano e di bussare ancora una volta, lui, uomo tra gli uomini, alla porta degli Dei. Ennio Coltorti, emozionante e travolgente, è accompagnato in scena da due altrettanto bravi e incisivi interpreti quali Roberto Mantovani e Bruno Governale. I costumi, molto belli e imponenti, sono firmati Rita Forzano. Per chi conosce questo delizioso spazio teatrale trasteverino, la sorpresa, entrando in teatro, è inevitabile. La genialità di Coltorti, ha infatti voluto la ricostruzione, quasi identica della stanza di Napoleone a Sant’Elena proprio all’ingresso del teatro; il quasi è dovuto solo a necessità di scena e non certo ad imprecisione. La cosa curiosa è la dimensione della stanza che è assolutamente identica a quella originaria. Lo stesso autore, Jean Claude Brisville, ha inviato i suoi complimenti personali ad Ennio Coltorti per la sua versione dello spettacolo, sottolineandone l’ottima qualità.
Maria Antonietta Amenduni


5 Maggio 2007

Umberto Orsini festeggia mezzo secolo sul palco e torna in scena con 'Il nipote di Wittengstein'

Al Piccolo Eliseo, con un testo di Thomas Bernhard , portato in scena, la prima volta , 15 anni fa, Umberto Orsini festeggia un importante traguardo: dal teatro (con trent’otto spettacoli) al cinema, con qualche incursione in tv.

Cinquant’anni trascorti sul palcoscenico, mezzo secolo d’arte per un grande interprete della scena italiana. Un grande ritorno a Roma, a distanza di quindici anni dal debutto al Piccolo Eliseo, de Il Nipote di Wittgenstein di Thomas Bernhard: è Umberto Orsini che festeggia i suoi primi 50 anni di teatro con uno spettacolo che è una grande prova d’attore per un protagonista che tante emozioni è stato in grado di regalare, e che anche questa volta è in grado d ipnotizzare il pubblico con la sua interpretazione avvincente. Umberto Orsini taglia così un traguardo importante: cinquant’anni trascorsi sulle assi di un palcoscenico a fianco di registi quali Federico Fellini, Franco Zeffirelli, Luchino Visconti, Gabriele Lavia,. Trentotto sono gli spettacoli in carriera dal Diario di Anna Frank con cui esordì nel 1957, al criticato Vecchi tempi di Harold Pinter, dallo scandaloso Metti una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi, ai più recenti, L’arte della commedia, Erano tutti miei Figli, Il padre e Ballata del carcere di Reading. E poi il cinema ("La dolce vita" di Fellini, "La caduta degli dei" di Visconti e "Il viaggio della sposa" di Rubini) e televisive ("La figlia del capitano" e "I fratelli Karamazov"). Cinquant’anni di carriera, trentotto spettacoli sempre nello stesso caldo e familiare Teatro Eliseo di Roma, uno spazio della memoria prima che un luogo di lavoro, un ambiente di ricordi e amicizie, a fianco di colleghi come Rossella Falk, Romolo Valli, Anna Maria Guarnieri, Giorgio De Lullo. Ed è proprio in questo spazio, in questo teatro, che Umberto Orsini festeggia il suo anniversario artistico, riproponendo il ruolo di Peter, nel fortunato spettacolo di Thomas Bernhard Il nipote di Wittgenstein, il monologo intenso e complesso già rappresentato nel 1992 per la regia di Patrick Guinod. Umberto Orsini – in questo nuovo allestimento affiancato dalla silenziosa Elisabetta Piccolomini – cerca di tradurre attraverso una recitazione volutamente artefatta ed espressivistica, la carica dirompente del testo di Bernhard. Narrazione intorno a una amicizia paradossale e improbabile, estrema e assoluta, Il Nipote di Wittgenstein appartiene al gruppo dei racconti nei quali, attraverso la ricostruzione di una personalità “storica”, lo scrittore austriaco analizza, senza alcun riguardo verso di sé il suo disadorno disprezzo per il mondo e la sua radicata e ossessiva avversione per l’umanità in genere (e per gli Austriaci in particolare). Thomas Bernhard nato a Heerlen in Olanda il 12 febbraio del 1931, ma austriaco a tutti gli effetti, non conobbe mai il padre e visse nel mito del nonno, scrittore e anarchico. Il Nipote di Wittgenstein, forse il romanzo più vicino all’autobiografia dello scrittore, è il sommario di una conversione, dell’uscita da un tunnel, da un distruttivo interrogarsi sul senso della vita. Attraverso l’esposizione di una follia Bernhard mostra quelle che gli sembrano le intollerabili prevaricazioni del mondo organicamente civile sull’individuo costretto a farne parte. Ma Il Nipote di Wittgenstein è anche il suo testo più intimo, quello in cui affronta nel modo più diretto il tema dei sentimenti, attraverso la storia del suo rapporto d’amicizia con Paul Wittgenstein, personaggio metà reale e metà immaginario, nipote del filosofo Ludwig Wittgenstein.
Maria Antonietta Amenduni


10 Maggio 2007

Presentate le stagioni 2007/08 dei teatri Valle e Quirino: due programmi diversi e paralleli

Un nuovo movimento d’idee, progettualità, percorsi, un’apertura alle nuove generazioni al Teatro Valle, mentre al Teatro Quirino si confermano artisti legati alla storia e al mestiere della scena.

“La convenzione quando è retrograda, rischia di rimanere legata al passato, ma la tradizione è un’altra cosa”. Così il Direttore Generale dell’ ETI, Ninni Cutaia, ha descritto la stagine 2007/08 dei Teatri Valle e Quirino Vittorio Gassman. Due programmi diversi e paralleli, capaci di guardare l’uno soprattutto alla tradizione di qualità, l’altro aperto ad accogliere i segni complessi e diversi del nostro presente teatrale e sociale. Un nuovo movimento d’idee, progettualità, percorsi, un’apertura alle nuove generazioni e ai rapporti con la scena internazionale si struttura nella stagione 2007/2008 del Teatro Valle di Roma, mentre al Teatro Quirino si confermano artisti legati alla storia e al mestiere della scena. Così il teatro Quirino, rappresentato quest’anno dall’immagine di una cavea antica inscritta in una grande Q, subito rimanda ai classici della drammaturgia, ma racchiude dialoghi con la contemporaneità. Il Valle, invece, identifica la sua immagine in un ingranaggio puramente teatrale, che col suo meccanismo innesca altre reazioni, e sceglie la concretezza del mestiere per arrivare all’arte. Con la produzione nata da un progetto storico ed in costante evoluzione si apre la stagione del Quirino: l’edizione 2006 del Progetto Thierry Salmon ha visto sviluppare l’atelier su Pericle diretto da Antonio Latella sino a diventare uno spettacolo compiuto. Spazio poi a Diatriba D’amore, che celebra gli ottant’anni del premio Nobel Gabriel Garcia Marquez, in un recital inedito in Italia, interpretato da Maria Rosaria Omaggio, per la regia di Alessandro D’Alatri. Eccellente diacronia per il ritorno nella capitale del M° Roberto De Simone con La’ ci darem la mano. Tra cinema e teatro, invece, il Delitto perfetto diretto ed interpretato da Geppy Glejieses. Tutto giocato sul filo di una tragica leggerezza il Faust di Goethe, messo in scena da Glauco Mauri con Roberto Sturno. Carlo Giuffrè torna su un testo di Eduardo De Filippo, e con Il Sindaco del Rione Sanità. Si apre poi uno squarcio sulla prima drammaturgia di Harold Pinter, attraverso l’altrettanto giovane esperienza di Fausto Paravidino, anche interprete de Il compleanno. Massimo Castri rilegge Così è se vi pare di Pirandello. Madre Coraggio vede Isa Danieli dare corpo e anima all’eroina del teatro brechtiano. In occasione del trecentesimo anniversario dalla nascita di Carlo Goldoni, Giulio Bosetti ricopre il ruolo di Sior Todero Brontolon. E poi la volta di Il Giardino dei ciliegi . A chiudere il cartellone del Quirino, Il signore va a caccia di George Feydeau, satira sociale esaltata dalla regia di Mario Scaccia, che con questo spettacolo darà l’addio alle scene. Parla la lingua del presente la stagione del Valle, con Vietato digiunare in spiaggia. Un’altra prima nazionale è Filumena Marturano diretta da Gloria Paris, per l’Atelier Théâtre Actuel - Chant V. L’opera di Eduardo De Filippo apre la finestra sull’internazionalità, e parla francese nell’interpretazione di Christine Gagnieux. Ancora Eduardo con Carlo Cecchi e Sik Sik, l’artefice magico. Sul palcoscenico del Valle torna la purezza del teatro di Peter Brook, che sceglie il confronto con Samuel Beckett, nei Fragments , in lingua inglese. Seguono poi Gomorra di Roberto Saviano. Tre spettacoli per sottolineare, con una presenza importante a Roma, i 60 anni del Piccolo Teatro di Milano, un’eredità di grande regia che passa da Strehler a Ronconi a Servillo: La storia della bambola abbandonata, affidato ad Andrea Jonasson e Giuseppina Carutti, Inventato di sana pianta, diretto da Luca Ronconi, mentre Toni Servillo dirige La trilogia della villeggiatura. Arrivano poi Umberto Orsini con Molly Sweeney, e Ottavia Piccolo con Processo a Dio. Seguiranno poi Pensaci Giacomino!, Shakespea Re di Napoli, ‘Nzularchia e Hey Girl!.
Maria Antonietta Amenduni


8 Maggio 2007

Actor Dai: la vita di Padre Pio diventa un Musical itinerante

Ha debuttato in prima nazionale, lo spettacolo ispirato al Santo di Pietralcina, allestito in un teatro tenda itinerante, capace di contenere fino a 3000 persone, attraverserà l’intera penisola con i suoi oltre 40 artisti sul palco e un monumentale allestimento.

“Non so, cosa stia pensando Padre Pio in questo momento! Sarà contento? Io penso di si!” E ‘ quanto affermato dal Ministro Francesco Rutelli, presentando a Roma, lo spettacolo Actor Dai – Attore di Dio, Opera Musical, spettacolo ispirato alla vita di San Pio. Il musical, finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ha debuttato in prima nazionale a San Giovanni Rotondo il 5 maggio. Lo spettacolo allestito in un teatro tenda itinerante, capace di contenere fino a 3000 persone, attraverserà l’intera penisola con i suoi oltre 40 artisti sul palco e un monumentale allestimento. In realtà non sono ancora state comunicate le date della tournè, ma confidiamo di avere quanto prima un aggiornamento in attesa delle date romane. “Sono affascinato da questa sfina che questa compagnia e tutti gli organizzatori hanno intrapreso” – ha continuato il Vice Premier Rutelli – “la capacità di coniugare al figura schiva di Padre Pio con l’idea di uno spettacolo è proprio bella. Il rapporto che questo santo ha ancora oggi con i fedeli in Italia, è stato il motivo per cui non ho avuto alcun dubbio affinché il ministero finanziasse questo musical, ed è la prima volta che succede; ma non creiamo un caso su questa cosa, anche il Presidente della Regione Puglia, Niki Vendola ha appoggiato l’iniziativa. Credo che quando si tratta di cose di una tale rilevanza non esistono barriere politiche”. Prodotto dalla Sound & Co Music Entertainment di Marco Luppa in collaborazione con la Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza "Opera di San Pio" e il Comune di San Giovanni Rotondo, patrocinato dai Frati Cappuccini di San Giovanni Rotondo, dalla regione Puglia e dalla provincia di Foggia e con il sostegno del Ministero dei Beni Culturali, il progetto "Actor Dei" nasce dal desiderio di un gruppo di giovani artisti di raccontare attraverso musica ed immagini la storia e il messaggio di un uomo straordinario, quale il Santo di Pietrelcina, che è divenuto punto di riferimento per laici e fedeli di tutto il mondo e di ogni credo religioso Al centro dell'opera, diretta dal regista Giulio Costa, l'aspetto più umano e immediato di questo grande mistico, interpretato dall'esordiente pugliese Vincenzo Caldarola. "Actor Dei" parte dal racconto della vita di Padre Pio nel tentativo di restituire una figura emblematica del nostro tempo: Padre Pio è l'Actor Dei, l'attore di Dio, un vero combattente, ma anche come colui che nella sua esistenza mette in scena la vita di Cristo. Francesco Forgione, semplice e coraggioso, continuamente provato da pene fisiche e spirituali, grazie alla sua ferrea volontà di sollevare l'umanità dalle sue sofferenze diventa Padre Pio, simbolo di un'umanità positiva capace di riscattarsi dal dolore e dalla solitudine per dar vita ad un grande sogno: la costruzione dell'Ospedale Casa Sollievo delle Sofferenza L'opera, che vede in scena ben 42 artisti, tra cantanti-attori, ballerini, ed elementi di coro, è suddivisa in tre grandi momenti, la giovinezza, la maturazione spirituale e la costruzione dell'ospedale. Grande protagonista della scena è la musica, ricchissimo mondo sonoro dal sapore mediterraneo, tipico delle zone dalla Campania alla Puglia Le musiche sono state scritte da Attilio Fontana, Federico Capranica, Maria Grazia Fontana, Franco Ventura, Antonio Carluccio, Michela Andreozzi: le coreografie sono di Orazio Caiti, mentre i costumi sono stati realizzati da Guillermo Mariotto. La scenogr??afia è di Davide Dormino. In scena con Vincenzo Caldarola, Alessandro Neri, Adriano Di Domenico, Vincenzo De Michele, Antonio Carluccio, Ingrid Gravina, Elena Pelazza, Chiara Di Bari, Martino Schembri, Dario Faini.
Maria Antonietta Amenduni


11 Maggio 2007

Arriva in autunno in Italia il musical tratto dal celebre cartoon di Hanna e Barbera, Scooby Doo.

Aperte a Roma, lunedì 14 maggio, le audizioni per la selezione dei personaggi di “Scooby Doo Live on Stage”

Dopo il successo ottenuto in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove lo spettacolo ha registrato sempre il tutto esaurito, Poltronissima e Themestar sono lieti di annunciare l’arrivo del musical “Scooby-Doo in Live on Stage” in Italia. Lo spettacolo, che debutterà nel nostro paese in autunno, porterà in scena nella versione teatrale , per la gioia dei suoi fans, i personaggi del fortunatissimo cartoon di Hanna e Barbera. In “Scooby-Doo Live on Stage” la gang della Mystery Machine : Scooby-Doo, Shaggy, Velma, Daphne e Fred si destreggerà nell’ennesima avventura tra enigmi, fantasmi, mostri e guai per risolvere – grazie alle indagini in puro stile Scooby-Doo- un classico mistero. In previsione del tour italiano 2007/2008, sono aperte le audizioni per la ricerca di tutti i personaggi dello spettacolo (Milano il 7 maggio - Roma il 14 maggio) E’ una produzione Poltronissima e Themestar. L’audizione è rivolta ad artisti di entrambi i sessi per la selezione di tutti i personaggi per il tour italiano del musical Scooby-Doo Live on Stage. Si cercano Attori, Attrici, Cantanti e Ballerini. Le audizioni sono aperte anche a tutti i ruoli secondari del del musical. Tutti i candidati sosterranno tre prove: RECITAZIONE: presentazione di un monologo ( preferibilmente brillante) a scelta CANTO: esecuzione di un brano a scelta (presentando un cd audio con base registrata) DANZA: prova coreografica L’audizione avrà luogo a Roma il 14 maggio 2007 presso AID– Via Innocenzo X n.2 Orario di convocazione : uomini ore 10.00 - donne ore 13.00 Per partecipare alle audizioni inviare e-mail con curriculum artistico e foto a info@mas.it entro l’11 maggio 2007. INFO LINE 02/27225 Per informazioni e descrizione dei personaggi www.mas.it
maria antonietta AMENDUNI


9 Maggio 2007

Solenghi, mattatore di palcoscenico al Teatro Eliseo, veste i panni di Figaro.

In scena “Le nozze di Figaro”, la divertente commedia dal linguaggio franco e spiritoso, che stravolse i meccanismi scenici dell’epoca. Nei panni del protagonista, un istrionico Tullio Solenghi, diretto da Matteo Tarasco.

“Il fatto è che la donna è molto più intelligente dell’uomo”! Non è uno slancio di presunzione, lo dice Figaro nel finale di commedia. “Le nozze di Figaro”, divertente commedia in scena in questi giorni al Teatro Eliseo di Roma, vede il riscatto della figura della donna, oltre che il riscatto sociale di Figaro e di una classe sociale che all’epoca non era mai protagonista della scena. Una commedia divertente con una partitura perfetta, vede Tullio Solinghi protagonista fino al 27 maggio, nei panni del protagonista Figaro. Dopo il successo delle passate stagioni con "La bisbetica domata", Tullio Solenghi torna a interpretare uno spettacolo diretto da Matteo Tarasco. Le Nozze di Figaro è certamente una delle commedie più complesse e vivaci del teatro francese e rappresenta un testo ideale per le qualità istrioniche di Solenghi. Il regista Matteo Tarasco la definisce, nelle sue note, un’allegra commedia in un mondo che crolla, l’ultima grande commedia del teatro settecentesco prima della Rivoluzione Francese. In scena con Solinghi, una compagnia ben bilanciata, composta da Sandra Cavallini, Roberto Alinghieri, Giancarlo Condè, Alessandra Schiavoni, Silvia Salvatori, Guglielmo Guidi, Gianluca Musiu, Totò Mancatore. La folle giornata ovvero Il matrimonio di Figaro di Pierre-Augustin de Beaumarchais è il seguito del "Il barbiere di Sevilla". Solenghi parla così del suo personaggio: "Figaro mi ha subito conquistato per la sua schietta teatralità, messa abilmente al centro di una tessitura di commedia davvero prodigiosa. Ma sarebbe fargli torto il relegarlo al semplice virtuosismo scenico, senza avvertirne la componente di coraggiosa istanza sociale nei confronti di una classe eternamente dominante". Sono passati tre anni e Rosina è diventata la contessa di Almaviva ma il conte, stanco della vita coniugale, fa la corte alla cameriera della moglie, Susanna, spiritosa e gaia, alla vigilia delle sue nozze con Figaro. Figaro è indignato, la contessa è triste nel vedersi trascurata e si turba per l'amore che ha per lei il giovanissimo paggio Cherubino, suo figlioccio. Sfruttando la gelosia del conte per Cherubino, le due donne e Figaro si beffano di lui. Poi, secondo un piano ideato dalla contessa, Susanna finge di dare al conte un appuntamento, al quale si reca invece Rosina nei panni della cameriera. Figaro viene a sapere dell'incontro, crede di essere ingannato dalla fidanzata, si apposta per sorprendere il conte con Susanna. Incontra però Susanna vestita negli abiti della contessa, che gli racconta l'inganno. Arriva il conte, che crede di scoprire la moglie con Figaro, e minaccia di vendicarsi. Alla luce delle torce ogni equivoco è dissipato. Il conte si pente, la contessa ritrova l'antica tenerezza per il marito. Figaro può finalmente sposare Susanna. Lo spettacolo non rientrerà forse in quegli allestimenti de Le nozze di Figaro, che entreranno nella storia, ma risulta comunque complessivamente divertente e piacevole, e le due ore di spettacolo, trascorrono velocemente. Solenghi, istrionico più che mai, risulta a suo agio nei panni di Figaro. Eccelsi i costumi di Andrea Viotti. Il successo di questo genere di commedie deriva dalla vivacità delle situazioni, dal linguaggio franco e spiritoso e dalla forte satira sociale. Le commedie di Pierre-Augustin de Beaumarchais segnavano una netta rottura con la tradizione del teatro contemporaneo borghese, basato su personaggi e trame convenzionali, generalmente subordinate a intenzioni morali e edificanti. Un successo testimoniato anche dal fatto che dalle due opere Mozart (1786) e Rossini (1816) trassero due capolavori musicali.
maria antonietta AMENDUNI


5 Maggio 2007

E se i panni sporchi si lavano in famiglia, Rodolfo Laganà lo fa in “Cose di Casa”

In scena al Teatro Manzoni, lo spettacolo, “Cose di Casa”. Testo scritto ed interpretato da Paola Tiziana Cruciani, insieme a Rodolfo Laganà che ha curato anche la regia.

Il Teatro Manzoni, non poteva avere altra idea migliore per concludere in allegria la stagione teatrale 2006/07. A chiudere i battenti del teatro di Via Monte Zebio, dal 15 maggio al 10 giugno, sarà infatti la comicità di Rodolfo Laganà, insieme a Paola Tiziana Cruciani, con lo spettacolo brillante Cose di Casa, testo scritto in passato dalla stessa Cruciani. In scena anche Pasquale Anselmo, Antonella Laganà (sorella di Rodolfo!) e Renato Merlino. La regia è dello stesso Laganà. Ambientata nella portineria di un condominio di un quartiere romano, durante i confusi ma entusiastici anni ’70, la storia ci racconta la voglia di libertà, la rivoluzione sessuale, la scoperta della politica, la contestazione delle famiglie, i figli dei fiori, le mode i profumi e la musica di quegli anni. Attraverso le vicende della famiglia Pascucci composta dal portiere Gino e dai suoi due figli, Marco (Rodolfo Laganà) fannullone, sfrontato e perennemente disoccupato, e Franca (Paola Tiziana Cruciani) innamorata dell’amore, zitella, in odore di emancipazione, riviviamo quegli anni, le lotte, le passioni, le amicizie, le novità o “le tragedie” come l’avvento del citofono…. La commedia dunque, chiaramente brillante, vede Rodolfo Laganà, darà ampio sfogo alla sua verve comica, che lo ha reso famoso, e lo ha fatto apprezzare già quando muoveva i primi passi con il cabaret, arte che come lui stesso dice gli è molto servita: “Il cabaret è una forma di arte molto completa, dal cabaret non è difficile affrontare nuove esperienze stiamo vivendo un momento molto felice per il cabaret, ma si tratta di un momento felice per la comicità in genere. La gente è stanca dei "drammoni", le persone hanno voglia di ridere e scelgono sempre di più di assistere agli spettacoli comici, che quando funzionano, registrano sempre il tutto esaurito”. Laganà, come attore, è ormai una certezza. Amatissimo come “romano de Roma”, apprezzatissimo anche in tutta Itlia. Nel 1979 inizia a frequentare il Laboratorio di esercitazioni sceniche di Gigi Proietti e in seguito fa le sue prime apparizioni in televisione in qualità di comico in diverse trasmissioni tra cui "Come mi piace", "Al Paradise", "Europa Europa" e "Magazine 3" e nel 2000 è tra gli ospiti fissi della trasmissione "Domenica In". La sua attività principale è comunque il teatro, dove debutta nel 1989 accanto a Massimo Ranieri in "Rinaldo in campo" di Garinei e Giovannini al Sistina di Roma. La sua popolarità cresce grazie ad una serie di spettacoli da lui ideati e interpretati. Nel 1994 partecipa anche a "Alleluja brava gente" di Garinei, accanto a Sabrina Ferilli e Massimo Ghini. Il debutto cinematografico risale al 1983 con "Sing Sing" di Sergio Corbucci. Attualmente invece i suoi spot con Cristian Desica, per una nota compagnia telefonica, stanno diventando dei veri e propri tormentoni.La verve e la comicità di Paola Tiziana Cruciani invece, hanno inizio nel 1981 al Laboratorio di Proietti, ha una vasta esperienza televisiva (sit-com, varietà, fiction) e teatro (con Proietti, Formica, Quartullo e anche in testi scritti e diretti da se stessa), ma è al cinema che, in ruoli vicari, mostra uno spessore, una capacità di dare vita ad un personaggio con assoluta economia di mezzi (Senza Pelle), di alimentare humor e drammaturgia senza farsene accorgere (Condominio di Felice Farina, La Bella Vita e Ferie d'Agosto di Paolo Virzì), che è quanto di più vicino alla grande arte dei ruoli secondari di cui era ricca la commedia negli anni sessanta e settanta.
maria antonietta AMENDUNI


5 Maggio 2007

Franca Valeri e Annamaria Guarnirei: nella loro più intima essenza, attrici, fino all'ultimo istante.

In scena al Teatro Argentina, “Les bonnes (Le serve)” di Jean Genet, trae ispirazione da un fatto di cronaca, delle sorelle Papin, avvenuto in Francia negli anni '30. Insieme a Valeri e Guarnieri, Patrizia Zappa Mulas.

Un trio di grandi nomi per una delle firme più interessanti della nuova generazione teatrale italiana. Franca Valeri, Anna Maria Guarnieri e Patrizia Zappa Mulas sono infatti le interpreti de Les Bonnes (Le serve), testo dello scrittore e drammaturgo francese Jean Genet, diretto da Giuseppe Marini, in scena al teatro Argentina dall’8 al 20 maggio. Les bonnes (Le serve) trae ispirazione da un fatto di cronaca, delle sorelle Papin, avvenuto in Francia negli anni '30: due domestiche a servizio presso una ricca e facoltosa famiglia borghese uccisero atrocemente la loro padrona e sua figlia. Nel testo di Genet le sorelle Claire e Solange Lemercier amano e odiano la loro padrona (Madame) e sognano di ucciderla. Ogni sera, quando la padrona è assente, in un perverso gioco delle parti in cui a turno una prende le sembianze di Madame, l'altra quelle della serva-sorella, inscenano la stessa cerimonia il cui epilogo è proprio l'assassinio della Signora. Poco dopo veniamo a sapere che una di loro, Claire, ha spedito delle lettere anonime alla polizia che hanno condotto in prigione Monsieur, l'amante di Madame. Una telefonata le informa però che Monsieur è stato rilasciato per mancanza di prove e rimesso in libertà provvisoria. In seguito a questa sconfitta e temendo di essere scoperte, Claire e Solange decidono di uccidere veramente Madame con una tisana avvelenata. Ma visto che anche quest'ultimo tentativo fallisce le due bonnes decidono di farla finita e di eliminarsi attraverso l'ultimo rituale suicidio-omicidio: una di loro berrà il tiglio avvelenato che si è fatto servire dalla sorella. “Un teatro bardato a lutto per celebrare il proprio sontuoso funerale, l'ultima cerimoniosa auto-rappresentazione, l'ultima festa –così Giuseppe Marini, racconta il suo spettacolo - Si è fatto installare degli specchi per vedersi morire preziosamente e contemplare il proprio definitivo massacro lirico tra gli intarsi nero-rosso-oro di un barocco post-moderno. Un teatro due volte teatrale, che pone se stesso e le sue possibilità al centro della propria indagine. Un teatro non più abitato da personaggi reali ma da figure allegoriche, apparenze fantasmatiche, images o reflets, che dispiega un'architettura verbale straordinaria e piena di bagliori non per raccontare storie ma de-costruire mitologie. Un teatro che chiama a raccolta i suoi antichi fasti e i più diversi modelli drammaturgici, dalla Messa all'Opera Lirica, per travestirsi e metamorfosarsi in un gioco spinto fino ai suoi limiti estremi, dove incontra l'assurdo e la commedia prima di inabissarsi nella propria negazione. Un teatro costantemente in lotta con se stesso quello di Jean Genet. Les Bonnes sono tornate per parlarci di teatro. Una favola nera, in bilico tra l'angoscia di esistere e la corazza dell'ironia, costruita sulla forma mista di un realismo lirico e allucinato, dove reale e irreale si confondono in un un'atmosfera onirica, da incubo magico. Il cast straordinario sintetizza e rivela le ragioni più profonde dello spettacolo. Les Bonnes sono, nella loro più intima essenza, attrici, "fino all'ultimo istante". Occorrevano due mostri sacri del nostro teatro: Franca Valeri e Annamaria Guarnieri (affiancate, con evidente contrappunto generazionale, da Patrizia Zappa Mulas nel ruolo di Madame) a ricoprirne i ruoli. Riunire e far dialogare tra loro diverse esperienze, diversi "teatri" e dirigere questa dialettica verso Genet è forse il sottotesto principale di questa operazione”.
maria antonietta AMENDUNI


5 Maggio 2007

Schermaglie amorose di due innamorati, entrambi promessi ad altri.

Apparentemente tutto qui, nell’irresistibile gioco teatrale di Marivaux. Ma c’è altro: l’innamorato è povero e l’amata è molto ricca. Fino a che punto il sentimento è libero dall’interesse economico? Toni Servillo in scena al Teatro India con “Le false confidenze”.

Un capolavoro di Marivaux scritto nel Settecento che può tranquillamente essere trasportato nel presente. Una storia d’amore e di denaro fra attrazione e sfiducia, sfida alle convenzioni, inganni del cuore così come li vede Toni Servillo. Si conclude al Teatro India, dal 9 al 27 maggio, la tournèe de Le false confidenze, di Pierre Marivaux, nella traduzione di Cesare Garboli, per la regia di Toni Servillo, in scena con Anna Bonaiuto, Andrea Areni, Gigi Morra La messinscena costituisce con Il Misantropo (1995) e il Tartufo (2000) di Molière la parte centrale del trittico dedicato da Servillo al grande teatro francese del diciassettesimo e diciottesimo secolo. Le false confidenze, mirabile esempio di architettura verbale e relazionale creata e scritta da Pierre de Marivaux nel 1737, portata in scena da Servillo per la prima volta nel 1998, torna oggi in un nuovo allestimento. A distanza di nove anni dal suo debutto, lo spettacolo riprende e prosegue la ricerca del regista attraverso alcuni selezionati testi teatrali che sintetizzano inequivocabilmente atteggiamenti, umori, azioni e reazioni di uomini, colti nell’intimità della loro vita familiare, nel ruolo di inconsapevoli simulacri della profonda rivoluzione sociale in atto nel momento storico descritto dall’azione. Al centro delle trame di Le false confidenze c’è una bella vedova benestante (Anna Bonaiuto), ricca e borghese che può scegliere di accasarsi col conte (Lele Vezzoli), che gli garantirebbe la consacrazione in società, e per questo è più che caldeggiato dalla borghese-madre (Betti Pedrazzi).Oppure abbandonarsi alla passione del giovane bello e nullatenente (Andrea Renzi), che il maggiordomo mariuolo (Toni Servillo) vorrebbe imporle con ogni stratagemma. Da questo bell’intreccio e da un racconto che cattura e diverte, le parole di Marivaux spiegano dinamiche eterne di sentimenti e di danaro, sotto le movenze affascinanti di una commedia d’altri tempi, ‘disarmante nella sua attualità’. «L’amore ostacolato dall’interesse, - spiega Servillo - dagli intrighi, soffocato dal denaro: è questo l’argomento oggi più che mai attuale di questa bellissima commedia. Ma l’attualità evidentemente non è il solo motivo che mi ha spinto ad affrontarla, è la modernità del suo linguaggio ad avermi affascinato in modo irresistibile. Tutto è detto in maniera semplice, chiara, diretta, ma a questa limpidità corrispondono spesso zone oscure, torbide, ambigue, che creano intorno alla vicenda una atmosfera fatta di attese e di trepidazione. Proprio quando i personaggi sembrano affidarsi con più disinvoltura alle parole, emerge ciò che non dicono o tentano di nascondere: alludono continuamente, e questo fa sì che i silenzi, le interruzioni, le pause diventino più espressive di qualsiasi discorso. Così alla commedia di parole se ne affianca una fatta di comportamenti, reazioni, volti, sguardi…». ‘E’ la modernità del linguaggio di Marivaux ad avermi affascinato in modo irresistibile - dichiara Servillo in proposito – tutto è detto in maniera semplice, chiara, diretta, ma a questa limpidità corrispondono spesso zone oscure, torbide, ambigue, che creano intorno alla vicenda una atmosfera fatta di attese e di trepidazione’.
maria antonietta AMENDUNI


2 Maggio 2007

“ Avec le temps,Dalida” ...Il fascino di un’artista, entrata nel mito

In scena al Teatro Centrale, per una sola ed impedibile serata, lo spettacolo dedicato a Iolanda Cristina Gigliotti, in arte Dalida, artista che ha segnato un’epoca. Dallo spettacolo è stato tratto anche un DVD.

Una serata di spettacolo e musica in onore di Dalida. Lunedì 7 maggio alle ore 21,00 presso la sala del Teatro Centrale, di recente restaurato e riportato allo splendore originale, in occasione del XX anniversario della scomparsa di Dalida , una delle più belle voci della canzone internazionale, la Compagnia Nuove Indye presenterà il DVD dello spettacolo teatrale “ AVEC LE TEMPS, DALIDA” prodotto da Paolo Dossena e Pino Ammendola con il patrocinio ed il contributo dell’ IMAIE. In occasione della presentazione del DVD eccezionalmente si esibiranno sul palcoscenico al fianco di Maria Letizia Gorga tutti i musicisti che si sono alternati nel corso di oltre tre anni di repliche: Stefano De Meo, Elena Lera, Laura Pierazzuoli, Marco Colonna e Pasquale Laino. La storia della vita di Dalida, prematuramente spezzata dal suicidio, ha, la dimensione della tragedia di un'eroina dei nostri tempi. Dalida è stata un'artista perennemente combattuta tra la solitudine come contraddittoria vocazione e un bisogno smisurato dell'affetto del pubblico, tra la natura passionale ed esclusiva nei suoi numerosi amori e il sigillo dei due decenni, i Sessanta e i Settanta, che determineranno le regole e i condizionamenti della società dell'im-magine e dello spettacolo. La sua camera inizia al Cairo, dove nasce da genitori italiani e riesce giovanissima a strappare qualche particina nei film egiziani. Quando nel 1954 appro-da a Parigi è alla camera cinematografica che aspira, barcamenandosi tra ristrettezze e incertezze, correndo da un provino all'altro. E quando le si schiude, con il debutto all'Olympia, un futuro di cantante e soprattutto di grande interprete, capace di scatenare il delirio dei suoi fan e di oscurare la fama di una Edith Piaf, si getta nell'avventura senza risparmio. Non immagina ancora ciò che il futuro ha in serbo per lei: la fama planetaria da un lato, e l'abisso dell'infelicità e della solitudine dall'altro, da cui non potrà riscattarla la tragica storia d'amore con Luigi Tenco. Dalida, che è stata non solo uno dei personaggi chiave della musica leggera e dello show-business del secondo Novecento, ma anche una donna dalla ricca e tormentata personalità, la cui vita si è intrecciata con quelle di Luigi Tenco e di altri protagonisti della canzone. Non solo: il fascino speciale di Dalida nasce anche dalla sua collocazione biografica e culturale a cavallo tra mondi differenti, l’Oriente e la musica pop che negli anni Sessanta ha cambiato il mondo, il Mediterraneo e Parigi. Raramente una persona, pur dotata di talento e sex-appeal, accede alla dimensione del mito. Il caso di Jolanda Gigliotti, in arte Dalida, presenta in questo senso elementi e caratteristiche assolutamente uniche ed esemplari. Lo spettacolo teatrale “AVEC LE TEMPS, DALIDA”scritto e diretto da Pino Ammendola ed interpretato da Maria Letizia Gorga, nasce dal desiderio di ripercorrere le tappe di una vita segnata dall’Arte ma anche da tanto dolore. Vuol essere memoria di lei e delle canzoni che l’hanno resa celebre attraverso le generazioni. E’ un percorso tracciato attraverso il suo infinito repertorio musicale di vario genere. Nel suo sorprendente trasformismo, nel suo misterioso e affascinante percorso tra arte e amore, malinconico e beffardo, scientificamente interrotto dalla sua volontà di decidere anche la propria morte; la storia privata di Dalida dunque, con quella dei grandi cambiamenti della musica e del costume negli anni Sessanta e Settanta.
maria antonietta AMENDUNI


1 Maggio 2007

L’inferno dell’ultima dimora di Napoleone

In scena al Teatro Stanze Segrete, Ennio Coltorti, interpreta e dirige “Napoleone a Sant’Elena”, da Jean Claude Brisville. Lo sconto tra Napoleone, il suo carceriere e un terzo inquietante personaggio.

Ennio Coltorti, rapito dal fascino di Jean Claude Brisville. Sarà in scena, da sabato 5 maggio a domenica 3 giugno, al Teatro Stanze Segrete, “Napoleone a Sant’Elena” da Jean Claude Brisville, con Ennio Coltorti, Roberto Mantovani, Bruno Governale, per la traduzione e la regia di Ennio Coltorti. “Napoleone a Sant’Elena (La dernière salve)” è dopo “A cena col diavolo (Le super)” è un altro capolavoro firmato da Jean Claude Brisville. Questo testo, interpretato a Parigi da Claude Brassers, rappresenta con dovizia di particolari (Brisville oltre ad essere uno straordinario drammaturgo è un rinomato biografo), con fortissima tensione drammatica e con teatralissima ironia lo scontro tra Napoleone Bonaparte e il suo carceriere, il Governatore dell’isola, l’inglese Hudson Lowe. Lo scontro si rivelerà assolutamente impari: politicamente e praticamente, visto il potere del Governatore e l’impotenza dell’ex imperatore, sarà tutto a vantaggio del Lowe ma la grandezza d’animo, la fantasia, la personalità, il peso umano, storico e carismatico del geniale corso schiacceranno il grigio esecutore di ordini. Un terzo personaggio misterioso e sorprendente, Montholon, cortigiano volontariamente esiliatosi insieme a Napoleone, renderà la vicenda ancora più intrigante e piena di suspence: perché decide di condividere l’esilio con un uomo ormai (almeno all’apparenza) finito? Fedeltà? Ammirazione? Calcolo? O tradimento? E Bonaparte è al corrente del perché? Ma soprattutto è schiavo del suo grande passato o sta costruendo grazie a questa sua infelice condizione attuale un futuro ancora più glorioso? E tutta questa intrigante e misteriosa vicenda avviene in un “non spazio” senza tempo: la sua prigione/residenza di Longwood. L’oceano che circonda l’isola (Sant’Elena è ancora oggi difficilmente raggiungibile), l’arido vento, l’Aliseo, che la tormenta, il duro clima e la selvaggia natura che la opprimono rendono l’ultima dimora di Napoleone un inferno. E proprio qui tuttavia la personalità complessa e contraddittoria del grande corso, pur nella miseria della sua condizione attuale, in contrasto con i suoi aspetti banalmente quotidiani, a volte anche meschini, avrà modo di esaltarsi e di ergersi come un tempo al di sopra dell’umano e di bussare ancora una volta, lui, uomo tra gli uomini, alla porta degli Dei. La regia dello spettacolo è di Ennio Coltorti che, già interprete del Principe di Talleyrand e regista di “A cena col diavolo”, vestirà i panni del Bonaparte. Gli altri due attori sono Roberto Mantovani (Insegnante di recitazione presso la “Silvio D’Amico”) e Bruno Governale. I costumi sono firmati da un personaggio molto conosciuto nell’ambito dello spettacolo: Rita Forzano, che per idearli (si vorranno estremamente accurati e “Viscontiani”) ha potuto consultare la vastissima documentazione iconografica, relativa al grande personaggio e alla sua epoca, raccolta dal nonno: il celebre regista Gioacchino Forzano. Lo spettacolo debutterà il 5 Maggio (giorno della morte del grande còrso) a Stanze Segrete, il cui spazio sarà “rivoluzionato” per permettere la creazione della stanza in cui si svolge l’azione (curioso aver scoperto che le misure dello spazio di Stanze Segrete sono identiche a quelle della stanza in cui viveva Napoleone a Sant’Elena). Inoltre, l’autore, Jean Claude Brisville, ha inviato i suoi complimenti personali ad Ennio Coltorti per la sua versione dello spettacolo, sottolineandone l’ottima qualità. Costo biglietto, intero: 13 euro; ridotto 10 euro, tessera: 3 euro, www.stanzesegrete.it.
maria antonietta AMENDUNI


25 Aprile 2007

“Ragù in agrodolce”: una curiosa metafora culinaria

Ultima settima di repliche al Teatro dei Servi, con la divertente commedia scritta e diretta da Geppi Di Stasio. Lo spettacolo racconta l’irrisolvibile rapporto fra suocera, nuora e figlio/fidanzato, quest’ultimo con la dolorosa aggravante di essere l’unico pargolo di genitori separati.

Ultima settimana di repliche al Teatro dei Sevi a Roma, per Ragù in agrodolce. Lo spettacolo scritto e diretto da Geppi Di Stasi, che è anche interprete insieme a, Wanda Pirol e Roberta Sanzò, racconta l’irrisolvibile rapporto fra suocera, nuora e figlio/fidanzato, quest’ultimo con la dolorosa aggravante di essere l’unico pargolo di genitori separati. Il tutto sullo sfondo di una curiosa metafora culinaria. Ragù in agrodolce, racchiude già nell’originale titolo la materializzazione delle regressioni di un quarantenne verso il gustoso sughetto tradizionale, metafora di mammà, e le pseudoavanguardistiche istanze della fidanzata, presunta portatrice di nuove abitudini, nuovi pensieri proprio come i sapori della cucina cinese. In scena, quindi, impegnate in sordidi ma divertenti battibecchi concepiti solo per la voglia di contrastare l’avversaria e mettere perennemente il malcapitato davanti ad una forzata scelta tra chi gli ha dato la vita e chi gliela vuol far ben trascorrere. Una madre, una fidanzata e un non incolpevole figlio-fidanzato, bilancino di un rapporto che sembra stare in equilibrio solo sui contrasti, sono i personaggi di questa brillante commedia. Con Ragù in agrodolce si conduce lo spettatore in una sorta di “reality show teatrale”, conforme ai reality show televisivi solo in quanto gli interpreti sono legati, nella propria vita reale, dal rapporto con cui sono legati i personaggi che interpretano (madre, figlio, nuora) e le dinamiche che animano i loro battibecchi potrebbero essere effettivamente vere. Il divorzio che ha lacerato l’adolescenza del protagonista maschile rinfacciato e sminuzzato fin nei minimi particolari; l’innata antipatia verso chi “ti ruba il figlio” e che comunque resta sempre inadeguata agli occhi materni; gli scontri per l’affermazione della propria personalità, della libertà nella coppia all’interno della quale nessuna madre può e deve metter bocca sono, appunto, gli elementi su cui si fonda Ragù in agrodolce. Ecco come Geppi Di Stasio, racconta il suo spettacolo: “Attraverso un metaforico scontro di civiltà culinarie, Ragù in agrodolce mette a nudo sensi di colpa ancestrali, incapacità a relazionarsi e posizioni rigide infruttuose che, pur essendo elementi negativi, costituiscono una sorta di equilibrio senza il quale i protagonisti vengono destabilizzati quasi fino a perdere il senso delle loro esistenze o, quantomeno, il senso dei loro rapporti. In “Ragù in agrodolce” si consuma lo scontro tra il ragù di mammà che rappresenta la regressione che trasmette, comunque, un senso di protezione e la cucina cinese della propria fidanzata che simboleggia l’apertura al nuovo che, però, deve passare per il sacrificio del gusto. Metaforicamente le due filosofie culinarie vengono impersonate da mammà e dalla donna che ami e questo rende tutto più faticoso; così il figlio/fidanzato diviene oggetto del contendere e reagisce creandosi un po’ comodamente l’alibi per trasgredire ed entrare in una dimensione infantile senza ritorno. Nella realtà, le posizioni delle duellanti sono molto meno distanti di quanto appaiono, solo che lui non deve saperlo altrimenti non starebbe più in equilibrio come loro non devono sapere il terribile e sorprendente “rifugio” di lui che scopriremo al finale pena la perdita della serenità di tutti”. In scena fino al 6 maggio.
maria antonietta AMENDUNI


25 Aprile 2007

Unico appuntamento per “Il berretto a sonagli”di Luigi Pirandello

Venerdì 27 aprile all’Auditorium delle Fornaci, andrà in scena, in unica data, lo spettacolo diretto da Marcello Amici. Ingresso gratuito.

Unico appuntamento da non perdere, venerdì 27 aprile all’Auditorium delle Fornaci, con Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello, per la regia di Marcello Amici. Da “Novelle per un anno” a “Maschere Nude”, da Tararà a Ciampa, da istrione a personaggio per costruire una commedia nata e non scritta, viva e non costruita. Oltre, c’è una giara. È la storia di Ciampa. Il suo carattere, scrisse Pirandello a Martoglio che dirigeva le prove della messinscena, è pazzesco. Questa la sua nota fondamentale. Gesti, andatura, modo di parlare, pazzeschi. Una maschera nuda che sottolinea il contrasto tra il sotterraneo fluire dei sentimenti e la rigidità delle forme, tra la verità e la finzione. L’apparire conta più dell’essere. Bisogna conservare il rispetto della gente. Come tutto si placa dopo un temporale, anche qui, come in molte storie di Pirandello, non accade nulla, bisognerà solo fingere di essere pazzi, poi ognuno potrà riprendere il proprio posto in società. È il dettato di Ciampa, una delle espressioni più moderne di tutta la galleria degli eroi pirandelliani. Un personaggio misero e titanico, eroico e pieno di umanità. Una dottrina silenziosa e astuta gli dà la forza di difendere il suo grottesco stato coniugale contro la società ridicola del suo tempo. Beatrice vuole vendicarsi del marito, il ricco cavalier Fiorìca, che la tradisce con la moglie di Ciampa, il suo scrivano, che con strane ed acute argomentazioni cerca di distoglierla da quell’intento, in nome del quieto vivere. La donna non sente ragioni, perciò decide di provocare uno scandalo per restituire dignità al suo pupo calpestato. Denuncia l’adulterio all’autorità locale. Il marito viene sì sorpreso in compagnia dell’amante, ma senza che gli si possa attribuire flagranza di tradimento: verbale assolutamente negativo! A questo punto rientra in scena Ciampa che rivendica il dovere di difendere il proprio onore: dovrà uccidere i due amanti. È tenuto a farlo come logica conseguenza dello scandalo voluto dalla signora Fiorìca. Non conta che il fatto sia accaduto o meno, perché ormai tutti sono convinti che Ciampa possa tranquillamente infilarsi il berretto a sonagli di becco. C’è un solo modo per evitare la tragedia: Beatrice dovrà fingere di essere pazza per cui dovrà essere portata in manicomio e restarci per tre mesi. Come? Basterà che si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crederà, e tutti la prenderanno per pazza. La messinscena è stata realizzata con il contributo del Municipio 18 - Assessorato alla Scuola e Cultura. Auditorium delle Fornaci, Via delle Fornaci 161 – Roma, venerdì 27 aprile 2007 - ore 10 e ore 21 , Compagnia Teatrale “La bottega delle maschere”. Informazioni e prenotazioni: 06.6620982, ingresso gratuito
maria antonietta AMENDUNI


22 Aprile 2007

AL TEATRO TOR BELLA MONACA, 25 APRILE DEDICATO ALLA MEMORIA

Presso la sala grande del teatro diretto da Michele Placido, è di scena lo spettacolo “A Memoria, Letture con musica a ricordo della Shoah”con Massimo Wertmuller e Anna Ferruzzo.

"Comprendere non significa negare l'atroce, dedurre il fatto inaudito da precedenti, o spiegare i fenomeni con analogie e affermazioni generali in cui non si avverte più l'urto della realtà e dell'esperienza. Significa piuttosto esaminare e portare coscientemente il fardello che il nostro secolo ci ha posto sulle spalle, non negarne l'esistenza, non sottomettersi supinamente al suo peso. Comprendere significa insomma affrontare spregiudicatamente, attentamente la realtà, qualunque essa sia. (L'origine del totalitarismo, Hannah Arendt)" Al Teatro Tor Bella Monaca, prende vita un teatro pensato come luogo d’aggregazione, che segna e accompagna con parole e note i momenti rilevanti nella vita della collettività, non può che cogliere ogni occasione e ogni data significativa per riallacciare le fila della nostra storia, per rendere la Memoria viva e presente. Mercoledì 25 aprile risuoneranno le dure parole sulla guerra di poeti e scrittori del Novecento, le testimonianze di autori sopravvissuti allo sterminio nazista, in un recital ideato ed interpretato da Massimo Wertmuller e Anna Ferruzzo. Il senso di un recital come A memoria è per Wertmuller quello di creare «un percorso narrativo nel quale si mescolano in un necessario e faticoso convivere bene e male, guerra e pace, amore e morte. Testimonianze ebraiche e voci di altre genti insieme per raccontare il dolore della guerra che non vive sotto una sola bandiera e che spesso accomuna tutti i popoli». Le musiche originali di Andrea Farri, eseguite dal vivo, divengono in scena il “fil rouge” tra i vari racconti, il raccordo emotivo tra i brani di Ungaretti, Neruda, Levi, Celan, cuciti insieme «nella speranza che si impari prima o poi dagli errori commessi. Perché nella storia la violenza dell’uomo sull’uomo è una lezione da tenere per sempre ...a memoria». E’ importante ricordare avvenimenti che, seppur così tristi e brutali, hanno preso un determinato spazio ed una certa importanza nella nostra storia. Infatti, ognuno deve sapere la propria storia e quella del mondo che lo circonda, attraverso lo studio degli errori e delle follie dell’uomo più eclatanti, per non permettere che alcuna cosa minimamente simile a queste si possa ripetere di nuovo in un futuro prossimo. E con ciò ha il dovere di trasmettere ciò che ha appreso ai suoi figli e così a loro volta dovranno fare codesti con i propri figli. Il fatto che uomini hanno sterminato altri uomini con consenso e approvazione di nazioni come Francia, Italia, Russia... è doveroso non tanto per puntare il dito contro personalità singole con menti malate (Hitler, Stalin) o contro popolazioni che sapevano e ignoravano l'uccisione di milioni di uomini (ebrei, omosessuali, disabili...) ma deve servire a metterci in guardia. Non si può rimanere passivi davanti all'orrore dei campi di sterminio che sono stati la dimostrazione della totale perdita della morale e del valore dell'uomo nel quale furono cancellati ogni parvenza di diritto umano e ogni forma di libertà personale. Noi dobbia rimanere vigili, perché nella vita di tutti i giorni ci confrontiamo con manifestazioni più o meno evidenti di odio, di sopruso, di pregiudizio verso altri uomini e nessuno di noi può lasciare che l’ignoranza e la paura abbiano la vittoria sulla conoscenza.
maria antonietta AMENDUNI


18 Aprile 2007

Gigi Proietti “saluta”il suo pubblico

Ha debuttato al politeama Brancaccio di Roma, “Buonasera, varietà di fine stagione”, il nuovo spettacolo di Gigi Proietti, che chiuderà la stagione teatrale dello stabile di Via Merulana.

"Buonasera", uno spettacolo che è un saluto, ma anche una promessa; un saluto di fine stagione al pubblico e una promessa mantenuta , ad una città che tanto ha aspettato questo nuovo spettacolo. Si intitola proprio Buonasera lo spettacolo con cui Gigi Proietti conclude questa stagione del Teatro Brancaccio ma anche un'altra stagione - durata sei anni - , durante la quale ha curato la direzione artistica del Politeama di via Merulana: apprezzato, stimato, amato dal pubblico, sempre simpatico protagonista, sul palco e dietro le quinte. Sei anni in cui al Brancaccio sono andati in scena spettacoli di generi diversi - Shakespeare, musical e grandi commedie - e "tanti se ne sarebbero voluti fare ancora", si legge in una apposita nota, "come un grande spettacolo sull'amore e uno sui barboni". Uno show ispirato all’avanspettacolo e le sue glorie, un omaggio a tutto questo con canzoni, poesie, racconti, situazioni di vario genere senza però rinunciare ai pezzi di repertorio. Gigi Proietti è un personaggio simbolo della romanità, e con il suo nuovo show, rende omaggio a tanti grandi del teatro che sono passati per il Brancaccio e non, e a un genere, il Varietà, che tanto fece divertire e ancora oggi diverte il pubblico di ogni età, condizione e censo: Proietti, con la sua Orchestra e la sua compagnia di attori, il balletto e le figlie, Susanna e Carlotta (quest'ultima accompagnata dal suo Trio). Questo "varietà di fine stagione", che ha debuttato il 18 aprile e sarà in scena fino al 20 maggio, alterna canzoni romane e canzoni internazionali, liriche d'amore e sketch esilaranti, nuovi e vecchi personaggi. Con una chicca d'autore: l'atto unico " Pericolosamente" di Eduardo De Filippo. In perfetto stile avanspettacolo, la scena si apre in “napoletano”, con pericolosamente di Eduardo, con Proietti, accompagnato da un bravissimo Marco Simboli. Proietti poi, chiacchierando con il pubblico, che ringrazia calorosamente per questi primi sei anni di affetto dimostrato, racconta come questo spettacolo sia il suo omaggio al Politeama Brancaccio, che in passato si è chiamato Morgana e Alcatraz ed è stato uno dei simboli più importanti dell’avanspettacolo; tanti sono infatti i personaggi che hanno calcato le tavole del teatro di via Merulana, come per esempio, Renato rasce, Anna Magnani, o lo stesso Aldo Fabrizzi, che sul palco del Brancaccio c’è praticamente nato. Los pettacolo va avant con filmati, musica, balletti, scath, insomma sembra proprio di ritornare indietro nel tempo, agli anni d’oro dell’avanspettacolo. Non manca naturalmente anche un omaggio a Petrolini. Proietti come sempre oltre che fare uno spettacolo eccellente, dove anche il più piccolo particolare non è mai lasciato a caso, è una vera e propria lezione di teatro; la sua spiegazione della “carrettella” è a dir poco esilarante. Vedere uno grande personaggio come lui in scene è sempre un piacere. E’ una certezza andarea Teatro a vedere Proietti. Sai già che andrai a passare una serata bella e piacevole, che volerà via in un attimo, una serata serena e sincera. Questa volta forse si ride un pò meno, rispetto ai due spettacoli precedenti, ma ci si emoziona sempre di più e c’è anche più poesia. Un Proietti dunque sempre capace di rinnovarsi e stupire il pubblico, un Proietti, sempre capace di emozionare.
maria antonietta AMENDUNI


17 Aprile 2007

Mascia Musy: la maliziosa furbizia di Mirandolina

In scena al Teatro Eliseo “La Locandiera” di Goldoni, nella storica edizione curata da Giancarlo Cobelli nel 1979, che vede oggi a distanza di ventotto anni Mascia Musy nel ruolo della protagonista.

La Locandiera: lo stendardo del teatro di Goldoni, che soppianta gli schemi arrugginiti dell'obsoleta Commedia dell'Arte. Dal 17 aprile al 6 maggio in scena al Teatro Eliseo La locandiera di Carlo Goldoni, nella storica edizione curata da Giancarlo Cobelli nel 1979, che vede oggi a distanza di ventotto anni Mascia Musy nel ruolo del titolo. Una Mirandolina, locandiera intelligente e sagace, che sa leggere e scrivere e con una cultura e un piglio imprenditoriale sorprendente per l’epoca. Il ruolo del Cavaliere di Ripafratta è affidato a Francesco Biscione, Paolo Musio e Massimo Cimaglia sono rispettivamente il Marchese di Forlipopoli e il Conte d’Albafiorita, Andrea Benet è Fabrizio, il fedele cameriere della locanda, Alessandra Celi e Federica De Cola le due comiche. La Locandiera è una sorta di stendardo del teatro di Goldoni, che soppianta gli schemi arrugginiti dell'obsoleta Commedia dell'Arte. Le maschere che gli attori portavano per interpretare personaggi fissi, vengono soppiantate dal volto stesso degli attori, che impersonano il ruolo di gente normale e reale. Lo svolgimento della vicenda, prima affidato all'inventiva degli attori, viene sostituito dall'ordinata sequenza di eventi mirabilmente pianificata da Goldoni, che diventa così il poeta di teatro. La morale dichiarata del pezzo si ricollega all'ars amandi, dunque ad un arte al tempo riservata agli uomini: l'uomo deve essere messo in guardia da malizie e tranelli escogitati dalle donne, furbe e dotate di armi pericolose. Si tratta comunque di una morale pro forma, dato che Goldoni stesso nutre simpatia per il personaggio di Mirandolina. È infatti uno dei pochissimi che non deve il suo comicismo a ridicoli difetti. Piuttosto il pubblico riderà della sua maliziosa furbizia. I personaggi di Dejanira e Ortensia, vicini al mondo della Commedia dell'arte, vengono descritti come figure incapaci di prevedere e concludere. Mirandolina, invece, pianifica e calcola: in questo senso è più vicina al Goldoni. Questo personaggio, tra l'altro, non è altro che uno sviluppo della maschera Colombina come la ritroviamo nella Commedia dell'arte; a differenza di Colombina, però, si tratta di un personaggio differenziato ed imprevedibile. Questa tendenza al realismo conferisce alla commedia un volto umano, ed è universalmente valido in ogni tempo rappresentando sulla scena il mondo con le sue contraddizioni. Nel 2007 ricorre il trecentenario della nascita di Carlo Goldoni forse il più importante autore italiano teatrale di tutti i tempi, tra gli innumerevoli testi che ha scritto, uno dei suoi capolavori è senz'altro La locandiera. Il 22 aprile 1979 Giancarlo Cobelli in occasione dell'inaugurazione del Teatro Goldoni di Venezia appena restaurato, ne allestì una celebre edizione con Carla Gravina protagonista. Lo spettacolo conobbe un tale successo da essere rappresentato per ben tre stagioni di seguito. Quello spettacolo "passò alla storia", fu infatti salutato dall'ambiente teatrale come una svolta nelle regie goldoniane. Non ne veniva fuori una Mirandolina raffinata, come per esempio quella di Rina Morelli diretta da Visconti, che pure rivoluzionò tanti luoghi comuni goldoniani, ma un personaggio - e uno spettacolo – duro, elegante e un po' "noir", con una forte componente erotica e di conflitto sociale Perché è importante vedere la locandiera ancora oggi? In cosa consisteva la sua innovatività e perché è attuale anche adesso? Sicuramente perché è un'opera accessibile a tutti. ed ha quindi lo scopo di divertire il pubblico. In questo senso non si può certo dire che sia un testo particolarmente rappresentativo dell'Illuminismo. Malgrado ciò, l'opera rispecchia il dibattito sulle classi sociali così vivo nel Settecento. Notiamo infatti come Mirandolina si preoccupa dei suoi interessi incarnando in un certo senso i nuovi ideali della borghesia emergente. I nobili, poi, sono rappresentati nella varia articolazione che caratterizzava l'aristocrazia del XVIII secolo: nobili di antica stirpe ma decaduti e privi di mezzi, nobili ricchi di appoggi e relazioni ma non di denari, borghesi da poco nobilitati e guardati con disprezzo malcelato dai "veri" aristocratici. Nell'insieme, comunque, rappresentano i parassiti della società che non contribuiscono minimamente al suo sviluppo e pretendono privilegi e servigi, rendendosi così ridicoli ed irritanti agli occhi degli spettatori. Se dal punto di vista sociale, la visione di Goldoni fu profondamente critica, lo stesso vale per la critica dei nobili nei confronti del drammaturgo. È questa una delle ragioni per cui più tardi Goldoni avrebbe abbandonato Venezia alla volta di Parigi. Emerge inoltre nella pièce il concetto illuminista di autodeterminazione dell'individuo, particolarmente significativo perché portato avanti da un personaggio femminile.
maria antonietta AMENDUNI


11 Aprile 2007

Da “Sorelle materassi”, passando per “Re pastore”, arrivando a “Due partite”…

Tre proposte importanti: Marina Malfatti al Teatro Quirino, Mozart al Teatro Tor Bella Monaca e un quartetto d’eccezione Buy, Ferrari, Massironi e Milillo al Teatro Valle.

Ricca settimana di appuntamenti per i tre teatri del circuito ETI di Roma. Dopo il successo de Le sorelle Materassi, torna al teatro Quirino dal 10 al 22 aprile Marina Malfatti, un’attrice che ha fatto la storia della scena italiana, alle prese con una delle più belle commedie del teatro italiano del primo Novecento: Gallina Vecchia di Augusto Novelli. Il testo dello scrittore toscano non poteva mancare nella straordinaria carriera di Marina Malfatti, infatti le indiscusse qualità mattatoriali della commedia ne hanno fatto da sempre un cavallo di battaglia per attrici di gran temperamento e di prorompente personalità. Basti pensare che si sono misurate con il personaggio di Nunziata, una delle più accattivanti e malinconiche figure femminili del teatro contemporaneo italiano, alcune tra le più significative interpreti della nostra scena come Sarah Ferrati, Pina Cei e Marisa Fabbri. Come ben evidenzia il regista Piero Maccarinelli, Novelli non è semplicemente un autore vernacolare bensì “un autore realista in lingua toscana”. Il sapido ritratto di questa Italietta di provincia riverbera a tratti Pratolini e a tratti anticipa la grande commedia italiana degli anni 50. Non a caso il regista la sottrae all’ambientazione d’inizio secolo per trasportarla ai fervidi anni prima del boom economico. La ricca commerciante protagonista di questa commedia, che miscela sapientemente divertimento puro con un fondo di amara crudeltà, è una donna che ha paura del tempo che passa, della gioventù che sfiorisce e tenta con ogni mezzo di conquistarsi un ultimo sogno d’amore. E questo sogno è disposto anche a comprarselo, se necessario. Ecco dunque che Nunziata non esita, oltre a sfoggiare un trucco eccessivo e abiti troppo giovanili, a mettere prepotentemente in campo anche le sue migliori qualità, case, terreni e denaro, il tutto allo scopo di attirare l’attenzione del giovane Ugo, fidanzato di Gina, la giovane stiratrice che abita al piano di sopra. La Nunziata tratteggiata da Marina Malfatti è un personaggio vero, comico a volte, ma anche con risvolti teneri, attraversati da una vena di malinconia e dall’amara consapevolezza dell’incedere del tempo, attualissima croce della nostra società. Altro importante appuntamento è quello del 14 aprile. L’Orchestra Roma Sinfonietta propone al Teatro Tor Bella Monaca il 14 aprile alle ore 21.00 una delle composizioni meno famose di Wolfgang Amadeus Mozart: Il re Pastore. Considerata a lungo un’opera minore, Il re Pastore offre invece l’occasione per apprezzare la versatilità del grande compositore, capace di costruire arie e temi sempre diversi, adattandoli alle caratteristiche dei personaggi. La messa in scena di quest’opera è quindi un’ottima occasione per approfondire la conoscenza di Amadeus e apprezzarne il lavoro sulle parole di Pietro Metastasio, che firma il libretto. E dalla periferia si ritorna al centro di Roma, dove Cristina Comencini per la prima volta autrice e regista per il teatro con la commedia Due Partite ritorna a grande richiesta al Teatro Valle dal 10 aprile al 6 maggio. Dopo il successo unanime ottenuto la scorsa stagione, lo spettacolo ha il merito di riunire sulla scena quattro interpreti molto amate dal pubblico non solo cinematografico, Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironi e Valeria Milillo, che in questa occasione si confrontano con la scena teatrale dando ognuna una grande prova d’attrice. La commedia in due atti presenta da prima un elegante interno borghese anni ’60, dove quattro amiche di lunga data sono intente ad un gioco di carte. Da molti anni, ogni giovedì pomeriggio, rivendicando una giornata tutta per sè, le donne si danno appuntamento per la solita partita, intervallata da chiacchiere e confidenze, mentre le loro bambine giocano nella stanza accanto. Nessuna di esse lavora, e il filo rosso che attraversa le loro vite è la predominanza assoluta del ruolo di moglie e madre su tutti gli altri. Ed è così che emergono storie e dettagli di esistenze parallele, che si intrecciano con toni sentimentali e comici, sullo sfondo delle tematiche esistenziali e sociali degli anni ’60. Nel secondo atto, a distanza di 45 anni, quattro donne vestite di scuro arrivano alla spicciolata in un’altra casa, per partecipare ad un funerale. Sono le bambine di allora (le stesse attrici interpretano madri e figlie), e a poco a poco, per somiglianza o per contrasto, le colleghiamo una dopo l’altra alle madri. A differenza di loro, lavorano tutte, sono più consapevoli, ma anche tanto stanche. Due epoche allo specchio, due modi diversi di essere donne, alla ricerca di differenze e similitudini, nel tentativo di definire, oggi come ieri, la stessa identità femminile. Qualcosa che sembra a tutte loro sfuggire e perciò perennemente a rischio, oggi come ieri.
maria antonietta AMENDUNI


11 Aprile 2007

Passione, amore, tradimento, furia: “Non si sa come”

In scena al Teatro della Visitazione, lo spettacolo “Non si sa come” di Luigi Pirandello. La regia è di Antonio Santoro; in scena Riccardo Leonelli, Maia Orienti. Tema centrale del testo il rapporto contradditorio tra coscienza e incoscienza.

Il teatro questa settimana ha il sapore di sentimenti forti: amore, passione, tradimento, furia; sentimenti che possono portare a commettere delitti. In Non si sa come di Luigi Pirandello questi delitti sono compiuti dal protagonista senza esserne consapevole. Il tema, centrale del testo è infatti il rapporto contradditorio tra coscienza e incoscienza. Cosí Pirandello spiegava il senso non umano della tragedia, del Non si sa come, vale a dire della cose che avvengono oltre il nostro potere. L’opera di Pirandello sarà in scena al Teatro della Visitazione dal 12 al 15 aprile. La regia è di Antonio Santoro; in scena Riccardo Leonelli, Maia Orienti, Alessia Olivetti, Francesco Pompilio, Antonio Santoro. Il conte Romeo Daddi nasconde nella memoria un antico delitto: l’uccisione da ragazzino di un suo coetaneo. Una colpa gravissima che la mente ha astutamente rimosso per permettere alla vita di scorrere. Ma un giorno nella calura estiva l’imprevedibile accade: Romeo tradisce sua moglie Bice con Ginevra, la donna del suo migliore amico. Ancora una volta un gesto terribile e non voluto. Ma così è la vita: le cose accadono, non si sa come, ma avvengono. La sensazione di non essere veramente padrone dei propri atti gli rende la vita insopportabile. L’ idea di non poter essere più sicuro di niente e di nessuno gli fa franare il terreno sotto i piedi. Meglio la farsa, meglio ridere di sé e delle finte certezze cui tutti si aggrappano, come naufraghi in tempesta. Ridere come un clown delle cose certe che si sanno e che nessuno discute. Ridere per non sentire le domande che come tarli corrodono il cervello: Di chi è la colpa di quel delitto che lui non ha mai voluto commettere? Siamo veramente padroni dei nostri atti oppure la imprevedibilità di un singolo gesto è in grado di modificare irrimediabilmente il nostro destino?Conosciamo veramente chi ci vive accanto? Troppe domande senza poter dare una risposta. Una sola certezza l’umana fallacia, il marcio che prospera annidato dentro ognuno di noi, pronto a prendere il sopravvento in un momento di debolezza. Romeo sviluppa un desiderio morboso di cogliere in fallo le persone che lo circondano e, come Don Chisciotte con i mulini a vento, imbraccia la lancia per aprir crepe nel muro della finzione borghese. Quella stessa finzione che gli ha permesso inspiegabilmente di vivere pacificato per tanti anni, pur avendo le mani sporche di sangue e che ora rinnega con il riso e con il pianto. Non si sa come è un testo che, a nostro avviso, la dice lunga sulla insopportabilità della finzione nelle relazioni interpersonali e sull’ineluttabilità del senso di colpa. La scissione dell’io tra ragione e istinto, tra legge e natura e la loro apparente inconciliabilità costituiscono il tema portante di quest’ opera pirandelliana. E’ curioso quanto le circostanze produttive abbiano influito sulla stesura definitiva di questa pièce pirandelliana. L’autore aveva immaginato e scritto per il “Non si sa come” un finale diverso da quello che tutti conosciamo e che appare pubblicato nel corposo volume delle Maschere Nude. L’opera non si concludeva con il delitto d’onore, ma faceva calare la tela su una situazione molto più ambigua e sfumata, dove lo stesso protagonista sembrava conciliarsi con l’ipocrisia borghese, che pur aveva combattuto durante i tre atti. Questa conclusione giudicata non accattivante dalla produzione e dagli attori costrinse Pirandello a riscrivere la chiusura del suo testo fornendo un finale del quale egli stesso non si riteneva del tutto soddisfatto. Nel nostro lavoro sulla pièce, pur segnalando la presenza dell’altro finale con un momento di onirica sospensione, ci è sembrato giusto consegnare al pubblico il “Non si sa come” nella sua versione canonica, depositata nelle Maschere Nude. Pertanto lo spettacolo si chiude con due accadimenti: l’uccisione di Romeo Daddi per mano dell’amico Giorgio Vanzi e un gesto della comunità degli amici che assieme riassumono la nostra lettura di questa opera di Pirandello. Ecco come il regista Antonio Santoro, racconta lo spettacolo: “Mettere in scena un testo di Luigi Pirandello per una compagnia giovane come la nostra costituisce sicuramente una grande sfida. E’ infatti inevitabile avvertire la distanza di un linguaggio che per gusto lessicale e struttura sintattica è estremamente diverso da quello riscontrabile nella drammaturgia contemporanea, sia italiana che straniera. Tuttavia questo gap linguistico non deve a nostro avviso essere una ragione sufficiente per ignorare uno dei principali drammaturghi della storia del teatro italiano. Uno scrittore che ha affrontato con maestria e cura ossessiva il tema del rapporto tra coscienza e inconscio o della molteplicità dell’io traducendolo in memorabili pagine di teatro…” Teatro della Visitazione, Via dei Crispolti 142. per info: cell. +39 328.7682966 / +39 340.3527189 tel e fax: +39 06.86204570. Orario spettacoli da mercoledì a sabato ore 21 – domenica ore 17,30 Biglietti: intero 10€ - ridotto 8€
maria antonietta AMENDUNI


5 Aprile 2007

Misura per misura…follia per follia!

Al Teatro Argentina, Gabriele Lavia ritorna dopo undici anni ad interpretare (e dirigere) un testo di William Shakespeare, perché, come afferma lo stesso Lavia: «Non c'è niente di più moderno dei classici.

Ragione per ragione o follia contro follia? Con questo interrogativo Gabriele Lavia presenta e affronta la regia di Misura per misura, di William Shakespeare, in scena al Teatro Argentina dall'11 aprile al 6 maggio, e a cui fara' seguito una lunga tourne' che partira' nell'autunno del 2007 per proseguire per tutto il 2008. Qual è la misura con cui giudicare la vita degli uomini? Questa la domanda alla base di questo "dramma problematico", o dark comedy, di Shakespeare nella quale già nel 1976 Gabriele Lavia, diretto da Luigi Squarzina, aveva recitato negli abiti di Angelo il vicario (interpretato ora da suo figlio Lorenzo Lavia), insieme a un cast d'eccezione, composto fra gli altri da Mario Scaccia e Luigi Vannucchi. Perché riaffrontare questo testo in veste di regista? «Perchè non c'è niente di più moderno dei classici - afferma Lavia - infatti attraverso i classici racconto la contemporaneità». È con questo slancio di attualità che affrontata questa opera, purtroppo poco frequentata dal teatro italiano. La grandezza di Shakespeare, stà anche in questo, nella genialità di aver scritto molti anni fa, opere che potrebbero essere state scritte anche oggi per la loro attualità. L'universo rappresentato da questa commedia oscura è infatti conflittuale e irrisolto come lo sono i nostri giorni, un mondo dove giustizia e ingiustizia confondono i loro regni, si scambiano le parti, ed è impossibile marcare una linea di confine definita una volta per tutte. Bisogna andare con la memoria ad undici anni fa per ritrovare Gabriele Lavia alla prova con Shakespeare. Era il Riccardo II del 1996; questa volta la sfida è resa più serrata. Difficile, ambiguo, inafferrabile come la complessità del nostro vivere, Misura per misura è un grande gioco del teatro e fa da specchio a un mondo che non smette di cercare un senso nuovo per parole come giustizia, potere, morale e dignità umana. Ma non si tratta di concetti astratti: "perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati" (dal Vangelo secondo Matteo, passo da cui probabilmente è stato tratto il titolo dell'opera). «Al centro c'è il tema del sesso. Se andiamo a stringere, Misura per misura è la storia di un ragazzo condannato a morte per aver fatto l'amore con una vergine. Tutta la corruzione del mondo ha come paradigma il sesso» afferma ancora Lavia, forte della sua conoscenza di Shakespeare, l'autore che più di ogni altro ha saputo raccontare la Storia attraverso i conflitti e le controversie legate alla sessualità. La trama è nota. Il duca di Vienna, lascia vacante il suo trono per un breve periodo, e affida le redini del governo al vicario Angelo, che nasconde l’animo d’uno sciagurato villain. Il suo primo atto di governo consiste nel dare un esempio condannando a morte il giovane Claudio, colpevole di aver resa madre Giulietta prima delle nozze. La sorella di Claudio, la novizia Isabella, si precipita a inginocchiarsi dinanzi al vicario a impetrare la grazia della vita per lo sventurato giovane. Ma Angelo, dopo molte preghiere, accetta d’accontentare Isabella solo a patto che ella gli si prostituisca. Isabella finge di accettare, ma in realtà sarà sostituita nel letto di Angelo da Mariana, una antica fidanzata del vicario, da questi ripudiata perché aveva perduta in un naufragio la propria assegnazione dotale. Angelo, dopo aver saziato le sue brame con la supposta Isabella, non mantiene l’impegno, ed anzi pretende, la testa mozzata di Claudio. Ma come falsa era Isabella, così ancor falso sarà il capo mozzato del fratello, ché al suo luogo verrà mostrato ad Angelo quello spiccato a un altro prigioniero, spentosi in carcere, di morte naturale. Il fatto si è che il duca non si era mai allontanato da Vienna, e sotto le mentite spoglie d’un frate smaschera la disonestà di Angelo che verà costretto a sposare Mariana. Claudio, salvo per miracolo, sposerà Giulietta. E Isabella sale all’altare con il duca in persona. Con Gabriele e Lorenzo Lavia, Federica Di Martino, Francesco Bonomo, Alessandro Riceci, Pietro Biondi, Giorgia Salari, Marco Cavicchioli, Fabio Massimo Amoroso, Pino Ammendola, Rita Di Lernia, Gianni De Lellis, Luca Fagioli, Andrea Nicolini, Sidy Diop, Tamara Balducci, Viviana Lombardo, Faustino Vargas, Fabrizio Vona, Matteo Micheli, Claudio Ammendola, Giovanna Di Maio, Francesco La Ruffa, Alessandro Cangiani.
maria antonietta AMENDUNI


1 Aprile 2007

Al Teatro India, Antigone taglia i ponti…

Debutta lo spettacolo diretto da Walter Le Moli che ha voluto in questo lavoro interrogarsi sui meccanismi di funzionamento della polis, ma puntando sulla tragedia della razionalità assoluta, senza toni drammatici o romantici.

Debutterà il prossimo mercoledì 4 aprile (con repliche fino al 15, sospensione nel periodo pasquale dal 6 al 9 Aprile) al Teatro India di Roma, Antigone di Sofocle, nella nuova traduzione di Massimo Cacciari. Antigone, diretta da Walter Le Moli per il nucleo permanente di attori della Fondazione del Teatro Stabile di Torino, la Fondazione Teatro Due di Parma e il Teatro di Roma, è il primo risultato di questa coraggiosa operazione in cui uno staff di 12 attori è stato chiamato a un lavoro molto intenso secondo modalità internazionali; con la guida di cinque diversi direttori, italiani e stranieri, la compagnia sta affrontando un percorso professionale programmato su pochi mesi e articolato in prove, debutti e repliche a ciclo continuo di ben cinque spettacoli tra classici e contemporanei, con testi tradotti per l’occasione. Il progetto si ispira alle modalità produttive europee e alla necessità di uniformarsi alle caratteristiche dei principali teatri aderenti all’UTE/Union des Théâtres de l’Europe. Antigone, tragedia scritta da Sofocle nel 442 A. C. e paradigma del contrasto fra le leggi dell’oikos (intesa come casa in senso allargato in riferimento a valori come i legami famigliari e il culto dei morti) e della polis (la città) ha visto traduttore e regista d’accordo nel rilevare che il pensiero contemporaneo, e in particolare la visione psicoanalitica, abbia impregnato di sé anche quelle opere che prescindevano completamente da tali presupposti. “Ho affrontato la traduzione tenendo sempre presente che la tragedia è un genere con il quale, come ci hanno insegnato tutti i grandi classici della filosofia europea che hanno riscoperto il tragico greco, abbiamo tagliato i ponti..”, dice Cacciari, che ha restituito un testo sofocleo fatto di un linguaggio aspro e lucido perché “queste sono parole tragiche e la parola tragica è una parola che uccide e questo bisogna sentirlo chiaramente dalla scena”. Dunque Antigone (voce del genos, della stirpe, del pre-potente) e Creonte (voce della legge, del nuovo, del potente) ?????nsono speculari aspetti di un unico profondo e mortale conflitto. Coerente a questo punto di vista è anche l’impostazione di regia di Walter Le Moli che ha voluto in questo lavoro interrogarsi sui meccanismi di funzionamento della polis, ma puntando sulla tragedia della razionalità assoluta, senza toni drammatici o romantici. L’intento è quello di sollevare da una prospettiva psicologica la vicenda della figlia di Edipo che muore perché, contro il volere del re Creonte, dà sepoltura al fratello traditore Polinice, per conferirle un respiro filosofico ed elevarla ad archetipo di quel travaglio dialettico su cui si fondano politica e democrazia. La storia di Antigone inizia laddove termina la tragedia di Sofocle " Edipo re", ovvero quando Edipo affida le figlie allo zio Creonte e va in esilio. Quando Edipo, si rese conto del misfatto che aveva compiuto e cioè di avere ucciso il padre e avere sposato la madre,Giocasta , si accecò e, scacciato da Tebe, peregrinò per tutta l'Attica. Quando giunse presso il bosco sacro alle Eumenidi, nel quale era vietato l'ingresso ai profani, egli decise di entrarvi e perciò le Eumenidi fecero strazio del corpo di Edipo. Antigone a questo punto decide di ritornare a Tebe, qui era appena iniziata la guerra dei Sette contro la città causata da discordie fra i suoi fratelli che vicendevolmente si erano uccisi. Quando vi giunse i corpi dei fratelli giacevano ancora insepolti in quanto Creonte nuovo re di Tebe ne aveva vietata la sepoltura anzi aveva dato in pasto ai cani i loro corpi. Antigone, disobbedendo agli ordini di Creonte, seppellì degnamente suo fratello Polinice - traditore della patria. Il re diede così ordine di murarla viva. Tiresia, l'indovino cieco, individuò la prigione-tomba di Antigone che fu aperta dopo qualche giorno, ma la fanciulla al suo interno era già morta. Alla vista del corpo, il promesso sposo di Antigone, Emone, figlio di Creonte, si tolse la vita. Nel cast: Elia Schilton (Creonte) e Paola De Crescenzo (Antigone), Franca Penone (Ismene), Fausto Cabra (Emone), Marco Toloni (Messaggero), Nanni Tormen (Guardia), Maria Grazia Solano (Euridice), Valentina Bartolo (Guida), Francesco Rossini (Corifeo), Enzo Curcurù (Coro), Lino Guanciale (Coro), Alberto Onofrietti (Coro) e la partecipazione di Giancarlo Ilari (Tiresia). Le musiche sono di Alessandro Nidi, eseguite in scena da Marina Martianova (violino), Elena Casottana (violino), Alberto Capellaro (violoncello), Enzo Salzano (viola). Scene di Tiziano Santi, costumi di Vera Marzot, luci di Claudio Coloretti.
maria antonietta AMENDUNI


28 Marzo 2007

Enrico IV: in scena all’Eliseo, un capolavoro tra comico e drammatico

In scena al Teatro di Via Nazionale, un capolavoro di Shakespeare; l’allegria pura della creazione, capace di rimanere tale anche quando s’intreccia con la malinconia o con la tragedia. Con Paolo Bonacelli

Un testo fondante della drammaturgia universale, un capolavoro in equilibrio tra comico e drammatico, qual è certamente lo shakespeariano Enrico IV, approda sulle scene del Teatro Eliseo dal 27 marzo al 15 aprile un grande classico: Enrico IV di William Shakespeare, spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano con il Teatro Stabile di Sardegna. Regia Marco Bernardi, scene Gisbert Jaekel, costumi Roberto Banci, musiche Franco maurina, luci Andrea Travaglia. Con Paolo Bonacelli, Carlo Simoni e Corrado d’Elia e con Stefano Artissunch, Alvise Battain, Antonio Caldonazzi, Luigi Ottoni, Maurizio ranieri, Libero Sansavini, Giovanni Sorenti, Marco Spiga, Riccardo Zini. L’allegria di Shakespeare è l’allegria pura della creazione, capace di rimanere tale anche quando s’intreccia con la malinconia o con la tragedia. Simile in questo a quella del grande personaggio di Falstaff che troneggia sullo sfondo di Enrico IV e che si può considerare, accanto ad Amleto e sul versante comico, una delle più felici creazioni del genio inglese. Questo di Shakespeare è un testo difficile. Racconta un ampio periodo storico, con tanti personaggi, tantissime sfumature e, anche per questo, poco rappresentato in Italia. La sua centralità è tutta in Falstaff, personaggio “large”, un po’ vigliacco, profittatore. Ladruncolo a cui piace mangiare, bere e godersi la vita. Per la mirabile unità tematica che lega la complessità della struttura, per l'ampiezza della vicenda storica rievocata e la molteplicità dei personaggi, per la straordinaria, virtuosistica ricchezza del linguaggio nell'alternarsi di prosa e di poesia, Enrico IV può essere definito il capolavoro di Shakespeare nell'ambito dei lavori da lui dedicati alla storia e alla corona inglese. Di questo straordinario testo, in equilibrio tra comico e drammatico, poco rappresentato in Italia, si ricordano le edizioni di Giorgio Strehler e Tino Buazzelli. La pièce, che contiene magistralmente tutti gli elementi che caratterizzano la produzione drammaturgica del Bardo, viene ora riproposto dopo molti anni: una nuova sfida affrontata dal regista, Marco Bernardi al suo quinto importante incontro con l’autore di Stratford on Avon. La grandezza dell’opera sta soprattutto nella contrapposizione tra gli interessi della corte, del potere fine a se stesso, e il contrastante universo delle bettole, irriverente, notturno, edonistico, ben rappresentato dalla figura grottesca e cinica di Falstaff, che riassume alla perfezione il “tipo” da taverna, l’allegria pura della creazione. Questi due mondi si alternano e si specchiano nel dipanarsi, a tratti divertente, a tratti decisamente più tragico, della storia. Con riflessi contrastanti, drammatici e imprevedibili. Enrico IV può essere definito per la mirabile unità tematica nella complessità della struttura, per l'ampiezza della vicenda storica rievocata e la molteplicità dei personaggi, per la straordinaria, virtuosistica ricchezza del linguaggio nell'alternarsi di prosa e di poesia, il capolavoro di Shakespeare nell'ambito delle storie inglesi. Mai come in Enrico IV Shakespeare ha saputo fondere la multiforme ricchezza cromatica del chronicle play con la forza dinamica del dramma "marlowiano", creando una realtà teatrale a un tempo molteplice e unitaria in cui un unico tema - l'allegoria morale dell'ascesa e caduta dei potenti - viene ripreso e modulato in chiavi diverse e messo a contrasto con il tema opposto e parallelo della caduta e del riscatto nei tre grandi protagonisti del dramma: re Enrico (Carlo Simoni), Falstaff, l'immortale "prediletto della luna" (interpretato da Paolo Bonaceli), e l'amletico e istrionico principe di Galles (Corrado d’Elia), autentico elemento portante e centro focale dell'opera.
maria antonietta AMENDUNI


21 Marzo 2007

Al Brancaccio è di scena il romanticismo di “Quattro matrimoni e un funerale”

Giampiero Ingrassia e Marta Zoffoli, nella versione teatrale italiana del film che negli anni novanta fu campione di incassi, e che vedeva protagonisti Hugh Grant e Andie MacDowell.

Sarà in scena al Teatro Brancaccio dal 20 marzo al 5 aprile lo spettacolo Quattro matrimoni e un funerale di Richard Curtis, con Giampiero Ingrassia e Marta Zoffoli. La romantica avventura di due inguaribili single innamorati pazzi che coronano il loro sogno d’amore decidendo di non sposarsi mai. E se all’uscita del film tanto fecero sognare Hugh Grant e Andie MacDowell, figurarsi ora, in tempi di “Dico”, quanto questa storia possa essere tremendamente attuale. L’allestimento teatrale, prodotto da Angelo Tumminelli e diretto da Daniele Falleri,anche grazie alle scenografie di Alessandro Chiti, rende immutato sul palcoscenico lo spirito scanzonato. Ironico, allegro e coinvolgente della pellicola, il tutto guarnito con esilarante humor inglese! Nel cast, anche il bravissimo Mauro Marino e l’esilarante Paola Maccario. Il filo conduttore dello spettacolo sembra essere un motto: Mi sposo, o non mi sposo? Convolare a nozze e assumersi le responsabilità che il fatidico “sì” comporta, oppure rimanere eterni scapoli, liberi di improvvisare la propria vita sentimentale al di là delle convenzioni? Charles, il protagonista, quì interpretato da uno che ormai si può definire un veterano della commedia romantica, Giampiero Ingrassiae, non ha dubbi e preferisce di gran lunga divertirsi alle cerimonie di nozze dei suoi amici piuttosto che alla propria. Ma le sue certezze si incrinano alla vista delle sinuose curve di Carrie, un’affascinante americana interpretata dalla splendida Marta Zoffoli. La ragazza lo colpisce dritto al cuore ma, dopo una piccante notte d’amore, vola di nuovo oltreoceano facendo perdere le sue tracce. La riduzione teatrale non si discosta particolarmente dal film e segue le avventure di un gruppo di amici attraverso gli occhi di Charles. Il primo matrimonio è quello di Angus e Sarah (Timothy Walker e Sara Crowe). Charles e il suo gruppo di amici single temono di non riuscire mai a sposarsi. In quest'occasione Charles incontra Carrie per la prima volta, ritrovandosi poi a letto con lei, nonostante lei consideri il tutto una storia da una sola notte. Il secondo matrimonio è quello di Bernard e Lydia (David Haig e Sophie Thompson), che si erano conosciuti al precedente matrimonio. Nel terzo matrimonio, ambientato in un castello, Carrie sposa un ricco scozzese, davanti a Charles, depresso. Fiona, un'amica di Charles, gli confessa di averlo sempre amato, sebbene lui non la ricambi, incapace tuttavia di riaccendere l'interesse di Fiona in lui. Al matrimonio Gareth, amico di Charles, muore all'improvviso a causa di un attacco di cuore. Il fumerale del titolo è quello di Gareth. Il suo compagno, Matthew recita il poema "Funeral Blues", di W. H. Auden. Uno dei momenti più belli è sicuramente quello in cui Charles e Tom discutono riguardo la natura del vero amore. Il quarto matrimonio è proprio quello Charles che, per disperazione, ha deciso di sposare Henrietta, conosciuta dagli amici come 'Faccia di Culo', 'Duckface' nella versione originale. Al matrimonio, però, incontra Carrie, che si è separata dal marito. All'altare, quando il sacerdote chiede se qualcuno conosca una ragione perché i due non debbano sposarsi, il fratello sordomuto di Charles usa il linguaggio deisegni per annunciare a tutti che il fratello non ama Henrietta. Lei, a quel punto, gli da un pugno e se ne va. Nel momento culminante Charles and Carrie si incontrano nel mezzo di una tempesta e si baciano, giurandosi di non sposarsi mai. Il “contorno” sono proprio gli esilaranti amici di Charles che partecipano ognuno a modo suo, proprio al continuo tira e molla tra i due protagonisti. “Ultimamente non faccio altro che interpretare personaggi che fuggono dall’amore (Harry ti presento Sally ndr)”. E’ quanto ha detto Giampiero Ingrassia raccontando il suo personaggio. Ha aggunto inoltre che al momento non sa ancora cosa farà dopo questo spettacolo, quale sarà il suo prossimo personaggio dunque è ancora una sorpresa. Prima ci sarà una vacanza ristoratrice, poi la ripresa di questo spettacolo e perché no, ha aggiunto: “Mi piacerebbe ritornare al musical…”
maria antonietta AMENDUNI


21 Marzo 2007

Storia strana su una terrazza napoletana

Luigi de Filippo, è in scena al Teatro Quirino, con la commedia “Storia strana su una terrazza napoletana” che porta la sua stessa firma. Spettacolo che ben si inserisce nel solco dell’ironia defilippiana e della tradizione partenopea.

L’arguzia e l’ironia di Luigi De Filippo, tornano in scena Roma con una commedia in perfetto stile paterno. Dopo i successi trionfali delle passate stagioni, torna Luigi De Filippo sulle scene del Teatro Quirino dal 20 marzo all’8 aprile con la commedia Storia strana su una terrazza napoletana che porta la sua stessa firma e che ben si inserisce nel solco dell’ironia defilippiana e della tradizione partenopea. È questa una divertente commedia che, pur restando profondamente radicata nella tradizione della sottile ironia Defilippiana, è anche anticonformista e originale, dove si ride, si riflette, si sogna e si spera. Luigi defilippo, autore,regista ed interprete, è in scena con Leonardo Agrella, Simona Di Nardo, Massimo Pagano, Alberto Pagliarulo, Giorgio Pinto Giovanni Ribò, Ingrid Sansone, Tina Scatola La divertente pièce è incentrata sulla davvero stravagante vicenda di una bizzarra famiglia della piccola borghesia napoletana, un ex pasticciere (Luigi De Filippo) con moglie, figlia, genero, domestica e cane, che vive in un attico affacciato sul mare. Luciano, il genero, un tipo burbero e originale, sempre in lite con moglie e suoceri, da qualche giorno afferma di comprendere l’abbaiare del cane di casa che, assai napoletanamente, si chiama ‘Scugnizzo’. Il guaio è che questo cane chiacchierone, testimone innocuo e insospettato delle azioni più intime dei protagonisti, poco a poco rivela verità scabrose che infastidiscono e compromettono non poco il campionario umano della piccola società di quartiere, di cui vengono messi a nudo segreti e bugie, vizi e desideri, colpe e misfatti. Questo attico napoletano diventa così un campionario umano che di questa società di quartiere rivela gli istinti meno nobili, i peccati veniali e non, le tentazioni e i desideri nascosti. Questi avvenimenti danno vita in scena ad infinite situazioni comiche e paradossali che sfoceranno in un sorprendente finale… Anche in questo lavoro, Luigi De Filippo dimostra appieno di aver fatto sua la lezione della grande commedia napoletana, tra gli altri, di Francesco Bonomo nel ruolo della bisbetica, Marco Cavicchioli e Giancarlo Condècapace sempre di abbinare il riso alla riflessione, e di aver altresì imparato il segreto, insito in questa immensa tradizione teatrale, di costruire situazioni e caratteri in cui la comicità rivela sempre un fondo di umanità e di malinconia. Storia strana su una terrazza napoletana è andata in scena per la prima volta nel 1973 e in quell’occasione ad affrontarsi sulle tavole del palcoscenico c’erano proprio Peppino De Filippo e il figlio Luigi assieme. Il successo, manco a dirlo, fu scontato e i due interpreti, a detta della critica, si rivelarono in gran forma, gareggiando in bravura e comicità. Dopo più trent’anni tornano dunque le vicende surreali che vedono come teatro, per l’appunto, una ‘terrazza napoletana’, una di quelle terrazze situate nel centro storico di Napoli, da cui si gode l’incanto del golfo. Così Luigi De Filippo, Maestro di quella Arte che fa del riso uno stimolo alla riflessione, anche in questa sua commedia dimostra di avere appreso il segreto di costruire situazioni e caratteri in un genere in cui la comicità rivela sempre un fondo di malinconia, una vena di genuina umanità, degno erede ed interprete moderno di una grande tradizione teatrale. La strana storia della terrazza, con i suoi paradossi e la sua assurdità, sembra avere una morale: meglio tener nascosti i difetti che spiattellarli ai quattro venti, visto che quelli ci sono e non se ne può fare a meno. E se Scugnizzo fosse invece il detonatore per far portare alla ribalta il marcio nascosto? Stà di fatto che la commedia si dipana tra dialoghi insistiti, battute azzeccate, tipi ben caratterizzati nel colore di Napoli che è sempre squillante. Forse, lo spettacolo si presenta un po' statico, incentrato sul tavolo e le sedie della terrazza, con dialoghi pronunciati benissimo ma senza movimenti plausibili. Addirittura c'è un'apparizione di fantasmi senza seguito, e qualche piccola caduta di stile. Bisogna però riconoscere che tutto questo al pubblico piace e anche tanto, e che la comicità umana che solo Napoli possiede, non ha rivali.
maria antonietta AMENDUNI


15 Marzo 2007

Il Romolo di Dùrrenmatt in scena all’Argentina

Romolo, il grande, uno dei più dissacranti autori della drammaturgia contemporanea, è la proposta della compagnia di Mariano Rigillo, per la regia di Francesco Guicciardini.

Romolo, il grande di Friedrich Dürrenmatt, uno dei più dissacranti autori della drammaturgia contemporanea, è la proposta della compagnia di Mariano Rigillo, per la regia di Francesco Guicciardini, al Teatro Argentina dal 13 al 18 Marzo 2007. Dùrrenmatt sorvola sul dato storico del Romolo Augustolo, ragazzino quattordicenne, che subisce gli eventi, inconsapevole ed incolpevole. Così il regista Francesco Guicciardini, racconta il suo lavoro: “Il Romolo di Dùrrenmatt è un uomo di mezza età cui la Storia attribuisce il compito di praticare l’eutanasia ad un impero ormai agonizzante, perché intrinsecamente minato dalla corruzione morale e politica, e perché reso inoffensivo dalla incapacità di resistere alla vigoria fisica e mentale di orde barbariche, cui certo non fa velo il ricordo della passata grandezza di Roma. Cosa deve fare un uomo, prima ancora che un imperatore, in queste circostanze? Mentire a se stesso e al suo popolo, immaginando una soluzione diversa da una dignitosa morte per quella che fu “Roma caput mundi”? Certo che no. Il Romolo di Dùrrenmatt è persona troppo lucida e responsabile per chiudere in un bagno di sangue la favola bella dell’impero che dominò il mondo. Gli uomini si illudono di determinare gli eventi storici; in realtà, sembra pensare Romolo, è la Storia che si serve degli uomini per portare a compimento i suoi disegni. E per non essere strumento fino in fondo, Romolo decide che l’attività di pollicoltore debba prevalere sulla funzione di imperatore. Tu, Storia, che hai stabilito la fine dell’impero, avrai a disposizione, per la realizzazione dell’evento, non un imperatore ma un allevatore di polli. Piccola soddisfazione, ma meglio di niente. Dunque, di Romolo vanno colte l’ironia e l’autoironia che, com’è noto, in ogni tempo e in ogni luogo sono le difese più efficaci contro la disperazione e il senso d’impotenza. Non dovremmo dirlo, perché non sta bene, ma poiché ci siamo anche un po’ stancati del “politicamente corretto”, il Romolo di Dùrrenmatt ci è piaciuto e ci siamo divertiti all’idea. Vogliamo fare in modo che si diverta anche il pubblico. Speriamo.”
maria antonietta AMENDUNI


15 Marzo 2007

L’eterna storia di amori folli e tradimenti

In scena al Brancaccino, “Tradimenti” di Pinter; diretti da Riccardo Cavallo, in scena Claudia Balboni, Gerolamo Alchieri, Alessio Caruso. Un «menage a troi» che Pinter scandaglia, con lucida freddezza

Riccardo Cavallo colpisce ancora con una regia raffinata e minuziosa, e questa volta lo fa con la più recente delle due "commedie della memoria" di Pinter: Tradimenti. Con una scrittura più sottile e penetrante di quanto possa sembrare in superficie, l’autore racconta la vicenda dei tre protagonisti, che compongono un particolare triangolo amoroso, attraverso i loro dialoghi rapidi e asciutti, con due personaggi la volta tranne che per una sola scena in cui i personaggi si incontrano contemporaneamente. l testo è costituito di otto parti: otto scene di vita colte nell’immediatezza del quotidiano, ma tutte nascondono e pian piano svelano la loro carica di significato in quanto momenti forti, di passaggio. Il racconto ripercorre a ritroso nove anni di doppi giochi e omissioni: partendo dalla fine del matrimonio di Emma e Robert, fino ad tornare all’inizio della relazione sentimentale tra la donna e Jerry, amico del marito, che dà il via a quelli che nell’ottica dello spettatore - ridotta a brevi stralci, ma plurima nei punti di vista - appaiono più relazioni di falsità stratificata, che di semplice tradimento. È questo che distingue l’opera dal canone del dramma borghese: il triangolo ha un gioco di forze stravolto, non c’è una forma normale di conflitto, è quasi un portare all’estremo la falsità del gioco delle parti. La complessità dei messaggi e delle interpretazioni possibili non soltanto viene arricchita dall’ordine delle sequenze di un intreccio che capovolge il modo classico di affrontare e ricevere le informazioni narrative, ma è soprattutto l’accorto uso di termini e l’accavallarsi delle versioni dei vari personaggi su determinati eventi a creare lo spessore dell’opera. Questa raffinatezza del testo viene colta e resa in maniera molto intelligente da Riccardo Cavallo, tenendo sempre in scena i tre personaggi. Le scene infatti, tranne che per un solo caso, si svolgono sempre con due personaggi la volta, ma il terzo personaggio rimane comunque sempre sullo sfondo o seduto in un angolo non illuminato. Cavallo riesce bene a mostrare il cambiamento dei personaggi che sono interpretati da bravi attori, tuttavia la recitazione mantiene una forzatura che, se da una parte si confà alle ambiguità delle relazioni tra i tre protagonisti, dall’altra finisce col sembrare, a tratti, troppo poco naturale. Inizialmente, la stessa Claudia Balboni risulta essere un po’ rigida, per poi sciolgliersi dopo le prime due scena. Una curiosità: gli attori sembrano avere qualche piccola difficoltà nell’uso dei bicchieri. Più di una volta nell’atto di bere svuotano completamente il bicchiere, per poi rifarlo poco dopo ma senza averlo prima riempito nuovamente. Scenografia essenziale, niente cambi di costume a parte giacche indossate e poi tolte all’occorrenza, più qualche altro piccolo particolare. Lo spettacolo, nel complesso risulta essere molto piacevole e scorrevole, sia come regia che come interpretazione. Da vedere. In scena al Teatro Brancaccino fino al Primo Aprile con Claudia Balboni, Gerolamo Alchieri, Alessio Caruso.
maria antonietta AMENDUNI


15 Marzo 2007

Al Teatro Orologio è di scena Holy Money

Sebastiano Tringali, dirige ed interpreta magistralmente lo spettacolo di Enrico Bernard. Un'attivista noglobal riesce ad intrufolarsi in casa di un Guru della finanza mondiale, e lo prende in ostaggio…

Spettacolo sofisticato, curato, colto e molto intelligente; è il nuovo appuntamento al Teatro Orologio, dall’1 al 18 marzo, con Holy Money di Enrico Bernard, con Sebastiano Tringali, Licinia Lentini, scene di Riccardo Perticone, musiche Antonio Di Pofi, regia di Sebastiano Tringali Un'attivista noglobal riesce ad intrufolarsi in casa di un Guru della finanza mondiale, e lo prende in ostaggio per costringerlo a confrontarsi col mondo reale e con lo sviluppo ecologicamente insostenibile del capitalismo. Lo scontro (e l'incontro), dove ognuno dei due sosterrà i propri argomenti fino alla morte, ma con un finale a sorpresa, sarà duro. Eppure il rapporto tra due personaggi così agli antipodi è ricco di luci ed ombre, repulsioni e attrazioni fatali. Sebastiano Tringali è incontenibile e travolgente in un uolo che gli calza a pennello, ne un calo, ne un cedimento per una interpretazione che tiene lo spettatore con il fiato sospeso per tutto lo spettacolo. Un po’ “stetta” invece e Licinia Lentini, sempre esuberante ma a volte quasi a disagio con lo spazio ma anche con il ruolo, a volte troppo rigidità o il non sapere dove mettere le mani rischiano di sminuire un personaggio forte e incisivo, così come incisiva è di solito la Lentini. Ottimo lavoro circa il testo di Enrico Bernard, che realizza un lavoro raffinato e intrigante. Enrico Bernard, (Roma, 1955). Autore teatrale, saggista, traduttore. Si è laureato in Filosofia nel 1980 con una tesi su Ideologia piccolo borghese e violenza politica in Germania da Lutero alle Raf attraverso Goethe e Schiller (Il privato terrorista ed. E&A Editori Associati, 1986). È l'ideatore e il curatore di Autori e drammaturgie, prima enciclopedia del Teatro italiano contemporaneo. Ha scritto per il teatro 22 opere di cui 12 rappresentate e 3 sono state tradotte e rappresentate in inglese, francese, tedesco. Nel 1992 ha fondato il "Teatro S-naturalista" scrivendone il relativo Manifesto. Ha realizzato nel 1997 un film dalla sua opera Un mostro di nome Lila con la sexystar Eva Henger. Il film ha suscitato scalpore al festival di Locarno 1998 ed è considerato uno dei più significativi esempi di sintesi tra cinema, teatro ed erotismo in chiave surreale. Ha tradotto in italiano opere di Ludwig Tieck, von Chamisso. È stato più volte invitato negli Stati Uniti e Canada per conferenze, stages e seminari presso le Università di Middlebury, Toronto, Mississagua, Kingston e Weston Salem.
maria antonietta AMENDUNI


15 Marzo 2007

L’arte di Maria Paiato in scena al Piccolo Eliseo

In scena lo spettacolo “Un cuore semplice” nuovo lavoro di Luca De Bei, ispirato all’omonimo racconto di Gustave Flaubert. Una partitura per voce sola scritta per Maria Paiato, interprete di grande sensibilità.

Un’attrice capace di dare vere e grandi emozioni, forse poco nota al grande pubblico, ma molto conosciuta ed apprezzata dagli amanti del buon teatro; ascitta, vera, mai banale, mai eccessiva, incisiva e sempre capace di dare corpo ed anima ai suoi personaggi: è Maria Paiato, un vero esempio del grande teatro italiano. Dal 14 marzo al 22 aprile in scena al Piccolo Eliseo Patroni Griffi: Un cuore semplice, nuovo lavoro di Luca De Bei, ispirato all’omonimo racconto di Gustave Flaubert. Una partitura per voce sola scritta per Maria Paiato, interprete di grande sensibilità e vincitrice di numerosi premi come migliore attrice, fra gli ultimi: gli Olimpici del Teatro per Cara professoressa di Ljudmila Razumovskaja nel 2004, e due Premio Ubu, nel 2005 per La Maria Zanella di Sergio Pierattini, nel 2006 per Il silenzio dei comunisti di Vittorio Foa, Miriam Mafai e AlfresoReichlin. Al centro della piéce la figura di Felicité, un’esistenza scandita dal lavoro, senza grandi eventi né accadimenti particolari. “Si alzava all’alba per non perdere la messa”, dice Flaubert, “ e lavorava fino a sera senza fermarsi un istante. Poi, terminata la cena, messe in ordine le stoviglie e sprangata la porta, sepolto il ceppo nel camino con la cenere, si addormentava davanti al focolare con il rosario in mano”. Aveva lavorato da sempre, sin da bambina, quando morti i suoi genitori era stata presa da un fattore che l’aveva messa a badare alle mucche in campagna. Una breve e infelice storia d’amore era stata la sua unica parentesi romantica. Una volta assunta come domestica dalla signora Aubain, lì era rimasta per cinquant’anni. La sua intera vita è dedicata agli altri (la sua padrona, i figli di lei, un nipote) alla Chiesa (la cui dottrina Félicité segue con la passione, l’innocenza e l’ingenuità di una bimba), alla casa, al suo adorato pappagallo Loulou. Vive le gioie e i lutti con la stessa intensità, la stessa muta adesione alle leggi della Natura. Apre il suo cuore a chiunque e, seppur spesso ferita o ingannata, in questa dedizione a ogni essere vivente, Félicité trova la sua ragione di esistere. Poi, così come ha sempre vissuto sola, termina la sua vita da sola. Si spegne nel suo letto, dopo una malattia dolorosa, molti stenti, un po’ di follia, regalandoci però la fulgida e rara intuizione di un’anima pura, buona, semplice, e infine necessaria. Ecco come l’autore Luca De Bei, racconta il suo spettacolo: “Un cuore semplice, un vero e proprio piccolo capolavoro, è stato uno dei primi racconti che ho letto da adolescente e, in un modo o nell’altro, il suo ricordo struggente mi ha accompagnato per anni. Fino a quando, ricapitatomi tra le mani, è nata in me l’esigenza di raccontare anch’io la vita di Felicitè, facendola parlare con la propria voce e restituendola in carne e ossa ad una rappresentazione teatrale. C’è stata la voglia di indagare a fondo nella sua vita, di scoprire lati del suo carattere che erano appena accennati, di vedere cosa sarebbe successo se si fosse trovata in situazioni diverse da quelle del racconto, anche se sempre inerenti alla storia e al personaggio. Ho isolato la figura di Felicitè adombrando necessariamente un po’ le altre, ma anche, in certi casi, creandone di nuove (il parroco del villaggio, per esempio), o sviluppando temi che erano sullo sfondo. Ho cercato la modernità del personaggio, nel senso più psicologico del termine, cercando di capire il perché di certe sue scelte o certi suoi comportamenti. Ho condiviso da sempre, e quindi ho voluto sottolineare, l’aspetto di Felicitè “animalista” (il rapporto col pappagallo Loulou) che testimonia una volta di più la sua grande sensibilità e che, d’altronde, è forse l’aspetto più originale e grandioso del racconto. Per realizzare tutto ciò ovviamente ho dovuto fare delle scelte, a volte drastiche, cercando però di non tradire mai lo spirito del personaggio di Flaubert. …Ho ridisegnato la “mia” Felicitè, che mi sembra ormai di conoscere intimamente, e mi sono divertito e appassionato a mettere in risalto in questa figura di donna tutti gli aspetti che più mi intrigano, mi affascinano, mi commuovono, mi divertono. Ne è venuto fuori, spero, un ritratto di donna antico ma capace di parlare a noi tutti attraverso la sua grande umanità, per apparirci infine così “normale” e così straordinario”.
maria antonietta AMENDUNI


09 Marzo 2007

Al Teatro Quirino, Milva canta Brecht

Dopo i fasti sanremesi, la pantera di Goro, torna alle tavole del palcoscenico, Guidata da Cristina Pezzoli che ha ‘ripensato’ la regia originale di Strehler,per lo spettacolo “Milva canta Brecht”.

Il timbro inconfondibile di Milva, il tocco geniale di Strehler tornano a incontrare la poesia di Bertolt Brecht nello spettacolo-culto del teatro epico: Milva canta Brecht, un successo che prosegue dal 1965 e che arriva a Roma al Teatro Quirino dal 6 al 18 marzo. Così dopo i fasti sanremesi, la pantera di Goro, torna alle tavole del palcoscenico, Guidata da Cristina Pezzoli che ha ‘ripensato’ la regia originale e con l’accompagnamento di quattro musicisti, Milva rinnova un viaggio dentro l’opera di Brecht che Strehler amava definire come “un salto nel cielo”. A cinquant’anni dalla morte di uno dei più grandi drammaturghi del Novecento, la ‘rossa’, come l’ha definita Enzo Jannacci, torna a misurarsi con la sua produzione poetica e con le struggenti melodie di Weill ed Eisler. «Non sarei quella che sono oggi, dopo più di quarant’anni di carriera internazionale, se non avessi avuto la fortuna di incontrare sul mio cammino Giorgio Strehler». Così Milva parla di un incontro che le ha cambiato la vita e che ha avuto in Brecht uno dei momenti più alti del suo percorso artistico. In Milva canta Brecht, attraverso un ventaglio melodico che spazia da songs tratte da L’Opera da tre soldi a brani di canzoni e ballate, la straordinaria voce di Milva accompagna il pubblico in un recital che, spiega la cantante, «ha avuto molte edizioni, ma di cui oggi presentiamo una versione che, a mio avviso, rappresenta un "florilegio", un’antologia di tutte le altre versioni». Si rinnova così, nella stagione del cinquantesimo dalla scomparsa di Brecht, il viaggio attraverso l’opera poetica di uno dei più grandi autori del Novecento, un viaggio iniziato tanti anni fa e che Strehler amava definire «un salto in cielo». In Milva canta Brecht, attraverso un ampio ventaglio cha va dai songs tratti da L’Opera da tre soldi fino a canzoni e ballate, l’inarrivabile voce di Milva dà vita ad un recital che ha già visto molte edizioni ma di cui oggi viene presentata, come dice la stessa cantante, “una versione che rappresenta un’antologia di tutte le altre”. Diviso in tre sezioni – le ballate, la guerra, le figure femminili - lo spettacolo mette a confronto l’arte brechtiana con la problematicità del mondo odierno, mettendone in risalto attualità e anticipazioni. La voce anche recitante di Milva arricchisce di nuove sfumature le parole dei songs, le poesie, gli epigrammi, facendo emergere - per così dire - un nuovo Brecht, superando le connotazioni ideologiche che spesso hanno impedito di conoscerne la complessità e l’alto lirismo. Sull’eco delle parole e delle note della Nana’s Lied, di Surabaja Johnny, de La canzone dell’agiatezza e altre celebri composizioni, il recital vuole sottolineare l’umanità del poeta, offrendoci, come disse Strehler, “la sua malinconia per le cose che passano, le sue dolcezze, il suo amore per gli esseri della terra, il suo sdegno per la bassezza e la ferocia del vivere sociale”. Un recital che è anche l’appassionato racconto di una delle più grandi avventure letterarie e artistiche del secolo appena trascorso. In scena con Milva, Vicky Schaetzinger al pianoforte, Bruno Paletto alla fisarmonica, Leonardo Cipriani alla chitarra, Marco Albonetti soprano. Calendario recite Milva canta Brecht Mercoledì 7, venerdì 9, sabato 10, martedì 13, sabato 17 marzo - ore 20.45 mercoledì 7, domenica 11, giovedì 15 e domenica 18 marzo - ore 16.45 mercoledì 14 marzo - ore 19.00 non ci sarà spettacolo giovedì 8 e venerdì 16 marzo Anche nel corso delle repliche dello spettacolo Milva canta Brecht sarà attivo al Teatro Quirino il servizio di baby-sitting di Anch’io vado a teatro, promosso dall’Assessorato alle Politiche di Promozione della Famiglia e dell’Infanzia del Comune di Roma, e realizzato Bios Terra in collaborazione con la cooperativa L’Arcobalena e l’associazione culturale teatrale Il Palcoscenico. Destinato ai bambini dai 6 agli 11 anni (per un numero massimo di 30 ogni volta), il progetto vuole familiarizzare i più piccoli con la cultura teatrale e musicale, attraverso un’attività laboratoriale.
maria antonietta AMENDUNI


9 Marzo 2007

Karen Blixen a Pranzo da Babette

La bella regia di Riccardo Cavallo e le belle interpretazioni di Claudia Balboni, Lydia Biondi, Cristina Noci, incantano al Teatro Orologio.

Il piacere di uscire da teatro soddisfatti oggi è un lusso sempre più raro, e per fortuna il regista Riccardo Cavallo riesce molto spesso a regalare questa emozione. E’ in scena nella sala grande del Teatro Orologio, fino al 4 marzo lo spettacolo Karen Blixen a Pranzo da Babette, diretto proprio da Riccardo Cavallo,con Claudia Balboni, Lydia Biondi, Roberto Della Casa, Cristina Noci, Alessio Caruso e Francesca Romana De Bernardis. In un piccolo paese danese, alla fine del Diciannovesimo secolo, un Reverendo fonda una propria comunità di seguaci e alleva con purezza e riserbo due figlie ricche di qualità e doti. Le due giovani donne non rimangono inosservate, due visitatori del villaggio infatti si innamorano di loro, per dover però rinunciare al loro sogno di fronte alla impossibilità di entrare e di essere accettati fino in fondo nel loro mondo. Il riserbo e l'educazione rigorosa che le due hanno ricevuto dal reverendo hanno ridotto e frenato la realizzazione dei loro desideri e delle loro aspirazioni. Passano così 35 anni di vita quando una lettera di uno dei due uomini introduce in scena il personaggio di Babette, che costretta ad andarsene da Parigi (ricercata dalla polizia dopo i giorni della Comune di Parigi) vorrebbe trovare rifugio nel piccolo villaggio. L'arrivo di Babette sarà la forza scatenante che andrà a muovere la stagnante energia del villaggio. Assunta come governante dalle due donne, Babette scopre di aver vinto alla lotteria. Decide allora di organizzare un grande pranzo in onore della ricorrenza del compleanno del defunto Reverendo, ormai diventato una guida spirituale per tutto il paese. La sola idea del pranzo scatena stupore ed inquitudine ma nessuna osa chiedere nulla a proposito. Babette introduce la gioia di una vincita, ma non solo. Lascia che emozioni e meraviglia irrompano nelle restrizioni e nella quotidianità anestetizzata dalle grandi emozioni. Non solo. Il pranzo che Babette organizzerà sarà al di fuori di ogni abitudine sensoriale ed emozionale per gli abitanti del villaggio. Babette per l'occasione ha infatti ordinato il cibo più raffinato, le salse, le spezie, le tovaglie di lino, i piatti di ceramica direttamente da Parigi. Un'invasione di colori, di bellezza, di armonia, di piacere e di gusti raffinati squarciano il velo dell' umile e modesto stile di vita del paese che aveva impedito alle due donne di cogliere il gusto della vita, di coltivare la loro arte o i loro amori. In un mondo di moralismi e di regole controllate, dove i desideri e gli istinti venivano controllati e compressi nel minimo necessario, Babette introduce la passione, le emozioni e il gusto per il bello attraverso un pranzo che cambierà il destino del villaggio e dei suoi abitanti. I personaggi sembrano infatti liberarsi da una sorta di qualche catena che li lega da 35 anni: cominciano a rivelarsi cose mai dette prima e una nuova linfa vitale sembra pervadere nuovamente i rapporti tra le persone. Il delizioso racconto è stato successivamente trasformato in un film delicato ed emozionante (diretto da Gabriel Axel), vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 1988. Riccardo Cavallo riesce a regalare tutta la magia di un testo incantato e affascinante, con una regia raffinata e curata in ogni dettaglio. Claudia Balboni, Lydia Biondi, Cristina Noci sono straordinarie nella loro interpretazione. Molto accattivante risulta essere Francesca Romana De Bernardis.. Molto bella è anche la scenografia in prospettiva. L’unica perplessita riguarda l’immagine proiettata del finale. Uno spettacolo assolutamente da non perdere. Babette è costretta a fuggire da Parigi dopo i giorni della Comune. Si rifugia in un piccolo villaggio dove si offre come governante a due non più giovani sorelle figlie di un pastore protestante. Dopo qualche anno vince una grossa somma ad una lotteria. Tutta la comunità è convinta che Babette ormai ricca se ne tornerà alla sua Parigi, invece, inaspettatamente, decide di spendere tutto per un pranzo in onore del defunto reverendo. Le due sorelle, abituate a una vita semplice e puritana, faticano ad accettare l’idea del pranzo, ne hanno paura. Ma per loro, così come pure per gli altri invitati, il pranzo si trasformerà in un’esperienza unica. I piatti cucinati con raffinatezza da Babette, i vini, le tovaglie di lino, le spezie, rompono il riserbo e l’educazione rigorosa che da sempre ha impedito loro di cogliere il gusto della vita. I ricordi passati riaffiorano e con essi le emozioni represse da regole e moralismi, gli amori non colti, le passioni trascurate. Dopo tanti anni le catene si spezzano, una nuova vita è possibile. Alla fine del pranzo i convitati se ne vanno per la prima volta felici. Sentono di aver preso parte ad un’esperienza mistica. Finalmente l’infinita grandezza di Dio si è rivelata. Karen Blixen è una di quelle scrittrici che si ama definire “di culto” ma che non può essere di certo considerata “di nicchia”, vasta la sua notorietà benedetta dalla gloria di due Oscar cinematografici. Infaticabile viaggiatrice con tendenza spiccata verso l’avventura, romantica, fedele all’etica dei valori umani e sempre curiosa nei confronti delle bislacche invenzioni del destino, la scrittrice danese fa pensare ad una sorta di Hemingway in gonnella (ma anche in divisa d’ordinanza per safari africani), mentre la sua propensione verso gli pseudonimi rimanda al gusto singolare di Pessoa per gli eteronimi. Karen Blixen popola il novecento di racconti gotici, di narrazioni non di rado autobiografiche, di novelle di squisita fattura, apprezzate e metabolizzate da Truman Capote e dallo stesso Hemingway, per non citare che due dei suoi numerosi ammiratori. La sua scrittura densa, ricca di azioni e di fatti più che di notazioni extra-tematiche, non è passata inosservata dalle parti del cinema, come si è detto: ed ecco le trascrizioni filmiche di Sidney Pollack (“La mia Africa”) de di Gabriel Axel (“Il pranzo di Babette). Costo biglietti: Ingresso € 12,00 – Ridotto € 8,00 – tessera associativa € 2,00
maria antonietta AMENDUNI


9 Marzo 2007

TANGO – LA DONNA VESTITA DI SOLE

Al teatro Tor Bella Monaca 8 marzo, dedicato a “Tango – La donna vestita di sole” ispirato al dramma dei desaparecidos e dedicato alla figura della Madre, in particolare a quelle argentine di Plaza de Majo.

Un 8 marzo diverso, per riflettere, quello che andrà in scena al Teatro Tor Bella Monaca di Roma (ore 21.00). Quindi al bando le stupe follie che fanno perdere senso ed importanza alla giornata dedicata alle donne,per dar lago al lato intelligente della giornata. Una giornata per riflettere su quelle donne che rendono onore al loro sesso e portano avanti le loro battaglie piccole e grandi come nel caso delle donne celebrate nella sala grande del Teatro Tor Bella Monaca. Andrà in scena Tango – La donna vestita di sole è un recital teatral-musicale scritto e diretto dal concertista e autore Davide Cavuti, ispirato al dramma dei desaparecidos e dedicato alla figura della Madre, in particolare a quelle argentine di Plaza de Majo. Suddiviso in quattro ritratti Gli Angeli scomparsi nel nulla, Buenos Aires es mi vida, Dall’anima, Le madri di Palza de Majo, il testo scritto da Cavuti, avrà un commento musicale affidato a Le Grand Tango Ensemble (Antonio Scolletta e Domenico Zezza ai violini, Marcello Manfrin alla viola, Giancarlo Giannangeli al violoncello), con Paolo di Sabatino al pianoforte e lo stesso Cavuti alla fisarmonica classica, che eseguiranno musiche di Astor Piazzolla e brani di Carlos Gardel e Anibal Troilo. “Il recital prevede l’esecuzione di alcuni dei temi più celebri del compositore argentino Astor Piazzolla e di brani di autori della guardia vejia, quali Gardel, Villoldo, Trailo, rivisitati in chiave jazzistica con la partecipazione del grande pianista Paolo Di Sabatino - afferma l’autore Davide Cavuti –. Parte del testo è tratto dal mio libro Retrato de Tango e parla del tango come un narratore violento mai in fuga dal proprio destino. È un percorso che proietta lo spettatore nei quartieri rioplatensi e descrivendo, in forma poetica, il dramma dei desaparecidos e delle madri argentine – quelle donne che il testo definisce irrequiete e instancabili alla ricerca di appelli, di figli strappati, ossessioni di ieri, ossessioni di oggi”. Attivo come concertista e autore di racconti brevi e di testi teatrali, in cui cura spesso la regia, Davide Cavuti è laureato in Ingegneria Elettrica presso l’Università degli Studi dell’Aquila. Iniziati gli studi all’età di cinque anni si è perfezionato in fisarmonica, direzione corale e musica elettronica, ricevendo il “Premio Astor Piazzolla” nel 1999 ad Ischia; dedicatosi allo studio della musica colta latino-americana ed al Tango, ha fondato l’Inspiración Tango e Le Grand Tango Ensemble, con i quali è accolto ovunque dal consenso del pubblico e della critica ed invitato in prestigiose sale da concerto europee. Come artista e direttore artistico ha collaborato con artisti di chiara fama quali Hugo Aisemberg, Dick Halligan, Michele Campanella, Massimo Quarta, Marco Zuccarini, Michael Grace,Federico Mondelci Ivan Gromakov, Serghej Kaiazkij, Antonella Ruggiero, Bruno Tommaso, Alexander Lonquich, e con gruppi orchestrali quali l’Orchestra da Camera di Stato della Romania, Sophia Festival Orchestra, Orchestra da Camera di Craiova, Orchestra da Camera di Kishinev, Orchestra Sinfonica Abruzzese, Orchestra Umberto Giordano, Orchestra da Camera I Suoni del Sud, Orchestra del Festival della Daunia, etc.). Ha pubblicato il libro Retrato de Tango (Ed. Artango) nell’estate 2003. Nello stesso anno ha ideato spettacoli e recital teatral-musicali collaborando con i più grandi attori di teatro. Dopo aver debuttato a Budapest, in prima assoluta, con un suo lavoro dal titolo Un Atelier culturale: il Cenacolo Michettiano, successivamente eseguito in tournèe con l’attrice Paola Gassman nel 2005 ha scritto e diretto Popoli del Mondo con Cecilia Gasdia e Ugo Pagliai, evento della Perdonanza Celestiniana 2005. Nella veste di solista dell’orchestra, autore del testo e della regia ha firmato spettacoli e recital teatral-musicali quali: Il Sogno di Weimar (2003) con Paolo Bonacelli; Quaderni Siloniani (2004) interpretato da Arnoldo Foà; La Donna Vestita di Sole con Caterina Vertova (2004); Lo Scrigno della Pace con Ugo Pagliai (2004); Federico II con la partecipazione di Michele Placido, Le Stanze dell’Arcobaleno con Flavio Bucci. È direttore artistico della Stagione dei Concerti e del Teatro presso il Museo Michetti, dove ricopre anche la carica di presidente del Premio Culturale MuMi dal 2004.
maria antonietta AMENDUNI


9 Marzo 2007

E’ “Tempesta” al Teatro Argentina

In scena “La Teampesa” di William Shakespeare. A quindici anni dalla prima edizione, Tato Russo nel riallestimento di quello stesso spettacolo che ottenne un memorabile successo di pubblico e di critica.

Finalmente in scena a Roma, lo spettacolo La Teampesa di William Shakespeare. Finalmente perché ultimamente troppe versioni di questo spettacolo si erano viste, che non rendevano alcun onore al Bardo. Quella in scena al Teatro Argentina, fino all’11 marzo, è la versione di Tato Russo, che ai tempi, tanto successo riscosse. Scritta da Shakespeare alla fine della sua carriera e della sua vita, La Tempesta affronta il tema dell'illusione e del sogno e racconta di come l'uomo viva e agisca sotto l'influsso di due realtà parallele: la vita reale e quella di un universo misterioso che a volte si dimostra più forte e concreto del reale. Il mistero dell’alchimia creativa, condotta da Prospero con sapienza artigianale, è la distaccata vendetta del suo esilio. La Tempesta e i suoi personaggi suggeriscono un percorso scenico che si snoda nel labirinto estremo dell’immaginazione, lasciandosi cullare dalla necessità di alludere, indicare, plasmare e far risuonare memorie e realtà apparentemente sconosciute. Il gioco scenico e quello dell’anima, procedono legati dal filo invisibile dell’alchimia teatrale. Ma La Tempesta non è soltanto un gioco scenico. E' anche e sopratutto un percorso spirituale, un messaggio poetico dai contorni ben delineati. L’esilio di Prospero, subìto e non cercato, suggerisce di raccontare questa storia in un luogo senza confini e senza spazio. Dalla scena, che rappresenta un’isola senza inizio e senza fine dove ogni cosa vive come sospesa, alle immagini che nascono in essa, al corpo dei personaggi che vagano senza tempo e senza confini. Tutto cerca di rispondere al criterio di creazione di immagini viste con lo sguardo distante e al tempo stesso vitalissimo dell'Anima. L’isola di Prospero è l’anima ormai esclusa dell’uomo. A quindici anni dalla prima edizione, Tato Russo ripropone la Tempesta di Shakespeare, nel riallestimento di quello stesso spettacolo che ottenne un memorabile successo di pubblico e di critica. Lo spettacolo, austero, monumentale, coerentemente pensato, solidamente strutturato e scenicamente ricco di invenzioni, è un approccio non convenzionale alla drammaturgia di Shakespeare, e affascina per idee, macchinazione, interpretazioni e per la sua sintassi scenica complessa ma ben congegnata: una grande Liturgia della Poesia, una grande “Missa solennis” del Teatro, quasi un trattato barocco sull’amore, sulla virtù e gli infiniti del palcoscenico, rito fascinoso per chi quell’amore offizia volta per volta sulla scena, rito del rinnovamento, della frenesia della creazione poetica, della fantasia sfrenata dell’autore demiurgo, che rende alla fine l’opera una grande allusione sulla vita e insieme un grande apologo sul teatro. E mentre i lari del teatro e gli strumenti d’esso diventano gli spiriti della magia ritualmente officiata, l’intera maessinscena sembra correre dietro l’espressione d’un sacramento d’Arte propinato allo stremo della propria creazione artistica e del proprio fervore poetico. Info per il pubblico ufficio promozione teatro di roma: Tel. 06.68.40.00.346 - fax 06.68.40.00.360, promozione@teatrodiorma.net; www.teatrodiroma.net biglietteria teatro argentina: tel. 06.68.40.00.313 (ore 10-14; 15-19, lunedì riposo), prezzi: da 10 a 26 Euro
maria antonietta AMENDUNI


06 Marzo 2007

TANGO – LA DONNA VESTITA DI SOLE

Al teatro Tor Bella Monaca 8 marzo, dedicato a “Tango – La donna vestita di sole” ispirato al dramma dei desaparecidos e dedicato alla figura della Madre, in particolare a quelle argentine di Plaza de Majo.

Un 8 marzo diverso, per riflettere, quello che andrà in scena al Teatro Tor Bella Monaca di Roma (ore 21.00). Quindi al bando le stupe follie che fanno perdere senso ed importanza alla giornata dedicata alle donne,per dar lago al lato intelligente della giornata. Una giornata per riflettere su quelle donne che rendono onore al loro sesso e portano avanti le loro battaglie piccole e grandi come nel caso delle donne celebrate nella sala grande del Teatro Tor Bella Monaca. Andrà in scena Tango – La donna vestita di sole è un recital teatral-musicale scritto e diretto dal concertista e autore Davide Cavuti, ispirato al dramma dei desaparecidos e dedicato alla figura della Madre, in particolare a quelle argentine di Plaza de Majo. Suddiviso in quattro ritratti Gli Angeli scomparsi nel nulla, Buenos Aires es mi vida, Dall’anima, Le madri di Palza de Majo, il testo scritto da Cavuti, avrà un commento musicale affidato a Le Grand Tango Ensemble (Antonio Scolletta e Domenico Zezza ai violini, Marcello Manfrin alla viola, Giancarlo Giannangeli al violoncello), con Paolo di Sabatino al pianoforte e lo stesso Cavuti alla fisarmonica classica, che eseguiranno musiche di Astor Piazzolla e brani di Carlos Gardel e Anibal Troilo. sso anno ha ideato spettacoli e recital teatral-musicali collaborando con i più grandi attori di teatro. Dopo aver debuttato a Budapest, in prima assoluta, con un suo lavoro dal titolo Un Atelier culturale: il Cenacolo Michettiano, successivamente eseguito in tournèe con l’attrice Paola Gassman nel 2005 ha scritto e diretto Popoli del Mondo con Cecilia Gasdia e Ugo Pagliai, evento della Perdonanza Celestiniana 2005. Nella veste di solista dell’orchestra, autore del testo e della regia ha firmato spettacoli e recital teatral-musicali quali: Il Sogno di Weimar (2003) con Paolo Bonacelli; Quaderni Siloniani (2004) interpretato da Arnoldo Foà; La Donna Vestita di Sole con Caterina Vertova (2004); Lo Scrigno della Pace con Ugo Pagliai (2004); Federico II con la partecipazione di Michele Placido, Le Stanze dell’Arcobaleno con Flavio Bucci. È direttore artistico della Stagione dei Concerti e del Teatro presso il Museo Michetti, dove ricopre anche la carica di presidente del Premio Culturale MuMi dal 2004.
maria antonietta AMENDUNI


06 Marzo 2007

Al Teatro Quirino, Milva canta Brecht

Dopo i fasti sanremesi, la pantera di Goro, torna alle tavole del palcoscenico, Guidata da Cristina Pezzoli che ha ‘ripensato’ la regia originale di Strehler,per lo spettacolo “Milva canta Brecht”.

Il timbro inconfondibile di Milva, il tocco geniale di Strehler tornano a incontrare la poesia di Bertolt Brecht nello spettacolo-culto del teatro epico: Milva canta Brecht, un successo che prosegue dal 1965 e che arriva a Roma al Teatro Quirino dal 6 al 18 marzo. Così dopo i fasti sanremesi, la pantera di Goro, torna alle tavole del palcoscenico, Guidata da Cristina Pezzoli che ha ‘ripensato’ la regia originale e con l’accompagnamento di quattro musicisti, Milva rinnova un viaggio dentro l’opera di Brecht che Strehler amava definire come “un salto nel cielo”. A cinquant’anni dalla morte di uno dei più grandi drammaturghi del Novecento, la ‘rossa’, come l’ha definita Enzo Jannacci, torna a misurarsi con la sua produzione poetica e con le struggenti melodie di Weill ed Eisler. «Non sarei quella che sono oggi, dopo più di quarant’anni di carriera internazionale, se non avessi avuto la fortuna di incontrare sul mio cammino Giorgio Strehler». Così Milva parla di un incontro che le ha cambiato la vita e che ha avuto in Brecht uno dei momenti più alti del suo percorso artistico. In Milva canta Brecht, attraverso un ventaglio melodico che spazia da songs tratte da L’Opera da tre soldi a brani di canzoni e ballate, la straordinaria voce di Milva accompagna il pubblico in un recital che, spiega la cantante, «ha avuto molte edizioni, ma di cui oggi presentiamo una versione che, a mio avviso, rappresenta un "florilegio", un’antologia di tutte le altre versioni». Si rinnova così, nella stagione del cinquantesimo dalla scomparsa di Brecht, il viaggio attraverso l’opera poetica di uno dei più grandi autori del Novecento, un viaggio iniziato tanti anni fa e che Strehler amava definire «un salto in cielo». In Milva canta Brecht, attraverso un ampio ventaglio cha va dai songs tratti da L’Opera da tre soldi fino a canzoni e ballate, l’inarrivabile voce di Milva dà vita ad un recital che ha già visto molte edizioni ma di cui oggi viene presentata, come dice la stessa cantante, “una versione che rappresenta un’antologia di tutte le altre”. Diviso in tre sezioni – le ballate, la guerra, le figure femminili - lo spettacolo mette a confronto l’arte brechtiana con la problematicità del mondo odierno, mettendone in risalto attualità e anticipazioni. La voce anche recitante di Milva arricchisce di nuove sfumature le parole dei songs, le poesie, gli epigrammi, facendo emergere - per così dire - un nuovo Brecht, superando le connotazioni ideologiche che spesso hanno impedito di conoscerne la complessità e l’alto lirismo. Sull’eco delle parole e delle note della Nana’s Lied, di Surabaja Johnny, de La canzone dell’agiatezza e altre celebri composizioni, il recital vuole sottolineare l’umanità del poeta, offrendoci, come disse Strehler, “la sua malinconia per le cose che passano, le sue dolcezze, il suo amore per gli esseri della terra, il suo sdegno per la bassezza e la ferocia del vivere sociale”. Un recital che è anche l’appassionato racconto di una delle più grandi avventure letterarie e artistiche del secolo appena trascorso. In scena con Milva, Vicky Schaetzinger al pianoforte, Bruno Paletto alla fisarmonica, Leonardo Cipriani alla chitarra, Marco Albonetti soprano. Calendario recite Milva canta Brecht Mercoledì 7, venerdì 9, sabato 10, martedì 13, sabato 17 marzo - ore 20.45 mercoledì 7, domenica 11, giovedì 15 e domenica 18 marzo - ore 16.45 mercoledì 14 marzo - ore 19.00 non ci sarà spettacolo giovedì 8 e venerdì 16 marzo Anche nel corso delle repliche dello spettacolo Milva canta Brecht sarà attivo al Teatro Quirino il servizio di baby-sitting di Anch’io vado a teatro, promosso dall’Assessorato alle Politiche di Promozione della Famiglia e dell’Infanzia del Comune di Roma, e realizzato Bios Terra in collaborazione con la cooperativa L’Arcobalena e l’associazione culturale teatrale Il Palcoscenico. Destinato ai bambini dai 6 agli 11 anni (per un numero massimo di 30 ogni volta), il progetto vuole familiarizzare i più piccoli con la cultura teatrale e musicale, attraverso un’attività laboratoriale.
maria antonietta AMENDUNI


06 Marzo 2007

Karen Blixen a Pranzo da Babette

La bella regia di Riccardo Cavallo e le belle interpretazioni di Claudia Balboni, Lydia Biondi, Cristina Noci, incantano al Teatro Orologio.

Il piacere di uscire da teatro soddisfatti oggi è un lusso sempre più raro, e per fortuna il regista Riccardo Cavallo riesce molto spesso a regalare questa emozione. E’ in scena nella sala grande del Teatro Orologio, fino al 4 marzo lo spettacolo Karen Blixen a Pranzo da Babette, diretto proprio da Riccardo Cavallo,con Claudia Balboni, Lydia Biondi, Roberto Della Casa, Cristina Noci, Alessio Caruso e Francesca Romana De Bernardis. In un piccolo paese danese, alla fine del Diciannovesimo secolo, un Reverendo fonda una propria comunità di seguaci e alleva con purezza e riserbo due figlie ricche di qualità e doti. Le due giovani donne non rimangono inosservate, due visitatori del villaggio infatti si innamorano di loro, per dover però rinunciare al loro sogno di fronte alla impossibilità di entrare e di essere accettati fino in fondo nel loro mondo. Il riserbo e l'educazione rigorosa che le due hanno ricevuto dal reverendo hanno ridotto e frenato la realizzazione dei loro desideri e delle loro aspirazioni. Passano così 35 anni di vita quando una lettera di uno dei due uomini introduce in scena il personaggio di Babette, che costretta ad andarsene da Parigi (ricercata dalla polizia dopo i giorni della Comune di Parigi) vorrebbe trovare rifugio nel piccolo villaggio. L'arrivo di Babette sarà la forza scatenante che andrà a muovere la stagnante energia del villaggio. Assunta come governante dalle due donne, Babette scopre di aver vinto alla lotteria. Decide allora di organizzare un grande pranzo in onore della ricorrenza del compleanno del defunto Reverendo, ormai diventato una guida spirituale per tutto il paese. La sola idea del pranzo scatena stupore ed inquitudine ma nessuna osa chiedere nulla a proposito. Babette introduce la gioia di una vincita, ma non solo. Lascia che emozioni e meraviglia irrompano nelle restrizioni e nella quotidianità anestetizzata dalle grandi emozioni. Non solo. Il pranzo che Babette organizzerà sarà al di fuori di ogni abitudine sensoriale ed emozionale per gli abitanti del villaggio. Babette per l'occasione ha infatti ordinato il cibo più raffinato, le salse, le spezie, le tovaglie di lino, i piatti di ceramica direttamente da Parigi. Un'invasione di colori, di bellezza, di armonia, di piacere e di gusti raffinati squarciano il velo dell' umile e modesto stile di vita del paese che aveva impedito alle due donne di cogliere il gusto della vita, di coltivare la loro arte o i loro amori. In un mondo di moralismi e di regole controllate, dove i desideri e gli istinti venivano controllati e compressi nel minimo necessario, Babette introduce la passione, le emozioni e il gusto per il bello attraverso un pranzo che cambierà il destino del villaggio e dei suoi abitanti. I personaggi sembrano infatti liberarsi da una sorta di qualche catena che li lega da 35 anni: cominciano a rivelarsi cose mai dette prima e una nuova linfa vitale sembra pervadere nuovamente i rapporti tra le persone. Il delizioso racconto è stato successivamente trasformato in un film delicato ed emozionante (diretto da Gabriel Axel), vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 1988. Riccardo Cavallo riesce a regalare tutta la magia di un testo incantato e affascinante, con una regia raffinata e curata in ogni dettaglio. Claudia Balboni, Lydia Biondi, Cristina Noci sono straordinarie nella loro interpretazione. Molto accattivante risulta essere Francesca Romana De Bernardis.. Molto bella è anche la scenografia in prospettiva. L’unica perplessita riguarda l’immagine proiettata del finale. Uno spettacolo assolutamente da non perdere. Babette è costretta a fuggire da Parigi dopo i giorni della Comune. Si rifugia in un piccolo villaggio dove si offre come governante a due non più giovani sorelle figlie di un pastore protestante. Dopo qualche anno vince una grossa somma ad una lotteria. Tutta la comunità è convinta che Babette ormai ricca se ne tornerà alla sua Parigi, invece, inaspettatamente, decide di spendere tutto per un pranzo in onore del defunto reverendo. Le due sorelle, abituate a una vita semplice e puritana, faticano ad accettare l’idea del pranzo, ne hanno paura. Ma per loro, così come pure per gli altri invitati, il pranzo si trasformerà in un’esperienza unica. I piatti cucinati con raffinatezza da Babette, i vini, le tovaglie di lino, le spezie, rompono il riserbo e l’educazione rigorosa che da sempre ha impedito loro di cogliere il gusto della vita. I ricordi passati riaffiorano e con essi le emozioni represse da regole e moralismi, gli amori non colti, le passioni trascurate. Dopo tanti anni le catene si spezzano, una nuova vita è possibile. Alla fine del pranzo i convitati se ne vanno per la prima volta felici. Sentono di aver preso parte ad un’esperienza mistica. Finalmente l’infinita grandezza di Dio si è rivelata. Karen Blixen è una di quelle scrittrici che si ama definire “di culto” ma che non può essere di certo considerata “di nicchia”, vasta la sua notorietà benedetta dalla gloria di due Oscar cinematografici. Infaticabile viaggiatrice con tendenza spiccata verso l’avventura, romantica, fedele all’etica dei valori umani e sempre curiosa nei confronti delle bislacche invenzioni del destino, la scrittrice danese fa pensare ad una sorta di Hemingway in gonnella (ma anche in divisa d’ordinanza per safari africani), mentre la sua propensione verso gli pseudonimi rimanda al gusto singolare di Pessoa per gli eteronimi. Karen Blixen popola il novecento di racconti gotici, di narrazioni non di rado autobiografiche, di novelle di squisita fattura, apprezzate e metabolizzate da Truman Capote e dallo stesso Hemingway, per non citare che due dei suoi numerosi ammiratori. La sua scrittura densa, ricca di azioni e di fatti più che di notazioni extra-tematiche, non è passata inosservata dalle parti del cinema, come si è detto: ed ecco le trascrizioni filmiche di Sidney Pollack (“La mia Africa”) de di Gabriel Axel (“Il pranzo di Babette). Costo biglietti: Ingresso € 12,00 – Ridotto € 8,00 – tessera associativa € 2,00
maria antonietta AMENDUNI


27 Febbraio 2006

Max Giusti spopola al Teatro Olimpico e ci mette la faccia!

Max Giusti torna al teatro e lo fa nella sua città, Roma, con il suo nuovo spettacolo Mettici la faccia. In questo show Max, assolutamente travolgente, regala al pubblico una serata indimenticabile.

Max Giusti è tornato all’attacco ma questa volta in teatro e proprio nella sua città, per rispondere alla sua esigenza impellente di riappropriarsi di un contatto con i romani, dai quali per troppo tempo causa i fortunati tanti impegni di lavoro, è stato lontano. Questa volta Max Ci mette la faccia e lo fa con i suoi numerosi personaggi che lo hanno reso celebre. Il tutto in scena al teatro Olimpico fino all’11 marzo; titolo dello spettacolo Mettici la faccia. In questo show Max non mostrera' solo il volto delle sue parodie ma anche il proprio: quello di un uomo di 38 anni, un artista, ma soprattutto una persona semplice, che come tutti nella vita di ogni giorno si gioca la faccia per raccontarsi nell' amore, nella scelta politica, nei rapporti con gli altri e nei rapporti con il divino. E nel metterci la 'sua' faccia il comico romano raccontera' storie di vita quotidiana che dal particolare arrivano all' universale attraverso l' ironia e la comicita'. Tante le facce in scena per il travolgente Max che si esibisce magistralmente in questo One man show, interpretando Biscardi, Lotito, Cofferati, Do Nasimiento, Malgioglio e Mastella. Dice che aveva scelto questa vita perché non gli andava di faticare. S'è ritrovato contemporaneamente con due programmi e una fiction (Quelli che il calcio, Stile Libero e Raccontami), una serie in preparazione (Distretto di polizia 7) e uno spettacolo. Max Giusti in scena è assolutamente travolgente e non si risparmia nemmeno un attimo, regalando al pubblico una piacevolissima e divertente serata. Abbiamo parlato proporio con lui, il mattatore del Teatro Olimpico. Max che effetto ti fa tornare nella tua città? “E’ molto bello, sono stato troppo distante da Roma, e voglio riappropriarmi di un contatto con la mia gente i miei coetanei, capire cosa è cambiato? Tu come sei cambiato dai tempi delle parodie del Grande Fratello? “Sono cresciuto e maturato…ho anche qualche anno in più” Cosa vuol dire per te metterci la faccia? "Era un bisogno, l'approccio col pubblico attraverso un personaggio è sempre filtrato, è come una terza entità, non sono io ma non è nemmeno il personaggio originale al quale mi ispiro, è un individuo effimero che parla per me. A teatro sarò io a esprimere le mie opinioni, senza filtri". Tantissimi impegni non saranno un po' troppi, tutte insieme? "Fisicamente sì, spero non artisticamente, vorrebbe dire che da qualche parte ho sbagliato. Non mi ritengo un attore arrivato, che può permettersi di rifiutare buone proposte, migliori rispetto al passato. Spero di riuscire a fare il salto, e che la gente inizi a conoscermi come un attore bravo, credibile". Dici che farai nomi e cognomi. Chi, o cosa le dà tanto fastidio? "Più che fastidio cerco risposte a certi interrogativi. Ad esempio, perché Prodi e Berlusconi, pur avendo fallito nei precedenti mandati, sono stati entrambi rieletti. O perché mia nonna, dopo decenni di contributi, prende una pensione che non gli permette di vivere bene. Guarda l'indulto. Prodi, in due mesi di legislatura, ha fatto quello che Berlusconi non è riuscito a fare in 4 anni: far uscire Previti". Come va con Stefano Ricucci? Lo hai invitato a teatro? "Bene, figuriamoci. A me non è mai stato antipatico, anzi, con quel ciuffo alla Tony Hadley degli Spandau Ballet... Quella storia si prestava bene alla satira. Anzi approfitto per invitarlo a vedere lo spettacolo!". E alla querela. "Lui mi ha mandato un avviso di querela e di questo lo ringrazio. Si dice che un comico non sia credibile finché non becca una denuncia. Prima di lui, mi sentivo come una banana senza bollino blu. Mi piacerebbe incontrarlo: Ricucci, venga a teatro a farsi due risate".
maria antonietta AMENDUNI


27 Febbraio 2006

Holy Money in scena al Teatro Orologio

In scena il nuovo spettacolo di Enrico Bernard, per la regia di Sebastiano Trincali. Un'attivista noglobal riesce ad intrufolarsi in casa di un Guru della finanza mondiale, e lo prende in ostaggio…

Nuovo appuntamento al Teatro Orologio, dall’1 al 18 marzo, con Holy Money di Enrico Bernard, con Sebastiano Tringali, Licinia Lentini, scene di Riccardo Perticone, musiche Antonio Di Pofi, regia di Sebastiano Tringali Un'attivista noglobal riesce ad intrufolarsi in casa di un Guru della finanza mondiale, e lo prende in ostaggio per costringerlo a confrontarsi col mondo reale e con lo sviluppo ecologicamente insostenibile del capitalismo. Lo scontro (e l'incontro), dove ognuno dei due sosterrà i propri argomenti fino alla morte, ma con un finale a sorpresa, sarà duro. Eppure il rapporto tra due personaggi così agli antipodi è ricco di luci ed ombre, repulsioni e attrazioni fatali. Per approfondire l'argomento: Enrico Bernard, (Roma, 1955). Autore teatrale, saggista, traduttore. Si è laureato in Filosofia nel 1980 con una tesi su Ideologia piccolo borghese e violenza politica in Germania da Lutero alle Raf attraverso Goethe e Schiller (Il privato terrorista ed. E&A Editori Associati, 1986). È l'ideatore e il curatore di Autori e drammaturgie, prima enciclopedia del Teatro italiano contemporaneo. Ha scritto per il teatro 22 opere di cui 12 rappresentate e 3 sono state tradotte e rappresentate in inglese, francese, tedesco. Nel 1992 ha fondato il "Teatro S-naturalista" scrivendone il relativo Manifesto. Ha realizzato nel 1997 un film dalla sua opera Un mostro di nome Lila con la sexystar Eva Henger. Il film ha suscitato scalpore al festival di Locarno 1998 ed è considerato uno dei più significativi esempi di sintesi tra cinema, teatro ed erotismo in chiave surreale. Ha tradotto in italiano opere di Ludwig Tieck, von Chamisso. È stato più volte invitato negli Stati Uniti e Canada per conferenze, stages e seminari presso le Università di Middlebury, Toronto, Mississagua, Kingston e Weston Salem.
maria antonietta AMENDUNI


27 Febbraio 2006

“Io, l’erede”: De Filippo torna in scena all’Eliseo.

Geppy Gleijeses è in scena al Teatro Eliseo con un classico di Eduardo per il regista Andrée Ruth Shammah. Commedia ispirata a un “fatterello” autobiografico, scritta in napoletano nel 1942

Un classico di Eduardo per il regista Andrée Ruth Shammah, legata al grande attore da autentico affetto e per Geppy Gleijeses che del teatro napoletano di ieri e di oggi è sensibile interprete. Questa la storia. Prospero Ribera è appena passato a miglior vita e i Selciano, tra loro il capofamiglia, l'avvocato Amedeo, sono riuniti per ricordare il caro estinto: per ben trentasette anni, infatti, il Rebera, grazie alla generosità del vecchio Selciano, ha vissuto come ospite fisso della famiglia, da sempre impegnata in opere di beneficenza. Improvvisamente bussa alla porta il figlio di Prospero, Ludovico, il quale reclama per sé il posto del padre: se avevano accolto lui, ora che non c'è più, vista la loro generosità devono ospitarne il figlio! Nonostante un certo sconcerto e imbarazzo, nessuno dei Selciano riesce a contrapporre validi argomenti alle motivazioni addotte con forza da Ludovico, il quale, armi e bagagli, si trasferisce nella casa. Dal paradosso iniziale si passa così alla vita quotidiana, che non manca di riservare sorprese al povero ospite: sarà veramente solo il buon cuore ad aver spinto la famiglia ad accogliere il padre in casa propria? Il regista mette in moto meccanismi di aspra buffoneria, portando in primo piano la misteriosa figura di Ludovico Ribera che, con la coerenza del proprio comportamento, smaschera il buonismo ipocrita della società per bene. Preceduta da un’eccellente eco di stampa e da un vasto consenso di pubblico, approda dal 6 al 25 marzo al Teatro Eliseo, Io, l’erede, commedia ispirata a un “fatterello” autobiografico, scritta da Eduardo in napoletano nel 1942 e riscritta “in lingua” nel 1968. Nella sua lettura Andrée Ruth Shammah sviluppa la vicenda accentuandone i lati comici e grotteschi grazie a un cast capeggiato da Geppy Glejeses, con Leopoldo Mastelloni en travesti e la partecipazione di Marianella Bargilli. L’allestimento supera inoltre un “certo eduardismo” per interpretare l’autore napoletano come un vero e proprio classico novecentesco. Scritto nel 1942, andato in scena per soli quattro giorni in uno dei momenti più difficili della storia personale di Eduardo e di suo fratello Peppino, che non ci credeva, il testo, profondamente rivisto dall'autore per la versione in italiano del 1972, ha avuto alcune fortunate edizioni di cui una diretta da lui che però non l'ha mai più recitato. Questa lontananza dall'artefice, se ha tolto a Io, l'erede il sigillo dell'arte interpretativa eduardiana, ne ha forse reso l'approccio più libero, inserendosi bene in quella rilettura di Eduardo senza Eduardo che in questi ultimi anni ha conosciuto esempi notevoli. Andrée Ruth Shammah, che firma la regia dello spettacolo andato in scena con vivo successo (coproduzione dello Stabile di Calabria e del Franco Parenti) al Piccolo Teatro nella sala Grassi, alla conclusione che bisognasse fare i conti con la mancanza di Eduardo c'era arrivata già nove anni fa al tempo del suo primo Io, l'erede. Che cosa differenzia questo spettacolo da quello? La scenografia di Gian Maurizio Fercioni, un contenitore di pareti bianche con ritratto di Eduardo appeso e porte aperte sullo sfondo, come del resto i divertenti costumi assai poco realistici sono quelli di allora. A fare la differenza ci sono però gli attori fra i quali spicca il bravissimo Geppy Gleijeses che è l'erede del titolo, affiancato da un convincente Umberto Bellissimo, il figlio del benefattore e da Leopoldo Mastelloni che scava nel profondo il personaggio di zia Dorotea. Tutti interpreti di derivazione eduardiana o comunque legati allo straordinario mondo del teatro partenopeo che da Viviani, passando per Eduardo arriva fino ad Annibale Ruccello e a Enzo Moscato. La sfida anche registica è tutta qui: andare oltre un certo realismo di facciata e arrivare a una rappresentazione surreale, esente da qualsiasi tentazione mimetica. In scena con Geppy Gleijeses e il reduce realiti Leopoldo Mastelloni anche Umberto Bellissimo, Margherita Di Rauso, Gabriella Franchini e Antonio Ferrante, Ferruccio Ferrante, Valentina Tonelli, con la partecipazione di un’altra nata dal reagito nonché compagna di Geppy Gleijeses, l’attrice Marianella Bargilli.
maria antonietta AMENDUNI


25 Febbraio 2006

La reale illusione di Arturo Brachetti al Brancaccio

Il celebre trasformista sbarca a Roma. “L’uomo dai mille” volti è un viaggio nell’universo di Arturo Brachetti, unico artista trasformista al mondo capace di coniugare la magia del Teatro con l’Arte del Trasformismo.

Il Brachetti dei record arriva a Roma. Descritto anche come " Versace a ultra-velocità” Brachetti cambia di costume con incredibile rapidità, trasformandosi in 80 personaggi in 100 minuti e dando vita a legioni di personalità davanti agli occhi di attoniti spettatori. Il suo spettacolo è una stravaganza multimediale, un'estetica meraviglia senza precedenti che combina humour, musica, poesia, magia e video in un unico collage di recitazione, racconto, stunts e caricature dove il surreale diventa realtà. Tutto questo succede al Teatro Brancaccio fino al 18 marzo. Anche nella capitale l’andamento delle prevendite del tour infinito di uno degli spettacoli più visti del mondo (partito nel 2005) lascia già prevedere che lo show ripeterà senza dubbio il successo milanese del Teatro degli Arcimboldi L’uomo dai mille volti è un viaggio nell’universo di Arturo Brachetti, unico artista trasformista al mondo che è stato capace di coniugare la magia del Teatro con l’Arte del Trasformismo. Mille volti, mille sogni dell’infanzia di Arturo: 80 personaggi in 100 minuti, Brachetti cambia costume con incredibile rapidità, dando vita a un “esercito di personaggi” dalle diverse personalità. Una stravaganza multimediale che combina humour, poesia, musica, magia e video in un unico collage di racconto, sorprese visive e caricature dove il surreale diventa realtà. Questo allestimento, prodotto da Gilles Petit e Marie-Laurence Berthon per Juste pour Rire France, vanta un team creativo eccezionale: Regia: Serge Denoncourt Testi: Arthur Kopit Musiche: Simon Carpentier (Cirque du Soleil) e Dazmo Costumi: Francois Barbeau Scenografie: Guillaume Lord Sound designer Larsen Lupin Light designer Alain Lortie “L’uomo dai mille volti” sarà poi a Torino (Teatro Alfieri dal 20 marzo) e Napoli (Teatro Augusteo dal 4 aprile) "E' un uccello o un animale misterioso come gli antichi cinesi dipingevano nei loro rotoli? La magia oltrepassa la virtuosità, come la grande cantante lirica che ci fa credere che il bel canto è alla portata di tutti. E' un libro in 20 volumi con 200 personaggi, è Ariel di Shakespeare e Salomè dai sette veli. Angelo o Mefisto, ci incanta ed infine il pubblico e io stesso partiamo per questo grande viaggio dove un altro Pirandello ci evoca non sei ma mille personaggi in cerca d'autore Nel 1997 Arturo Brachetti fu la sensazionale rivelazione del Gala al Festival Just for Laughs di Montreal. Il presidente fondatore Gilbert Rozon ne prese immediatamente atto e decise che questo ingegnoso performer doveva far parte delle sue maggiori produzioni teatrali. Nel 1999 e gli ingaggiò una prestigiosa figura della scena teatrale quebecchese, Serge Denoncourt per realizzare il progetto che divenne un hit immediato. La prima rappresentazione di questo enorme successo di pubblico e di critica avvenne al Theatre Pierre Mercure di Montreal (Canada), l' 8 Luglio 1999 . Continuò a Parigi nei teatri Marigny, Mogador e Casino de Paris. Nell'anno 2000 vinse il premio "Molière" per il miglior One Man Show dell'anno e il premio "Olivier Award" per il migliore spettacolo leggero dell'anno in Canada . Nel 2004, per la nuova versione, Arturo Brachetti e Serge Denoncourt crearono un nuovo team d'elite comprendente Arthur Kopit, autore di Broadway, vincitore di numerosi Tony Awards. La musica completamente originale è stata scritta da Simon Carpentier (Cirque du Soleil) e da Dazmo. Tra gli altri spiccano altri grandi nomi della cultura teatrale quebecchese: il costumista Francois Barbeau, le scenografo Guillome Lord, il sound designer Larsen Lupin e il lighting designers Alain Lortie (creatore luci per Peter Gabriel e Celine Dion). Un affettuoso ringraziamento va a Sandra Mondaini che interpreta la voce della mamma, voce che resterà tale, in italiano, in tutto il mondo. Anche in questa occasione al Brancaccio, il trasformista per eccellenza non si smentisce e con il fascino della sua arte riesce ad ammaliare il pubblico, a travolgerlo in un vortice di incanti, fantasia, ed immaginazione; la magica realtà di Brachetti, concretizza anche la più folle allucinazione.
maria antonietta AMENDUNI


14 Febbraio 2006

Sibilla Aleramo: una vita vissuta per l’amore

In scena al Piccolo Eliseo, lo spettacolo Sibilla d’amore di Osvaldo Guerrieri, con Liliana Paganini, regia di Pietro Carriglio. La travagliata storia di passione tra la nota scrittrice e il poeta Dino Campana.

L’amore tormentato tra il poeta Dino Campana e la scrittrice Sibilla Aleramo, lo avevamo visto nel 2002, al cinema, in Un viaggio chiamato amore, di Michele Placido con Stefano Accorsi e Laura Morante. Una storia al limite della follia e della realtà, dove il filo conduttore è senza dubbio la passione che lega i due amanti. I protagonisti di questa travagliata vicenda amorosa,tornano ora a rivivere al Teatro Piccolo Eliseo, dal 14 febbraio al 4 marzo, in Sibilla d’amore di Osvaldo Guerrieri, con Liliana Paganini, regia e scena Pietro Carriglio Firenze, 1932. Sibilla Aleramo festeggia i 56 anni. Aspetta il proprio amante, Franco Matacotta, uno studente di soli 20 anni, focoso e geloso, che in ogni istante la interroga sugli amori di colei che è stata definita «l’amante di tutta la letteratura italiana». Scorre la memoria di una vita complessa e battagliera: il lavoro di Sibilla nell’azienda del padre, lo stupro subito a 15 anni, le nozze col seduttore, la nascita di un bambino, la gelosia del marito, i continui scontri, la fuga a Roma priva di tutto, anche del figlio, l’insegnamento serale nelle scuole per analfabeti dell’Agro Pontino, il tentativo di pubblicare sui giornali di Milano e di Firenze articoli sulla condizione delle donne e sul loro bisogno di riscatto. Intanto, Sibilla scrive la propria autobiografia, entra nei salotti letterari, passa da un amore all’altro: scrittori, pittori, scultori, banchieri. Il più forte e drammatico è col poeta Dino Campana, di dieci anni più giovane di lei, ammirato subito leggendo il suo unico libro: i Canti orfici. È il 1916. L’amore che avrebbe dovuto segnare l’incontro di due anime grandi si trasforma in un rapporto di delirante violenza. Campana è malato. Accusa Sibilla di tradimenti e di spegnere in lui la forza poetica. Sono schiaffi, pugni, sputi in faccia: un’alternanza continua di trasporto erotico e di rissa. Fino alla svolta. Un medico riconosce nel poeta la sifilide. Impone a Sibilla il distacco e una lunga astinenza sessuale. Lei fugge, ma per vendicarsi, tra gli altri, di Francesco Bonomo nel ruolo della bisbetica, Marco Cavicchioli e Giancarlo Condègaggia con l’ex amante un pericoloso gioco a rimpiattino. Gli spedisce biglietti e cartoline da località false, in modo che Campana la insegua invano. E quando, a Novara, il poeta è arrestato per l’ennesima volta e rischia la fucilazione per diserzione, Sibilla capisce di avere forzato il gioco. Lo fa liberare, ma non lo vedrà più. Di quell’amore restano dolcezza, crudeltà, rimpianto e rabbia. L’ultimo insulto è inciso sul metallo. Su una moneta di 20 centesimi lo scultore Bistolfi ha voluto raffigurare il profilo di Sibilla. La moneta dà l’occasione a Campana di esprimere l’ultimo, rabbioso giudizio: lei è diventata come quella moneta, grigia, annerita dal passaggio di mano in mano. Osvaldo Guerrieri ha composto Sibilla d’amore sulla base delle lettere e delle poesie dei due protagonisti. Il racconto-monologo è contenuto nel volume L’ultimo nastro di Beckett e altri travestimenti edito da Aliberti. “Sibilla d’amore - afferma l’autore Osvaldo Guerrieri - è nato nel modo in cui l’arguzia popolare vuole che si mangino le ciliegie: ossia per inarrestabile golosità. Infatti, dopo essermi occupato di Beckett, sentii fortissimo il bisogno di penetrare all’interno di altre vite illustri, di esplorarle, di estrarne i succhi più amari. Inevitabilmente amari. Potevano forse annidarsi dolcezze nelle esistenze di Carlo Emilio Gadda, di Emilio Salgari e di Sibilla Aleramo? Per le ragioni più diverse, tutti costoro sono usciti piagati dal duello con la vita. Sibilla, la passionale Sibilla, ha dovuto assorbire l’infinito veleno che può provenire dall’amore. All’amore lei ha dedicato tutta se stessa, e spesso per scopi puramente promozionali. L’amore e il sesso erano per lei uno strumento per affermare la propria natura di donna emancipata e per far carriera. Ma con lei, come per una maledizione, l’amore si trasformava continuamente in dramma e in violenza. Lei, la protofemminista che ha combattuto con slancio la battaglia per l’indipendenza, la scrittrice che con l’autobiografia-capolavoro Una donna non ha esitato a mettere a nudo se stessa e a scoprire le ferite di una vita quanto mai tribolata, ha sacrificato all’amore la parte migliore di sé. Anche nel breve, disperato amore per Dino Campana ha dovuto subire, fino all’oltraggio degli sputi, l’inferno atroce della follia”.
maria antonietta AMENDUNI


7 Febbraio 2006

IL SORRISO DI DAPHNE

In scena al Teatro Valle, due tempi di Vittorio Franceschi autore ed interprete de “Il sorriso di Daphne”; la regia discreta e precisa è di Alessandro d’Alatri, esordiente di lusso dietro le quinte del teatro.

Un testo amaro e raffinato affronta con vivacità e fuori da ogni tentazione di pietismo un tema attuale e delicato: IL SORRISO DI DAPHNE è una commedia tragica, che usa toni leggeri e arguti dialoghi per parlare d’eutanasia, avvalendosi della regia discreta e precisa di Alessandro d’Alatri, esordiente di lusso dietro le quinte del teatro. Al centro della commedia di Franceschi una pianta di nome Daphne esemplare unico e misterioso proveniente dal Borneo, la più importante scoperta di Vanni, un burbero studioso del mondo vegetale ora gravemente malato. Nello spettacolo, diretto da Alessandro D’Alatri, che ha debuttato con successo nella regia teatrale, coesistono vicenda drammatica e toni di una commedia vera e propria, coraggiosa, amara e ironica, che commuove senza rinunciare a divertire. Ad interpretare questo intelligente e coraggioso spettacolo l’autore/attore Vittorio Franceschi, che dona scontrosa umanità al professor Vanni, accanto alla femminilità dura e familiare di Laura Curino – la sorella Rosa – e quella sensuale di Laura Gambarin, seguace ansiosa e compagna respinta del professore. I tre caratteri ben delineati dalla scrittura di Franceschi, e interpretati con efficacia dagli attori, un linguaggio spigliato anche nei momenti più cupi, un incessante scambio di battute graffianti, rendono questo spettacolo vitale e divertente. Ed è proprio la capacità di conciliare con leggerezza dramma e commedia, il reale col fantastico, la quotidianità con i grandi ideali che rende lo spettacolo un successo sia a livello popolare che di critica. A testimonianza dell’entusiasmo riscosso, l’opera ha ottenuto ben tre riconoscimenti, diversi tra loro per natura e modalità, tra i più importanti del teatro italiano: il premio dedicato alla drammaturgia contemporanea Enrico Maria Salerno 2004, e, entrambi nel 2006, come migliore novità italiana il Premio ETI – Gli olimpici del teatro, un riconoscimento assegnato dagli operatori dello spettacolo ai colleghi più meritori, e il Premio UBU, assegnato dalla critica nazionale, sempre come miglior nuovo testo italiano. Il sorriso di Daphne è la storia di un anziano professore di botanica, costretto su una sedia a rotelle da una malattia degenerativa, ossessionato dal morboso, simbiotico rapporto, con una sorella appiccicosa e protettiva. L’uomo viene riportato indietro nel tempo, al suo avventuroso passato di viaggi e scoperte, alla pienezza della sua vita, dall’arrivo inatteso di un’ex-allieva ed amante, che in un estremo atto d’amore l’aiuterà a sottrarsi al suo misero ed inevitabile futuro da vegetale. Strumento per il passaggio dalla vita alla morte, la linfa mortale di una pianta, proprio la Daphne del titolo, la scoperta più importante nella carriera del botanico, e quarta protagonista in palcoscenico, con la sua presenza muta ed immutabile. Ho scritto Il sorriso di Daphne nel 2002 – afferma Vittorio Franceschi - Il paesaggio dei luoghi evocati nel testo (soprattutto quello della Thailandia) è stato in tempi recenti sconvolto dallo Tsunami. Ne sono stato molto colpito e turbato, perché le forze della natura non hanno violentato solo un Paese reale, ma anche un sogno, che non aveva confini precisi ma era collocato là. Non sono mai stato in quei luoghi e anche per questo quel sogno lo sentivo mio. Il nostro viaggio terreno è costellato di paesaggi esotici e misteriosi che fanno da sponda al fiume dell'inconscio e talvolta ripetono alla luce del sole i paesaggi in penombra dell'anima. Ora lo devo ricomporre, come ognuno di noi deve fare col proprio, fin che ne abbiamo cognizione e fin che c'è il tempo. Con Vittorio Franceschi (Giovanni, detto Vanni), Laura Curino (Rosa, sua sorella), Laura Gambarin (Sibilla); scene Matteo Soltanto, costumi Carolina Olcese, musiche Germano Mazzocchetti
maria antonietta AMENDUNI


3 Febbraio 2006

San Valentino al Teatro Tor Bella Monaca

Michele Placido regala agli innamorati una serata Dannunziana. Lo spettacolo Amori e fulgori dannunziani, fa rivivere l’atmosfera di quell’atelier culturale dove si trattava di “parola e “rima”, “colore” e “canto”.

L’amore in una cornice di musica, pittura e poesia per una serata speciale come quella della festa di San Valentino. Al Teatro Tor Bella Monaca (sala grande), il 14 febbraio, è di scena Amori e Fulgori Dannunziani, con Michele Placido, per l’ideazione di Davide Cavuti. Nei primi anni del ’900, nel convento di Santa Maria di Gesù a Francavilla al Mare, in Abruzzo, si riuniva il Cenacolo michettiano. A questo consesso, che prendeva il nome dall’organizzatore, il pittore Francesco Paolo Michetti, partecipavano i maggiori artisti abruzzesi dell’epoca, dal poeta Gabriele d’Annunzio al musicista Francesco Paolo Tosti. Un altro abruzzese doc, Benedetto Croce, ci ricorda l’affinità che in particolare legava Michetti e D’Annunzio, documentata dal loro ricco epistolario e dalla dedica all’amico che il Vate appose al romanzo Il Piacere. Lo spettacolo Amori e fulgori dannunziani, in scena sul palco del Teatro Tor Bella Monaca, interpretato da Michele Placido (voce recitante), fa rivivere l’atmosfera di quell’atelier culturale dove si trattava di “parola e “rima”, “colore” e “canto”. Scritto da Davide Cavuti, abruzzese anche lui, questo recital poetico-musicale nasce, come dichiara lo stesso autore, dal “desiderio di donare al pubblico quella luminosità sensoriale di d’Annunzio, protesa a fondersi con il senso naturalistico-verista del Signor del pennello (Michetti), sullo sfondo tostiano di pura genuinità folcloristico-melodica, capace di incapsulare, di racchiudere, di proteggere nobili visioni artistiche così come l’ostrica gelosamente custodisce la sua perla”. I momenti musicali – affidati ai solisti di MuteArt Federica Carnevale, soprano, Antonio Scolletta, violino e viola, Franco Finucci, chitarra, Sara Cecala pianoforte e Davide Cavuti, fisarmonica - creano veri e propri quadri da cui il testo di Davide Cavuti trae forma e colore. Il concerto fa rivivere il sogno del Cenacolo michettiano e l’atmosfera di Napoli, città in cui vissero i tre artisti, e si avvale di testi dannunziani, musicati, oltre che da Tosti, da grandi compositori come Ildebrando Pizzetti e Ottorino Respighi. I biglietti seguono lo schema consueto degli spettacoli in stagione, €8 gli interi ed €5 i ridotti.
maria antonietta AMENDUNI


3 Febbraio 2006

Cinque vite protagoniste dello spettacolo “Insert Coin”

Le identità mutevoli, molteplici o stereotipate che descrivono caratteri conosciuti nella realtà. In scena al Teatro Orologio, lo spettacolo scritto, diretto ed interpretato da Maurizio Ciccolella

Un appuntamento da non perdere. E’ lo spettacolo “Insert Coin” di e con Maurizio Ciccolella, in scena al Teatro Orologio dal 27 febbraio al 4 Marzo –Teatro dell’Orologio sala Orfeo. Lo spettacolo “Insert Coin”, pensato per i festeggiamenti del centenario della CGIL di Brindisi, nasce da un ambizioso progetto di voler tradurre in forma di teatro un secolo di lotte, conquiste sociali e politiche che la CGIL ha riscosso nell’arco della sua attività nella difesa dei lavoratori. Il tema dunque che si è subito affacciato, nella scrittura di questa opera prima, è il lavoro inteso come complesso sistema di relazioni, azioni, impegni, diritti e problematiche che vedono la persona soggetto e oggetto centrale di tutto il discorso. Ebbene l’interrogazione di fondo è diventata quella dell’identità intorno alla quale si sono mossi i temi e le parole più importanti di Insert Coin. Le identità mutevoli, molteplici o stereotipate che descrivono caratteri conosciuti nella realtà e portatori di ulteriori nozioni circa il nostro vivere, dove il lavoro acquista sempre più una dimensione di centralità. Insert Coin è caratterizzato da un rapporto senza mediazione con la natura e le sue forze, articolato sui livelli del fisiologico più che del vero, dentro uno spazio scenico aperto con le “cose”, già tutte visibili, che più che oggetti sono i “prolungamenti dei ritmi che gli oggetti imprimo alla sensibilità” come direbbe uno dei personaggi; o meglio mezzi di esplicazione del paradosso psicologico “vedo quello che sento e sento quello che vedo”. Sulla scena si alternano, per circa un’ora e un quarto, l’imprenditore, l’ingegnere, l’immigrata, la vedova e il contadino. Identità mutevoli che, nel corso dei cinque monologhi, si rivelano in tutta le loro fragilità e insoddisfazione e nel contempo rinascono e si rinnovano attraverso un processo di riscatto e recupero delle proprie aspirazioni Cinque personaggi, cinque vite possibili, per qualcuno comiche per qualcun altro tragiche. Cinque monologhi interpretati dall’attore e regista Maurizio Ciccolella, accompagnato dalla musica dal vivo. Dietro al racconto di storie che s’intrecciano col mondo del lavoro, si mettono in scene gli uomini e le donne in tutta la loro sfaccettata realtà tragica, comica, poetica, grottesca. Lo spettacolo, ritmato dall’ironia e da una lettura oramai disincantata sul concetto di lavoro, tenta una demistificazione dell’idealizzazione del lavoro così radicata, già nei secoli scorsi. Il racconto scritto ed interpretato da una giovane e validissima promessa del teatro italiano, Maurizio Coltella, si avvale di una narrazione sospesa attraverso frammenti di prosa, schegge di danza e brandelli di canto. Una riflessione celebrata da evocazioni in un continuo riverbero di emozioni. Maurizio Ciccolella, attore teatrale, diplomato alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, che da anni si dedica alla regia e alla formazione. Dopo aver calcato i più grandi palcoscenici italiani ed europei con registi del calibro di Luca Ronconi, Patroni Griffi, Zeffirelli, Gigi Proietti e Roman Polanski, solo per citare i più famosi, da quattro anni vive e lavora a Brindisi producendo spettacoli teatrali con l’associazione S.M.T.M.-Gruppo Mòtumus che presiede, realizzando progetti socio-culturali, anche per la difesa e il sostegno delle persone diversamente abili. Lo spettacolo apre uno squarcio sulla fiducia di riportare un cambiamento, possibile, teso a contrastare la negazione della dignità delle persone e a favorire un’ opportunità di vita decorosa. Oltre Maurizio Ciccolella autore interprete e regista, alla scrittura del testo hanno collaborato, Salvatore Vetrugno, Rosangela Bovenga, Annamaria Carriero e Maria Conversano.
maria antonietta AMENDUNI


3 Febbraio 2006

Un doloroso viaggio nella memoria che si fa esperienza viva

In scena al Teatro Argentina, lo spettacolo “Il Sergente, a Mario Rigoni Stern”. Il “cantastorie” Marco Paolini, un genio della performance e della parola, racconta la paura, la fame, il gelo sotto la pelle, il desiderio di ritorno a casa

Un uomo che la guerra l’ha vissuta e non l’ha dimenticata e ha dato importanza al valore della memoria, dato che solo i ricordi possono aiutare l’essere umano ad uscire dal buio del suo tempo, per risparmiare il baratro a sé e, soprattutto, alle generazioni a venire; quest’uomo è Mario Rigoni Stern. In Il sergente. (dal 6 al 18 Febbraio 2007 al Teatro Argentina di Roma) Marco Paolini narra con dolente energia il romanzo autobiografico di Rigoni Stern (Il Sergente nella neve, pubblicato nel 1953), sulla ritirata dei soldati italiani nella Campagna di Russia, nell’inverno del 1942-43; non un adattamento del testo, ma una personale rilettura, in omaggio al grande scrittore. Il “cantastorie” Marco Paolini, un genio della performance e della parola, della recitazione e dell'uso dello spazio teatrale, di una telecamera o quant'altro, racconta la paura, la fame, il gelo sotto la pelle, il desiderio di ritorno a casa, le piccole vigliaccherie e il sovrumano coraggio dei soldati, stremati nelle innevate pianure della Siberia. Ormai allo sbando e circondati dall’Armata Rossa, i personaggi del racconto, reali e non di fantasia, cercano di sopravvivere durante la ritirata, passando da un villaggio all’altro con alterne fortune. Li guida un giovane sergente, che diventerà poi lo scrittore del romanzo. E proprio grazie alla sensibilità dell’autore, facciamo la conoscenza di esseri umani profondamente sconvolti dal conflitto, ma che mantengono fino in fondo la propria dignità: piccoli grandi uomini che affrontano un’avventura spesso senza via d’uscita. “Per Mario Rigoni scrivere è stato un anticorpo alla disumanità – lo afferma Marco Paolini - Ecco, forse quello che sto cercando è un anticorpo alla disumanità della condizione di spettatore. È un’illusione credere di esser spettatori di una guerra lontana perché quando pensi di essere spettatore, sei vittima senza saperlo. Senza la coscienza che non puoi chiamarti fuori, che se rimuovi questa cosa dalla tua vita, stai già scivolando in una perdita. Mi ritrovo nella voglia di non arrendersi che era di Rigoni Stern e dei suoi alpini, ma non come gesto di eroismo, lui marciava nella neve portandosi in spalla il peso tremendo delle armi. I volantini russi dicevano: italiani, siete a quattromila chilometri da casa, arrendetevi. Chi si arrendeva all’evidenza della realtà, alla stanchezza, chi rinunciava alle armi che aveva, a oliarle, pulirle e tenerle in efficienza, era finito. Io penso che la democrazia sia la nostra arma, quella che ha bisogno di manutenzione, e la dobbiamo curare. Il Sergente non è un lavoro di denuncia ma non è nemmeno un medicamento per l’anima perché credo che il teatro non possa essere ne terapia ne antidoto. Penso alla possibilità di attingere all’esperienza, e che questo serva alla memoria, serva a prepararsi meglio ad affrontare le cose. Un teatro forse come addestramento, come istruzione.” Marco Paolini, in attività dagli anni '70 e assurto a grande fama nel 1997 con l'indimenticabile pagina di storia, televisione e teatro dedicata alla tragedia del Vajont, nel 1999 immortalò Mario Rigoni Stern in una meravigliosa intervista filmata sull'altipiano di Asiago, con la regia di Carlo Mazzacurati (lo trovate in cofanetto vhs + libro edito da Biblioteca dell'Immagine). “Rimanemmo bloccati nella baita a causa di una nevicata”, mi dice Paolini: il resto lo aggiunge con gli occhi. Quegli occhi. Gli stessi occhi che lascia respirare davanti a un uomo che a 83 anni scrive ancora capolavori come Aspettando l'alba (Einaudi, 2004). Nel film in bianco e nero, Paolini provoca in Mario turbamenti profondissimi nel ricordare i giorni in cui era “ il sergente nella neve” (ah, che titolo!). I due parlano degli appunti dai quali nacque quel capolavoro, appunti strenuamente e ostinatamente difesi durante la guerra (fu prima in Albania, come testimonia il suo Quota Albania, guerra che definisce “peggio della Russia”. Riusciamo a immaginare?), poi abbandonati “nella cuccia del cane”, una volta a casa, ad Asiago. Sino al giorno in cui li riprese in mano, arrivando in libreria solo dieci anni dopo la ritirata di Russia. Uno dei grandi libri sulla guerra, e nella guerra: viaggiò con lui tanto intensamente da non essersi più fermato. Questo è un testo che andrebbe studiato nella scuola dell'obbligo, altro che I promessi sposi. Lo amo quanto amo Un anno sull'altipiano di Emilio Lussu (che lo scrisse solo nel 1938, vent'anni dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, senza riuscire a pubblicarlo in patria...) e molti altri di Rigoni Stern. Pensate, da Lussu fu tratto Uomini Contro di Rosi, con Gian Maria Volontè, girato sull'Altipiano. E Stern invece è co-autore de I recuperanti, capolavoro di Ermanno Olmi del 1969, girato sull'Altipiano. Info per il pubblico, ufficio promozione teatro di roma: tel 06.68.40.00.346 - fax 06.68.40.00.360, promozione@teatrodiorma.net; www.teatrodiroma.net. biglietteria teatro argentina: tel. 06.68.40.00.313 (ore 10-14; 15-19, lunedì riposo), prezzi: da 10 a 26 Euro
maria antonietta AMENDUNI


28 Gennaio 2006

UN'INDIMENTICABILE SERATA AL TEATRO VALLE

Piera Degli Esposti è la protagonista del testo di Achille Campanile; sul palcoscenico,insieme a Stefano Galante e Stefano Bembi, l’attrice è diretta da Antonio Calende.

Approda al palcoscenico del Teatro Valle, dal 6 all’11 febbraio, lo spettacolo divenuto un cavallo di battaglia di Piera Degli Esposti, una delle attrici più versatili e intense della scena italiana: Un’indimenticabile serata tratto da testi del grande scrittore e drammaturgo Achille Campanile. Grazie anche alla direzione ironica di uno dei grandi maestri del teatro italiano, Antonio Calenda, e alla partitura di Germano Mazzocchetti, lo spettacolo viene riproposto per la terza stagione, un successo straordinario che consacra un autore da molti indicato come il precursore del teatro dell’assurdo. E non è un caso infatti che questa messinscena abbia ottenuto un’accoglienza entusiasta anche in Francia, dove è stato rappresentato nel 2003 durante la rassegna Les Italiens promossa a Parigi dall’Ente Teatrale Italiano. Il primo incontro fra Piera Degli Esposti e il disarmante spirito di Campanile sul palcoscenico è avvenuto nel 1996: l’intuizione di amplificare l’umorismo campaniliano attraverso le sorprendenti corde comiche dell’attrice si deve proprio a Calenda, vero cultore di quest’autore, cui ha dedicato molti fortunati spettacoli. Assecondando l’idea del regista, Piera Degli Esposti – attrice di cui abbiamo ammirato l’intensa drammaticità in spettacoli come Persiani e la recente Orestea eschilea – ha fatto una scelta “controcorrente”, premiata dalla nascita di un sodalizio originale per le nostre scene. Infatti è spiazzante che sia un’attrice a dar voce all’io narrante maschile delle opere campaniliane: nonsensi esilaranti, sul filo dell’assurdo, sono da lei raccontati con spontaneità; si moltiplica così l’effetto ironico delle situazioni. Un’indimenticabile serata è una pièce raffinata in cui si dà voce a un divertente collage dei più celebri testi del drammaturgo romano. Un collage in cui musica, poesia, gioco d’equivoci si fondono a una sottile critica sociale e a uno sguardo sagace sulla realtà: quella, certo, degli anni di Campanile. Senza un preciso percorso narrativo, l’indimenticabile serata trascorre fra fulminanti battute, gag, brevi monologhi, tutti accomunati dal gusto per il divertimento intelligente. Libera da un rigoroso percorso narrativo, Un’indimenticabile serata trascorre tra battute che guizzano come lampi, gag, brevi monologhi, nonsense all’insegna del più surreale umorismo del drammaturgo romano. Un disorientamento conoscitivo che a volte aiuta meglio di tanti universi raziocinanti ad analizzare il reale: spezzettamento del senso, vacuità della sintassi, interazioni, assonanze, triplo e quadruplo senso, parola come musica, musica al posto della parola, danza come parola e musica insieme… tutto concorre a definire la sconvolgente modernità teatrale, di scrittura e contenuti, dei testi di Achille Campanile. Da vero cultore della scrittura di Campanile, Antonio Calenda, ha avuto l’intuizione di amplificare l’umorismo dell’autore attraverso le sorprendenti doti comiche di Piera Degli Esposti, interprete capace di una straziante drammaticità in testi classici o contemporanei, e che qui si cimenta con i toni grotteschi e ironici dando voce all’io narrante maschile. L’effetto è dirompente, elegante, paradossale, per una serata che, letteralmente e a pieno titolo, si preannuncia indimenticabile.
maria antonietta AMENDUNI


26 Gennaio 2006

Tutto per colpa di una linea telefonica!

In scena al Teatro Eliseo, Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci e Pippo Patavina, sono i protagonisti dello spettacolo “La concessione del telefono” di Camilleri; la regia è di Giuseppe Dipasquale.

Camilleri/Dipasquale, una coppia di successo. Dopo gli ottimi risultati ottenuti dalla trasposizione per il teatro de “Il birraio di Preston”, avvenuta nella stagione 1998/99 per il Teatro Stabile di Catania, l’autore del romanzo, Andrea Camilleri e il regista dell’opera, Giuseppe Dipasquale tornano nuovamente insieme per riproporre una nuova avventura dai racconti camilleriani: La Concessione del telefono. È questo, fra gli ultimi romanzi di Camilleri, uno dei più divertenti. Si tratta infatti di una sorta di commedia degli equivoci e degli imbrogli, che trova la sua ambientazione ideale in un'isola, come la Sicilia, che è terra di contraddizioni, ma questa Sicilia è la Vigàta di Camilleri che diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose di Sicilia. L’onore di ospitare questo spettacolo a Roma,va al Teatro Eliseo, dove dal 30 gennaio all’11 febbraio, Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci e Pippo Patavina, saranno i protagonisti dello spettacolo. L'equivoco, che ridicolmente fa da motore a tutta la storia è lo scambio tra due lettere dell'alfabeto, la M e la P. E di qui parte l’equivoco. Il protagonista, Genuardi Filippo, per ottenere la concessione di una linea telefonica per uso privato, fa domanda formale al prefetto di Montelusa, denominandolo Vittorio Parascianno anziché Marascianno come in realtà il prefetto si chiama. Da qui nasce una storia complessa, in cui equivoci e imbrogli non si contano più e che coinvolge: il Genuardi, siciliano qualsiasi, e la sua famiglia; i vari apparati dello Stato, ovvero Prefettura, Questura, Pubblica Sicurezza e Benemerita Arma dei Reali Carabinieri; don Calogero Longhitano, il mafioso del paese; la Chiesa; quei compaesani, siciliani qualsiasi, che involontariamente capitano sulla strada di Pippo Genuardi. Alla fine tutti gli equivoci sembrano chiarirsi: il Genuardi è stato assolto sia dall'accusa di essere socialista che dal tentato omicidio. Reali Carabinieri, Questore, Delegato, don Lollò sono i personaggi seri del romanzo; tutti gli altri personaggi, anche il Genuardi e lo stesso don Nené, uomo onesto ed equilibrato, sono descritti, almeno una volta in atteggiamenti comici. Anche il dramma finale è filtrato nei toni della commedia. Don Nenè è visto attraverso gli occhi della moglie Lillina, che, non sapendo la causa del comportamento del marito, lo descrive come "pazzo, i capiddri dritti, gli occhi sbaraccati". E l'unico personaggio che avrebbe potuto esprimere dolore e solo dolore, la moglie Genuardi e figlia di don Nenè, e che è stata interprete nel romanzo sempre di episodi comici, nel finale non è nominata. Il romanzo, nella sua complessità è stato rispettato anche nella riduzione che da questo è nata. Il carattere affascinante di questo progetto, posto essenzialmente sulla novità del testo e della sua possibile realizzazione, si sposa tutt’uno con la possibilità di ricercare strade sempre nuove e diverse per la drammaturgia contemporanea. Il Teatro è di per sé un genere eteroclito. Esso può comprendere e assimilare in sé anche altri generi senza per questo snaturare la sua efficacia ed il suo valore. Quando poi, come in questo caso, si è di fronte ad una forma narrativa che invita il lettore a dar corpo ai personaggi, privilegiando il parlato e non la descrizione, ecco che il Teatro si trova ad agire su un campo molto familiare. La parola, ed il giuoco che con essa e di essa è possibile intraprendere, fa di questo testo un oggetto naturale da essere iniziato e elaborato all’interno di un’alchimia teatrale vitale e creativa. Altro aspetto è quello della lingua di Camilleri. Una lingua personale, originalissima, che calca e ricalca, in una divertita e teatralissima sinfonia di parlate una meravigliosa sicilitudine linguistica, fatta di neologismi, di sintassi travestita, di modi d’uso linguistico ricalcati dal dialetto che esaltano la recitazione di possibili attori pensati a prestare i panni al mondo dei personaggi camilleriani. L’idea di una riduzione per il teatro ha trovato lo scrittore Andrea Camilleri entusiasta, anche se allo stesso tempo cauto. Lui, uomo di teatro oltre che scrittore, sa bene quanto la parola parlata, a teatro, rischi di rubare alla parola scritta del romanzo. E’ nata così una fiduciosa collaborazione con il regista che propone il progetto, legando strettamente la riduzione alla sua messa in scena, in modo che la peculiarità narrativa del romanzo non soccomba all’importanza della rappresentazione; e che alle leggi della scena, non si sottomettano, solo per convenienza, i liberi percorsi della scrittura letteraria. Si è curato invece il principio per il quale il Teatro può farsi sentinella vigile e attenta di un tesoro prezioso, quale il romanzo è, restituendolo alla scena con l’amore e la fiducia con cui si accompagna ad un ballo una timida innamorata.
maria antonietta AMENDUNI


20 Gennaio 2006

UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO

Paola Quattrini ed Enrico Lo Verso, sono i celebri protagonisti “Blanche du Bois” e “Stanley”, del famosissimo capolavoro di Tennessee Williams. In scena al Teatro Quirino.

Si ferma al Teatro Quirino Un tram che si chiama desiderio, una dei testi più celebri e rappresentati del ventesimo secolo, capolavoro di Tennessee Williams, che ha visto una immensa schiera di star avvicendarsi nel ruolo smisurato di Blanche du Bois, sognante e disperata creatura che “vuole magia invece di realtà e vela le lampadine perché la realtà sia attenuata”, personaggio di profondità e carisma tale da imporre il talento di chiunque abbia avuto la possibilità di incarnarlo (in Italia, fra le altre, Mariangela Melato). Ma il film che ne fu tratto nel 1951, con la regia di Elia Kazan e il premio Oscar Vivien Leigh nel ruolo principale, segnò altresì il trionfo di Marlon Brando, nel ruolo del rozzo cognato, indimenticabile in jeans e maglietta, primo oggetto del desiderio femminile, che, uccidendo sogni e illusioni della donna, si rivelerà capace di “dimostrare volgarità e sadismo e, allo stesso tempo, qualcosa di terribilmente attraente”. In questa nuova edizione per il palcoscenico, affidata alla consolidata perizia del regista Lorenzo Salveti, sarà Paola Quattrini, una delle attrici più note delle nostre scene, la quale si mette alla prova nel difficile lavoro di un personaggio tanto amato dal pubblico ma non semplice da interpretare, che passa dal registro brillante a quello drammatico, a dar voce e corpo agli strazianti miraggi di Blanche, mentre tocca ad Enrico Lo Verso, il compito durissimodi sfidare il mito praticamente insuberabile, incarnando il ruolo di Stanley. Rimasta vedova, la fragile Blanche va a vivere dalla sorella Stella, sposata con il rozzo Stanley Kovalski che la insidia e allontana il timido Mitch con il quale forse la donna avrebbe potuto rifarsi una vita; ma il gioco di seduzione, a cui Blanche non è estranea, finirà con uno stupro che porterà Blanche in manicomio... Il vecchio mondo che Blanche ha amato, raffinato ed illusorio, aristocraticamente ripiegato in un benessere ovattato, s'è dissolto in un inevitabile declino. Il mondo nuovo è pragmatico e spietato, brutalmente determinato, avido d'affermazione. Blanche non sa adeguarsi. Il mutamento la trova impreparata. Si sente tradita, sporcata, violentata. E quando la realtà opprime e soffoca, e la volgarità ripugna, ed affrontare le cose per quello che sono provoca ribrezzo e fa paura, cresce un desiderio struggente d'evasione. Blanche si mette in viaggio per l'ultima meta. Deve prendere due tram per raggiungerla. Un tram che si chiama Desiderio. Poi un altro che si chiama Cimitero. Scenderà ai Campi Elisi. Qui intende fermarsi, in casa della sorella, che ha condiviso con lei la stagione incantata della giovinezza. Qui sarà il suo paradiso - ne è certa, lo vuole - il paradiso della purezza ritrovata. Ma quella è la casa di Stanley. Nel corpo di quell'uomo, giovane ed affamato di vita, di cibo, di sesso, è raffigurato tutto ciò che Blanche detesta, che la inquieta, che le fa orrore. Eppure un'irresistibile attrazione la spinge verso di lui ed inconsapevolmente la forza a sfidarlo, fino a provocarne la violenza più cieca, fino allo stupro. Per la fragile creatura è il crollo e Blanche finisce in ospedale psichiatrico. Il primo tram si chiamava Desiderio. Il secondo, Cimitero. La morte e la vita scorrono sullo stesso binario. Lo spettacolo ha senza dubbio il fascino di un testo capace di creare un climax tale da rapire lo spettatore; la regia di Lorenzo Salvati e di suo una garanzia e il regista regala al pubblico anche delle piccole licenze poetiche. Non proprio convincente è la coppia dei protagonisti, entrambi troppo fievoli quando non dovrebbero esserlo, ed eccessivi quando serve più “leggerezza”. In scena al Tearo Quirino dal 23 gennaio all’11 febbraio. Sul palcoscenico insieme a Paola Quattrini ed Enrico Lo Verso, anche Clara Sancricca, Carla Ferraro, Alessandro Luci, Enrico Franchi, Antonio De Rosa, Luca Ferrante, Cristina Caprarulo, Mara Di Maio, Dario Biancone, Luca Ferrante, Mara Di Maio
maria antonietta AMENDUNI


20 Gennaio 2006

In viaggio con Peter Pan sull’ Isolachenonc’è!

Mauel Frattini, al Politeama Brancaccio, veste i panni dell’eterno ragazzo, in uno simpatico spettacolo colmo di polvere di stelle. Per gradi, piccini e per tutti coloro che non vorrebbero mai crescere!

Dopo i successi di Buenos Aires, Madrid, Londra e New York, nella stagione 2006/07 per la prima volta in Italia arriva Peter Pan Il Musical, tratto dal capolavoro di James Matthew Barrie: una produzione totalmente italiana, che vedrà in scena un cast di 25 artisti, per la regia di Maurizio Colombi. Dopo Napoli, Bologna e Firenze, lo spettacolo arriva ora a Roma, al Teatro Brancaccio, dal 23 gennaio al 18 febbraio. A interpretare il “ragazzo che non voleva crescere”, abitante dell’isola che non c’è, troviamo Manuel Frattini, reduce da Pinocchio. Alice Mistroni, nel ruolo di Wendy, segue Peter Pan nelle sue avventure sull’Isola Che Non C’è. A capo della ciurma dei pirati, Claudio Castrogiovanni veste i panni di Capitan Uncino, mentre Riccardo Peroni interpreta il fedele Spugna. Arturo Brachetti, il genio trasformista, ne è il direttore artistico. Le musiche dell’opera non potevano che essere affidate all’estro e all’energia di Edoardo Bennato, che già si ispirò a Peter Pan per il suo celebre concept-album “Sono solo canzonette”. Per l’occasione lo stesso album è stato arrangiato in versione musical ed integrato con un brano inedito del cantautore, "Che paura che fa Capitan Uncino". Una colonna sonora magica e coinvolgente. Insomma ancora un musical rivolto ai bambini, ma come ormai, piace tanto dire ai registi, “un musical che piace tanto anche ai grandi”…intanto speriamo che almeno piaccia ai bambini romani e poi si vedrà! Peter Pan il Musical è uno spettacolo di grande impatto visivo e sonoro, immerso in una atmosfera incantata, dove i duelli tra Peter Pan e i pirati di Capitan Uncino continuano a far sognare grandi e piccini. Ad appassionare gli spettatori saranno lo sbarco della nave pirata, il personaggio di Trilly realizzato con tecnologie laser, gli effetti speciali del volo di Peter Pan e le entusiasmanti coreografie, curate da Gillian Bruce e Chiara Valli. Nel primo mese di programmazione, lo spettacolo ha registrato oltre 60.000 spettatori paganti suddivisi nelle prime 38 repliche di Napoli, Milano e Bologna. Fabrizio Carbon dichiara di essere pienamente soddisfatto dei risultati sinora raggiunti: come produttore esecutivo dello spettacolo la sua gioia deve essere doppia. Aggiunge ... “ringrazio il pubblico che ci ha accompagnato dall’inizio di questa nostra avventura e che ha saputo comprendere ed apprezzare la passione, la qualità e la professionalità, che sono parte integrante di questo progetto...” Lo spettacolo tutto sommato, pur non essendo un capolavoro di regia ed interpretazione, sembra piacere sia a grandi che a piccini, grazie anche agli effetti speciali e all’abbondare di polvere di stelle…basta prenderlo per quello che è: come vivere per una sera nel mondo delle favole! Molto bello è il volo di Peter in prima persona sullo schermo, con un gioco di immagini che va dal generale del cielo, fino al particolare della casa, che si fonde perfettamente con l'apertura della scena sulla camera dei ragazzi. Una bella sorpresa per i bambini l'abbattimento della quarta parete teatrale. Le coreografie sono di Gillian Bruce (che già ha seguito Frattini in Toc Toc) e Chiara Valli. Qualche piccolo cedimeto ogni tato sulla recitazione, si spera dettato dall’emozione che il palco del Brancaccio, nella sera della prima, può sicuramente provocare…ma per fortuna che l’emozione c’è, sarebbe grave se o ci fosse. Simpaticissimo è Claudio Castrogiovanni nel ruolo di Capitan Uncino: sopra le righe, pieno di tic e frustrazioni. Molto divertente è anche Riccardo Peroni. Manuel Frattini risulta invece essere sempre un po’ troppo uguale a Pinocchio e ad altri personaggi interpretati sino ad oggi. La mano di Brachetti si vede. Come non apprezzare la stanzetta e la plancia della nave dei pirati. Le scene del volo, poi, ricreano una stupenda illusione. Che dire! È proprio vero, come affermava in altra occasione Glauco Mauri, che “La finzione del teatro, è molto più bella della realtà”!
maria antonietta AMENDUNI


16 Gennaio 2006

European house: tra esercizi di voyeurismo e interrogativi esistenziali

Al Teatro Argentina, in prima nazionale, lo spettacolo ideato e diretto da Alex Rigola. Ancora un riferimento a Shakespeare, dunque, per questo giovane ed inquieto regista, ma stavolta in modo ancora più trasversale.

Quello con Alex Rigola, classe 1969, poliedrico direttore del Teatre Lliure di Barcellona dal 2003, rappresenta ormai un appuntamento fisso e irrinunciabile per il Teatro di Roma. Dopo aver ospitato nel 2004 Giulio Cesare all’India e, all’Argentina, Riccardo III e Santa Giovanna dei macelli nella stagione 2005-2006, quest’anno Rigola debutta in prima nazionale all’Argentina il prossimo 26 Gennaio (con un’unica replica il 27 e due date al Carignano di Torino, il 2 e il 3 Febbraio) con un nuovo, singolare lavoro: European House – prologo a un Amleto senza parole. Ancora un riferimento a Shakespeare, dunque, per questo giovane ed inquieto regista, ma stavolta in modo ancora più trasversale: con European house, infatti, Rigola non entra nell’opera del grande drammaturgo, ma ci offre un’originale visione dei motivi che potrebbero portare un moderno Amleto verso la sua fine. E lo fa, lui contaminatore di linguaggi, con uno spettacolo senza parole, vero esercizio di voyeurismo per lo spettatore, che dalla platea “spia” in tempo reale una qualunque famiglia borghese europea di oggi attraverso la sezione della sua casa a tre piani. Le azioni, mute, si intersecano di tanto in tanto con video, assoli di danza e proiezioni di luce, che rappresentano una costante nel linguaggio del regista. Scrive Rigola: “Una riflessione sulla comunicazione, sulla nostra società, sulla vita e la morte. Un vero esercizio di voyerismo per lo spettatore. Il piacere di guardare dietro un velo, come se fossimo James Stewart in La finestra sul cortile… Un importante uomo d’affari muore. Sua moglie e suo figlio tornano a casa dopo il funerale, aspettando amici e parenti per le condoglianze. Casualmente, la vedova si chiama Gertrude e suo figlio Amleto. Un possibile prologo a l’opera più conosciuta di William Shakespeare”. L’ormai mitico ‘essere o non essere’ di Amleto è correlato, anche per Rigola, con l’essere o non essere consapevoli della vita e delle sue possibilità: quelli che agiscono da una parte, di contro a coloro che lasciano che la vita gli scorra ai piedi. Noi sappiamo che Amleto agirà, ma le sue azioni qui non ci riguardano. European house ci suggerisce piuttosto gli elementi di cui sarà intessuta più tardi la tragedia, attraverso la finestra di un moderno appartamento a tre piani di una benestante famiglia borghese. Ideazione e regia sono do Alex Rigola, le scene di Bibiana Puigdefàbregas e Sebastià Brosa; costumi M. Rafa Serra, suono Ramon Ciércoles; luci Maria Domènech Con Chantal Aimée (domestica), Pere Arquillué (Claudio), Joan Carreras (Amleto), Pere Eugeni Font (spettro), Àngela Jové (domestica), Nathalie Labiano (Guildenstern), Norbert Martìnez (Rosencrantz), Sandra Monclus (Ofelia); Alìcia Pérez (Gertrude), Joan Raja (Polonio), Eugeni Roig (Laerte); Ernest Villegas (Orazio) Teatro Argentina, ol 26 e 27 Gennaio 2007, prima nazionale. Durata: un’ora e 15 minuti senza intervallo
maria antonietta AMENDUNI


16 Gennaio 2006

“Sostiene Pereira”: un uomo e la sua coscienza sociale.

Nel Portogallo degli anni “30, durante la dittatura di Salazar, Pereira, dirige la pagina culturale di un modesto giornale del pomeriggio. Ma la sua vita segna una svolta quando conosce il giovane Monteiro Rossi.

Una storia destinata a durare nel tempo. Un personaggio che ha preso posto tra i grandi miti della letteratura, diventando il simbolo della difesa della libertà d'informazione. Pereira non è un partigiano che combatte per la libertà, nè un eroe romantico in lotta con il mondo e, per sua stessa affermazione, non scrive certo come Thomas Mann. Riconosce che «non è facile fare del proprio meglio in un paese come questo»: vive a Lisbona negli anni ’30, in piena dittatura salazarista, ma la sua è una vicenda dal respiro universale. Da un grande romanzo civile di Antonio Tabucchi, vincitore di premi nazionali oltre al Prix Européen Jean Monnet, tradotto in ventidue lingue e già traghettato sul grande schermo con una incancellabile prova di Marcello Mastroianni, trae linfa e sostanza questo adattamento teatrale di Sostiene Pereira (Teatro Valle dal 16 gennauo al 4 febbraio) firmato da Teresa Pedroni, qui anche regista, e di Gianni Guardigli, già vincitore del Premio Flaiano per Le luci di Algeri. Nel Portogallo degli anni “30, durante la dittatura di Salazar, Pereira, attempato e sovrappeso, dirige la pagina culturale di un modesto giornale del pomeriggio, il Lisboa. Modesto e abitudinario, a tratti tormentato dalla segreta ricerca di qualcuno o qualcosa che lo faccia diventare ciò che non ha mai osato essere, è rassegnato all’impossibilità di mettere in atto qualsiasi forma di ribellione della propria coscienza. Ma la sua vita segna una svolta quando, assunto il giovane rivoluzionario Monteiro Rossi come scrittore di “coccodrilli”, comincia ad avere dubbi sul proprio ruolo, sulla propria estraneità alle violenze del regime e alla follia che ha investito l’Europa. E quando Monteiro viene ucciso dalla polizia proprio in casa sua, il vecchio esce dal silenzio e denuncia pubblicamente il delitto. Il dramma in cui Pereira sarà personalmente coinvolto gli spalancherà le porte di un universo finora inesplorato: il campo della responsabilità e, anche oltre, la possibilità, per se stesso, di una vita diversa. Vari piani temporali che si intersecano in un’atmosfera kafkiana, per raccontare una svolta morale, un risveglio, un atto di impegno: nella penombra di una coscienza ancora imprecisa affiorano i messaggi dei personaggi incontrati che divengono di volta in volta interlocutori dell’io più profondo del protagonista. Nel ruolo dell’ “uomo qualunque” che, nel corso della storia, compirà un viaggio negli abissi della storia e della sua stessa anima, un toccante Paolo Ferrari, spesso alle prese con personaggi brillanti, ma che qui dà vita ad un intenso personaggio dalle mille sfumature, regalandoci, nel percorso di Pereira alla ricerca di se stesso, una delle sue più convincenti interpretazioni. Ad evocare la vicenda, lo “Sconosciuto”, personaggio chiave che la regista ha voluto interpretato proprio da un attore portoghese, Amandio Pinheiro, “perché geneticamente informato sul passato del suo paese”. È lui ad introdurre i personaggi e la loro storia, facendo si che il codice letterario prenda corpo e anima e si trasformi in teatro. L’universalità dei sentimenti sembra essere il filo conduttor e di questo spettacolo. Tabucchi ha dato vita, in Sostiene Pereira, ad un personaggio che avrebbe potuto benissimo scrivere domani, tale è l’attualità che coinvolge la storia e il personaggio di Pereira. Pereira è un vecchio giornalista, per sua natura introverso, solitario, schivo e che, come accade spesso alle persone anziane, quando ha bisogno di dire, di esprimere ad alta voce quello che si sente dentro, si ritrova a farlo parlando con il ritratto della moglie, morta da tempo. Dice Pereira: «io mi occupo di cultura, non sono un cronista, io dirigo una pagina culturale di un giornale, traduco racconti dell’Ottocento francese, no, la politica non mi interessa». Gli avvenimenti che gli accadranno intorno, piano piano lo metteranno in condizione di rendersi conto che non si può tenere la testa nascosta nella sabbia, non si può fare come gli struzzi. Anche per Pereira verrà il momento in cui anche questo vecchio prenderà coscienza, alzerà la testa e, per la prima volta in vita sua, prenderà violentemente posizione, denunciando in un articolo e firmandolo (lui che non si era mai firmato, da quando aveva lasciato la cronaca nera) l’assassinio del giovane Monteiro Rossi, e questo anche a prezzo di dover abbandonare Lisbona, la sua città. La lezione che ci arriva dal testo di Tabucchi è questa: prendiamo coscienza del mondo in cui viviamo e ognuno faccia la propria parte. Pereira è costretto ad andarsene, a fuggire, ma portando con sé la forza di aver ritrovato una coscienza sociale. Se, oggi come oggi, questo accadesse in noi tutti, probabilmente faremmo tutti un grosso passo avanti.
maria antonietta AMENDUNI


14 Gennaio 2006

Al Teatro Tor Bella Monaca il teatro è per i più giovani.

In un dialogo costante tra generazioni d’artisti, il teatro diretto da Michele Placido, apre l’anno nuovo con un occhio particolarmente attento ai ragazzi e al mondo della scuola.

Il Teatro Tor Bella Monaca apre l’anno nuovo con un occhio particolarmente attento ai ragazzi e al mondo della scuola. A partire da gennaio, infatti, il palcoscenico dell’VIII Municipio ospiterà una stagione teatrale tutta dedicata ai giovanissimi spettatori, per imparare divertendosi, fuori dalle aule: una proposta delle migliore produzioni di teatro ragazzi, che spazia dalla rilettura delle più celebri fiabe della letteratura mondiale (Il Piccolo Principe, Alice nel paese delle meraviglie, Cappuccetto Rosso, Il Gatto con gli stivali), a produzioni dove protagonisti del racconto diventano gli oggetti, quotidiani o di un recente passato, dal diario al mangiadischi, dal cappello Borsalino all’altrettanto mitica Topolino. Si è appena concluso al teatro diretto da Michele Placido, il Piccolo Principe, per la regia di Italo Dall’Orto, tratto dal famoso racconto di Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944), La grande metafora del bambino che si presenta misteriosamente a un pilota col suo aereo in avaria nel Sahara e che, dopo una storia di amicizia con quello strano adulto, scompare "lassù" altrettanto misteriosamente, è nota a tutti. Ora però tanti sono gli appuntamenti ancora dedicati ai più giovani e non solo. Dal 19 al 21 gennaio, è la volta di Serata Futurista, regia Edoardo Torricella. Il 24 e 25 gennaio ancora teatro per ragazzi, con Alice e le meraviglie. Alice si è nascosta da qualche parte. Forse nella sua stanza, forse nell'armadio, forse sul tetto. Tutti la cercano per dirle cosa deve fare, quando lo deve fare, perchè lo deve fare oppure non fare: Alice ha una vita piena di orari e di regole. Sarà perchè il suo tempo è tutto organizzato o perchè lei non sa più come usarlo ma Alice ha smesso perfino di giocare. E non sa o non può spiegare agli altri, agli adulti, che ogni tanto vorrebbe proprio essere lasciata in pace. I suoi desideri sono così forti e la sua curiosità così viva che Alice - per sogno, per magia o per l'incanto tipico dei bambini - si trova sprofondata in un mondo pieno di meraviglie e di avventure. Un mondo dove orari e regole sembrano funzionare al contrario e dove i personaggi si chiamano Coniglio Bianco, Signor Topo, Cappellaio, Lepre, Bruco e Ghignagatto. E dove, ovviamente, c'è anche una Regina cattiva. Attraverso questo viaggio nelle meraviglie del paese sotterraneo Alice capirà molte cose e quando farà ritorno al "suo" mondo sarà una bambina diversa, che sa essere più autonoma rispetto alle richieste degli "adulti", che avrà ritrovato la voglia di prendersi il suo tempo per giocare e per pensare e che sarà tornata in contatto con la sua fantasia e la sua capacità d’ immaginazione. Il 31 gennaio e 1° febbraio, si ritorna al teatro per ragazzi con Un topolino alla mille miglia, per la regia di Fabrizio Montecchi, primo testo che Edoardo Erba, uno degli autori di punta del teatro italiano, rivolge al pubblico dei giovanissimi. Lo spettacolo, ispirato all’avventura di due ragazzi che nel ’54 entrarono in corsa alla Mille Miglia a bordo di una Topolino, coniuga sapientemente le magiche “ombre” e la parola, il teatro di figura e il teatro d'attore. Dal 7 al 9 febbraio appuntamento è invece con Diario segreto de La città del teatro/Fondazione Sipario Toscana. Uno spettacolo che – avvalendosi soprattutto dei materiali biografici ed autobiografici dei diari dei due attori, con i quali è stato ideato e costruito – affronta timori e stupori dell’adolescenza, sfogliando le pagine di questo oggetto tanto comune quanto prezioso e privato, che è rifugio e risorsa, amico ideale e sfogo, deposito di emozioni e di sogni, di bisogni e di desideri. Il 1° e il 2 marzo protagonista della scema sarà un oggetto del passato, il Mangiadisk, riscoperto da Koreja. Due fratelli, ormai adulti, ritrovano per caso un mangiadischi, che rimette in moto ricordi ed emozioni: nasce da questo spunto una storia sulle paure mai superate, sulla voglia immutata di giocare e sulla inevitabile fine dell’infanzia, e soprattutto
maria antonietta AMENDUNI


14 Gennaio 2006

Andrea Rivera: dalle strade di Trastevere al Piccolo Eliseo

Andrea Rivera, conosciuto dal popolo delle notti trasteverine; insieme alla sua chitarra ha incantato diverse centinaia di persone ogni sera con le sue esibizioni di teatro-canzone. Arriva ora al piccolo Eliseo con “Prossime aperture”

Andrea Rivera da “Parla con me” di Serena Dandini, e una menzione speciale “Premio Gaber 2004”, al Piccolo Eliseo Patroni Griffi dal 16 al 21 gennaio con Prossime Aperture. Spettacolo scritto e musicato da Andrea Rivera. In scena con l’artista romano conosciutissimo dal popolo delle notti trasteverine, Lisa Lelli, che ha collaborato ai testi. La supervisione alla regia è di Giorgio Gallione, la produzione di Marangoni spettacolo. Andrea Rivera è un personaggio conosciuto dal popolo delle notti trasteverine; insieme alla sua chitarra ha incantato diverse centinaia di persone ogni sera con le sue esibizioni di teatro-canzone. Rivera nasce dunque, come cantastorie, sulle strade di Trastevere: qui per anni, terminato il lavoro di operaio, raccoglie un folto pubblico con le sue ballate comiche e irriverenti,che coniugano la vitalità popolare del Belli e la poesia dolente di Gaber. Conquistare il pubblico per strada non è cosa facile e Rivera dimostra fin da subito un notevole carisma, capace di ammaliare perfino le forze dell’ordine che, costrette ad allontanarlo per mancanza di permessi, non di rado si fermano prima un po’ ad ascoltarlo. La svolta avviene nel 2004, dopo tre anni passati a fare l'artista di strada, denunciando tutto quello che non leggiamo sui giornali perché "scritto in trafiletti laterali troppo piccoli", e analizzando le mode dei passanti annoiati dal solito sabato sera, cercando così un nuovo modo di comunicare, ha ricevuto quest'anno, il prestigioso riconoscimento del Festival dedicato a Giorgio Gaber. Questa la menzione della giuria del Premio Gaber 2004. Per noi giurati, l'artista (tra i 120 candidati ed i 10 che si sono esibiti al Festival) che ci pare abbia saputo meglio evocare uno spirito del genere, con la sua appassionata ironia, e Andrea Rivera, che, nella migliore delle ipotesi consegnamo alla storia dello spettacolo, e nella peggiore, abbiamo comunque tolto dalle strade di Trastevere. Talento e coraggio non sono merci così rare, come testimonia anche questa rassegna, ma averli entrambi come Rivera è un'altra faccenda e merita una speciale. E lo affianca Curzio Maltese, che afferma: sorprendente il romano Andrea Rivera, che la settimana scorsa si esibiva per strada a Trastevere e fra un paio d’anni riempirà i teatri, si accettano scommesse. Per Rivera, di lì a poco, si aprono le porte della televisione (da due stagioni, è mattatore del programma condotto da Serena Dandini “Parla con me”) e quelle del teatro. Uniteli dire di lui, che in teatro sa fare molto bene il suo mestiere; il cantastorie trasteverino mostra una sorprendente capacità di tenere il palco e creare una speciale relazione con il pubblico: merito senza dubbio della gavetta maturata sulla strada, una scuola di spettacolo particolarmente dura...un po’ come tornare all’epoca dei guitti! Un uomo, la sua chitarra (una Maton australiana) e la coscienza (una Lisa Lelli toscana). Sul palco si ripercorre la carriera di Rivera, anche attraverso filmati che lo riprendono in azione proprio a Trastevere, alle prese con passanti, turisti e 26 denunce per “disturbo della mente pubblica”. Tra monologhi, video-interviste (“ piacere sono Paul, exit Paul”) e canzoni ce n’è decisamente per tutti, dagli operai di oggi (“molti di voi non hanno più la coscienza di classe… però vogliono la classe A senza coscienza….”) ai politici (“caro compagno ti sei mangiato i nostri ideali altro che i bambini…. ”) alle subrettine dalla carriera facile (“vedrai cara dopo tre films imparerai la dizione”) sino a cercar di capire se la libertà ormai l’abbiamo rinchiusa in un salario o se la vera felicità è riscoprire la visione infantile di un mondo “dove il cavaliere sia inesistente e dove non ci sia una lega, ma 20000 leghe… si… ma sotto i mari…” In Prossime aperture, un mix di irriverente satira politica e di costume, poesia colta e allegria popolare, Rivera propone una formula innovativa di teatro-canzone che alterna, a ritmo serrato, monologhi, storie e canzoni, capace di far ridere e, al contempo, pensare e si segnala, così, come una presenza fra le più originali e fertili della scena teatrale contemporanea. Assolutamente da non perdere!
maria antonietta AMENDUNI


9 Gennaio 2006

STORIE PARALLELE: reading teatrale dedicato a Edith Piaf

Sinfonia per corpi soli – Ritratti di donne fra parole e musica; al Piccolo Eliseo, unico appuntamento, lunedì 15 con Catherine Spaak.

Quarto appuntamento del Progetto Sinfonia per corpi soli – Ritratti di donne fra parole e musica, curato da Antonio Calbi e realizzato dal Teatro Eliseo con il sostegno della Provincia di Roma e la Fondazione Schering, una jam session al femminile, in cui il teatro incontra altre arti, lungo la quale duettano autrici e attrici, musica e scena, poesia e memorie. Il ciclo di serate-evento, alla sua seconda stagione, dedicato ancora una volta alle grandi interpreti del teatro nazionale ma non solo, dopo Fanny Ardant che ha portato a Roma La maladie de la mort di Marguerite Duras, Rossella Falk, che ha dedicato una delle recite del suo spettacolo Vissi d’arte, vissi d’amore, e Mariangela D’Abbraccio con il suo recital Amarafemmena, Catherine Spaak con Storie parallele ci racconta Edith Piaf: artista sensibilissima, dall’inconfondibile, straordinaria voce. Il filo conduttore attraverso cui viene raccontata Edith Piaf è l’immensa e insospettabile fragilità, dalla quale consegue la sua dipendenza da uomini, per la maggior parte freddi, calcolatori, approfittatori, ai quali lei dava tutta se stessa incondizionatamente, per poi accorgersi di aver preso abbagli, subendo cocenti delusioni. A tutti comunque, ha sempre regalato grandi occasioni per raggiungere il successo, sia che fossero musicisti, parolieri, cantanti o futuri attori. Yves Montand le deve la sua iniziazione ai grandi palcoscenici parigini, accanto a lei in cartellone, oltre ai primi importantissimi passi nel mondo del cinema. Per Charles Aznavour è stata l’insegnante più importante e l’ispiratrice di futuri suoi successi mondiali. Il suo grande, unico amore fu Marcel Cerdan, tragicamente scomparso nel momento più intenso della loro relazione lasciandole un vuoto incolmabile, accrescendo la sua incapacità di convivere con la solitudine sentimentale. Immagini inedite, filmati d’epoca durante recitals dal vivo, qualche frammento delle sue canzoni più celebri cantate in scena (La vie en rose, J’men fous pas mal), alcuni testi tradotti in italiano, molti episodi della sua vita raccontati, consentono di scoprire il vero universo di Edith. “Da tempo – dice Catherine Spaak – desideravo rendere omaggio a personalità francesi che hanno lasciato un segno forte nell’arte, nella musica e nella letteratura della nostra epoca. Questo non solo perché il loro genio mi ha profondamente toccato, ma anche per un capriccio del destino: appena adolescente, ho avuto l’immensa fortuna di conoscere alcuni di loro. Nel caso di Edith Piaf, a lei devo la creazione del mio immaginario sentimentale: le sue canzoni mi aprirono gli occhi sul mistero delle attrazioni fatali, la passione, le inquietudini affettive. Per raccontare il suo percorso di vita e la sua arte ho scelto un allestimento scenico essenziale ma fortemente simbolico, consentendo al pubblico di far affiorare il proprio immaginario, guidato dai filmati e dalle immagini scelte, dalla mia voce e dalla sua musica.” Piccolo Eliseo Patroni Griffi, lunedì 15 gennaio 2007, ore 20,45, posto unico 10 euro.
maria antonietta AMENDUNI


6 Gennaio 2006

BISEX IN THE CITY

Roberto D’alessandro e Francesca Nunzi, al Teatro Testaccio, divertono con uno spettacolo che fa il verso al noto telefilm americano

Un nuovo impedibile appuntamento firmato da I Picari, un nome che è una garanzia di divertimento. Al Teatro Testaccio (Via Romolo Gessi, 8- Roma), dal 10 gennaio al 4 febbraio arriva Bisex in the city di e con Roberto D’Alessandro e Francesca Nunzi. La trama è presto detta; due autori devono scrivere uno spettacolo dal titolo (parafrasando la più famosa rubrica del giornale newyorkese) Bisex in the city. L’universo sessuale della capitale viene scandagliato fin nel profondo, attingendo ad esperienze dirette o a racconti di amici. In scena si dipaneranno decine di situazioni “piccanti” nel tentativo di analizzare il comportamento sessuale degli abitanti della capitale. Ah! Nella città dei papi non mancherà qualche cardinale! Tra morbosità e comicità si tenta di smascherare l’ipocrisia di una società con ancora troppi tabù sull’universo dei comportamenti sessuali. Lo spettacolo diventa quindi satira sociale e di costume, graffiante come non se ne vedeva da tempo sulla scena Italiana. Il testo è di Roberto D’Alessandro e Francesca Nunzi. Lo spettacolo è presentato da’ I Picari di cui Roberto D’Alessandro ne è il fondatore e Francesca Nunzi una storica rappresentante. I Picari sono un’associazione culturale senza scopi di lucro diretta da Roberto D'Alessandro e Marco Simeoli, che da undici anni produce e distribuisce spettacoli teatrali di intrattenimento con tematiche culturale allo scopo divulgativo. Gli spettacoli che hanno avuto più presa sono stati quelli nel genere dei 90 minuti, ossia spettacoli comici della durata di 90 minuti, si differenziano sostanzialmente l’uno dall’altro per l’argomento, che ne fa di ognuno un originale irripetibile e di irresistibile impatto comico. Lo spettacolo Bisex in the city, assolutamente da non perdere, andrà in scena dal 10 gennaio al 4 febbraio 2007 al teatro testaccio a Roma. L’inizio dello spettacolo è alle 21,45. La durata è di circa 80 minuti.
maria antonietta AMENDUNI


6 Gennaio 2006

Uno psicodramma possibile della castrazione femminile

Si apre con “Il Malinteso” di Camus, la stagione del Teatro della Visitazione, diretto da Federico Vigorito. Una dramma al femminile, con Serena Michelotti ed Enrica Costantini.

La diffusione di attività culturali in un quartiere dove i teatri scarseggiano, con l’ambizzione di affermarsi nel panorama teatrale romano; l’obiettivo di contribuire alla formazione e all’incremento del pubblico, alla valorizzazione delle sedi di spettacolo, alla diffusione di un’offerta capillare e vicina alle comunità locali. Tutto questo è la prima stagione del Teatro della Visitazione (Via dei Crispolti 142). Il progetto del Direttore Artistico Federico Vigorito, non è solo quello di allestire la stagione con produzioni proprie, ma prevede anche scambi con altre compagnie. Si punta molto sulla ricettività del V municipio, uno dei più grandi di Roma. Il Teatro è già stato in parte rinnovato con i suoi 200 posti e sono in cantiere anche altri lavori di rinnovamento. Notevole è il fascino del palcoscenico ampio e profondo. Il teatro diventa il ricettacolo delle sensibilità, l’agorà delle istanze civili, l’arena delle contese ideali, la pista di un velodromo delle cose impossibili, la pedana per distonie espressive, il palco per comicità clownesche, angolo scuro di torbide passioni, nembo che lancia saette iridescenti, garçonnière per sensualità trasgressive, corsia per incredibili ritmi musicali, salotto per amabili e piacevoli incontri, oceano in cui cercare Moby Dick, quadro di simbolismi terrifici, sentiero che conduce all’inatteso luogo dai mille piaceri dell’immaginato. Tutto questo? Possibile? Allo spettatore il giudizio. Si inizia giovedì 11 gennaio con il Primo spettacolo della stagione: Il Malinteso di Albert Camus, regia di Federico Vigorito, scene Daniela Beccuti, e con Serena Michelotti nel ruolo della Madre, Enrica Costantini nel ruolo di Marta, Andrea Murchio nel ruolo di Jan, Alessandra Cavallari nel ruolo di Maria, Massimo Dionisi nel ruolo del domestico. Il Malinteso di Albert Camus esprime uno psicodramma possibile della castrazione femminile. Rispettando lo schema corporeo della donna e l'investimento affettivo sulla sua fecondità, propongo un modello di castrazione come sterilizzazione, svuotamento, asportazione di utero e ovaie. Senza matrice, la donna si trasforma in una cavità morta come un sepolcro. Questa la storia. Un albergo anonimo in un angolo imprecisato e tetro dell'Europa centrale: le proprietarie, la Madre e sua figlia Marta sopravvivono uccidendo di tanto in tanto qualche raro cliente ricco, per depredarlo. Il candidato ideale deve essere un uomo solo, uno straniero del tutto sconosciuto e di passaggio, che possa sparire senza lasciare traccia. E' una morte dolce, il benvenuto delle albergatrici: il cliente viene narcotizzato e gettato in una chiusa, dove affogherà, riemergendo chissà quando, insieme ad altri cadaveri sfigurati dalla putrefazione. Omicidio dopo omicidio, le due donne stanno accumulando il denaro utile per realizzare il sogno di ritirarsi a vivere in un paese tropicale, dove il sole cancellerà ogni traccia del passato. All'origine della catena luttuosa c'è forse un Padre, ma questi è morto chi sa quando, né più interessa il come o il perché. L'ultimo predestinato, Jan, è il figlio e fratello dimenticato, tornato ricco dopo vent'anni, per renderle felici. Con lui c'è la moglie Maria, che è amore, è vita, è felicità. Jan è infervorato nella sua missione familiare, vuole presentarsi da solo, essere riconosciuto e accolto a braccia aperte. Maria si piega angosciata al suo slancio generoso, il cuore la avverte della tragedia. C'è infine un Vecchio domestico, che tace sempre e conosce la verità, sa chi è Jan ma lo rivela alle donne solo a fatto compiuto, con indifferente perfidia. Colta da un'inaspettata dolcezza, la Madre si getta nel fiume, per ricongiungersi col figlio ritrovato. Marta scopre l'inutilità del sacrificio della sua giovinezza all'egoismo insaziabile di sua Madre, senza il cui amore tutta la sua strategia criminale è fallita. Si uccide. A Maria non resta che l'orrore del malinteso: la sua felicità è stata annientata per equivoco. Trionfa solo il Vecchio, il cui sadismo finale consacra la tragedia della follia alla banalità cieca del male. Ecco come il regista, Federico Vigorito, definisce lo spettacolo: “Ne nasce uno spettacolo del tutto visionario, una ambientazione onirica, non la locanda dove le due assassine vivono ma una sorta di spiaggia assolata, un isola, come una di quelle dove Marta desidera espatriare. L’isola, dove come un naufrago approda Jan, il presuntuoso borghese che pensando di comprare la felicità della madre e della sorella, trova la morte. Gli elementi scenografici si dispongono in scena in maniera confusa, insabbiati, come ultimo scampolo di vita reale. Il tutto rende l’aria rarefatta, sospesa, un teatro verosimile per il compimento di una tragedia in perfetto stile Sofocleiano”.
maria antonietta AMENDUNI


6 Gennaio 2006

La voce suadente di Donatella Pandimiglio in scena al Brancaccino.

Un recital, una sorta di viaggio virtuale: “A piedi nudi nell’Anima”; grazie alla musica e alla bella voce della Pandimiglio, ci si concede una buona occasione per ascoltare: il mormorio incessante dell’anima.

Il titolo è A piedi nudi nell’Anima, di e con Donatella Pandimiglio, con al pianoforte Roberto Gori, per la regia di Marco Mattolini, il tutto in scena al Teatro Brancaccino dal 16 gennaio all’11 febbraio. È questo recital, una sorta di viaggio virtuale, per usare un paragone moderno, nel profondo, dentro la nostra anima, quasi a difenderci da quell’ “inquinamento” spirituale di oggi, come a rallentare da una fretta nemica delle emozioni e dei sentimenti. E la Pandimiglio è tutto questo, un’artista che con la sua voce permette alla mente e al cuore di chi l’ascolta, di intraprendere un cammino a piedi nudi nell’anima, scoprendo in essa una miriade di sentieri: alcuni pieni di luce, alcuni animati da ombre, altri avvolti da una nebbia sottile. E così grazie alla musica e alla bella voce, ci si concede una buona occasione per vedere: ciò che gli occhi non possono vedere. Per ascoltare: il mormorio incessante dell’anima. Quindi non solo un viaggio verso la freschezza, la leggerezza e la contaminazione dei generi, ma un vero e proprio percorso dentro se stessi alla scoperta di emozioni troppo spesso taciute. Una voce passionale e inebriata, quella di Donatella Pandimiglio, per la visionaria qualità poetica e per la sferza della musica. Premesso che l’anima è femmina, la musica è femmina, l’arte è femmina, questo percorso musicale esprime l’altalenante divertimento interpretativo della nostra protagonista ma al tempo stesso riflessioni ed espressioni del carattere femminile attraverso i diversi stili che ama interpretare. Il monito, o meglio l’intento dello spettacolo è quello di porsi la domanda: Avete notato come sia più difficile oggi entrare… “A piedi nudi nell’anima” ? E a questo rispondere: Pure in questa epoca di scienza sopraffina, di caos, di stess, di messaggini sms, di film in digitale, di fotocamere a colori e il cellulare…basta estraniarsi da tutto questo solo per un poco e fermarsi ad ascoltare la voce del cuore sollecitata dalle emozioni di un plenilunio d’estate, da un tramonto sul mare, ma soprattutto dalla bella musica che ci racconta tutto questo; qualcuno potrebbe pensare che è un sistema antico superato, ma non è vero: in qualsiasi epoca, di qualsiasi stile sia, la musica ancora oggi ha la forza di riportarci a quell’incanto magico. Donatella Pandimiglio, ci porterà simbolicamente per mano come in una fiaba, avvalendosi della complicità di un repertorio che si alterna e si miscela al tempo stesso tra la canzone popolare romana e napoletana e quella d’oltre oceano, il tutto “condito” da un immancabile pizzico d’ironia . La Pandimiglio sarà affiancata in scena da Roberto Gori, uno straordinario musicista che oltre ad accompagnarla, con grande raffinatezza al pianoforte, esprimerà la sua versatilità anche duettando con lei. Teatro Brancaccino (Via Mecenate, 2 - 00185 Roma tel. 0647824893), dal 16 gennaio all’11 febbraio ( dal martedì al sabato ore 21.30 – domenica ore 18.00 ).
maria antonietta AMENDUNI


6 Gennaio 2006

Eterno, intramontabile, dritto al cuore: Memorie di Adriano

L’autobiografia immaginaria che Marguerite Yourcenar dedica all’uomo che fu imperatore di Roma dal 117 al 138 d.C. e che è diventata, con la regia di Maurizio Scaparro, uno spettacolo culto del Teatro di Roma

Il romanzo prende vita in questo spettacolo di Giorgio Albertazzi che ormai è diventato un classico del Teatro Argentina, e dato che di certezze la vita ne da poche, questo spettacolo potrebbe essere annoverato tra quelle poche certezze…ogni anno sai che te lo ritroverai in stagione! Eterno, intramontabile, capace di parlare al cuore di ogni spettatore, ad ogni sua riedizione. E’ Memorie di Adriano, l’autobiografia immaginaria che Marguerite Yourcenar dedica all’uomo che fu imperatore di Roma dal 117 al 138 d.C. e che è diventata, con la regia di Maurizio Scaparro, uno spettacolo culto del Teatro di Roma, spettacolo che da oltre 15 anni (il debutto risale al 31 Luglio del 1989, a Villa Adriana di Tivoli) accompagna Giorgio Albertazzi. E nel ventennale della scomparsa della grande scrittrice belga (avvenuta il 17 Dicembre 1987), il Teatro Argentina inaugura il 2007 proprio con Memorie di Adriano, in scena dal 10 al 21 Gennaio. Le date romane sono il “cuore” di una tournèe iniziata lo scorso autunno, durante la quale è stata festeggiata la cinquecentesima replica (al Teatro Valli di Reggio Emilia lo scorso 11 Novembre) e che si concluderà a Firenze il prossimo 25 Febbraio. “Il mio incontro con Adriano di Marguerite Yourcenar -scrive Giorgio Albertazzi - non è quello tra un attore (non mi ritengo tale…) e un cosiddetto carattere teatrale. E’ un incontro “molecolare”, perciò Adriano cambia, come cambia il mio sistema cellulare. Al Teatro Argentina, su una scena nuda in cui si scorgono solamente frammenti di colonna, Adriano ha il carattere di un’apparizione, in un luogo relativamente ospitale, come un palcoscenico, di un personaggio storico, spogliato dai connotati storicistici. Certi momenti, come quelli verso il finale che riguardano più da vicino la morte di Antinoo, risultano addirittura più espressivi che all’aperto”. E’ una lettera che Adriano scrive a Marco Aurelio. È una lettera divisa in diverse parti: Anima vagula blandula, Varius multiplex multiformis, Tellus stabilita, Saeculum aureum, Disciplina augusta, Patientia. Marguerite Yourcenar aggiunge, alla fine della lettera diverse pagine di appunti che ella stessa aveva scritto prima, dopo e durante la composizione del romanzo. La lettera di Adriano per Marco Aurelio diventa, poco a poco, "lo sfogo d'un uomo che non ha più l'energia necessaria per applicarsi a lungo agli affari dello stato; la meditazione scritta d'un malato che dà udienza ai ricordi". Nel libro c'è molta malinconia: traspare sofferenza dalle parole di Adriano. L'imperatore è pronto alla morte ed aspetta il fatidico momento con serenità, calma e sollievo: rinuncia a combattere la morte, in un primo momento ha intenzione di togliersi la vita da solo, ma viene persuaso dal tragico gesto del suo amico medico. Accetta la fine da uomo e da imperatore, per quanto riconosca quanto sia difficile rimanere imperatore in presenza del proprio medico, con nobile e umile rassegnazione. Adriano rivisita con la mente i principali eventi che hanno caratterizzato la sua straordinaria esistenza (regnò dal 117 al 138): parla della madre Plotina, che, oltre ad essere stata una delle donne più importanti della sua vita, era stata la sua unica vera amica; parla delle sue campagne militari, per lo più difensive; racconta dei suoi lunghi viaggi e cita le località visitate: "L'estate successiva al mio incontro con Osroe, la trascorsi in Asia Minore: sostai nella Bitinia per sorvegliare di persona il taglio delle foreste di Stato. A Nicomedia, città luminosa, civile..."; esprime i propri pensieri sulla famiglia, sui libri; si lascia trasportare dai ricordi delle sue battute di caccia e delle sue interminabili discussioni filosofiche; espone, descrivendolo minuziosamente il suo invidiabile "modus vivendi". Parla dei sui rapporti con Traiano e del suo matrimonio con Sabina. Se volessimo definire "Memorie di Adriano" ad una prima superficiale analisi diremmo che si tratta di un romanzo epistolare: "Mio caro Marco,...". Non è così: troviamo aspetti tipici del romanzo epistolare, ma lo scopo di Yourcenar non era certo quello di immedesimarsi in Adriano per scrivere una semplice lettera, un diario immaginario o un'autobiografia intima e spregiudicata al tempo stesso; "Adriano" racconta la sua esperienza umana, ma il suo scopo è quello di proclamare la sua verità interiore, faticosamente raggiunta. Yourcenar utilizza documenti storici e letterari incastrandoli nella sua creazione geniale. La sensibilità intellettuale e l'intensità di analisi dell'autrice fanno di "Memorie di Adriano" uno scritto moderno, seppur riguardante la mentalità di un uomo vissuto duemila anni fa.
maria antonietta AMENDUNI


6 Gennaio 2006

Al via la nuova stagione del Teatro Della Visitazione

Una programmazione attenta alle proposte artistiche e alle specificità delle singole realtà locali; una stagione variegata, polimorfa, ampia, curiosa, sempre incentrata sulle onde dell’emozione.

La diffusione di attività culturali in un quartiere dove i teatri scarseggiano, con l’ambizzione di affermarsi nel panorama teatrale romano; l’obiettivo di contribuire alla formazione e all’incremento del pubblico, alla valorizzazione delle sedi di spettacolo, alla diffusione di un’offerta capillare e vicina alle comunità locali. Dopo i risultati positivi, ottenuti con l’allestimento dello spettacolo “Il Re muore” di E. Ionesco, con Paolo Ricchi, per la regia di Federico Vigorito, e i numerosi spettacolo allestiti dal 2001 ad oggi, l’Associazione Culturale Atelier è pronta per la nuova stagione teatrale che avrà inizio a febbraio 2006 presso il Teatro della Visitazione, in Via dei Crispolti 142. Il progetto del Direttore Artistico Federico Vigorito, non è solo quello di allestire la stagione con produzioni proprie, ma prevede anche scambi con altre compagnie. Si punta molto sulla ricettività del V municipio, uno dei più grandi di Roma. Il Teatro è già stato in parte rinnovato con i suoi 200 posti e sono in cantiere anche altri lavori di rinnovamento. Notevole è il fascino del palcoscenico ampio e profondo. Questo Teatro si avvia pertanto a divenire una risorsa artistica e culturale di notevole importanza, è lo ha dimostrato anche il favorevole riscontro e l’entusiasmo, da parte degli abitanti della zona e non solo. Proseguire l’esperienza, quindi, per rispetto sia nei confronti dell’impegno profuso in questi anni, sia per la voglia di radicare sempre di più la cultura teatrale sul territorio, sia nei confronti del pubblico che ha frequentato gli allestimenti precedenti in modo assiduo e crescente nel tempo. La stagione predisposta in questi mesi è frutto di una programmazione attenta alle proposte artistiche e alle specificità delle singole realtà locali. Una stagione variegata, polimorfa, ampia, magari strana e curiosa, sempre incentrata sulle squisite, impalpabili, eccitanti onde dell’emozione. Il teatro diventa il ricettacolo delle sensibilità, l’agorà delle istanze civili, l’arena delle contese ideali, la pista di un velodromo delle cose impossibili, la pedana per distonie espressive, il palco per comicità clownesche, angolo scuro di torbide passioni, nembo che lancia saette iridescenti, garçonnière per sensualità trasgressive, corsia per incredibili ritmi musicali, salotto per amabili e piacevoli incontri, oceano in cui cercare Moby Dick, quadro di simbolismi terrifici, sentiero che conduce all’inatteso luogo dai mille piaceri dell’immaginato. Tutto questo? Possibile? Allo spettatore il giudizio. I quattro segmenti dell’Emozione a Teatro ci porteranno a esplorare La porta del Teatro della Visitazione è aperta: sensibilità, fantasia, abilità, entusiasmo sono già in scena. Quattro sono le proposte impedibili. Si inizia dal 22 al 25 febbraio con Sarto per Signora di Georges Feydeau, con Paolo Ricchi, per la regia di Federico Vigorito. Seguiranno, Il Calapranzi, di Harold Pinter, con Paolo Ricchi e Marco Belocchi, per la regia di Claudio Borgoni, e poi ancora lo spettacolo che lo scorso anno ha già fatto parlare di se al Teatro Orologio, Di qui a cinque anni, uno spettacolo di Caterina Genta e Marco Schiavoni, con Caterina Genta; si conclude in bellezza con Piccoli crimini coniugali, di Eric-Emmanuel Schmitt, per la regia di Federico Vigorito.
maria antonietta AMENDUNI


5 Gennaio 2006

LA VITA è COMICA

Fabrizio Giannini,, diretto da marco Simeoli, è il protagonista del divertente spettacolo in scena al Teatro dei Satiri.

Un uomo con le sue incazzature e le sue frustrazioni sale al gianicolo trascinando con sé l’unica consolazione della sua vita: il busto di suo nonno. E lì tra i viali degli eroi del Risorgimento e il panorama più bello di Roma, l’uomo s’interroga per trovare risposte ai grandi misteri della vita. Ai grandi enigmi. Perché esistiamo? Dove andiamo? Cosa vogliamo? Ma soprattutto... Tra una donna e lo scudetto della Roma, chi è mejo? E Totti, perché non janno dato il pallone d’oro? E lo farà il mondiale? La cocaina se l’è finita tutta Lapo o qualche grammo in giro se trova ancora? Magari a rate. Nascere figlio d’arte è una maledizione o una gran botta de culo? Il piccione che te caca in fronte t’ha mirato o a sparato a casaccio? E se le mucche volassero? Si può essere adottati a trent’anni? Domande a cui è difficile dare una risposta. Interrogativi di ogni giorno con un occhio anche ai grandi problemi femminili. Dove è finito l’uomo di una volta? Quello che te veniva a prendere sotto casa, e che ti apriva lo sportello e che t’offriva la cena? Dov’è finito? All’Ikea se trova? Trony chi è? Il marito della Romanina? L’amore esiste? C’è? O ce fa? Gli uomini se rincojonisco solo quando s’innamorano o s’innamorano perché so’ rincojoniti? Accompagnato in scena dal pianista (Gabriele Baretin) e da Alessia Cristiani, Fabrizio Giannini, in arte Cacini, dà vita a uno spettacolo comico con canzoni dal ritmo incalzante e vorticoso. Un crescendo di risate adatto a tutti, dal 9 gennaio al 4 febbraio 2007
maria antonietta AMENDUNI


30 Dicembre 2006

“IL MERLO SULLA FORCA”: François Villon, poeta, ladro e assassino

In scena al teatro dell’Orologio lo spettacolo scritto da Mario Moretti, dedicato al più grande lirico francese del Medio Evo e, sicuramente, tra i massimi “poeti maledetti” di tutti i tempi.

E’ un testo di mario Moretti quello in scena al Teatro dell’Orologio dal 5 al 28 gennaio: Il merlo sulla forca, François Villon, poeta, ladro e assassino. La regia è dello stesso Moretti, insieme a massimo Piesco; in scena Andrea De venuti, Stefania Castiglion, Marco Guadagno, Matteo Bartoli, Annalisa Biancofiore, Alessandro Catalucci, Giovanna Lombardi, Priscilla Micol Marino, Daph Ilaria Mereu, Marco Paparella, Massimo Piesco, Sara Platania, Lorenzo Rossi Espagnet. Il tutto con musica dal vivo. “Pochi scrittori di teatro si sono occupati di Francois Villon – scrive mario Moretti - il più grande lirico francese del Medio Evo e, sicuramente, tra i massimi “poeti maledetti” di tutti i tempi. Studiato, analizzato e imitato da Rabelais, questo Cecco Angiolieri parigino del XV secolo ha avuto, in seguito, schiere di appassionati esegeti che hanno chiosato con ammirazione le sue due sole opere, il “Piccolo” e il “Grande Testamento”, lasciti poetici scherzosi, ironici e non di rado osceni, intervallati da splendide “Ballate” che contengono versi divenuti proverbiali in Francia (“Mais où sont les neiges d’antan?”, “Ma dove sono le nevi dell’anno scorso?”), ma anche in Italia, dove viene sempre di più usata la locuzione “d’antan” per indicare la malinconia del tempo passato, o, semplicemente dello scorso anno. Inserito nella galleria degli “irregolari” insieme ai Cyrano de Bergerac, ai Lacenaire, ai Rimbaud, ai Verlaine, ed a tanti altri, Villon è stato anche spesso “citato” da Bertolt Brecht il quale, nella sua “Opera da tre soldi” – e non solo in questa – si serve con abbondanza delle sue “Ballate”, tra cui la famosissima “Ballade des pendus”. In tempi più recenti anche un nostro celebre cantautore, Fabrizio De André, ha adattato al suo stile ed ha inserito nel suo repertorio “La Ballata degli Impiccati”. Povero in canna, a causa della morte del padre e dell’indigenza della madre, Francois viene adottato da un buon canonico Guillaume Villon, che gli dà il suo cognome e lo fa studiare alla Sorbona. Portato allo studio, Villon riesce perfino a diventare “maitre ès arts”, una sorta di laurea, ma partecipa subito ai tafferugli scatenati dagli studenti sorboniani contro le Autorità Costituite, in una sorta di ’68 ante-litteram. Poi, per legittima difesa ammazza un prete. Si allontana allora da Parigi, frequenta la ricca Corte di Blois, dove regna il più grande poeta francese dell’epoca, Charles d’Orléans, e partecipa ai certami poetici della nobile brigata. Ma il genio del male lo perseguita, Villon è un Io diviso tra la “débauche” e la devozione mistico-religiosa, ma è sempre la prima ad avere la meglio. Tornato a Parigi, dopo una dura prigionia scontata nel carcere di Meung per via di un furto sacrilego in una Chiesa, Villon vive alle spalle di Margot, una prostituta, e si lascia andare alle cattive compagnie dei suoi ex-colleghi d’università, quasi tutti affiliati alla “Coquille”, una associazione di ladri, mendicanti e puttane della “Corte dei Miracoli” di Place Maubert. Ben presto torna in prigione, dove, questa volta, rischia la forca, sorte già toccata ai suoi compagni di sventura. L’intervento del suo buon protettore, il Canonico Guillaume Villon, riesce a salvarlo: la condanna a morte viene commutata nel bando da Parigi per dieci anni. Siamo nel 1463: Villon lascia la capitale e si perde nel nulla. Nessuno saprà più niente di lui. Questa esistenza teatralissima, piena di malefatte, di erotismo e di contraddizioni, questa poesia che alterna slanci di sincero pentimento a tratti di abiezione, che passa da una Ballata in onore della Vergine Maria a quella, assai lubrica, dedicata alla sua “Grosse Margot” e alle sue amiche meretrici e che sembra più il verso di un merlo che il trillo d’un usignolo, fanno di Villon una sorta di Mackie Messer meno canagliesco e molto più travagliato. Il racconto della parabola di Villon viene reso con piglio assolutamente moderno, così come sono attuali le musiche, numerose, che costellano la sua esistenza di poeta-menestrello. In fondo, a pensarci bene, si tratta di una sorta di restituzione: riconosciamo i meriti primigeni di Villon, e, soprattutto, facciamo sentire quanto sia legittima l’esigenza di tornare a far riecheggiare, alla fonte, le sue struggenti Ballate. Qualcuno ha detto che il teatro vive di prestiti non restituiti: invertiamo la tendenza, questa volta. Rendiamo a Villon ciò che è di Villon”.
maria antonietta AMENDUNI


30 Dicembre 2006

I finti pazzi di Carlo Giuffre in scena al Teatro Eliseo

L’attore napoletano torna a Roma con una nuova versione de “il medico dei pazzi” di Eduardo Scarpetta. Punto di forza della messinscena e' proprio la caratterizzazione dei finti pazzi.

Carlo Giuffre' veste i panni di Felice Sciosciammocca, maschera creata da Scarpetta e resa celeberrima da Toto', ne ''Il medico dei pazzi'' di Eduardo Scarpetta, Dopo lo straordinario successo ottenuto nella passata stagione teatrale (tra i primi posti in Italia come numero di spettatori) Carlo Giuffré, alle prese con le divertenti e folli avventure di don Felice Sciosciammocca, ritorna a Roma (Teatro Eliseo 9-28 gennaio) con una nuova versione fiero di mantenere viva la fiamma del teatro italiano; il teatro di Scarpetta, infatti, traccia le sue origini remote nella fabula ridens. Così Giuffré da trent'anni restaura un repertorio otto-novecentesco non accantonabile, da Petito a Curcio e lo mantiene vivo nella coscienza e nel cuore degli spettatori, "con un'identificazione e una dedizione crescenti e al tempo stesso con un marchio costante e inconfondibile di intelligenza critico-storica e di severa, misuratissima originalità espressiva" (motivazione al Premio Renato Simoni 1999). L'intreccio prende il via con l'arrivo a Napoli di Sciosciammocca - Giuffre' che, con la moglie Concetta (Antonella Lori), dalla campagna va in citta' per vedere l'Ospedale dei pazzi, costruito dal nipote prediletto Ciccillo (Pierluigi Iorio). In realta', e' tutto un imbroglio del giovane che, dopo essersi finto medico, per spillare ulteriori quattrini allo zio, si e' inventato questa impresa. La trovata di Ciccillo e' di portare lo zio a visitare la Pensione Stella, spacciandola per l'Ospedale, confidando nell'eccentricita' dei personaggi che la abitano. Punto di forza della messinscena e' proprio la caratterizzazione dei finti pazzi, sui quali Giuffre' agisce con una connotazione molto personale: infatti, dilata e cesella i siparietti dei vari protagonisti, cosi' da aggiungere alla farsa scarpettiana componenti che spaziano dall'avanspettacolo, alla canzone napoletana, al balletto, ad atmosfere clownesche. La commedia datata 1908 e rappresenta il canto del cigno di un autore/attore che l'anno successivo lascerà le scene. La vicenda si snoda in tre atti e riconosciamo ancora palese la peculiare formula teatrale di Scarpetta dove "agiscono certi meccanismi che mettono in moto un determinismo di impulsi che alimentano, danno vita, fanno crescere la materia del narrato o se si vuole, la vicenda, perchè quel che accade può comunque definirsi vicenda, nel senso che della vicenda possiede il carattere della temporalità e la connessione degli avvenimenti... Nel primo atto la vicenda viene impostata su basi ampie e altrettanto ampiamente si sviluppa occupando spazi che via via si arricchiscono di elementi che convergono nell'intento tematico lievitandolo. Nel secondo atto il tema viene affrontato e approfondito con una varietà di trovate che conferiscono alla materia vivacità ed attrazione che reggono senza alcuna soluzione di continuità. Il terzo atto è risolutore, non però miracolosamente..., ma solo in modo accomodante. Questa volta prevalgopno la umana rassegnazione e la rinuncia" Ciccillo, nipote dissennato, vive da anni a Napoli alle spalle dello zio Felice Sciosciammocca che sta a Roccasecca. Per spillargli sempre più soldi gli fa credere di essere studente di medicina e con questa scusa lo zio foraggia, suo malgrado, ogni suo vizio. Ma all'improvviso, inaspettatamente, lo zio arriva a Napoli con moglie e figlia. Ciccillo, non sapendo che pesci prendere, inventa che la pensione in cui vive a sbafo è in realtà un manicomio ed i suoi ospiti sono in realtà dei pazzi che credono di essere la proprietaria della pensione, un maggiore a riposo, un musicista ecc. L'unico sano, lo zio Felice Sciosciammocca appunto, rischia di esser preso per pazzo. Il tutto viene scoperto ed il finale è "a tarallucci e vino" come nella migliore tradizione dell'autore. Ad una prima lettura si potrebbe credere che questa volta Scarpetta abbia voluto dare un contenuto al suo testo argomentando che la pazzia è solo questione di angolo di visuale, di condizioni. Non è così ! In realtà questo teatro, come sempre, punta solo a far ridere, a blandire lo spettatore che alla fine, purtroppo, dovrà uscir fuori, tornare a casa, confrontarsi con la sua realtà. Ma in questo momento, seduto nella poltrona del teatro, la sua realtà è un'altra, è quella consolatoria e bonacciona di una conclusione che lascia tutti contenti e per questo, almeno oggi, è come quelle cucine internazionali che debbono piacere a tutti e finiscono immancabilmente per non accontentare nessuno. In scena con Carlo Giuffrè: Monica Assante Di Tatisso, Rino Di Maio, Antonella Lori; regia di Carlo Giuffré
maria antonietta AMENDUNI


30 Dicembre 2006

Due appuntamenti da non perdere al Teatro J.P. Velly di Formello

Da “Muratori” di Edoardo Erba, per la regia di Massimo Venturiello, fino a “I fratelli gemelli” da "i menecmi" di Tito Maccio Plauto, per la regia di Livio Valenti.

Due appuntamenti da non perdere, in pochissimi giorni al Teatro Comunale J.P. Velly di Formello. Il 13 e 14 gennaio è di scena “Muratori” di Edoardo Erba, per la regia di Massimo Venturiello Con Nicola Pistoia, Paolo Triestino e con Eleonora Vanni Edoardo Erba, uno dei più brillanti commediografi italiani, porta in scena l’atto unico Muratori, tutto in dialetto romanesco diretto da Massimo Venturiello. Muratori è una commedia dove si lavora e si parla di lavoro, della condizione, delle aspettative, dei sogni e delle amarezze di chi lavora. Ma è anche un inno d'amore al teatro, un irresistibile ritratto di due perdenti, comico, imprevedibile, delicato e poetico. Una storia tra odio e amicizia, interpretata magistralmente da Nicola Pistoia e Paolo Triestino nella parte dei due muratori Germano e Fiorenzo. I due muratori sono al lavoro, di notte, per chiudere con un muro il palcoscenico di un teatro in disuso. Siamo a Roma, e l'area è stata ceduta al supermercato confinante che deve ampliare il magazzino. Comincia così la nuova commedia di Edoardo Erba, scritta completamente in romanesco. Lo sviluppo è imprevedibile: in teatro ci sono presenze pronte a uscire come topi per spalancare voragini di emozioni. Alla esasperata concretezza dell'azione portata avanti dai due muratori si contrappone il misterioso disegno di una aristocratica figura femminile quasi irreale. Due mondi diversi, due dimensioni incomprensibili che un interminabile muro vorrebbe tenere separate per evitare il caos che un impossibile rapporto potrebbe generare. Ma è davvero sufficiente alzare un muro per mettersi al riparo dalle nostre diversità? Come lo stesso Massimo Venturiello afferma: “Un grande testo che insieme agli ottimi interpreti e ai preziosi collaboratori ho amato particolarmente”. Altro appuntamento importante è quello in matinè dedicato ai ragazzi. Il 16 gennaio alle ore 10.00, è la volta dello spazio “Formello giovani”, con lo spettacolo “I fratelli gemelli” da "i menecmi" di Tito Maccio Plauto, adattamento Maurizio Corniani - regia Livio Valenti adatto ad un pubblico dai 9 anni in su. Spettacolo di attore e burattini a guanto in baracca dove i personaggi della tradizione settecentesca emiliana, della commedia dell’Arte e dei personaggi della Commedia greca si alternano in un gioco di corsi e ricorsi storici. Partendo dal testo originale de "I Menecmi" di T. M. Plauto la costruzione drammaturgica dello spettacolo passa attraverso il settecento italiano con tutti i riferimenti sociali e culturali del teatro dei burattini, modificando, come ha fatto C. Goldoni, i caratteri dei personaggi e collocandoli nei ben definiti personaggi della Commedia dell'Arte settecentesca. Ed ecco allora Fagiolino, Sandrone, Dottor Balanzone, Pantalone, Brighella che diventano i protagonisti di questa particolare ricerca. Due sono gli attori e burattinai al comando di questa insolita macchina del tempo, nove i burattini ad interpretare vicende di equivoci e scambi di ruoli tipici della commedia in due esilaranti atti.
maria antonietta AMENDUNI


30 Dicembre 2006

Al Teatro Valle, con “Gastone”, si rende omaggio a Petrolini

Il grande attore/autore romano, “popolano del miglior lignaggio”, facendo rivivere i fasti della commedia dell’arte, ha portato ai massimi livelli di raffinatezza la resa scenica della macchietta.

Attore del varietà, e, almeno nelle sue speranze, del nascente cinema, Gastone resta uno dei personaggi popolari più amati, tra i tanti nati dal talento di Ettore Petrolini. Ed è proprio Gastone di Ettore Petrolini, lo spettacolo in scena al Teatro Valle dal 2 all’11 di gennaio, diretto ed interpretato da Massimo Vneturiello, insieme a Tosca. Il gagà Gastone, la cui madre, che aveva il senso dell'economia sviluppato fino alla genialità, chiamava Tone per risparmiare il Gas, è la grande maschera di un nobilissimo teatro comico popolare. A vestirne i panni oggi è Massimo Venturiello, anche regista di questo spettacolo, accompagnato in scena dal talento musicale e recitativo di Tosca. La storia, nell’adattamento di Nicola Fano, vede Gastone, sedicente primo attore sempre al verde, che monta e smonta compagnie, vantando mezzi e fortune professionali inesistenti, finalmente ad una svolta: ha appena conosciuto l’attrice Lucia, grande voce, bella, giovane ed ambiziosa. Forte della sua scoperta, non fa fatica a convincere un impresario a produrgli un nuovo spettacolo, ma dopo il debutto, sarà proprio Lucia ad aver successo e ad abbandonare, senza scrupoli, il povero Gastone. Considerato oggi, insieme a Totò, il massimo esponente di quelle forme di spettacolo per lungo tempo considerate teatro minore, (dal teatro di varietà alla rivista, dall’avanspettacolo alle entrées dei clown nel circo), Petrolini ha goduto di nuova, più che legittima, attenzione a partire dall’ultimo quarto del Novecento. Il grande attore/autore romano, “popolano del miglior lignaggio”, facendo rivivere i fasti della commedia dell’arte, ha portato ai massimi livelli di raffinatezza la resa scenica della macchietta, giovandosi della insostituibile interazione con un pubblico, sempre mordace, come quello della sua città. Oggi molti dei personaggi da lui creati, e di cui sono popolarmente noti molti brani, sono entrati a pieno titolo nella storia della tradizione teatrale italiana, da Nerone a Giggi er Bullo a Fortunello. L’omaggio al Valle per il grande artista romano (celebrato in questi giorni anche alla Casa dei Teatri con la Mostra Petrolini, salamini e altri divini) si completa martedì 9 gennaio, alle ore 21.30, con la proiezione straordinaria del film Gli allegri masnadieri (1937) con i Fratelli De Rege - due grandissimi comici che di Petrolini raccolsero in pieno l'eredità-, fortunosamente ritrovato a Tirana e restaurato dalla Cineteca di Milano. “Il personaggio Gastone –scrive Massimo Vneturiello - forse la più grande invenzione di Petrolini, è il simbolo di un’esaltazione scenica, minata dal vuoto di valori. E’ la maschera di un teatro popolare, sorto in un’epoca in cui iniziavano a farsi sentire i germi di quella grave malattia, che ha segnato la vittoria dell’apparenza sulla sostanza, dell’immagine sul talento vero. Gastone è un attore del varietà, e, almeno nelle sue speranze, del nascente cinema, è un primo attore spiantato, che monta e smonta compagnie, vantando “piazze” e credibilità che in fondo non ha. Eppure il suo narciso sfrenato e la sua auto-esaltazione, uniti a un sarcasmo talvolta feroce e cinico, danno a questo personaggio u fascino irresistibile. Lo incontriamo nel momento in cui crede di essere giunto ad una svolta importante:ha appena conosciuto una ragazza del popolo.Lucia, grande talento vocale, ambiziosa e sognatrice. Forte della sua scoperta, cerca di convincere un impresario a produrgli uno spettacolo, con la sua sgangherata Non dovrà faticare molto, perché l’impresario, rapito dalla straordinaria voce della ragazza, si lancerà a capofitto in questa avventura, che li condurrà a un debutto in provincia, dove si segnerà l’inizio della promettente carriera di Lucia, che dopo il grande successo della serata, lascerà senza scrupoli Gastone, accecata dalle promesse e dalle lusinghe dell’impresario. In scena una decina di attori che cantano e ballano e quattro musicisti, per raccontare un gustosissimo affresco di un mondo di artisti così lontano, ma al tempo stesso così vicino a quello ben più smaliziato e cinico dei nostri giorni. Io stesso interpreterò il ruolo di Gastone e al mio fianco, nel ruolo di Lucia, ci sarà Tosca. Il Teatro di Rivista fu un genere di spettacolo leggero che in Italia conobbe la massima popolarità tra la fine degli anni '30 e la metà degli anni '50, collegato tra la progressiva sparizione dei vecchi generi teatrali come il varieté, il Café-Chantant, l'Operetta e l'avanspettacolo, fino alla grande affermazione della commedia musicale; era un misto di prosa, musica, danza e scenette umoristiche ispirate all'attualità spicciola e ai tradizionali cliché erotico-sentimentali, uniti da un tenue filo conduttore e dalla presenza di personaggi fissi come la soubrette. Lo splendore delle scene e la spettacolarità delle coreografie sono altrettanti elementi caratteristici del genere.
maria antonietta AMENDUNI


24 Dicembre 2006

Un’insolita “Giovanna D’Arco” alle prese con la cucina araba.

Giovanna d’Arco di Borgovecchio…(un tranquillo pomeriggio di settembre), scritto e diretto da Gianni Guardagli, è in scena al Teatro Tor di Nona. In scena Giampiero Cicciò.

Uno spettacolo che diverte e fa riflettere, incentrato sulla bellezza di un personaggio difficile da interpretare, ma che si fa subito amare; una protagonista combattuto dalla paura per “lo sconosciuto” e dalla voglia di voler ricondurre tutto ciò che stà oltre il suo mondo e la televisione, a quello che è il microcosmo della sua piccola società che le stà sfuggendo di mano, in un momento in cui il tempo a disposizione sta finendo. La colonna sonora, onnipresente, è il secondo protagonista della pièce, una specie di contrappunto che duetterà con le parole fino a costruire un tessuto unico. L’ambiente è un interno astratto in cui la Signora trova la disposizione delle sue “cose” con la sicurezza di chi conosce ogni centimetro a memoria, come una cieca. Ma dal fluire del racconto lo spettatore intuirà che il mondo interiore che si è creato la Signora, è soltanto un artificio, un mosaico bizantino di verità create ad arte. Verità che compongono una rassicurante piramide che tiene in piedi tutta la sua esistenza. In scena al Teatro Tordinona (via degli Acquasparta 16, tel. 06/68805890) dal 9 al 28 gennaio. Orario spettacolo: dal martedì al sabato ore 21, festivi ore 18, lunedì riposo. Biglietti : euro 7. www.giampierociccio.com
maria antonietta AMENDUNI


24 Dicembre 2006

“…e sottolineo se” ovvero la resistibile ascesa di Gianluca G

Al Teatro Politeama Brancaccio, Gianluca Guidi, alle prese con uno spettacolo che continua un personale percorso artistico e tira le somme di una vita spesa in palcoscenico fin da quando era bambino guardando i suoi genitori.

diere" con protagonista Claudia Koll. Da sempre impegnato a teatro, dove ha recitato tra gli altri anche con Nino Manfredi, Maurizio Micheli ed Ernesto Calindri. In una vita del genere ci sono divertimenti, musica, paura, solitudine, allegria, nevrosi e decisioni da cui dipende il proprio futuro… importante si, ma tutto…resistibile! Come lo stesso Gianluca Guidi affermava nella conferenza stampa della presentazione della stagione del brancaccio pochi mesi fa, la passione per il musical è per lui una costante tutta a modo suo: “A me piacciono i musical con una forte componente di prosa, quelli tutti cantati mi annoiano. Poi spesso in Italia ci sono dei volumi atroci e le traduzioni sono perlopiù incomprensibili, quindi li trovo difficili da seguire. Poi apprezzo molto i libretti ben scritti, ad esempio "Hollywood" era un bellissimo spettacolo, "A Chorus Line" poi è il più vero, il più teatrale. Ad essere sincero non sono uno che per vive per il musical, lo faccio perché so cantare, recitare. Ma non è che se non vedo un musical mi straccio le viscere... Ci sono dei personaggi in teatro che mi piacerebbe interpretare, che siano cantati o altro non ha importanza. Forse il ruolo che mi sarebbe piaciuto fare è il Che Guevara in Evita, quello è un bel ruolo, una bella idea drammaturgica. Tra l'altro Bob Simon in quella parte era bravissimo. E' un pazzo furioso... io lo adoro, l'ho conosciuto in Nights On Broadway, dividevo il camerino con lui. Poi mi piacerebbe fare il Cirano de Bergerac, ma in prosa, non in musical.” Con: Cristina Ginepri, Cristina Noci, Dawn Yarbrough, Paola Quilli, Valentina Bordi e Stefano Bontempi; coreografie di Stefano Bontempi, regia di Gianluca Guidi
maria antonietta AMENDUNI


17 Dicembre 2006

Un funerale con finale a sorpresa al Piccolo Eliseo

“Il funerale del padron”e, di Dario Fo, per la regia di Massimo Di Michele, è in scena al Teatro Piccolo Eliseo. La vicenda è quella degli operai di una fabbrica all'indomani dell'occupazione.

Il Teatro Eliseo, ospita al Piccolo Eliseo Patroni Griffi lo spettacolo Il funerale del padrone di Dario Fo, diretto da Massimo Di Michele, già attore della Compagnia dei Giovani del Teatro Eliseo, guidata da Marco Carniti e attiva nella stagione 2001/2002. Nell’anno del Centenario della Cgil, la maggiore confederazione sindacale italiana, la scelta di questo copione del 1969, diventa alquanto significativa. Soprattutto perché è una scelta compiuta da un giovane interprete, ora con ambizioni registiche, e da un ensemble di neodiplomati dell’Accademia d’Arte Silvio d’Amico, affiatato quanto basta per esordire in questa produzione indipendente su un tema di grande attualità come quello del lavoro. Il funerale del padrone del Premio Nobel Dario Fo è un atto unico tratto dallo spettacolo Legami pure, tanto spacco tutto lo stesso, che ha debuttato a Genova nel 1969. La vicenda è quella degli operai di una fabbrica all'indomani dell'occupazione. Mentre un improbabile commissario ne ordina lo sgombero, gli scioperanti architettano una messinscena per attirare l'attenzione dei passanti e sensibilizzarli sulle ragioni delle rimostranze. Prendendo in prestito gli abiti dell'oratorio accanto, essi decidono di rappresentare in una farsa il funerale del padrone. Prende il via uno straordinario esempio di teatro nel teatro, in cui ciascun operaio impersona i protagonisti di una cerimonia funebre. La rappresentazione è tutta sopra ???`???????¨le righe, e si arricchisce di presenze caricaturali di fine fattura, come il Grande Poiano, l’uccello che trasporta l’anima del defunto in cielo. Il punto più alto della farsa, quello in cui si decide di sacrificare un operaio per far quadrare i bilanci annuali degli incidenti sul lavoro, sbugiarda il gioco: il vero padrone, in carne ed ossa, appare in scena e dà il via al suo sommo comizio, prendendosi gioco dei lavoratori in un crescendo di iperbole e nonsense. Cala dunque il sipario sul paradosso dei festeggiamenti finali. La massa operaia, presa ancora una volta per i fondelli, ipnotizzata dall’apparizione, dimentica persino le proprie ragioni. Tenendo conto del mutato contesto sociale e della maggiore sensibilità del pubblico teatrale contemporaneo, il finale è stato riadattato con un attento intervento filologico di riconte-stualizzazione, con la preziosa collaborazione di Luciana Riggio. Si è trattato di un aggiornamento nei riferimenti alla contemporaneità, rispettoso dello spirito di un testo che ancor oggi, a quarant’anni dalla sua prima rappresentazione, conserva un grande potere di denuncia. Rappresentare oggi Il funerale del padrone, in un paese con gravi problemi di occupazione e di libertà di espressione, stimola una divertita e divertente riflessione su quanto poco, in fondo, sia cambiata la condizione del cittadino e del lavoratore negli ultimi quarant’anni, nonostante l’innegabile progresso su molti fronti. Secondo i dati Inail le morti bianche sul posto di lavoro, nel solo 2005, sono state 1200; mentre fra gennaio e agosto 2006, siamo già a circa 500 vittime. Negli ultimi anni è stata quasi stupefacente l’assenza del Governo e del Parlamento di fronte alle gravissime mancanze di tutela per i lavoratori a rischio. Tutto si è ridotto ad un numero, a un semplice dato statistico. Una occasione per riflettere su questo problema, anche in un eventuale dibattito sulle morti bianche, non può che rappresentare un momento di civiltà e consapevolezza per un pubblico maturo dal punto di vista culturale ecivile, conscio dei propri diritti e pronto a confrontarsi, anche in teatro, con le problematiche della contemporaneità. Lo spettacolo è interpretato da attori appena diplomati all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D’Amico. Giovani attori, dunque, allo loro prima esperienza professionale. Si tratta di un passaggio dallo stato di “allievo” a quello più maturo di “attore professionista”, che trova nel confronto con la realtà complessa del teatro italiano occasione di crescita e di aggiornamento. La scelta di un testo di tal pregio e di tale impegno sociale fa di questa esperienza una sfida unica per i giovani attori, un banco di prova di grande responsabilità. Le scene sono di Mariuccia Pisani, i costumi sono dello stilista Marco Dell’Oglio.
maria antonietta AMENDUNI


17 Dicembre 2006

Sei penne brillanti, al servizio di Paolo Poli

In scena al teatro eliseo il nuovo spettacolo, in due atti, ad opera di Paolo Poli. Spettacolo totalmente "en travestì", delizioso, misurato, mai volgare. Poli, tiene la scena in maniera straordinaria.

“Sei Brillanti” è il titolo del nuovo spettacolo di Paolo Poli in scena al Teatro Eliseo dal 9 dicembre al 7 di gennaio; prende spunto da articoli di cronaca e di costume scritti da sei giornaliste: Maria Volpi Nannipieri, Paola Masino, Irene Brin, Camilla Cederna, Natalia Aspesi, Elena Gianini Belotti. E' uno sguardo al novecento, accompagnato da musiche che vanno da Jacqueline Perrotin a Donatella Rettore e Gianna Nannini. Le accattivanti scenografia, rimandano a chiari riferimenti dell'arte del XX secolo: Bacon, Delvaux, Burri e Balthus. Le Sei brillanti penne del giornalismo italiano non potevano non attrarre l’attore toscano da sempre attento studioso del nostro costume e soprattutto da sempre “figlio della letteratura” come ama definirsi. Sei brillanti penne con le punte fini come stiletti, graffianti seppur amorevoli, acute e combattive, per una carrellata che percorre un secolo attraverso le musiche, le gag, le trovate birichine di Poli con la sua inossidabile verve. Sei giornaliste del Novecento, dagli anni Venti agli anni Ottanta: Mura, Masino, Brin, Cederna, Aspesi e Belotti sono complici del nuovo scoppiettante spettacolo di Paolo Poli. Mura ci trasporta nel chiuso di una esperienza erotica tutta al femminile dal titolo Perfidie; Paola Masino con Fame ci descrive la crisi del 1929 e Irene Brin nelle sue Visite racconta le allucinate miserie del dopoguerra. Camilla Cederna col suo Lato debole ci parla ?????ndi moda e di modi di vivere degli anni Sessanta; Natalia Aspesi in Lui visto da lei ci prospetta la figura dello scapolo in rapporto alla famiglia italiana e Elena Gianini Belotti con Adagio poco mosso presenta una figura di vecchietta serena e risentita. Le sei voci si alternano variamente nel gioco frizzante e imprevedibile di una narrazione caustica, ma emblematica di una società in continua evoluzione. Con la sua inossidabile verve Paolo Poli ci trasporta con Maria Volpi Nannipieri, in arte Mura, nel chiuso di una esperienza erotica tutta al femminile, ambientata nel 1919, dal titolo Perfidie; c??????????g¨?“Sei Brillanti” è il titolo del nuovo spettacolo di Paolo Poli in scena al Teatro Eliseo dal 9 dicembre al 7 di gennaio; prende spunto da articoli di cronaca e di costume scritti da sei giornaliste: Maria Volpi Nannipieri, Paola Masino, Irene Brin, Camilla Cederna, Natalia Aspesi, Elena Gianini Belotti. E' uno sguardo al novecento, accompagnato da musiche che vanno da Jacqueline Perrotin a Donatella Rettore e Gianna Nannini. Le accattivanti scenografia, rimandano a chiari riferimenti dell'arte del XX secolo: Bacon, Delvaux, Burri e Balthus. Le Sei brillanti penne del giornalismo italiano non potevano non attrarre l’attore toscano da sempre attento studioso del nostro costume e soprattutto da sempre “figlio della letteratura” come ama definirsi. Sei brillanti penne con le punte fini come stiletti, graffianti seppur amorevoli, acute e combattive, per una carrellata che percorre un secolo attraverso le musiche, le gag, le trovate birichine di Poli con la sua inossidabile verve. Sei giornaliste del Novecento, dagli anni Venti agli anni Ottanta: Mura, Masino, Brin, Cederna, Aspesi e Belotti sono complici del nuovo scoppiettante spettacolo di Paolo Poli. Mura ci trasporta nel chiuso di una esperienza erotica tutta al femminile dal titolo Perfidie; Paola Masino con Fame ci descrive la crisi del 1929 e Irene Brin nelle sue Visite racconta le allucinate miserie del dopoguerra. Camilla Cederna col suo Lato de?????nbole ci parla di moda e di modi di vivere degli anni Sessanta; Natalia Aspesi in Lui visto da lei ci prospetta la figura dello scapolo in rapporto alla famiglia italiana e Elena Gianini Belotti con Adagio poco mosso presenta una figura di vecchietta serena e risentita. Le sei voci si alternano variamente nel gioco frizzante e imprevedibile di una narrazione caustica, ma emblematica di una società in continua evoluzione. Con la sua inossidabile verve Paolo Poli ci trasporta con Maria Volpi Nannipieri, in arte Mura, nel chiuso di una esperienza erotica tutta al femminile, ambientata nel 1919, dalon Fame di Paola Masino ci apre uno squarcio sulla grande crisi del 1929. E’ poi la vecchia visionaria che nelle Visite, di Irene Brin, racconta le allucinate miserie del dopoguerra. Con Camilla Cederna, Lato debole, ci parla del boom delle riviste di moda e dei modi di vivere degli anni Sessanta; gli anni Settanta sono evocati da Lui visto da lei di Natalia Aspesi, un cardinale conversa con un giornalista a proposito di castrazioni e aborto e capita anche di rendere omaggio al matrimonio a patto che… . Si arriva agli anni Ottanta con Elena Gianini Belotti che in Adagio poco mosso presenta una figura di vecchietta, attaccata alla sua indipendenza e alla affettuosa memoria del marito, che lei ricorda con tenera crudeltà e perfidi cammei domestici. Nello spettacolo le voci di queste giornaliste si alternano variamente in un gioco frizzante e imprevedibile nell’ottica generale di una narrazione caustica, ma emblematica di una società in continua evoluzione. A fare da contrappunto ai vari episodi drammatici ecco le musiche delle canzoni delle varie epoche dal 1920 al 1980 evocanti il tabarin, l’infanzia abbandonata, la voce della Radio, il mercato nero, le saghe popolari, la ricostruzione, il mondo degli animali e i caserecci festivals canori. Le scenografie di Emanuele Luzzati si ispirano ai maestri della pittura novecentesca, da Bacon a Delvaus, da Burri a Balthus, e i variopinti costumi di Santuzza Calì sottolineano s?????npiritosamente gli ironici arrangiamenti musicali di Jacqueline Perrotin. Spettacolo totalmente "en travestì", è delizioso, misurato, mai volgare. Poli, tiene la scena in maniera straordinaria! E quando si notano lievi cedimenti, glieli si perdona perchè non si può non volergli bene! E si percepisce una certa aria di protezione nei suoi confronti da parte di tutta la compagnia (ci sono 4 ballerini-cantanti-attori), e anche molta allegria dagli sguardi di tutti. Insomma, è stato uno spettacolo davvero piacevole! E poi il portamento e l’invidiabile eleganza di Poli, non possono passare inosservate. Accanto a Poli, che interpreta i personaggi nati dalla fantasia delle sei autrici, un allegro gruppo di attori sostenuti dalle coreografie di Alfonso De Filippis. La durata dello spettacolo è di due ore compreso l’intervallo.
maria antonietta AMENDUNI


17 Dicembre 2006

“Un paio d’ ali sotto l’albero”

Al Teatro Brancaccino, in piena atmosfera natalizia, trionfano i buoni sentimenti, adatti a tutte le età. Un gradevole intreccio di storie familiari e non, che si svolge alla vigilia di natale in casa di Erminia.

e un fratello”oppure “lo amo come un figlio”sono lì a comprovare questo riferimento. Il mondo è diventato così come lo conosciamo perché è stato modellato da questo meccanismo identificatorio familiare, che spesso, anche se non sempre, migliora il nostro rapporto con persone sconosciute perché in loro, grazie a quel benefico espediente, riusciamo a percepire similitudini che uniscono, sentimenti che aprono la strada a compartecipazione e solidarietà. La famiglia è il primo, e sovente unico, gruppo sociale che un bambino vede stabilmente in azione nei primissimi periodi della vita. Quindi si può aprofittare di questo spettacolo e del momento del natale per riscoprire certi valori persi nel caos di tutti i giorni. La regia è affidata a Ciro Scalera (alla quarta collaborazione con l’autrice) Il testo è firmato da Valentina Tomada, giovane autrice contemporanea, già rappresentata allo stesso Brancaccino sotto la direzione artistica di Gigi Proietti, ottenendo successo di pubblico e critica con “Giu’ le mani dal cappello”. La comprovata dimestichezza dell’autrice con le commedie brillanti le è già valsa riconoscimenti con altri testi al Festival di Mompeo (VII edizione, direzione artistica Ugo Fangareggi), alla Rassegna ‘Schegge d’autore’, (direzione artistica Renato Giordano) e alla Rassegna Corti Teatrali ‘Alberto Sordi’ patrocinata dal Comune di Roma. E’ un lavoro tutto italiano, dall’autore agli interpreti, che diffonde con discrezione valori eterni, che la gente incontra sempre volentieri, specie nelle feste di Natale. La storia è semplice ma originale,..tutta la prima parte del racconto risulta divertente ed a tratti anche un po paradossali, e spesso l’ingenuità si scontra con la fredda, cinica realtà. La seconda parte risulta un po’ più scontata, alla ricerca di facili buonismi, ma comunque nel complesso assolutamente gradevole. Spettacolo piacevole dunque capace di far trascorrere una piacevole serata. In scena Elisabetta De Vito, Barbara Begala, Simone Tuttobene, Valentina Tomada, Liliana D’Annolfo, Stefano Meglio. Le usiche originale sono di Enzo de Rosa, scene e costumi di Barbara Begala.
maria antonietta AMENDUNI


17 Dicembre 2006

Al Teatro Valle: un curioso accidente

In scena lo spettacolo di Carlo Goldoni, con Mario scaccia e Debora Caprifoglio; lo spettacolo, diretto da Beppe Arena, si snoda in un susseguirsi di equivoci, innamoramenti, travestitismi come nella migliore tradizione del grande drammaturgo veneziano.

Un Goldoni insolito per l’attore che da molti è salutato come il più grande interprete goldoniano vivente: Mario Scaccia arriva al Teatro Valle dal 19 al 31 dicembre con Un curioso accidente accompagnato dalla freschezza e il fascino di Debora Caprioglio. Lo spettacolo, diretto con mano sicura e ironica da Beppe Arena, si snoda in un susseguirsi di equivoci, innamoramenti, travestitismi come nella migliore tradizione del grande drammaturgo veneziano, eppure questo testo non rientra nel novero dei classici settecenteschi, il che lo rende quasi una novità nel panorama teatrale italiano; non poteva quindi che essere Mario Scaccia a portare in scena un’opera così ingiustamente dimenticata da registi e impresari negli ultimi decenni. Questo interprete straordinario inoltre è protagonista dell’intervista video realizzata dalla giornalista del Corriere della Sera Emilia Costantini intitolata I Mémoires di Scaccia – frammenti di una vita goldoniana in cui racconta il suo privilegiato rapporto con Goldoni e che verrà proiettata in forma ridotta il giorno del debutto e integralmente durante i giorni di replica su uno schermo allestito nel foyer del teatro. “L’argomento di questa Commedia non è che un fatto vero, verissimo, accaduto, non ha molto tempo, in una città di Olanda. Mi fu raccontato da persone degne di fede in Venezia al Caffè della Sultana, nella Piazza di S. Marco, e le persone medesime mi hanno eccitato a formarne una Comica rappresentazione”. Queste le parole dell’autore stesso, tratte da una nota introduttiva alla commedia, scritta nel 1760, e ambientata in una nobile dimora olandese. L’amore tra un giovane ufficiale e la figlia del padrone di casa è da quest’ultimo ostacolato e alla fine ‘risolto’ dagli intrighi e dalle scaltrezze messe in atto dalla giovane innamorata. La storia di quest’amore scorre parallela alle vicende amorose dei servi e allo scontro fra i due padri, l’uno nobile e l’altro borghese. Trattandosi di un testo goldoniano il ‘plot’ si espande, s’intreccia, si complica, attraverso una serie di ‘curiosi’ e comicissimi equivoci ma non può che sfociare nelle immancabili, duplici nozze. Dietro l’imbrigliatissimo meccanismo scenico affiorano aspetti centrali dello stile del grande riformatore della Commedia dell’arte: il rapporto tra vero e verosimile, il gioco della seduzione, l’inserimento di figure non tradizionali come quella del mercante e della giovane intraprendente, la perfetta descrizione di una nuova società in ascesa quale olandese. Con Mario Scaccia Monsieur Filibert, Debora Caprioglio Madamigella Giannina, Edoardo Sala Monsieur Riccardo, Antonella Piccolo Madamigella Costanza, Rosario Coppolino Monsieur de la Cotterie, Consuelo Ferrara Marianna, Mario Patanè Guascogna. Reegia Beppe Arena, scene Andrea Bianchi, Laura Forlani, costumi Antonia Petrocelli
maria antonietta AMENDUNI


9 Dicembre 2006

La vita?: una farsa impenetrabile!

“L’orso” e “Una domanda di matrimonio”, i due atti unici di Anton Cechov, in scena al Teatro India, nella traduzione di Fausto Malcovati, con Giuseppe Battiston, per la regia di Francesco Saponaro.

A tutto Cechov al Teatro India di Roma dal 12 al 17 dicembre: L’orso e Una domanda di matrimonio due atti unici, nella traduzione di Fausto Malcovati, con Giuseppe Battiston, Roberto De Francesco, Fabrizia Sacchi, per la regia di Francesco Saponaro. Dopo il felice debutto nell’ambito del Festival delle Culture Sceniche di Napoli e il successo registrato nel corso della tournée, giunge a Roma, lo spettacolo presentato dal Mercadante Teatro Stabile di Napoli diretto da Ninni Cutaia, L’orso e Una domanda di matrimonio, i due atti unici di Anton Cechov. Prodotto dal Teatro Stabile di Napoli in collaborazione con Falbalas e il Teatro Petrella di Longiano, lo spettacolo si avvale dei costumi di Ortensia De Francesco, delle scene di Barbara Bessi, delle luci di Pasquale Mari e delle musiche di Federico Odling. L’orso, il primo dei due atti unici che Cechov amò definire “scherzi”, racconta di una vedova in sacrale abito nero che, nonostante la fedeltà al marito da poco defunto, si ritroverà alla fine tra le braccia di un suo ostinato creditore. Nel secondo, Una domanda di matrimonio, un giovane mezzadro si presenta in frac a casa del vicino per chiedergli in sposa la figlia. L’impresa, tutto sommato semplice, si complica per l’insorgere di una querelle intorno alla contesa di un prato e alla qualità dei rispettivi cani da caccia: soltanto dopo aver capito le ragioni della visita del giovane, la ragazza deporrà le armi del litigio verbale, gradendo l’inattesa richiesta. “Con Cechov – dichiara il regista Francesco Saponaro – l’attore può sostenere con leggerezza tutta la contraddizione della vita: tragedia e commedia a un tempo. Può, come è lecito, fare di tutto: giocare, irridere, travestirsi e credere sempre alle proprie battute. Scegliere di partire dai suoi atti unici è anche riaffermare con vigore la legittimità del teatro come vibrante relazione tra testo e attore.” Il regista si avvicina dunque a L’orso e a Una domanda di matrimonio con la consapevolezza che “a teatro, come nella vita, l’umanità resta profondamente stupida. I personaggi sono pieni di sorprendente vitalità. Fremono come esseri puerili, prigionieri di ambizioni futili. Sono logorati dal bisogno dei quattrini e dalla brama del possesso ma non dimenticano le piccole, inevitabili, rivelazioni dell’amore, gli svenimenti, le capricciose pulsioni dell’eros. La loro natura, talvolta irriverente e irascibile, è pronta a esplodere e a ripiombare, d’improvviso, nelle brume della soffocante provincia campestre che l’ha generata.” Medico e scrittore, Anton Cechov insiste sul suo ruolo di testimone della realtà. Rifiuta ogni etichetta ideologica preconfezionata. Non concede soluzioni consolatorie. Rifugge dalle falsità e si concentra, prima di tutto, sulla preminenza dei fatti. Nella sua opera la vita si mostra così com’è: una farsa impenetrabile, dove tutto trascolora e si muove, una giostra di fanatismi e di meditazioni per gente mediocre e di cervello corto.
maria antonietta AMENDUNI


9 Dicembre 2006

“Finale di partita” di Samuel Beckett, al Teatro del Parco Tiburtino

Fortemente voluto da Ivano Caradonna e Paolo Masini (Presidente e Consigliere del V Municipio) e Maurizio Bartolucci del Comune di Roma (che ha sostenuto l’iniziativa), questo progetto non solo vuole riportare cultura ed arte nelle periferie romane, ma vuole farlo attraverso eventi di alta qualità, come in questo caso, cercando di far conoscere nuovi spazi teatrali e spingendo gli abitanti del V Municipio a riconoscersi nel proprio territorio. Sarà infatti ospite al Teatro del Parco Tiburtino, inaugurato da circa un anno, uno dei testi più famosi della letteratura teatrale del ‘900, “Finale di partita” di Samuel Beckett, portato in scena dalla Compagnia Enter, premiata quest’anno nella X edizione del Festival Nazionale “Salvo Randone” con due importanti riconoscimenti, uno per la migliore Compagnia, l’altro per la migliore attrice caratterista, andato a Maria Concetta Lotta. Curerà l’allestimento il regista, di esperienza internazionale, Sebastiano Salvato. Il Teatro del Parco Tiburtino diretto da Massimiliano Milanesi ed attivo dal mese di ottobre del 2005, lo spazio vuole essere un luogo di progettazione, realizzazione ed ospitalità, rivolto alle più diverse realtà. Un largo spazio della programmazione di quest’anno è riservato alle compagnie legate alla Permis de Conduire, ma senza tralasciare il confronto con altre realtà. Il senso di questa scelta, circa il testo di Beckett viene esposto nelle parole del Direttore artistico della Compagnia,Luca Milesi: “Ogni volta che leggo Samuel Beckett sento dei brividi. E’ una passione sconfinata quella che provo per la sua drammaturgia. Quando la Compagnia, all’indomani della premiazione al Festival “Randone”, ha voluto ri-mettersi alla prova (cosa che non smetterà mai di fare) non ha esitato a scegliere il confronto con quest’opera meravigliosa”. Nell’occasione del centenario della nascita del grande scrittore irlandese, la messa in scena della Compagnia Enter dal 14 al 17 dicembre si configura come un evento davvero impedibile, ancor di più per la decisione di dedicare la prima rappresentazione agli spettatori del V Municipio, che accederanno al Teatro gratuitamente.
maria antonietta AMENDUNI


3 Dicembre 2006

Teo Teocoli al Teatro Olimpico

Chiude a Roma la stagione del “Teo Teocoli show – Non ero in palinsesto” e apre il 2007 a Milano con il nuovo “Spettacolo a richiesta”.

Teo Teocoli ha deciso di chiudere a Roma la stagione teatrale del suo one-man show “Non ero in palinsesto”. Stagione ricca quella che ha visto l’artista milanese debuttare lo scorso marzo nella sua città eppoi esibirsi nei più famosi teatri italiani. Ed è stato un nuovo, grande successo di pubblico. Ultima data dello show ed unica a Roma è quella di sabato 9 dicembre, alle ore 21 al Teatro Olimpico Teocoli riprenderà poi il teatro dopo Natale con un nuovo one-man show, dal titolo “Spettacolo a richiesta”, che partirà il 28 dicembre dallo Smeraldo di Milano. Intanto, godiamoci quest’ultima replica a Roma. Erano tre anni che il comico non si esibiva in città: nelle ultime occasioni, da ricordare, aveva fatto il “tutto esaurito” per più di 30 repliche al Teatro Sistina! Il “Teo Teocoli Show (Non ero in palinsesto)”, il one-man show, arriva in un momento importante della vita artistica di Teocoli (in tv è “ospite di punta” nei più seguiti spettacoli della RAI) ed è l’ideale seguito del “Sono tornato normale, show”, il fortunato spettacolo degli ultimi tre anni che ha battuto molti dei record di presenze in teatro (una media di 100 mila spettatori a stagione!). In scena, quindi, Teo Teocoli e il suo “straordinario” estro: i suoi monologhi, con nuovi aneddoti personali raccontati con un senso straordinario dei “tempi teatrali”; la sfilata delle sue “maschere”, diventate veri e propri personaggi (il Teo-Celentano, il Teo-Costanzo, “The Genius-Ray Charles”; le storie improbabili ed esilaranti degli altri, su tutti il “surreale” Felice _acciamo); le sue improvvisazioni; le sue interpretazioni da ballerino e cantante, accompagnato da una band sempre più rhythm&blues, per creare atmosfera e per rendere tutto ancora più divertente; questi gli ingredienti di uno spettacolo che mescola cabaret, spassosi racconti di vita vissuta, varietà e momenti di grande ilarità. Teatro Olimpico (Piazza Gentile da Fabriano – tel. 06.3265991 – 06.45496305).
maria antonietta AMENDUNI


3 Dicembre 2006

Una Presidentessa che tutti sa governare!

Torna al Brancaccio, dopo il successo della passata stagione, La Presidentessa di Maurice Hennequin e Paul Veber, con Sabrina Ferilli-Maurizio Micheli, diretti da Gigi Proietti.

Torna, dopo lo strepitoso successo della scorsa stagione, La Presidentessa di Maurice Hennequin e Paul Veber, che vede in scena la divertente coppia Sabrina Ferilli-Maurizio Micheli, insieme con Paila Pavese e Virgilio Zernitz, perfettamente diretti da Gigi Proietti. Lo spettacolo torna li dove è nato, al Teatro Politeama Brancaccio dal 5 al 23 dicembre. La commedia, scritta nel 1912, da due dei più rappresentati autori del vaudeville, racconta di Gobette, diva del teatro di varietà, che introdotta nell’abitazione di un noto magistrato di provincia viene scambiata per la moglie di costui nientemeno che dal Ministro della Giustizia, ufficiosamente in visita per verificare la moralità nella magistratura. La “Presidentessa” Gobette, una volta sedotto il ministro farà promuovere il magistrato nella capitale favorendogli una carriera vertiginosa. Gigi Proietti, che firma l’adattamento del testo e la regia dello spettacolo, sposta l’azione dalla Francia all’Italia, rendendo più riconoscibile una storia che presenta vezzi e vizi del potere e dell’umana natura attraverso una girandola di equivoci, scambi, agnizioni. La messa in scena rispetta fedelmente la struttura del testo, applica i canoni fondanti del vaudeville basati sul ritmo e sull’esattezza e privilegia il naturalismo nella recitazione presentando i personaggi nella loro vitalità più che nell’esposizione topica di comportamenti . Una scelta che amplifica le possibilità comiche, facendo oscillare l’attenzione e il divertimento dello spettatore tra la situazione dipanata dall’intreccio e la costruzione di ogni singolo personaggio. L’ambientazione si colloca tra la provincia e la capitale in piena età giolittiana, ove si odono in lontananza echi di sentimenti secessionisti e di colonialismo, i primi mutuati da spunti inequivocabili presenti già nel testo francese. L’adattamento cerca di sottolinearli non senza una velata intenzione satirica che rimane tuttavia sullo sfondo di un racconto che si propone soprattutto di divertire. Lo spettacolo è esilarante e Maurizio Micheli è il vero mattatore della piece, dando una grande prova delle sue capacità interpretative; con il suo accento bitontino, è assolutamente perfetto nel ruolo del ministro. Sabrina Ferilli, è molto divertente e giusta nel ruolo di Gobette. Lo spettacolo è un crescendo di equivoci e situazioni divertenti. Ci si diverte dall’inizio alla fine, senza mai momenti di relax, il tutto grazie, soprattutto al trascinatore Micheli e alla bella regia di Proietti, che come sempre non lascia mai nulla al caso ed è capace di dirigere anche il dito mignolo di un attore. Uno spettacolo perfetto per passare una bella serata all’insegna del divertimento nel periodo pre natalizio.
maria antonietta AMENDUNI


3 Dicembre 2006

La legge di Dio è superiore a quella dell’uomo!?

E’ il martirio dell'arcivescovo Thomas Becketad, al centro della storia raccontata da Thomas Stearns Eliot in “Assassinio nella cattedrale”, in scena al Teatro Argentina, nella nuova traduzione di Giovanni Roboni.

Una dramma sacro - il martirio dell'arcivescovo Thomas Becket avvenuto nel 1170 - del premio Nobel Thomas Sterans Eliot: Assassinio nella Cattedrale; questa è la proposta del Teatro Argentina dal 7 al 22 dicembre, nella nuova traduzione di Giovanni Raboni appositamente commissionata al poeta dal regista Pietro Carriglio. Protagonista è Giulio Brogi. Rappresentato per la prima nella sala capitolare della cattedrale di Canterbury nel giugno del 1935, Assassinio nella cattedrale è un dramma in versi, con l’intervento di un coro sul modello greco o anche miltoniano, in cui è rievocata la vicenda del martirio dell’arcivescovo Thomas Becket, avvenuto nel 1170. Il prelato ritorna da un settennale esilio in Francia, mentre il coro esprime il disagio del popolo di fronte allo scisma tra monarchia e chiesa, che vede gli uni contro gli altri i dignitari del re Enrico II e il Clero. L’arcivescovo, che ha preso contatti con il re di Francia e si appoggia all’autorità del pontefice, provoca deliberatamente una crisi pur sapendo che la sua vita è in gioco. Quattro Tentatori simboleggiano il conflitto che agita Becket nell’intimo: essi rappresentano il suo giovanile amore per il piacere, la sua successiva ambizione del potere, le richieste dei baroni feudali e, infine, il desiderio del martirio. Respingendoli tutti, egli è certo ormai che la legge di Dio è superiore a quella dell’uomo, ed espone questo concetto in un sermone che è al centro dell’opera. Quattro giorni dopo, i cavalieri del re lo uccidono davanti all’altare senza che l’arcivescovo tenti di porsi in salvo, dopodiché, rivolti al pubblico, tentano di giustificare con insolenza il loro gesto chiedendo che venga emesso un verdetto di suicidio per malattia di mente, dal momento che Becket stesso aveva ordinato di aprire le porte della cattedrale per lasciarli entrare. “Dei tanti lavori di traduzione da me intrapresi in questi decenni – scriveva Giovanni Roboni - dei tanti “corpo a corpo” con la scrittura in versi o in prosa di autori che rispondono, fra gli alti, ai nomi vertiginosi di Sofocle e di Racine, di Baudelaire e di Proust, di Molière e di Hugo, posso dire che questo con la partitura eliotiana è stato sicuramente uno dei più perigliosi e, al tempo stesso, dei più felici, dei più disperanti e dei più appaganti.Il problema di fondo era, ovviamente, quello di restituire con la maggior fedeltà possibile, oltre alla grandiosità del pensiero e alla densità e precisione delle metafore, il peculiare respiro ritmico dell’originale – quell’inimitabile commistione di solennità e colloquialità, di slancio lirico e pacatezza raziocinante, insomma di “verticalità” e “orizzontalità”, della quale quasi tutti i poeti occidentali venuti dopo Eliot – cioè dopo La terra desolata, dopo l’Assassinio, dopo i Quartetti hanno tentato, poche volte riuscendoci, di essere in qualche modo all’altezza. Ma qui si trattava di essere all’altezza del modello (del maestro) non per conto mio, bensì per conto suo...Che altro dire? Spero di esserci almeno in parte, almeno “tendenzialmente” riuscito. Non mi sono mai rassegnato, questo è certo, all’idea di sacrificare o di posporre l’esattezza del senso (e, dunque, in primo luogo, del lessico) all’efficacia dei ritmo, o viceversa; intento e tensione sono stati rivolti in ogni istante a coordinare ed equilibrare fra loro le due esigenze, così come, camminando, si cerca di non perdere mai né la continuità e regolarità del passo, né quella del respiro”. Interpreti Giulio Brogi, Umberto Cantone, Pierluigi Corallo, Massimo De Rossi, Anna Gualdo, Liliana Paganini, Alfonso Veneroso e Domenico Bravo, Eva Drammis, Aurora Falcone, Caterina Marcianò, Leonardo Marino, Barbara Mazzi, Ilaria Negrini, Antonio Raffaele Addamo, Silvia Siravo, Oreste Valente. Le musiche originali di Matteo D’Amico sono eseguite in scena da Giorgio Garofalo, Michele Mazzola, Francesco Prestigiacomo, Carmelo Sacco, Vincenzo Salerno, Alfonso Vella. La scena, disegnata dallo stesso Carriglio, ha una imponente e singolare struttura che si protende nella platea dando agli spettatori la sensazione di partecipare ad una “assemblea civile”. I costumi sono di Paolo Tommasi, le luci di Gigi Saccomandi.
maria antonietta AMENDUNI


3 Dicembre 2006

Un delitto di mafia in scena al Teatro India

E’ “L’Istruttoria”, atti del processo in morte di Giuseppe Fava di Claudio Fava, ucciso dalla mafia il 5 Gennaio del 1984. La regia è di Ninni Bruschetta, con Claudio Gioè e Donatella Finocchiaro.

Un delitto di mafia al Teatro India. Rimanda alla celebre opera di Peter Weiss, L’Istruttoria di Claudio Fava, che racconta attraverso l’assurdità degli atti processuali, raccolti in seimila pagine di verbale, l’omicidio del padre, il giornalista Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia il 5 Gennaio del 1984 davanti al Teatro Verdi di Catania. Lo spettacolo sarà in scena al Teatro India da martedì 5 a domenica 10 Dicembre 2006. Firma la regia Ninni Bruschetta, che continua il suo percorso nel teatro impegnato. In scena due giovani attori, due volti noti del nuovo cinema italiano: Claudio Gioè e Donatella Finocchiaro, accompagnati dal vivo dagli accordi di sapore mediterraneo dei Dounia (Giovanni Arena contrabbasso, Vincenzo Gangi chitarra, Riccardo Gerbino percussioni Faisal Taher voce). Una morte assurda, uno dei soliti atti efferati di quella sporga organizzazione ignorante e maledetta che è la mafia. Un’organizzazione fitta di gente schifosa che gira in tasca con i santini, ma che nulla ha a che fare con la santità. “E’ la storia degli atti del processo in morte di Giuseppe Fava - scrive Claudio Fava - atti ricostruiti e drammatizzati in forma teatrale, conservando sempre estrema fedeltà alla verità delle cose che in quel dibattimento furono dette. E di quelle che furono taciute. Duecentotrentaquattro udienze, duecentosessanta testi ascoltati, seimila pagine di verbali… Di quel processo, poco conosciuto, oggi resta in apparenza solo una sentenza di condanna, ormai definitiva. Eppure, dietro i riti della giustizia, c’è sempre altro. Come la celebre Istruttoria di Peter Weiss non è solo il canto d’orrore e di dolore per l’inferno dei lager nazisti, anche questa istruttoria racconta la morte di un giornalista per narrare tutta la ferocia della mafia, l’oltraggio irrisolto della sua violenza, la viltà dei complici. E soprattutto la rabbia dei sopravvissuti”. “Dopo aver letto questo testo – scrive nelle note di regia Ninni Bruschetta - mi sono chiesto a cosa serva un processo per omicidio. Là dove il peggio è fatto si continua a celebrare il male, aggiungendo al dolore l’oscenità: il racconto dell’omicida, la difesa immorale dei colpevoli, le fazioni di innocentisti e colpevolisti, che fanno riecheggiare, come in un effetto domino, la tragedia già consumata, ma non ancora finita. Questo processo è stato, come raramente accade, un processo che si è concluso con la condanna dei veri colpevoli, degli esecutori e dei mandanti. Ma a leggerne e a sentirne gli atti ne viene fuori una società al limite del grottesco. Latitanti che girano scortati dalle forze dell’ordine, giornalisti che negano l’esistenza della mafia a Catania (in quegl’anni!), boss che uccidono personaggi scomodi per far “piacere” a qualcuno o per dare “un segnale” di amicizia ad un’altra cosca… Cose che se non fossero tragiche sembrerebbero frutto di un’ilare fantasia. Un tempo la celebrazione del processo era un momento di ritualità civile, così come è diventato adesso il teatro. Io credo che il teatro abbia questa funzione e questo privilegio, quello di parlare alla gente attraverso una ritualità, non più sacra, ma quantomeno civile. I testi di Claudio Fava, come le sue sceneggiature e i suoi romanzi, sono un terreno fertile ed adeguato per coltivare questa aspirazione del teatro, che è anche quella di salvaguardare la memoria e arricchire la nostra cultura con la celebrazione dei nostri eroi. Quella della mafia, in Sicilia e nel mondo, è stata ed è una vera e propria epopea, facile preda, alle volte, di mitizzazioni e di fantasie che finiscono per mostrarne gli aspetti più affascinanti, seppur malefici. Ma noi sappiamo che essa è invece una piaga purulenta, un male incomprensibile e inaccettabile, ma sempre più difficile da estirpare”. Uno spettacolo per non dimenticare una figura come quella di Giuseppe Fava, e per ricordare quanto, faccia schifo la mafia, un brutto tumore che solo il coraggio può aiutare a debellare.
maria antonietta AMENDUNI


25 Novembre 2006

Tor Bella Monaca: dal “Decamerone” a “La lunga notte del Dottor Galvan”

Dicembre ricco di appuntamenti importanti per il teatro diretto da Michele Placido: si inizia con il “Decamerone”, per arrivare ad uno strepitoso Neri Marcorè alle prese con il monologo di Pennac.

i Paolo Silvestri, Marcorè ripercorre la notte di un medico che sogna un raffinato biglietto da visita, travolto dagli eventi, con la pazienza messa a dura prova da un paziente un po’ troppo fantasioso. Grottesco, surreale, cinico ma soprattutto divertente, queste le caratteristiche de La lunga notte del dottor Galvan, racconto – di recentissima pubblicazione in Italia – di Daniel Pennac nel più genuino stile “malausseniano”. Il buffo aplomb e la frenesia schizoide di Neri Marcorè, alle prese con il suo primo monologo teatrale, danno vita a Gerard Galvan, dottore in Medicina Interna, di stanza in un ospedale parigino, preposto all’impatto con pazienti che hanno malesseri da decifrare e problemi urgenti. Sogno del giovane Galvan è il biglietto da visita perfetto, sul quale campeggi accanto al suo nome l’ambita qualifica di primario. Ed ecco che in una notte di pleniluinio si presenta al medico il paziente “assoluto”, in grado di manifestare i sintomi più numerosi, disparati e ridicoli, un caso di tale complessità da far sognare a Galvan una malattia rarissima e misteriosa in grado di portarlo in breve agli onori accademici. Inizia un’odissea clinica fra urologi, cardiologi, neurologi e gastroenterologi, su e giù dalla piramide di letti metallici che occupa la scena, animata dal solo Marcorè che dà prova di un talento caleidoscopico ed energico interpretando tutti i ruoli del testo. Alla fine, la malattia terribile risulta essere una burla e il paziente “assoluto” altro non è che un moderno malato immaginario di molieriana memoria, una beffa grottesca e sarcastica a tutte le ambizioni dello stralunato Galvan. A firmare la regia de La lunga notte del dottor Galvan è Giorgio Gallione che dopo "Monsieur Malaussene" e "Grazie" con Claudio Bisio ritorna ad un testo dell'amato Pennac.
maria antonietta AMENDUNI

25 Novembre 2006

Al Teatro Valle: “Bersagli di vetro - ATTO 2°”

Lo spettacolo di Nini Salerno tratta le tematiche di coppia in salsa agrodolce: insieme al collega ed ex “Gatto di Vicolo dei Miracoli” Franco Oppini e all’affascinante Barbara Terrinoni.

È possibile stilare un manuale dei sentimenti? Un vademecum della seduzione, un prontuario dell’amore? Partendo da questa domanda l’attore, qui anche autore del testo, Ninì Salerno ha scritto il testo Bersagli di vetro-atto 2°, in scena al Teatro Valle di Roma dal 28 novembre al 9 dicembre. Uno spettacolo che tratta le tematiche di coppia in salsa agrodolce: insieme al collega ed ex “Gatto di Vicolo dei Miracoli” Franco Oppini e all’affascinante Barbara Terrinoni, per la regia di Lorenzo Gioielli, Salerno traccia un viaggio semiserio nelle follie dell’amore, attraverso il familiare linguaggio della commedia. I protagonisti sono due amici di mezza età, Giulio (Oppini) e Amedeo (Salerno). Giulio, tra i due, è il più disinibito, quello dalla vita sessuale più intensa, mentre Amedeo, monogamo indefesso e appena abbandonato dalla moglie, é incapace anche solo di avvicinare un’altra donna. Nella vita di Giulio arriva ad un certo punto la bella Silvia, reduce da un matrimonio fallito e decisa a cambiare vita gettandosi tra le braccia del primo uomo disposto ad amarla. Una sera in cui Giulio e Silvia stanno uscendo per una serata romantica Amedeo, dopo averli sequestrati, estrae una pistola e gliela punta addosso. Dovranno dargli, seduta stante, una chiara dimostrazione di come si conduce una serata galante. Ai due malcapitati non resta che mettere in scena, controvoglia, una grottesca farsa non priva di lati drammaticamente comici. Una commedia brillante a tratti tinta di giallo, un’occasione per passare una serata in compagnia di una comicità diretta e spontanea, anche grazie alla verve degli interpreti.
maria antonietta AMENDUNI


25 Novembre 2006

FIAT: La realizzazione di un sogno!?…Secondo Ulderico Pesce

Il testo vincitore del premio Riccione Teatro 2005 - sez. MARISA FABBRI F I A T sul collo(I 21 giorni di lotta degli operai della Fiat di Melfi), in scena al Piccolo Jovinelli

Il Premio Marisa Fabbri, sezione del Premio Riccione Teatro, è destinato a indicare un’opera particolarmente impegnata nella ricerca di un linguaggio aperto e poetico ed è stato attribuito a “FIATo sul collo” di Ulderico Pesce con la seguente motivazione: Dal cuore della Basilicata, il racconto irridente e appassionato, in forma di monologo e nel solco del t???????????¨?eatro di narrazione, di una vita costruita sulla speranza di un lavoro che mina ogni legame e sicurezza. Voci, pensieri e sentimenti intrecciati in una scrittura che parte da una base leggera e ironica per affondare nella crudezza cronachistica degli scioperi alla Fiat di Melfi e nella disperazione delle prospettive future. Il testo s’infiamma per via e sarebbe piaciuto a Marisa Fabbri per il suo impegno e il gusto con cui s’inventa parole e personaggi, tanto da supporre che le sarebbe piaciuto interpretarlo in abiti maschili. Lo spettacolo ora sarà in scena da martedì 28 novembre a sabato 23 dicembre al Teatro Piccolo Jovinelli “FIATo sul collo” racconta la vita di Antonio e Angela. Lavorano nello stabilimento lucano della Fiat-Sata di Melfi. Vivono ad Acerenza (PZ) e quando nel 1994 la Fiat seleziona gli operai da assumere attraverso contratti di formazione lavoro, parte il loro “sogno americano”: entrare in Fiat ed avere lo stipendio fisso. La realizzazione del sogno, che festeggiano con torta e candeline, li porta al matrimonio, all’acquisto, attraverso mutui bancari, di una piccola casa e di una fiat Punto. E’ tale l’illusione della raggiunta tranquillità economica che subito mettono al mondo due bambine. La vita quotidiana in fabbrica però, a poco a poco, trasforma il loro sogno in incubo. Attraverso la loro vita scopriremo cosa significano formule come “doppia battuta”: la fatica di 12 notti consecutive di lavoro anche per le donne; ritmi impossibili da sostenere e salari striminziti che provocavano focolai di protesta e conseguenti licenziamenti e provvedimenti disciplinari. Antonio e Angela usciranno dall’incubo partecipando con “nuova coscienza” alla lotta iniziata il 19 aprile del 2004 con la creazione di presidi davanti alla fabbrica, una lotta sostenuta dalla sola Fiom-Cgil, in cui le operaie e gli operai di Melfi di fronte ai soprusi della direzione aziendale rispondono “assediando la fabbrica”, una lotta che li vede costretti a resistere alle cariche della polizia con determinazione e orgoglio, una lotta storica, durata 21 giorni e che finisce con l’accettazione da parte della Fiat Sata delle richieste degli operai, tra le quali l’equiparazione del salario agli altri stabilimenti Fiat d’Italia e l’eliminazione della doppia battuta.
maria antonietta AMENDUNI


25 Novembre 2006

Rossella Falk e Maria Callas: due dive a confronto

Una diva del teatro, quale è Rossella Falk e la diva dell'opera, Maria Callas, il tutto nello spettacolo “Vissi d’arte vissi d’amore”; La Falk racconta l’amica Callas, artista e soprattutto donna.

ungere da un passato lontano, perciò ancora più struggente. Al Carcano, il trionfo di Rossella Falk sembra ripetere i successi della grande amica. Ecco come il regista Fabio Battistini, racconta lo spettacolo: “Una diva del teatro, Rossella Falk, è la "Divina Callas". Colei che in poco più di dieci anni di carriera, passando dalla tragicità di "Medea" e di "Norma" alle più variegate rifrazioni del sentimento, fino ai sottili giochi Rossiniani, ha evidenziato l'eccezionale capacità di immedesimarsi nelle eroine del melodramma. I suoi dischi sono lì a documentare la sua superiorità ed unicità artistica. I criteri del suo livello stilistico, il suo incredibile timbro. A ventisette anni dalla sua morte la sua presenza nella memoria collettiva è più forte che mai. L'arte, la bellezza non è sconfitta dal tempo. Il rito del teatro la rinnova ogni sera. Venuta dal niente,dal disamore della madre, brutta e sgraziata, ma con irriducibile entusiasmo per la musica. Finalmente un giorno Maria Cecilia Sofia Anna Karageopuolous riuscì a realizzare il sogno di sempre. Diventò bella, diventò Maria Callas. Aveva appena cinquantatre anni quando morì nel suo appartamento di Avenue Mandel a Parigi. Fu là che,qualche giorno prima, la vide, per l'ultima volta, Rossella Falk. E Rossella, che le fu amica per vent'anni, l'ha voluta ricordare raccogliendone le memorie e raccontandola in prima persona. "Vissi d'arte, vissi d'amore", sebbene si tratti di un monologo, è uno spettacolo”. La mancanza di una vera e propria regia, che affianca a pieno merito questo spettacolo al cosiddetto "teatro di narrazione", non fa perdere però concentrazione nel pubblico, affascinato dalla bellezza e dall'intensità dell'interprete. Si racconta la storia sofferta di Maria Callas, in prima persona, con toni che passano con disinvoltura dal leggero al tragico. Per chi conosce la biografia della "divina" o per chi, meno appassionato, ha comunque visto il film di Zeffirelli Callas Forever, non c'è quasi nulla di nuovo. Ma è il legame personale tra la Callas e la Falk che rende, soprattutto nella seconda parte dello spettacolo, il racconto più intimo e commovente. Se infatti nel primo atto si rispecchia fedelmente il titolo raccontando i successi in campo artistico e le grandi delusioni in campo sentimentale, particolarmente a causa dell'amore lacerante tra la cantante e Onassis, nel secondo Rossella Falk si ripresenta sul palcoscenico come se stessa, attrice alla fine della funzione, in vestaglia viola (quasi a dimostrare la sua superiorità su ogni superstizione teatrale, che vorrebbe proibito, ad esempio, indossare tale colore in scena). Ricorda con commozione com'era Maria Callas ai suoi occhi, specialmente in quell'ultimo terribile periodo di reclusione parigina.
maria antonietta AMENDUNI

19 Novembre 2006

Zingari: l’immagine feroce di un popolo, al teatro Eliseo.

Un’epopea della furia d’amore, una favola meravigliosa e struggente, una lotta tra vita e morte: è Zingari di Raffaele Viviani, con Nino D'Angelo e Angela Pagano, per la regia di Davide Iodice

Una favola meravigliosa e struggente, che muove continuamente tra visione onirica e quadro sociale. È l’immagine feroce di un popolo, di una stirpe, in tutto uguale alla società urbana di questi tempi. Una sorta di mito nero, potentissimo e vivo, quasi un rito finale, la fine di una etnia, un mito di ‘fondazione’ rovesciato, un mito di distruzione, una bellissima lotta tra vita e morte. Un’epopea della furia d’amore. Dal 21 novembre al 10 dicembre, al Teatro Eliseo, Nino D'Angelo e Angela Pagano, due singolari personalità artistiche, dirette da Davide Iodice, nome di punta della nouvelle vague partenopea, sono in scena con Zingari, testo del 1926 incredibilmente audace e moderno, epopea della furia d'amore, sarabanda di distruzione che si infiamma grazie a un cast di quattordici attori e musicisti. Zingaro è il gruppo sociale reietto dalla società borghese, qui espressa dai dottori; c'è la religione e la magia, la Madonna e le fattucchiere; la "scienza" e le credenze popolari. Da un lato c'è Gennarino, il figlio della Madonna, emarginato tra gli emarginati, innamorato e riamato da Palomma, e dall'altro 'o Diavulone, il capo tribù, camorrista nomade che vuole esercitare il possesso su ogni cosa e ogni persona. E poi ci sono duelli fantastici, deliri febbrili, canti disperati, incendi. Una lotta tra spiritualità e fisicità, tra superstizione e progresso, tra "coscienza civile" e prepotenza. Zingari è una favola visionaria: la realtà e la fantasia si rincorrono continuamente. Prima è un sogno, dopo è vero, poi è un’allucinazione e infine accade sul serio…la furia d’amore e il riscatto dalla servitù, il desiderio di libertà e la lotta per la sopravvivenza. Tutti motivi, questi, molto cari a Viviani. Il regista Iodice, con questo spettacolo, porta avanti un progetto sul teatro ‘popolare’ e sul repertorio della tradizione, proseguendo alcune delle linee di ricerca del lavoro di questi anni e specificamente quella del rapporto tra ‘tradizione’ appunto e ‘contemporaneità’. “La scelta – dice Iodice - si è subito orientata verso il corpo dell’opera di Viviani che, più che mai in questo momento, sembra offrire la visione più chiara e più lucidamente critica della nostra città, della sua realtà, di quello che essa rappresenta e di quel popolo insieme ‘tipico’, tribale e ‘mondiale’ che la abita”. Insomma, questi “Zingari”, che parlano una lingua antica, sono radicati nel loro passato e sono schiavi delle dinamiche che governano i loro gruppi chiusi, non sono altro che dei napoletani di oggi. Così, oggi, A ottant’anni di distanza dalla sua stesura, Zingari, il capolavoro di Raffaele Viviani, in cui è ritratto un mondo arcaico e gitano, saga sociale e struggente di un popolo forte e logorato, ritorna in questo nuovo allestimento; protagonista in scena Nino D’Angelo, uno degli interpreti più rappresentativi dell’anima napoletana, che, alla sua terza esperienza con il teatro di Viviani, ha mostrato una grande duttilità nel coniugare le espressioni “alte” e “basse” della cultura partenopea e grazie alla sua immediatezza e naturalezza espressiva si è rivelato incredibilmente aderente ai personaggi creati dall’autore. Accanto a lui Angela Pagano, attrice storica del grande teatro napoletano. Mai uno spettacolo poteva essere più attuale in un momento in cui tanto, di Napoli, si parla. Napoli, com'è noto innanzitutto ai napoletani, è una città sui generis, afflitta da tanti problemi ma anche fiera delle proprie peculiarità. E così, parlando di un popolo con radici lontane, si finisce per parlare di Napoli. E con Napoli di tutti noi, perché ognuno ha sperimentato almeno una volta - magari non direttamente - cosa significhi subire una sopraffazione, desiderare una cosa che ci è ingiustamente preclusa. Viviani rappresenta, assieme a Scarpetta, alla dinastia dei De Filippo col grande Eduardo in testa, ai fratelli Aldo e Carlo Giuffrè e poi a Mario Martone, Toni Servillo e l'ultima generazione dei trenta-quarantenni come Arturo Cirillo, una ricca e ininterrotta vena aurifera per il teatro italiano. In scena con Nino D'Angelo e Angela Pagano anche Nando Neri, insiema a Luigi Biondi, Alessandra D'Elia, Salvatore Misticone, Daniele Mutino, Agostino Oliviero, Alfonso Paola, Alfonso Postiglione, Michele Rescico, Nunzia Schiano, Guido Sodo, Aida Talliente, Valentina Vacca, Imma Villa.
maria antonietta AMENDUNI

19 Novembre 2006

Dal Teatro Argentina al Teatro India due proposte contrastanti e interessanti

Due debutti in una settimana per il teatro di Roma: Le lacrime amare di Petra Von Kant di Rainer Werner Fassbinder e Disco Pigs di Enda Walsh. Laura Marinoni in scena al Teatro Argentina

"Ogni volta che due persone si incontrano e stabiliscono una relazione si tratta di vedere chi domina l’altro. La gente non ha imparato ad amare. Il prerequisito per potere amare senza dominare l’altro è che il tuo corpo impari, dal momento in cui abbandona il ventre della madre, che può morire…." Rainer Werner Fassbinder Le lacrime amare di Petra Von Kant di Fassbinder, per la regia di Antonio Latella, è un testo estremamente attuale, un acuto scandaglio psicologico di tre figure femminili, capaci di suscitare nello spettatore reazioni contrastanti, passando dall’astio all'umana comprensione. Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Argentina dal 21 novembre al 3 dicembre, con Laura Marinoni e Silvia Ajelli, Cinzia Spanò, Sabrina Jorio, Stefania Troise, Barbara Schröer, regia di Antonio Latella. Fassbinder, figura fondamentale del rinnovamento culturale del dopoguerra tedesco ed europeo, opera un'analisi lucida e disincantata dell’amore nella nostra società: nelle relazioni di coppia si rispecchiano i più generali "rapporti di potere" della società capitalista che impediscono una devozione sincera e disinteressata e soprattutto un equilibrio reale tra i partner, inevitabilmente divisi da differenze di classe, di cultura, di disponibilità economica."Per raccontarci la donna – scrive Antonio Latella - Fassbinder sente la necessità di chiuderla nella sua casa, quasi come se isolandola riuscisse ad evidenziarne tutti i suoi lati. La donna diventa nell’immaginario fassbinderiano una proiezione, un ideale, un’icona, una gigantografia, una mappa dei sentimenti. Il suo corpo diventa la casa da abitare, esplorare, invadere, conquistare, dominare, governare...tentativi inutili, perché la donna di Fassbinder resta unica e inafferrabile, anche per la donna stessa. La donna non può essere posseduta ma solo amata, totalmente, senza mezze misure. Amore assoluto, mortale. Una donna è la sua casa. L’ossessione di un ruolo, un posto, un luogo nel mondo. Quattro pareti di un interno borghese. Ghiaccio. Petra non varca mai la soglia, resta confinata nel suo isolamento, quasi come se fosse impossibilitata a muoversi. La sua casa è il suo tutto. Nessuna emozione forte, la passione manipola i comportamenti umani, tutto deve essere filtrato dalla testa; chi si lascia andare alle passioni è debole agli occhi della società. Tutto diventa rappresentazione. Ripetizione di regole, forme, di una partitura dalle forti tinte borghesi. Tutto èprevedibile, riconoscibile, ancor prima dell’essere detto o fatto. Come dice Fassbinder: non esistono vicende vere. Il vero è artificio. Altro importante appuntamento della settimana con il Teatro di Roma è lo spettacolo Disco Pigs di Enda Walsh, uno spettacolo di Valter Malosti, con Michela Lucenti e Valter Malosti e con Emanuele Braga, Yuri Ferrero, Emanuela Serra, in scena dal 22 novembre al 3 dicembre. Disco Pigs è un testo travolgente e visionario, divertente e intenso, con una scrittura pirotecnica e sfrontata e se ne consiglia la visione ad un pubblico adulto. I due giovanissimi protagonisti (Pig e Runt cioè Porcello e Porcella) attraversano la loro Porka città come due novelli Bonnie & Clyde, in un viaggio allucinato, quasi a ripercorrere dalla nascita al loro diciassettesimo compleanno tutta la loro breve esistenza: Porcello e Porcella sono infatti nati lo stesso giorno, cresciuti insieme, usano lo stesso linguaggio (da loro inventato), hanno la stessa visione del mondo, adorano la disco, fanno all'amore con furia, corrono, bevono, picchiano, si emozionano alla vista del mare. E il loro diciassettesimo compleanno diventerà il giorno decisivo della loro vita. Questo piccolo dramma potrebbe sembrare superficialmente una comune storia di emarginazione, scritto con una lingua aspra ma ha invece la capacità di trasfigurare la realtà quotidiana in fibrillante tessitura visionaria, possiede una profonda poesia, e contiene una tenerezza irrealizzabile, straziante. Una potente e inusuale storia d'amore. "Porcello e Porcella indosseranno delle maschere – scrive Valter Malosti - Li immagino come due Arlecchini incattiviti, o due Cartoon acidi. Danzeranno. Agiranno su un palchetto che ricorderà quello della "Commedia". Ci spaventeranno e ci faranno ridere. Disco Pigs come commedia dell'arte rivisitata, cioè ripassata nel doppio filtro della drammaturgia e della danza contemporanea. Una "disco opera". Questo lavoro rappresenta l'inizio di una ricerca che affronto, attraverso un percorso di prove/laboratorio con una straordinaria danzatrice e coreografa: Michela Lucenti (che ha coinvolto nel progetto una parte rilevante del suo ensemble di danzatori del Balletto Civile che hanno contribuito alla creazione dello spettacolo)”.
maria antonietta AMENDUNI


19 Novembre 2006

Al Teatro Tordinona “Coco Chanel il mio stile divenuto leggenda”di Alexander William Smith, con, Isabella Martelli; traduzione e Regia di Riccardo Castagnari.


Dopo l’edizione 2004 andata in scena con il titolo Coco Chanel, chi credete che io sia, traduzione e regia di Gaetano Varcasia, torna a Roma, con un nuovo allestimento, lo spettacolo Coco Chanel il mio stile divenuto leggenda di Alexander W.Smith, traduzione e regia di Riccardo Castagnari, con l’interpretazione di Isabella Martelli, al Teatro Tor di nona dal 29 novembre al 23 dicembre “Un luogo indefinito, forse la vetrina di uno show-room d'alta moda, forse proprio la Maison Chanel dei giorni nostri – scrive il regista Riccardo Castagnari - E' sera, si spengono le luci, è l'ora della chiusura e... l'ineffabile accade. Come evocata da se stessa, appare lei, la vera ed unica titolare, la donna il cui stile non è ancora tramontato. Madamoiselle Chanel ci accompagna così nell'esplorazione dei suoi ricordi, ci fa partecipi di quella leggenda a cui lei sola ha saputo dare vita e che ancora resiste nel tempo. Ci dice della sua solitudine e del suo successo, ci racconta dei suoi amori e soprattutto del suo lavoro, incessante, ostinato, appassionato. Ed è forse grazie ad esso che lei riesce a superare il fattore tempo e a raccontare ancora a noi, pubblico di oggi, quello che è accaduto a lei ieri... Così dall'album dei suoi ricordi affiorano, tra gli altri, i volti di amici quali Cocteau, Picasso, Reverdy, Diaghilev, Stravinsky, intimi testimoni della sua straordinaria avventura. Nel testo di Alexander W. Smith, Coco parla spesso di morte (ma in tono lieve, pacato, mai drammatico o cupo), forse è per questo che mi è venuta l'idea di evocare la sua figura sotto l'aurea di un'apparizione medianica. In questo modo le sue parole si rivestono di significati più profondi e la sua forte personalità si distacca dal quotidiano per assumere una valenza più alta . Da quella dimensione tutto sembra essere ridimensionato, ma la forza del suo racconto trova spunto per vecchie ma rinnovate passioni, quelle che sono state alla base della sua intera vita. E' così che Gabrielle Chanel, in arte Coco, attraverso il suo stile inconfondibile ed ancora attuale, ci dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che la leggenda continua. Figlia di venditori ambulanti nata per caso a Saumur, orfanella abbandonata in un convento di Correze, collegiale dalle canonichesse di Moulins, “poseuse” in un café-Chantant della guarnigione dove divenne nota per la canzone “Qui qu'a vu Coco dans le Trocadero”... la sua personalità presto la porterà verso il suo destino eccezionale. Mantenuta, ma non come le altre, aprirà, a cavallo tra il 1914 e il 1917, la sua prima sartoria grazie ad Etienne Balsan e all'inglese Arthur Capel. Indipendente, ambiziosa di lì a poco diventerà per un'intera generazione il polo d'attrazione di un'epoca. Amica dei più grandi personaggi del suo tempo, Chanel sarà la sovrana autoritaria di un immenso impero. Due furono i capi spietati della sua esistenza: il successo e la solitudine Infatti nessuno tra gli uomini della sua vita, granduchi o poeti, lord miliardari o seducenti ufficiali della Wehrmach, occuperà mai un posto definitivo accanto a Coco. “C'è un tempo per l'amore e un tempo per il lavoro, altro tempo non c'è!” E il tempo per il lavoro fu quello che madamoiselle Chanel predilisse sopra ad ogni cosa creando una moda che andava contro ogni regola dettata dalla sua epoca. Emancipando la donna negli abiti, la riscattò in qualche modo anche nel suo ruolo nella società. Tagliare, cucire, piegare la stoffa alla sua volontà, rifinire orli... fu l'attività incessante che l'accompagnò fino a quel 10 gennaio 1971, quando si spense all'età di 88 anni. Era domenica. Il suo stile non ancora tramontato rimarrà emblema di quell'immortalità che solo una leggenda può avere. “Se siete nati senza ali, non fate nulla per impedire che spuntino”. In scena al Teatro Tordinona (Via degli Acquasparta16 tel. 06/68805890) dal 28 novembre al 23 dicembre.
maria antonietta AMENDUNI

11 Novembre 2006

Teatro Tor Bella Monaca: da Shakespeare a Cyrano, la stagione continua

In meno di un anno, il teatro diretto da Michele Placido, ha conquistato il suo spazio nel panorama teatrale romano. Questo mese, in scena, “La bisbetica domata” con Tullio Solinghi, e il libero adattamento del “Cyrano”

Un Teatro nuovo e fuori dagli schemi, decentrato ma capace di diventare in nemmeno un anno di attività polo culturale di primo piano nella città di Roma ed oltre i suoi confini. Il Teatro Tor Bella Monaca, inaugurato nel dicembre 2005, ha definito in breve tempo la sua identità e trovato il suo pubblico, mettendosi subito in evidenza nel sistema degli spazi dedicati allo spettacolo dal vivo nella capitale. Dopo Peter brook ,a stagione prosegue con altre proposte inedite o ripescate dalla scorsa stagione. Il 14 e 15 novembre, arriva uno spettacolo già visto lo scorso anno ma che si rivede volentieri come La bisbetica domata di William Shakespeare, con Tullio Solinghi, per la regia di Matteo Tarasco Petruccio e Caterina, i protagonisti de La Bisbetica domata di Shakespeare, sono probabilmente i progenitori della genìa degli “amanti litigiosi”, quelle coppie che sembrano trovare nell’alterco e nel battibecco la dimensione aurea del loro amore. Testo giustamente celeberrimo e sempre in voga in tutto il mondo, trova nella versione firmata da Matteo Tarasco e interpretata da Tullio Solenghi una nuova coloratissima vitalità. Se infatti da una parte la scelta di una compagnia tutta maschile vuole recuperare filologicamente quella che era la consuetudine elisabettiana, dall’altra la chiave carnascialesca e genuinamente popolare restituisce il divertimento, l’ironia e la comicità di cui la commedia è intrisa. Il ritorno di Solenghi al teatro è quindi un vivacissimo classico, ben architettato sulle corde farsesche e al contempo misurate dell’attore genovese, che qui recupera anche il personaggio del barbone Sly, vittima di una burla di girovaghi commedianti che gli regalano per il tempo dello scherzo l’identità di Petruccio, spesso tagliato da molti allestimenti. Una lettura, quella del regista Tarasco, che pone al centro proprio Petruccio e non Caterina, coerentemente al titolo originale “The taming of the screw” letteralmente “L’addomesticamento della bisbetica”. La compagnia, composta da soli uomini, è affiatatissima e si avvale, tra gli altri, di Francesco Bonomo nel ruolo della bisbetica, Marco Cavicchioli e Giancarlo Condè, incorniciata dalle scene di Carmelo Giammello, dai pirotecnici costumi di Andrea Viotti e sostenuta dall’efficace traduzione di Masolino D’Amico. E per novembre non è tutto; dal 24 al 26 novembre, la rivisitazione di un classico del teatro: Cyrano, libero adattamento di Francesco Fanuele e Filippo D’Alessio dal Cyrano de Bergerac di E. Rostand con Gianluca Pizzetti e con: Roberta Terregna, Andrea Murchio, Mario Focardi, Alberto Mosca, Benedetto Cesarini, Marco Zordan, Francesca Callari, Roberto Andolfi, regia Filippo d’Alessio Un teatro vuoto, un attore e la sua solitudine, in una maturità artistica e umana che, tra realtà e finzione, lambisce progetti immaginati e desiderati. Persona e personaggio, sogno e necessità di essere poeta e spadaccino, anelito di libertà che muove guerra alla vita e al potere: questo o la follia che si dipana in un turbinio di sdoppiamenti tra ciò che si è recitato o vissuto. L’attore e Cyrano, protagonisti paralleli di tracce di vita lasciate indistinte tra la polvere di un palcoscenico, evocano in questo spettacolo firmato da Filippo d’Alessio ed interpretato da Gianluca Pizzetti realtà immaginate, spinte da una forza centripeta pronte a dar corpo a ciò che è vita mancante. L’atto creativo soffia la vita nell’impossibile incanto, desiderio e sogno che prendono corpo, voce e movimento e in un teatro, luogo di solitudini, nasce la poesia e lancia fendenti alla prigione dei sentimenti, aggredisce i fondamenti del potere e prende forma l’eroe di un romanzo che tra duelli, musiche, spari di cannone e stratagemmi alla luce della luna diviene figura emblematica dell’intellettuale “emarginato alla vita”, non per il naso, ma per scelta. Cyrano, con la sua geniale temerarietà segnato dalla drammaticità della sua fiera esistenza, vissuta pericolosamente all’insegna del non piegarsi mai alla mediocrità e alle convenienze, costi quel che costi, si fa mito e personaggio straordinariamente moderno.
maria antonietta AMENDUNI


11 Novembre 2006

Scapicchio in scena al Brancaccino.

Dopo “Romane de roma”, procede al Brancaccino questa prima parte di stagione dedicata a Roma e alla romanità; è la volta di “Roma in piccolo”.

Procede la stagione del Teatro Brancaccino, e prosegue questa prima parte del cartellone dedicato a Roma e alla romanità. E’ il turno dunque di Alessandro Scapicchio in “Roma in Piccolo”, uno spettacolo di Teatro Canzone, scritto e diretto da Pino Ammendola, al pianoforte Marcantonio Infascelli. Già in scena questa estate nell’ambito dell’estate romana, lo spettacolo ritorna ora in scena nel teatro diretto da Riccardo Cavallo. Con questo recital di parole e musica, attraverso una carrellata di emozioni, assieme ad una affascinante miscela di sue composizioni e di brani classici, Scapicchio desidera rendere omaggio a Roma. Ispirandosi ad episodi autobiografici, mette in scena il suo personalissimo rapporto con questa città. Il cantautore romano ci restituisce, attraverso una visuale intima, un po’ della magia della Città Eterna e ci racconta, attraverso le parole di Pino Ammendola, come sotto l’apparente cinismo dei romani, ci sia una straordinaria tenerezza, un “core mollicone” che spesso solo le canzoni riescono a far trasparire, così che ogni composizione, originale e non, si trasformi essa stessa in un racconto d’amore. Da martedì 7 a domenica 19 novembre 2006 dal martedì al sabato alle 21.30, domenica alle 18.00 , Via Merulana, 244, tel. 06. 47824893, www.politeamabrancaccio.it
maria antonietta AMENDUNI


11 Novembre 2006

Cinematografo: 80 film in 80 minuti

Al Teatro dei Satiri sono in scena i Picari con lo spettacolo scritto da loro insieme a Pietro De Silva e Claudio Insegno; Roberto D’Alessandro e Marco Simboli nel loro prossimo lavoro affrontano il funambolico mondo del cinema.

Sono una costante nella stagione del Teatro dei Satiri nonché un appuntamento fisso per gli amanti della loro comicità; così Roberto D’Alessandro - Marco Simboli, per meglio intenderci I Picari, dopo averci spiegato tutto sul sesso in 90 minuti, questa volta i minuti li riducono ad 80 e cambiano argomento. Cinematografo 80 film in 80 minuti è il nuovo spettacolo de I Picari, scritto da Roberto D’Alessandro, Pietro De Silva, Claudio Insegno, Marco Simeoli, con Roberto D’Alessandro – Marco Simboli e la partecipazione di Marta Altinier e altri dieci attori della scuola di recitazione di Pino Insegno, per la regia di Claudio Insegno (tanto per rimanere in famiglia!) Dal 28 novembre al 17 dicembre il duo comico sarà in scena al Teatro dei Satiri (Via di Grottapinta, 6 Roma) Ecco come Roberto D’Alessandro - Marco Simboli raccontano, a quattro mani, il loro nuovo e atteso spettacolo: “Dopo le incursioni nella Bibbia, nell’opera di Shakespeare, nell’opera lirica, nel complesso mondo del sesso e nella convulsa storia d’Italia, i Picari nel loro prossimo lavoro affrontano il funambolico mondo del cinema. La caratteristica dominante del gruppo più irriverente della scena italiana è la parodia, così vedremo una divertente cavalcata fra i capolavori del cinema mondiale, dal primo film del treno dei fratelli Lumiere fino ad arrivare al Codice da Vinci. Faremo rivivere Rita Hayworth e Marcello Mastroianni, la mitica Rossella Hoara di Via col vento, il Nio di Matrix, La dolce vita, Che fine ha fatto baby Jane? Il Gladiatore etc. ecc…. Potrete scommettere che alla fine degli ottanta minuti avremo passato in rassegna ottanta film, trasformandoli, parodiandoli, sdrumandoli, sempre con estremo rispetto, perché la parodia quando è fatta ad un capolavoro serve principalmente per rendergli omaggio. Provate ad indovinare gli ottanta titoli e oltre ad aver riso per ottanta minuti vincerete un fantastico premio…quale? Per saperlo non vi resta che venire a teatro”. www.ilteatrodeipicari.com
maria antonietta AMENDUNI


11 Novembre 2006

Hospitality Suite : la vita, dall’illusione alla disillusione

In scena al Piccolo Eliseo, il testo di Roger Rueff, con Danilo Nigrelli e Massimo De Lorenzo, per la regia di Gianfranco Varetto. Tre momenti cruciali per un solo vero protagonista: l’Uomo.

Tutto in una giornata e tutto in una stanza, per la precisione, la suite di un anonimo hotel. E’ Hospitality Suite di Roger Rueff, in scena al Piccolo Eliseo Patroni Griffi, dall’ 8 al 26 novembre, con Danilo Nigrelli e Massimo De Lorenzo, per la regia di Gianfranco Varetto. Nel lento fluire della giornata, tre venditori di lubrificanti, Phil e Larry, amici di vecchia data, e Bob il giovane, la matricola, si ritrovano in una stanza di albergo in attesa dell’affare della loro vita,quello che li porterà finalmente a fare il grande e tanto atteso salto. Tre vite, che l’attesa porterà ad un serrato e profondo confronto e ad un inevitabile smascheramento delle proprie antiche strutture, per giungere al fine alla reale essenza delle loro vite. Tre momenti cruciali e fondamentali per un solo vero ed unico protagonista: l’Uomo. Quell’uomo alle prese con il suo scandagliarsi nel difficile cammino della vita, dall’illusione alla disillusione, dall’attesa alla disattesa, attraverso i sogni, la fede, il disinganno, l’amarezza, il cinismo, la rabbia e l’inevitabile resa. Divertente, amaro, malinconico, ironico, questo testo si allinea nella migliore tradizione teatrale americana, quella di Miller e dei Mamet, dove la parola è tutto: azione e non azione, dove il destino dell’uomo viene disegnato con partecipata dolenza. Roger Rueff, uno dei più promettenti drammaturghi americani contemporanei, vincitore di numerosi riconoscimenti, in Hospitality Suite, riesce, con uno stile asciutto e semplice, nonché del tutto personale, a far vivere le nostre paure, le nostre occasioni, i nostri fallimenti, la nostra sete di risposte a un’esistenza costretta ad essere sempre e comunque vincente, perché questo è ciò che esige una società spietatamente selettiva che non concede ne alternative ne seconde opportunità a chi non è vincente, a coloro che non ce la fanno! Dunque per usare una metafora del celebre film “Il buono, il brutto, il cattivo”, di Sergio Leone: “Il mondo è diviso in due categorie, chi ha la pistola carica, e chi scava…” Una regia semplice e senza troppe pretese, ma forte di un testo che stringe l’anima e fa venir la rabbia, ma che allo stesso tempo diverte, facendo riflettere. Gli interpreti sono veri ed adeguati al personaggio. Uno spettacolo da vedere se non altro perché fa rivivere le nostre paure e, meglio di qualsiasi seduta da uno psicanalista, aiuta ad affrontarle o per lo meno a prenderne coscienza. Vincitori o vinti che si possa essere, lo spettacolo aiuta a riflettere sulla propria posizione e a guardare diversamente la posizione degli “uomini” che ci circondano.
maria antonietta AMENDUNI


11 Novembre 2006

Geronimo Stilton super show



Dal 16 novembre, Fabrizio Celestini & Andrea Maia Promnibus – ATI Il Sistina in collaborazione con International Characters presentano Geronimo Stilton Super Show. Un musical tutto dal vivo che ha per protagonista il personaggio più amato dai bambini: Geronimo Stilton. Ed ecco come Stilton presenta il suo spettacolo: “Cari amici roditori, permettete che mi presenti: il mio nome è Stilton, Geronimo Stilton, sono il direttore dell’Eco del Roditore, il giornale più fanoso dell’Isola dei Topi! Ho una sorpresa per tutti voi: io e i miei amici abbiamo deciso di raccontare le nostre avventure cantando e ballando dal vivo! E’ uno spettacolo coi baffi che vi farà arricciare la coda dal divertimento. Parola di roditore!” Uno spettacolo per i più piccoli ma che strizza l’occhio anche ai grandi; una bella idea per regalare a tutti i bambini appassionati del celebre roditore, una simpatica serata in sua compagnia. Un successo editoriale strepitoso, che ora approda dunque sul palcoscenico. Lo spettacolo sarà in scena dal martedì al sabato, al Teatro Sistina, alle ore 18,00 e la domenica alle ore 10,30 e 21,00
maria antonietta AMENDUNI


11 Novembre 2006

Teatro Tor Bella Monaca: da Shakespeare a Cyrano, la stagione continua

In meno di un anno, il teatro diretto da Michele Placido, ha conquistato il suo spazio nel panorama teatrale romano. Questo mese, in scena, “La bisbetica domata” con Tullio Solinghi, e il libero adattamento del “Cyrano”

Un Teatro nuovo e fuori dagli schemi, decentrato ma capace di diventare in nemmeno un anno di attività polo culturale di primo piano nella città di Roma ed oltre i suoi confini. Il Teatro Tor Bella Monaca, inaugurato nel dicembre 2005, ha definito in breve tempo la sua identità e trovato il suo pubblico, mettendosi subito in evidenza nel sistema degli spazi dedicati allo spettacolo dal vivo nella capitale. Dopo Peter brook ,a stagione prosegue con altre proposte inedite o ripescate dalla scorsa stagione. Il 14 e 15 novembre, arriva uno spettacolo già visto lo scorso anno ma che si rivede volentieri come La bisbetica domata di William Shakespeare, con Tullio Solinghi, per la regia di Matteo Tarasco Petruccio e Caterina, i protagonisti de La Bisbetica domata di Shakespeare, sono probabilmente i progenitori della genìa degli “amanti litigiosi”, quelle coppie che sembrano trovare nell’alterco e nel battibecco la dimensione aurea del loro amore. Testo giustamente celeberrimo e sempre in voga in tutto il mondo, trova nella versione firmata da Matteo Tarasco e interpretata da Tullio Solenghi una nuova coloratissima vitalità. Se infatti da una parte la scelta di una compagnia tutta maschile vuole recuperare filologicamente quella che era la consuetudine elisabettiana, dall’altra la chiave carnascialesca e genuinamente popolare restituisce il divertimento, l’ironia e la comicità di cui la commedia è intrisa. Il ritorno di Solenghi al teatro è quindi un vivacissimo classico, ben architettato sulle corde farsesche e al contempo misurate dell’attore genovese, che qui recupera anche il personaggio del barbone Sly, vittima di una burla di girovaghi commedianti che gli regalano per il tempo dello scherzo l’identità di Petruccio, spesso tagliato da molti allestimenti. Una lettura, quella del regista Tarasco, che pone al centro proprio Petruccio e non Caterina, coerentemente al titolo originale “The taming of the screw” letteralmente “L’addomesticamento della bisbetica”. La compagnia, composta da soli uomini, è affiatatissima e si avvale, tra gli altri, di Francesco Bonomo nel ruolo della bisbetica, Marco Cavicchioli e Giancarlo Condè, incorniciata dalle scene di Carmelo Giammello, dai pirotecnici costumi di Andrea Viotti e sostenuta dall’efficace traduzione di Masolino D’Amico. E per novembre non è tutto; dal 24 al 26 novembre, la rivisitazione di un classico del teatro: Cyrano, libero adattamento di Francesco Fanuele e Filippo D’Alessio dal Cyrano de Bergerac di E. Rostand con Gianluca Pizzetti e con: Roberta Terregna, Andrea Murchio, Mario Focardi, Alberto Mosca, Benedetto Cesarini, Marco Zordan, Francesca Callari, Roberto Andolfi, regia Filippo d’Alessio Un teatro vuoto, un attore e la sua solitudine, in una maturità artistica e umana che, tra realtà e finzione, lambisce progetti immaginati e desiderati. Persona e personaggio, sogno e necessità di essere poeta e spadaccino, anelito di libertà che muove guerra alla vita e al potere: questo o la follia che si dipana in un turbinio di sdoppiamenti tra ciò che si è recitato o vissuto. L’attore e Cyrano, protagonisti paralleli di tracce di vita lasciate indistinte tra la polvere di un palcoscenico, evocano in questo spettacolo firmato da Filippo d’Alessio ed interpretato da Gianluca Pizzetti realtà immaginate, spinte da una forza centripeta pronte a dar corpo a ciò che è vita mancante. L’atto creativo soffia la vita nell’impossibile incanto, desiderio e sogno che prendono corpo, voce e movimento e in un teatro, luogo di solitudini, nasce la poesia e lancia fendenti alla prigione dei sentimenti, aggredisce i fondamenti del potere e prende forma l’eroe di un romanzo che tra duelli, musiche, spari di cannone e stratagemmi alla luce della luna diviene figura emblematica dell’intellettuale “emarginato alla vita”, non per il naso, ma per scelta. Cyrano, con la sua geniale temerarietà segnato dalla drammaticità della sua fiera esistenza, vissuta pericolosamente all’insegna del non piegarsi mai alla mediocrità e alle convenienze, costi quel che costi, si fa mito e personaggio straordinariamente moderno.
maria antonietta AMENDUNI


8 Novembre 2006

Amori in disputa tra “Sesso e gelosia”.

In scena al Teatro Manzoni lo spettacolo, ambientato a Marsiglia anni 50/60, “Sesso e Gelosia” di Marc Camolettì, sono Carlo Alighiero, Patrizia Pellegrino e Denny Mendez.

Una nuova simpatica commedia sull’amore e tutte le sue conseguenze, piacevoli e non, in scena al Teatro Manzoni dal 31 ottobre al 26 novembre. Protagonisti dello spettacolo Sesso e Gelosia di Marc Camolettì, sono Carlo Alighiero, Patrizia Pellegrino e Denny Mendez con Massimo Abbate, Barbara Begala, Clara Costanzo; libero adattamento e regia Carlo Alighiero. Marc Camoletti autore francese di “pigiama per sei” di “boeing- boeing “ e di altre divertentissime commedie. Nell’adattamento di Carlo Alighiero l’azione si svolge a Marsiglia anni 50/60 . Siamo nell’attico studio- casa di Bernard Marcellinì ( Carlo Alighiero) e Jacqueline (Patrizia Pellegrino )sua moglie. Bernard è un boss dell’editoria musicale, un uomo d’affari non troppo limpidi in contatto con la mala marsigliese. Sua moglie Jacqueline, molto più giovane, lo cornifica da circa un mese... colpendo a fondo il suo prestigio. Per recuperarlo e ristabilire una dignità, decide di intervenire. Con un tranello convoca a casa sua l’amante di sua moglie Eduard Reignèr, (Massimo Abbate) sposato, sui 45/50 molto timido, si presenta all’appuntamento dove trova a riceverlo non Jacqueline come credeva, ma il marito che lo minaccia di morte. C’è un’alternativa.. per salvarsi la vita dovrà convincere sua moglie, ad andare a letto con lui. Per Bernard…. non saranno più corna, ma scambio, sull’esempio di notissime coppie di attori e scrittori. La sera Eduard si presenta a cena con la splendida moglie Vivienne ( Denny Mendez) . La serata si svolge tra colpi di scena e equivoci e sta per concludersi con la resa di Vivienne… Quando.. ad una spiritosa quanto improbabile cameriera, Maria-Concetta, (Barbara Begala) si presenta la vera moglie di Eduard Juliette Reignèr (Clara Costanzo). Vivienne è solo una compiacente amica di Eduard … A questo punto la vendetta deve essere consumata calda. Su pressione di Bernard la vera moglie Juliette, cambia trucco e look, si ferma a cena e viene presentata sotto falso nome. Suo marito però la riconosce o crede di riconoscerla, e ha quasi un infarto! Siamo solo a metà commedia, gli equivoci e il divertimento continuano… E’ necessaria la felicità per stare bene? Cos’è la felicitá? E l’armonia? E’ proprio vero il panta rei? Il vuoto e il nulla sono la stessa cosa? E’ giusto vivere nell’ hic e nunc o proiettati nel futuro, in quello che da ancora da venire?…si potrebbe continuare cosí all’infinito pensando a cause, effetti… origini, possibilitá. Solo nel dialogo, nella discussione si ampliano le proprie convinzioni o semplici idee che, volenti o nolenti sono e rimarranno sempre limitate. Più ci si confronta con altri, più ci si rende conto di quanto poco si sá e questo… é sempre bene ricordarselo. Ma cosa lega il sesso con la gelosia? La scintilla che innesca il fuoco della gelosia è senza dubbio il sospetto di tradimento, però tra uomini e donne è diversa la natura del tradimento che fa diventare gelosi. Secondo gli psicologi dell’università tedesca di Bielefeld, gli uomini diventano gelosi quando temono un tradimento fisico mentre la donna quando crede che il compagno si stia innamorando di un’altra persona. Lo studio è stato condotto in tre tappe e ha coinvolto circa 200 volontari ai quali è stato chiesto di reagire a determinate situazioni di infedeltà. Secondo gli studiosi, la spiegazione delle diverse cause scatenanti può essere originata dalla differenti funzionalità che i due sessi si sono dati a partire dalla preistoria. Gli scienziati spiegano che per una donna la mancanza di affetto e cura dei figli può significare grosse difficoltà, soprattutto in epoca antica. Viceversa dal punto di vista evolutivo all’uomo interessa che la partner sia fedele perché questo gli assicura che i figli sono suoi e quindi che non sprecherà energia in figli di qualcun altro. Lo spettacolo in se, non eccelle e gli interpreti non si può dire siano proprio nel personaggio. A tratti sembra eccessivamente farsesco, ma comunque adatto per trascorrere una serata spensierata. In scena al Teatro Manzoni (via Monte Zebio 14/c tel.06/3223634) dal 31 ottobre al 26 novembre. Orario spettacoli: dal martedì al venerdì ore 21, sabato ore 17 e ore 21, domenica ore 17.30. (giovedì 26 novembre ore 17 e ore 21)
maria antonietta AMENDUNI
8 Novembre 2006

Il lavoro quotidiano maniacale per raggiungere la perfezione

In scena al Teatro Eliseo “La forza dell’abitudine”. Alessandro Gassman, in una gran bella prova d’attore e regista, regala uno spettacolo che è una vera e propria perla di teatro.

L'unica possibilità vitale nella lotta per sopravvivere è l'arte come forza dell'abitudine, ci dice Thomas Bernhard. Ma quando questo lo si aggiunge ad uno spettacolo degno di essere chiamato tale, il connubio è perfetto. Dunque viva il caro buon vecchio teatro fatto come si deve! In questa rilettura del testo dello scrittore austriaco Alessandro Gassman, che si mette in gioco nel ruolo del direttore del circo e anche come regista, profonde una grande energia connotandolo come un giocoso, intenso e divertente apologo. E’ uno spettacolo affascinate quello in scena al Teatro Eliseo dal 7 al 19 novembre, La forza dell’abitudine di Thomas Bernhard, traduzione e adattamento di Alessandro Gassman e Carlo Alighiero, con Sergio Meogrossi, Paolo Fosso e con il circo di Walter, Giancarlo, Kevin e Aileen Colombaioni. Il lavoro quotidiano maniacale per raggiungere la perfezione viene preteso dal patron del circo come abitudine quotidiana, come forza dell'abitudine. I suoi circensi, il giocoliere, il domatore, la ballerina, il nano buffone, sono costretti a una impossibile ricerca della esemplare esecuzione del quintetto de La trota di Franz Schubert. Sforzo improbabile, inutile, che non porterà mai a un risultato perché la vita stessa di girovaghi che conducono, costellata di incidenti, dissapori, amarsi”. E più avanti: “dove non c’è amore, non c’è niente”, “L’amore è inquietudini, non lo può permettere. L'unico a non arrendersi è il direttore Caribaldi, convinto che fuori dalla perfezione non c'è vita. E così ogni giorno: un'altra città, un altro pubblico, un altro inutile tentativo di far raggiungere la compiutezza nell'arte. “La forza dell'abitudine è, come tutti i testi di Bernhard – scrive lo stesso Alessandro Gassman - una meravigliosa metafora della vita e dell'incapacità degli artisti a veder realizzata compiutamente la propria arte. Un'utopia che il nostro protagonista, il direttore Caribaldi, da anni non solo anela di raggiungere ma che tenta di imporre ai propri squinternati subalterni” Uno spettacolo in apparenza divertente e spensierato ma assolutamente ricco di sentimenti come afferma ancora lo stesso Gassman: “La comicità assurda che scaturisce dal gruppo di circensi descritti dall'autore, coinvolge inevitabilmente tutti noi: chi di noi non ha, almeno una volta nella vita, desiderato di raggiungere nell'arte, nel lavoro, mete più alte di quelle che prevedibilmente si era prefissato? Il raggiungimento della perfezione, senza compromessi, senza interruzioni, senza volgarità? Il mestiere dell'attore è curioso. Col passare del tempo, con l'accumularsi delle esperienze, può succedere, come è successo al sottoscritto, di cominciare a vedere i propri limiti, a non accettare più le proprie incapacità, a divenire curiosi del lavoro degli altri attori, a sentire forte la necessità di partecipare in altra maniera alla creazione di uno spettacolo. Quando a tutto ciò aggiungiamo l'amore, più che decennale, per un autore come Bernhard, il passo verso la regia diventa quasi una necessità”. Il tocco in più di questo testo e dello spettacolo poi, stà proprio nell’ambientazione: il circo! “Il Circo – come afferma Gassman - la cui arte è in via d'estinzione, dona all'autore e al regista infinite possibilità per far arrivare allo spettatore, amarsi”. E più avanti: “dove non c’è amore, non c’è niente”, “L’amore èdivertendo, il senso di impotenza che noi, artigiani dello spettacolo, proviamo di fronte all'avanzare della volgarità, della sordità, dell'appiattimento culturale favorito dai moderni mezzi di comunicazione. Il mio semplice intendimento sarà quello di far emergere la straordinaria capacità di Bernhard nel descrivere tutti noi, attraverso le ridicole e tenere imprese del direttore Caribaldi, del giocoliere, del domatore, della ballerina sul filo e del buffone. Il comico tentativo dei nostri eroi di suonare tutte le sere, dopo lo spettacolo, il quintetto de "La trota" di Schubert, l'incapacità tecnica e psicologica che li attanaglia, l'incomprensione per l'importanza della "missione", scatena nel direttore una rabbia crescente. La sua maniacale ansia di perfezione e lo sgomento di non riuscire nel suo intento, ne fanno un protagonista esilarante, a volte tirannico (nel quale onestamente mi riconosco, condividendone, ahimé, ansie e paure), al quale forse dovremmo tutti volere un po' bene”. Lo spettacolo diretto da Alessandro Gassman è un piccolo capolavoro. Ottima regia curata in ogni minimo particolare, spettacolo raffinato intelligente, piacevole! Lo steso Gassman da il meglio di se nella doppia veste di interprete e regista. Finalmente qualcuno che sa come si stà su un palcoscenico. Raffinato il lavoro sui cambi di registro. Belle anche le musiche e la scenografia. Ottimo cast; Sergio Meogrossi e Paolo Fosso sono esilaranti. Se proprio si vuol trovare un difetto, c’è solo un po’ di fatica nel far decollare lo spettacolo nei primi quindici minuti. E poi come non lodare chi finalmente ridà valore alla cara vecchia tradizione secondo la quale anche i ringraziamenti fanno parte dello spettacolo e pertanto devono avere una regia e non essere lasciati al caso!? Insomma, uno spettacolo che profuma di teatro!
maria antonietta AMENDUNI


4 Novembre 2006

Bassezze, nefandezze, vigliaccherie e… “Calcoli”

Al Teatro Comunale di Formello, Blas Roca Rey, Giancarlo Ratti, Lola Pagnani,Pierfrancesco Poggi, diretti da Gianni Clementi, sono i protagonisti di una amara commedia assurdamente attuale.

Le cronache estive, gli scandali scaturiti da intercettazioni bollenti di telefonini di teste pseudo coronate e non, rendono l’argomento di questo spettacolo di straordinaria attualità. Imbrogli e sotterfugi calcolati al millesimo, tutto per il proprio tornaconto personale. E’ la storia più vecchia del mondo ma sempre la più contemporanea. A raccontacela è Blas Roca Rey diretto da Gianni Clementi. Giunge al suo secondo appuntamento teatrale la ricca stagione del Teatro Comunale di Formello che offre ai suoi spettatori, in assoluta anteprima nazionale, un piccolo gioiello della commedia contemporanea firmata e diretta da Gianni Clementi, una sorta di “Presidentessa” dei nostri giorni, un po’ meno pochade, e decisamente più impegnata nonostante si rida e ci si diverta. Lo spettacolo in questione ha un titolo assolutamente indovinato: Calcoli, scritto e diretto da Gianni Clementi con quattro interpreti di tutto rispetto, Blas Roca Rey, Giancarlo Ratti, Lola Pagnani, Pierfrancesco Poggi. Un doppio appuntamento dunque da non perdere nel week end dell’11 e 12 novembre (Sabato 11 novembre h 20,45 - Domenica 12 novembre h 17,30). Una divertente quanto amara commedia assurdamente attuale per trama e contenuto: cosa può succedere se un Sottosegretario agli Esteri, all’insaputa della consorte e incurante deA?f?????C?­´????Alle contingenze internazionali nonchè dell’incombente campagna elettorale, decide di passare un weekend di fuoco con una valletta televisiva in uno chalet isolato di montagna, prestatogli dal suo portaborse? Tre icone (ahimè!) dei nostri tempi, costrette in uno spazio claustrofobico, noiosamente destinate a celebrare per l’ennesima volta un rito scontato. Ovviamente a scompaginare le carte in tavola, in un crescendo in bilico fra Thriller e commedia, ci penserà l’intruso di turno, ospite non atteso la cui presenza rivelerà allo spettatore bassezze, nefandezze, vigliaccherie e… “Calcoli”. Uno spettacolo da non lasciarsi sfuggire per tutta una serie di buoni motivi: si ride e ci si diverte, si ha la possibilità di passare una bella serata in uno spazio teatrale interessante a nord di Roma, il tutto condito da quattro interpreti decisamente interessanti che, inserendo l’anteprima assoluta dell’opera nella già prestigiosa stagione del Comunale di Formello, contribuiscono fortemente alla divulgazione di un teatro di qualità anche in provincia. Altro aspetto da non dimentica inoltre e che oltre alle risate, si ha la possibilità di riflettere poi a mente lucida su un argomento di straordinaria attualità.
maria antonietta AMENDUNI


4 Novembre 2006

Quella possibilità in più ai “Tempi supplementari”

In scena al Teatro Testaccio, Una storia comica, romantica, delicata, ma allo stesso tempo originale e dissacrante! La storia di un vecchio artista che scopre il piacere di poter ancora imparare dai giovani

Al Teatro Testaccio, dal 14 novembre, è tempo di “Tempi supplementari”, commedia scritta e diretta da Marco Falaguasta con Piero Scornavacchi, Danilo De Santis, Lucio Castagneti, Silvia Pasero, Silvia Catalano. Una storia comica, romantica, delicata, ma allo stesso tempo originale e dissacrante! La storia di un vecchio artista che scopre il piacere di poter ancora imparare dai giovani, oltre che trasmettere loro la sua immensa esperienza di vita! Una storia che ti farà venire il desiderio, guardandola, di ricominciare la tua vita, dal momento esatto nel quale hai cominciato a sbagliare! Alle volte l’incontro atteso con la persona giusta rende possibile questo privilegio. “Tempi supplementari è una storia che avevo già scritto – afferma Marco Falaguasta – dieci anni fa con l’innocenza e l’ingenuità del giovane autore che vuole raccontare una storia di nonni e di nipoti, una storia che fosse tenera, sentimentale, ma allo stesso tempo divertente e comica per certi versi. Così come siamo comici noi quando ci troviamo in situazioni non proprio consuete e quotidiane. Posso dire che l’esperimento è riuscito! Tempi supplementari è stata rappresentata in tante circostanze e mi ha dato sempre forti emozioni e grandi soddisfazioni. Ma adesso ho sentito l’esigenza di rimettere le mani su quel copione e farlo rivivere. Ne è uscita una storia nuova e diversa, migliorata dalla esperienza di autore, dalle tante regie che ho fatto nel corso di questi anni e, in sintesi dalla mia maturazione professionale. Del copione originario è rimasto solo il titolo, che non ho voluto cambiare per rispetto nei confronti del pubblico. Elvio è un vecchio musicista, direi meglio un artista a tutto tondo, che arrivato alle soglie della vecchiaia non sa più che suonare la sua musica. Quasi per caso, dopo tanti anni, rincontra i suoi nipoti, Giulio e Stefano, li aveva lasciati poco più che bambini, li ritrova uomini, con tutte le conseguenze annesse e connesse. Giorno dopo giorno, Elvio si domanda se, il tempo trascorso, i tanti avvenimenti successi, gli consentano o meno di recuperare il rapporto con i due ragazzi, nei confronti dei quali sente di avere una grossa colpa da farsi perdonare! Ritengo che l’originalità della commedia stia tutta in questo: senza nessuna presunzione giovanile, ho cercato di scrivere una storia libera dal solito _liché per il quale sono i giovani ad imparare dagli anziani. Qui invece, gli uni e gli altri, giovani e anziani, scoprono di potersi integrare e migliorare a vicenda. “Non è vero che sbagliano solo i giovani, hanno sbagliato anche i vecchi, quand’erano giovani e questo non va mai dimenticato, quando si parla con i nipoti”, dice Elvio nelle pieghe della storia. Tempi supplementari è una vicenda trasversale, adatta a tutti, giovani, anziani, medio giovani e giovani vecchi, a tutto coloro che vogliono divertirsi, emozionarsi e, perché no, commuoversi un po’! Chiudo ricordando la parte conclusiva di una recensione sulla precedente edizione di Tempi supplementari, il giornalista scriveva: “…sono uscito dalla sala con una diversa idea sulle persone anziane …..e soprattutto con la voglia di sentire subito i miei nonni”. In scena dal 14 novembre al 31 dicembre al Teatro Testaccio (via Romolo Gessi 8, tel.06/5755482). Dal martedì al sabato ore 21,15 domenica e festivi ore 18.15.
maria antonietta AMENDUNI


4 Novembre 2006

Storie di fantasmi in un pub irlandese

In scena al teatro India, lo spettacolo “La chiusa” di Conor McPherson, regia Valerio Rinasco. Una strana storia che dopo averla sentita nessuno e nulla sarà più come prima.

Prodotto dal Teatro Stabile di Genova, La chiusa (The Weir) di Conor McPherson ha debuttato alla fine dello scorso febbraio al Teatro Duse e inizia al teatro India di Roma (dall’8 al 19 Novembre 2006) la sua prima stagione in tournée. Interpreti di questa commedia insieme classica e moderna sono Ugo Maria Morosi, Lisa Galantini, Gianluca Gobbi, Davide Lorino e Enzo Paci. Regia di Valerio Binasco e traduzione di Fausto Paravidino. Le scene sono di Guido Fiorato, i costumi di Sandra Cardini e le luci di Sandro Sussi. Scritta da un giovane autore irlandese, La chiusa è stata rappresentata per la prima volta nel 1997 al Royal Court di Londra, ed è stata subito accolta con entusiasmo dalla critica inglese: «La chiusa è un moderno capolavoro», scrive "The Express", «ed è il mio candidato a essere il migliore del prossimo decennio. C'è un'accattivante e affascinante vena comica in questa commedia di McPherson che, a differenza di tanti altri testi irlandesi, non parla di tradimenti e di conflitti, ma di consolazione e di affinità umana. Sfido chiunque a rimane sulla sua poltrona con gli occhi asciutti». E questa storia di fantasmi che «parla di perdenti alla ricerca di un'anima gemella» diventa per il "Daily Telegraph" «un'opera delicata e costruita con leggerezza, dotata di un sempre convincente potere emozionale, che colpisce soprattutto per la sua capacità di trasformare in un istante l'ilarità in freddezza, la comicità nel sentimento di una sconfitta» ("Evening Standard"). La trama è semplice e si snoda in perfetta unità di tempo e di luogo. In un pub isolato dell’Irlanda occidentale, il barista e tre avventori locali fanno a gara per attirare l’attenzione di una nuova venuta, una ragazza bionda, raccontando storie spaventose e ossessionanti. Anche la donna però ha una sua storia da raccontare, e dopo averla sentita nessuno e nulla sarà più come prima. «The Weir – annota Valerio Binasco - è una bellissima pièce fatta di storie che cinque persone si trovano a raccontare, mentre bevono birra in un pub. Tutte le le cose ‘importanti’, i colpi di scena, ci sono già stati. Tranne uno. Il colpo di scena che costituirà l’elemento sconvolgente del finale. Nel piccolo pub di The Weir sincontrano persone che potranno divertirci e commuoverci, così come potrebbe divertirci e commuoverci la vita di ciascuno».A proposito di La chiusa, McPherson ha detto: «La chiusa trabocca di storie di fantasmi. A ispirarmi sono state probabilmente le visite a mio nonno a Leitrim. Viveva da solo in una piccola casa di campagna vicino al fiume Shannon. Ricordo che una volta mi ha detto che per lui era molto importante tenere la radio accesa perché gli dava la sensazione di essere in compagnia. Bevevamo qualcosa insieme e ci mettevamo a sedere di fronte al camino. E lui mi raccontava molte storie. Poi a letto, immerso nel buio silenzioso della campagna irlandese la fantasia si metteva a correre a briglia sciolta. Mi sono sempre sentito diverso in quel luogo. Riesco ancora a vedere mio nonno in piedi sul marciapiede della stazione. Mi salutava con la mano sempre troppo a lungo. Molto più a lungo di quanto non faccia una persona contenta di riavere finalmente la sua privacy». Nato a Dublino nel 1971, Conor McPherson è anche attore e regista teatrale e cinematografico (uscito lo scorso anno in Italia, il film Actors con Michael Caine porta la sua firma). Nel 2000, lo Stabile genovese propose in forma di "mise en espace" il suo Dublin Carol. Fra le altre opere teatrali di McPherson si ricordano Rum and Vodka (1992), The Good Thief (1994), This Lime Tree Browers (1995, tradotto in Italia con il titolo Il pergolato dei tigli), St. Nicholas (1997) e i più recenti Come Over (2001), Port Authority (2001), Shining City (2004).
maria antonietta AMENDUNI


4 Novembre 2006

L’insostenibile dolore della tragedia dei desaparecidos

In occasione del Processo ESMA che si terrà nei giorni 9 – 10 novembre nell’Aula Bunker di Rebibbia, Carlo Fineschi, propone la versione teatrale di “Garage Olimpo”, in scena al Teatro l’Orangerie.

Il 9 e 10 novembre prossimo, si terrà in Roma l'udienza preliminare del secondo processo italiano per la sparizione di detenuti italo-argentini negli anni della dittatura che governò l’Argentina dal 1976 al 1983. Il pubblico ministero (pm) Francesco Caporale aveva chiesto nel novembre 2004 il rinvio a giudizio dell'ammiraglio Emilio Massera (componente della Junta dittatoriale), del latitante Jorge Vildoza, ricercato in Spagna e Italia, dei già detenuti Jorge 'el Tigre' Acosta, comandante di nave, e Antonio Febrés, Antonio Vañek e Alfredo 'angel de la muerte' Astiz, con l'accusa di omicidio volontario premeditato di Angela Aieta, Giovanni e Susanna Pegoraro. Angela Aieta aveva 56 anni quando fu sequestrata il 5 agosto 1976 e portata alla Esma, Scuola di Meccanica dell'Aeronautica (la marina militare argentina), principale luogo di detenzione scelto dai militari. E' provato che venne torturata. Non se ne seppe più nulla. Voleva che le restituissero suo figlio Dante Gullo, attivista della Gioventù Peronista, arrestato nel 1975, che non venne liberato fino al ritorno della democrazia nell'ottobre 1983. Giovanni Pegoraro scomparve insieme con sua figlia il 18 giugno 1977. Susanna aveva 21 anni ed era incinta; il suo successivo omicidio e la sottrazione del figlio infante è stato provato dalle inchieste delle associazioni umanitarie argentine “Madre de Plaza de Mayo” e “Abuelas de Plaza de Mayo” ('Madri' e 'Nonne' della Plaza de Mayo di Buenos Aires). Tutto ha inizio il 24 marzo 1976, il generale Jorge Videla instaura il regime militare. Inizia la Guerra Sucia, "la guerra sporca": sequestri, sparizioni, esecuzioni sommarie e torture. Durante la dittatura oltre 5 mila persone vennero torturate negli edifici dell’Esma, si trattava di scuole e garage perlopiù; da li si organizzavano i vuelos della muerte: i prigionieri, drogati, legati e bendati, venivano gettati vivi sulle Ande o nell'Oceano. Da oltre ventanni le Abuelas, le Nonne che si riuniscono nella Plaza de Mayo - spiazzo di fronte alla Casa Rosada, il palazzo della presidenza - organizzano la battaglia legale per localizzare i desaparecidos, spesso figli o nipoti scomparsi e sottratti ai loro genitori dal regime militare. Marciano in silenzio, le cuffiette bianche sulla testa, da 1248 giovedì. Sono ancora in atto le complicate ricerche di centinaia di figli strappati dai militari ai genitori e adottati da alti ufficiali della dittatura. Gran parte delle vittime stanno apprendendo solo in questi tempi la vera storia della loro vita e della sorte dei loro veri genitori. "Sono cambiate molte cose da allora. Molti di noi non hanno più le stesse certezze, a volte nemmeno più le stesse idee. Eppure non vogliamo dimenticare. Abbiamo bisogno di ricordare. Più passa il tempo e più ne abbiamo bisogno......." Julio Velasco. Oggi i responsabili dello sterminio circolano liberamente per le strade, sequestratori, torturatori, colonnelli, generali. Capita di incontrarli in un bar, in un ristorante, in un cinema. Capita anche che qualcuno li riconosca e li insulti. In genere il criminale accenna un sorriso beffardo e si risiede a tavola, bene o male è soddisfatto di esser ancora qualcuno. Ecco cos'è l'impunità. "Quegli anni non furono solo l'oscura, pazzia dei militari. Gli orrori sono stati commessi a nome della società cristiana occidentale per cui il comunismo era sinonimo di demonio infernale. Dopo i voli della morte, piloti e militari si riunivano a pregare col cappellano militare". Sono le parole di Adolfo Perez Esquivel, 62 anni, Premio Nobel per la pace nel 1980. Tre anni prima era stato narcotizzato e messo su un "volo della morte". Torna indietro. Da questa storia Marco Bechis ne ha tratto un bellissimo film “Garage Olimpo”, presentato al Festival di Cannes nel 1999 e premiato da numerosi riconoscimenti in tutto il mondo e sostenuto dai volti noti di due attrici Chiara Caselli, nella parte di una rivoluzionaria, e Dominique Sanda, nel ruolo della madre della protagonista. Il film intende ricordare i trentamila cittadini sequestrati e fatti scomparire in Argentina fra il 1976 e il 1982 e cerca anche di dipingere un quadro sulla violenza e sulla dittatura adattabile ad altri contesti e altre epoche, ad altri fascismi e altri nazismi. Persone torturate e uccise mentre tutto il resto del mondo continuava e continua ancora a vivere nell'indifferenza o nell'inconsapevolezza. Gli "Hijos" ("Figli per l’identità e la giustizia, contro l'oblio e il silenzio), di fronte ad un paese (l'Argentina) che non sa o rimuove, si rassegna o perdona, agiscono e non perdonano. Sono i nipoti vivaci della protesta silenziosa delle madri della Plaza de Mayo. In mezzo c'è una generazione cancellata: i desaparecidos. La scelta di trasformare "Garage Olimpo" in un'opera teatrale, nasce da un'esigenza ben precisa e molto forte: non dimenticare. Per questo l'obiettivo più importante del progetto, regia di Carlo Fineschi e adattamento di Giancarlo Brancale, non è tanto raccontare la storia di Garage Olimpo, quanto il tentativo di farlo rivivere. Perché certe violenze e dittature non appartengano solo ad alcuni luoghi geografici e ciò che è accaduto in Argentina in quel periodo, può accadere a chiunque, in qualunque momento, in qualsiasi posto del mondo. Purtroppo la sentenza italiana non avrà valenza in Argentina; se i processati non compariranno, si emetteranno condanne in contumacia, come già è successo per l'altro processo. Ma la procedura argentina non prevede questo tipo di giudizio, per cui non riconoscerà le sentenze di Roma. “E' un peccato – dice Inocencia De Luca, membro delle 'Abuelas' – ma almeno un giudice, in qualche parte del mondo, avrà detto che questi assassini sono colpevoli”. Lo spettacolo sarà in scena il 9 novembre al Teatro l’Orangerie (Via Alessandro Volta 41a - Roma Testaccio), con Morgana Marchesi, Pino Di Persio, Camillo Ventola, Vito Mancusi, Marco Venienti, Carlo Fineschi
maria antonietta AMENDUNI


18 Ottobre 2006

Riapre i battenti il Teatro Rossini.

Dopo un periodo buio, il teatro al centro di roma ritorna alla luce, ristrutturato e con una nuova stagione tutta da ridere. Apre il cartellone lo spettacolo “Amore mio asciugami”.

Dopo un periodo in cui poco se n’è parlato, il Teatro Rossini, riapre ora i battenti. Dopo Alfiero Alfieri, che lo aveva diretto fino al 2005, la gestione è passata all’impresario Mario Smeriglio che, dopo aver restaurato interamente l’edificio, riapre il teatro il 28 Dicembre 2005 con la nuova denominazione: Rossini Renato Rascel nella speranza di divertire i romani con una comicità pulita, semplice, sana e spontanea. La stagione si è aperta il 10 ottobre con lo spettacolo in scena fino al 05 novembre 2006, Amore mio asciugami ! da Murray Schisgal, traduzione e adattamento di Coltorti e Pistoia, regia di Nicola Pistoia, con in scena Ennio Coltorti, Giuditta Saltarini, Nicola Pistoia. Dal 09 al 26 novembre 2006, Mario Scaccia con Edoardo Sala è in scena con Serata Romana “a spasso con Trilussa e Pascarella”, al piano Alessandro Panatteri, regia di Mario Scaccia. Dal 28 novembre 2006 al 01 gennaio 2007, è la volta di Carlo Croccolo in Miseria e Nobiltà di Eduardo Scarpetta, regia di Nicasio Anzelmo. Dal 05 al 28 gennaio 2007, Vito Cesaro, Carolina Marconi, Antonino Miele in La Capannina da Roussin, regia di Ciro Ceruti. Dal 30 gennaio al 25 febbraio 2007 è la volta di Pamela Prati e Paolo Malco in Ma dove vai tutta nuda?di Georges Feydeau, regia di Bruno Montefusco. Dal 01 al 25 marzo 2007, Silvio Spaccesi e Rosaura Marchi in Il Petto e la Coscia di Indro Montanelli, regia di Paolo Mosca. Seguirà dal 03 al 29 aprile 2007, Silvana De Santis, Fabio Ferrari, Cinzia Mascoli, Gianluca Ramazzotti in Va tutto storto, regia di Oliviere Lejeune. Si arriva poi al 02 maggio, con lo spettacolo in scena fino al 20 maggio 2007, dove Antonella Steni e Paolo Malco saranno interpreti di Edith Piaf je t’aime, spettacolo concerto, regia di Carlo Lizzani. A seguire Aspira polvere di stelle, di Dino Verde, regia di Andrea Spina. Ma torniamo allo spettacolo in scena in questi giorni che ha aperto la stagione. Si tratta appunto di Amore mio asciugami; “Un insieme di situazioni con un sapore di attualità – affermano Ennio Coltorti e Nicola Pistoia - non per i soliti discorsi che da anni si imbastiscono sulla crisi della coppia, sui guasti del consumismo etc., quanto per la diffusa sensazione di non felicità – del non “star bene” – e nel cercare di strappare qualcosa alla vita al di là della routine quotidiana che questo frenetico, folle mondo ci obbliga a vivere. E da cui oggi è quasi impossibile sfuggire. Un mondo, soprattutto, in cui la parola amore viene usata sempre più spesso a sproposito e ipocritamente (tanto che si era pensato in un primo tempo di intitolare lo spettacolo “Amore un corno!”). Il solito “Triangolo borghese” viene affrontato dall’autore in modo paradossale, ma proprio per questo ancora più legato alle realtà di questi tempi. Il tutto raccontato non in una chiave noiosamente realistica, ma con una recitazione ironica e un respiro arioso e scanzonato, nell’intento di far nascere il sorriso sulle labbra, ma quel tipo di sorriso che si tramuta in risata; una risata cosmica, spensierata e liberatoria. Walter, Elena e Tony con i loro egoismi, i loro tic, le loro fissazioni e frustrazioni si rincorrono, si perdono, si ritrovano sempre più freneticamente. Il loro comico agitarsi sulla scena diventa via via sempre più farsesco. Come accade spesso nella vita”. La storia del Teatro Rossini Il teatro Rossini si trova in Piazza Santa Chiara, 14, vicino al Pantheon. Il palazzo che lo ospita risale alla metà del ‘600, e fu costruito nel punto dove si trovavano alcune casupole ospitanti le suore Domenicane, tra cui quella in cui nel 1380 morì Santa Caterina da Siena ( oggi trasformata in cappella). La proprietaria dell’immobile, l’Arciconfraternita della Santissima Annunziata, nel 1873 concesse, in affitto per 23 anni, una parte del palazzo a degli impresari romani che ne fecero un teatro “per rappresentazioni diurne e notturne” e per il quale spesero “ la gravissima somma 100.000 Lire” . il Rossini, opera di Virgilio Vespignani ( che aveva l’ingresso ove oggi è la holl dell’albergo Danta Chiara) venne inaugurato il 7 febbraio 1874 alla presenza dei futuri reali di Ialia e delle massime autorità cittadine e nobiliari. I cronisti dell’epoca scrissero: “È un teatrino elegantissimo”; “ Bellissima quella scatola di canditi che si chiama Rossini”. Il Teatro disponeva 600 posti: 70 in sala e i rimanenti nelle due file di palchi e del loggione. Nei primi tempi si alternavano opere liriche ( Rossini, Verdi , Bellini) a spettacoli di arte varia, ma il 19 gennaio del 1879, per la prima volta, venne rappresentata un’operetta romanesca “ Meo Patacca” interpretatala Filippo Tamburri, il più importante attore dialettale dell’epoca. Da allora il Rossini divenne la culla del dialetto romanesco e, sostenuta da Giggi Zanazzo, commediografo e direttore del giornale Rugantino, la programmazione del teatro fu un susseguirsi di commedie e operette vernacolari romane, tra le quali anche “ Er Marchese der Grillo” di Berardi- Mascetti. Ma il 20 Aprile 1886 il teatro tornò alla Santissima Annunziata che, abbattute le file dei palchetti e del loggione, ne fece prima la sede della Libreria Declè e poi l’archivio dell’Arciconfraternita. È doveroso ricordare che nel periodo dell’Ottocento valenti artisti,come Adelaie Ristori, Leopoldo Fregoli e Lina Cavalieri, calcarono le scene del Rossini. Il 21 aprile 1950, come per incanto, riapre i battenti l’antico teatro Rossini ad opera di Checco Durante, attore e poeta dialettale romano. La maggior parte delle opere rappresentate dal nuova capocomico sono scritte da romani veraci ad altre adattate al dialetto dal “Sor Checco”. Il successo è enorme e la direzione è costretta addirittura a programmare due spettacoli, oltre al giovedì e al sabato, anche la domenica! Agli inizi del 1976 muore Checco Durante e la direzione passa alla moglie Anita e al genero Enzo Liberti. Il gruppo diviene allora “ Compagnia Stabile del teatro di Roma Checco Durante” e il cartellone si arricchì di alcune bellissime commedie scritte da Liberti, che però, scomparve nel 1986. Nel 1992 , Anita abbandona le scene e Alfieri continua da solo fino al 2005. La gestione passa quindi all’impresario Mario Smeriglio che, dopo aver restaurato interamente l’edificio, riapre il teatro il 28 Dicembre 2005 con la nuova denominazione: Rossini Renato Rascel nella speranza di divertire i romani con una comicità pulita, semplice, sana e spontanea.
maria antonietta AMENDUNI


13 Ottobre 2006

Il senso di giustizia popolare secondo “Liolà”

In scena al Politeama Brancaccio, un travolgente Gianfranco Iannuzzo è protagonista del capolavoro Pirandelliano, direttp da Gigi Proietti; in scena anche Manuela Arcuri.

Un testo che è un capolavoro della drammaturgia Pirandelliana, amatissimo dal pubblico e dal suo stesso autore che lo definiva uno dei testi ai quali era più affezionato. E’ Liolà di Luigi Pirandello, in scena al Teatro Politeama Brancaccio dal 4 al 29 ottobre. Lo spettacolo diretto da Gigi Proietti, vede protagonista un travolgente Gianfranco Iannuzzo con Manuela Arcuri; Piacevolissimo tutto il cast composto inoltre da Guia Ielo, nel ruolo di Zia Croce e Turi Catanzaro nel ruolo di Zio Simone, insieme a Lucia Guzzardi, Nellina Laganà, Giovanna Centamore, Veronica Milaneschi, Aurora Peres e Antonella Scimemi. La trama è nota. Liolà”, commedia d’ambiente siciliano, narra di un dongiovanni campagnolo, che con il suo comportamento mette allegramente a soqquadro il microcosmo in cui vive. Egli è immune dalla brama di benessere materiale che assilla la società dell’epoca. Una società di tipo verghiano per gli interessi da cui è dominata, nonché per la corale partecipazione agli avvenimenti. Tutta pirandelliana è però la conclusione che balena con chiarezza: il trasgressore delle regole è l’unico veramente buono e generoso, gli altri sono interessati, egoisti e gretti. Tuzza, incinta di Liolà suggerisce allo Zio Simone di attribuirsi la paternità del figlio che ha in grembo, mettendo così a tacere le male lingue. In questo modo Tuzza pensa di assicurarsi l’avvenire e di vendicarsi non solo di Liolà, ma anche di Mita che ha sposato il vecchio benestante, creandosi una posizione alla quale lei stessa aspirava. Il piano è ben congegnato, la povera Mita è malmenata e cacciata di casa dal marito. Liolà la salva mettendola incinta, e il vecchio Zio Simone se la riprende in casa, preferendo questa paternità a quella illegale procuratagli dalla Tuzza. Senza rendersene conto un senso di giustizia lo spinge a ristabilire la situazione a favore di chi era stata danneggiata ingiustamente, e contro chi ha usato la malizia e la frode. Proprio in questa inconsapevole innocenza è la sua gioia di vivere. “Liolà” è una delle delle commedie più amate da Pirandello che affermava fosse, dopo “Il fu Mattia Pascal”, la cosa a cui teneva di più. Al figlio Stefano racconta: “Il protagonista è un contadino poeta, ebbro di sole, e tutta la commedia è piena di canti e di sole. E’ così gioconda, che non pare opera mia”. “Troppe cose importanti si sono dette su Pirandello, perché io ardisca aggiungere altro – scrive Gigi Proietti - ed è curioso che tutti gli sudi, gli approfondimenti sulla sua poetica siano condivisibili anche se, a volte, opposti l’uno all’altro: “teatro di parola ma a suo modo gestuale”, “teatro del dolore ma ironico” o meglio “umoristico”, “specchio della realtà o specchio della stessa finzione”, “critica sociale della borghesia”, “curiosa contaminatio di tragico e comico”, “indagine introspettiva dell’uomo singolo contrapposto alla società fatta di singoli diversi ma uguali..”. Liolà c’entra in tutto questo? Pirandello, in seguito, a quell’ambiente contadino, a quei personaggi solari, a quelle fertilità a quei balli e canti preferì il mondo borghese più nascosto, claustrofobico. Ma ancora di più, qui, in Liolà, si comprende come l’ipocrisia, l’interesse gretto e meschino e il cinismo siano propri dell’animo umano e non soltanto del borghese, piccolo o alto che sia. E qui più si evidenzia l’autore “umoristico” (è di pochi anni prima il suo saggio sull’Umorismo) che alterna e mescola cattiveria e pietas, avarizia e generosità, allegria e calcolo e, insomma (per far contenti tutti) realtà e apparenza. Eppure Liolà è leggero quasi vola. La fertilità, il mito della Terra, e dei campi, la felicità sono strascichi di un mondo pagano che sembrano essere ironizzati e quasi derisi fino ad un finale che non ce la fa ad essere tragedia, ma che la sfiora o meglio la graffia. Quindi testo tutt’altro che univoco, permeato com’è da una serie di ironiche evocazioni visive, balli campestri, passioni, Marie, vendemmie. Microcosmo femminile, gineceo all’interno di un mondo culturale e di una società (quella agricola) che sta per dissolversi. Prospettive per il futuro? Insegnare ai figli a cantare…Ecco: avere presenti queste semplicissime riflessioni mentre si cerca di convincere gli attori ad essere tanto finti da sembrare veri (o viceversa…) è il progetto di lavoro della regia”. Che dire dello spettacolo!? La regia di Proietti è come sempre curata in ogni minimo particolare, nonostante l’assortimento dei personaggi non sia equilibrato. Infatti ad un brillante e perfetto Iannuzzo, fa da contrappeso Manuela Arcuri, che non si può dire sia adatta al ruolo, e nonostante risulti simpatica e ben diretta, perde spesso di intensità nel personaggio. Molto divertenti nei loro ruoli Guia Ielo e Turi Catanzaro. Simpaticissima Giovanna Centamore. Tutto sommato lo spettacolo regge bene, e grazie al fatto che con un testo come questo non ci si annoia mai, e soprattutto grazie a Gianfranco Iannuzzo che trascina cast e spettacolo in maniera impeccabile.
maria antonietta AMENDUNI


13 Ottobre 2006

Il teatro dei ghetti neri dell’apartheid, secondo Peter Brook

Il grande regista anglosassone torna al suo grande amore per i testi nati nelle townships sudafricane, è lo fa al Teatro Tor Bella Monaca, con lo spettacolo Sizwe Banzi est mort.

Tor Bella Monaca schiude le porte all’internazionalità e, a meno di un anno dalla sua inaugurazione, diventa già palcoscenico per i grandi maestri della scena mondiale. Un Teatro nuovo e fuori dagli schemi, decentrato ma capace di diventare in nemmeno un anno di attività polo culturale di primo piano nella città di Roma ed oltre i suoi confini. Il Teatro Tor Bella Monaca, inaugurato nel dicembre 2005, ha definito in breve tempo la sua identità e trovato il suo pubblico, mettendosi subito in evidenza nel sistema degli spazi dedicati allo spettacolo dal vivo nella capitale. Al termine di una lunga tournée mondiale, e in prima nazionale assoluta per l’Italia arriva dunque, nella nuova struttura polifunzionale di Roma delle Torri, lo spettacolo Sizwe Banzi est mort, con la regia di uno dei mostri sacri del teatro mondiale: Peter Brook. Dal 7 all’11 novembre dunque, Roma ospiterà questo nuovo grande spettacolo Sizwe Banzi est mort, di Athol Fugard, John Kani, Winston Ntshona adattamento francese Marie-Hélène Estienne, con Habib Dembélé, Pitcho Womba Konga. Un appuntamento importantissimo per la stagione teatrale romana, una prima nazionale, spettacolo in lingua francese con sovratitoli in italiano. Dopo essersi misurato con le sue radici russe, mettendo in scena l’intenso monologo del Grande Inquisitore, da Dostoewski, sp?ettacolo presentato al Teatro Valle nel corso della passata stagione, il grande regista anglosassone torna al suo grande amore per i testi nati nelle townships sudafricane. Il teatro dei ghetti neri dell’apartheid, possiede, agli occhi di Brook, una qualità enorme che è quella di trattare i drammi più strazianti della umiliazione, del sopruso e dell’ingiustizia sociale con un tono leggero e la crudeltà del riso, senza per questo rendere meno potente l’atto di accusa, seguendo il principio per cui la vita e la capacità di andare avanti sono più forti – sempre- di qualunque immaginabile infelicità. Il teatro delle township mostra anche, secondo Brook, cosa può essere un vero teatro totale, non nel senso abusato della mescolanza dei generi, ma perché totalmente in contatto con le esigenze sue proprie e quelle del pubblico, che di questo teatro è testimone e soggetto di ispirazione, nell’abbietto regime imposto dagli afrikaaner. Dopo Woza Albert e il più recente Le costume, il maestro ritorna dunque all’opera di Athol Fugard, uno dei massimi esponenti del teatro delle township, e autore anche di romanzi, uno dei quali ha ispirato il film Il suo nome è Tsotsi, vincitore quest’anno dell’Oscar come miglior film straniero. Siswe Banzi è un sudafricano che lascia il suo villaggio, sua moglie e i quattro figli per emigrare ad Elisabeth Town, alla ricerca di un lavoro. E di un futuro migliore per la sua famiglia. Ma trovarsi senza documenti nel Sud Africa dell’apartheid significa non esistere. Un amico lo convince dunque ad usare il pass di una persona trovata morta per strada: Siswe Banzi è costretto a morire per continuare a vivere… Ad Habib Dembelé (detto Guimba), che ha già recitato in Tierno Bokar e nella Tragèdie d’Hamlet con la regia di Brook, e a Pitcho Womba Konga, attore cantante anche lui presente in Tierno Bokar, tocca il compito di farci rivivere con umorismo mai ?rassegnato, con leggerezza che non è sottomissione, gli infiniti drammi di una condizione sociale e politica che le Nazioni Unite hanno, recentemente, definito un crimine contro l’umanità. Il passaggio dello spettacolo Sizwe Banzi est mort al teatro di Tor Bella Monaca sarà inoltre l’occasione di una pluralità di incontri con gli studenti dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e l’associazionismo locale. Si terrà inoltre un atelier rivolto a un gruppo di studenti dell’Istituto Comprensivo “Antonio De Curtis”.
maria antonietta AMENDUNI


8 Ottobre 2006

Uno spettacolo “A PORTE CHIUSE”

Nello spazio scenico raccolto ed intimistico del Teatro Stanze Segrete, in scena dal 17 ottobre al 5 novembre l’atto unico di uno dei protagonisti della grande stagione dell’esistenzialismo letterario e filosofico: Jean-Paul Sartre

In scena dal 17 ottobre al 5 novembre l’atto unico di uno dei protagonisti della grande stagione dell’esistenzialismo letterario e filosofico: Jean-Paul Sartre. Nello spazio scenico raccolto ed intimistico del Teatro Stanze Segrete, diretto da Ennio Coltorti, viene rappresentato questo piccolo capolavoro del grande scrittore francese, vincitore del premio Nobel nel 1963 (da lui anche rifiutato criticamente). Questo lavoro teatrale fu composto nel 1945, in un periodo di generale riflessione dopo la seconda guerra mondiale, che permetteva a Sartre di riportare sulla carta la sua chiave di lettura della società contemporanea, la sua filosofia della libertà, l’esigenza per l’uomo di costruirsi la propria vita ed il proprio destino senza curarsi troppo di ciò che proviene dall’esterno, spesso causato da invidia e meschinità, da società repressive e bigotte. Da qui, come evidenziato in questa pièce, i processi e le critiche da parte degli altri, l’Inferno visto come luogo dove prevale l’umana incapacità di comprensione e compassione per gli altri, il prevalere di uno spirito di condanna e sensazione di solitudine. Marco Blanchi, Claudia Mei Pastorelli e Marika Murri danno corpo e voce ai personaggi sartriani, in un allestimento estremamente suggestivo e concentrato, diretto da Carlotta Corradi. L’allestimento è un vero e proprio omaggio alla grandezza di Sartre e del suo pensiero, un esempio di teatro emotivo e razionale al tempo stesso, la rivincita del teatro di parola e d’autore sulla superficialità dei nostri tempi. “Infiniti sono gli abiti di cui si veste l’Inferno nella nostra immaginazione- afferma la regista Carlotta Corradi - ma l’Inferno altro non è che quello che viviamo in vita ancor prima d’esser morti. “L’inferno sono gli altri”, scrive Sartre, altri esseri umani che con le loro insicurezze, con i loro giudizi e con il loro egoismo ci rendono la vita difficile e ci impediscono di evadere da noi stessi. E’ così che l’Inferno di Sartre non è molto più di una piccola stanza semiarredata, spogliata degli elementi tipici che caratterizzano l’Inferno nell’immaginario collettivo. I protagonisti sono tre: due donne e un uomo. Garcin, Estella e Inés, nuovi inquilini di questo luogo oscuro, si ritrovano così a dover vivere insieme il resto della loro “assenza” dal mondo dei vivi, senza pause, senza notte, senza il battere delle palpebre che dà un respiro alla vita terrena. Ognuno di loro è il boia per l’altro, un pregiudizio da infrangere per riscattarsi dalle proprie colpe in terra. Le persone che hanno lasciato nel mondo dei vivi sono le stesse che ora li disprezzano o li dimenticano; così la loro redenzione si gioca tutta a porte chiuse all'interno di questa stanza. Passano mesi, il tempo scorre veloce incalzando il ritmo delle loro discussioni, fino al punto in cui il meccanismo di accusa e assoluzione che rincorrono diventa un percorso estenuante e senza fine: un Inferno dettato dal giudizio degli altri. L’allestimento dell’opera cerca di restituire a una situazione surreale il realismo di una sensazione interiore. La stanza che contiene tra le pareti i segreti dei protagonisti non è altro che uno spazio interiore, disturbato solo dalla possibilità che gli altri ti guardino dentro come da un buco della serratura. La sonorizzazione che accompagna il viaggio dei personaggi verso una verità che hanno spesso occultato è frutto della ricerca musicale del compositore Roberto Fiore che interpreta l’inquietudine dei protagonisti”.
maria antonietta AMENDUNI


8 Ottobre 2006

La donna serpente

I“Ovvero dall’ignoto deserto della Cina al vasto regno d’Eldorado, occulto al mondo tutto”; questo è il curioso sottotitolo dello spettacolo in scena al Teatro Valle, diretto da Giuseppe Emiliani.

Un’apertura di stagione che celebra la grande tradizione del Teatro Italiano, quella del Teatro Valle di Roma, che dedica alla nostra drammaturgia, di ieri e di oggi, la sua ricca e diversificata proposta di spettacoli. Avviato come studio in occasione del Carnevale del Teatro diretto da Maurizio Scaparro, lo spettacolo La Donna Serpente di Carlo Gozzi approda adesso sulle scene del Valle, dopo aver visto il suo compimento alla Biennale di Venezia. Supportato dal fervido creatore di immagini Graziano Gregori, Giuseppe Emiliani, che qui firma la regia e l’adattamento del testo, sceglie di far rivivere quest’opera in una dimensione metateatrale, attraverso le immaginarie prove di un gruppo di attori degli anni Trenta o ‘giù di lì’. Una fiaba teatrale tragicomica con Marcello Bartoli (Capocomico, Pantalone), Marta Paola Richeldi (Cherestanì), Erika Urban (Farruscad), Lino Spadaro (Togrul, Geonca), Giorgio Bertan (Brighella, rumorista), Alberto Fasoli (Truffaldino, Bedredino, Badur), Michela Mocchiutti (Canzade, Farzana, Rezia). Al realismo della rappresentazione della società borghese veneziana, Gozzi opponeva un teatro di fantasia e di immaginazione e, con fare aristocratico, l’autore offriva gratuitamente alle compagnie le sue Fiabe teatrali, in opposizione al rivale Goldoni che del teatro aveva fatto la sua professione. Se il tempo ha visto prevalere, almeno in termini numerici, l’interesse per il ‘realismo’ goldoniano, non si può non trovare stimolante il giudizio del De Sanctis che scriveva: “Gozzi parea a quel tempo un retrivo, e Goldoni un riformatore; pure avrei desiderato a Goldoni un po’ di quella fibra rivoluzionaria ch’era in quel retrivo”. La fantasia di Gozzi, le cui commedie sono state anche la base per diverse opere musicali – basti pensare alla Turandot di Puccini – si scatena qui in un gioco scenico che ha come evidenti obiettivi l’incantesimo, la composizione magica, il ‘mirabile’. La caleidoscopica trama vede, nel suo nucleo centrale, la fata Cherestani farsi mortale per amore di un re, e divenire serpente a causa di un incantesimo da cui sarà liberata solo dal bacio dell’amato. Marcello Bartoli, affiancato da un gruppo di instancabili attori, è il mesto capocomico della compagnia, ma entra ed esce con sicurezza anche dai confini della recita nella quale interpreta il ruolo di Pantalone. Nel labirintico intreccio del testo, Gozzi è abilissimo nell’alternare ironia drammatica a comica tensione e lo spettacolo ben asseconda la vena dell’autore con un trionfo di mutamenti scenici a vista, costumi esuberanti, a firma di Carla Teti, metamorfiche sfumature sonore e spettacolari che non possono non coinvolgere e incantare per la trascinante freschezza d’invenzione e la ricchezza debordante di soluzioni espressive. In scena al Teatro Valle dall’11 al 22 ottobre.
maria antonietta AMENDUNI


Ottobre 2006

La ricchissima stagione 2006/2007 del teatro Tor bella monaca

Il Teatro Tor Bella Monaca, inaugurato nel dicembre 2005, ha definito in breve tempo la sua identità e trovato il suo pubblico, mettendosi subito in evidenza nel sistema degli spazi dedicati allo spettacolo dal vivo nella capitale.

Presentata la stagione del Teatro di Tor Bella Monaca, teatro che in un anno è divenuto un’istituzione nel panorama culturale romano; presenti tra gli altri alla conferenze, il Sindaco di Roma Walter Veltroni, il Direttore Artistico del Teatro Tor Bella Monaca Michele Placido, l’Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Roma Gianni Borgna, il Presidente dell’Ente Teatrale Italiano Giuseppe Terrazza, l’Assessore alle Politiche Culturali della Regione Lazio Giulia Rodano. Un Teatro nuovo e fuori dagli schemi, decentrato ma capace di diventare in nemmeno un anno di attività polo culturale di primo piano nella città di Roma ed oltre i suoi confini. Il Teatro Tor Bella Monaca, inaugurato nel dicembre 2005, ha definito in breve tempo la sua identità e trovato il suo pubblico, mettendosi subito in evidenza nel sistema degli spazi dedicati allo spettacolo dal vivo nella capitale. Così gli enti promotori e sostenitori - il Comune di Roma, l’Ente Teatrale Italiano, la Regione Lazio e l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata –, e il direttore artistico Michele Placido confermano l’impegno in un’azione coordinata di gestione e programmazione delle attività ospitate nel teatro, vero e proprio cuore culturale del Municipio delle Torri. Il Teatro Tor Bella Monaca si appresta ad affrontare la sua seconda stagione, lunga nove mesi, da ottobre a giugno. Il cartellone 2006/2007, ricco ed eterogeneo, avrà un prologo speciale nel segno dell’internazionalità, che colloca definitivamente questo spazio tra i luoghi scelti per ospitare grandi eventi: dal 16 al 19 ottobre Cinema. Festa Internazionale di Roma sbarca a Tor Bella Monaca, con il suo carico di film,. Dal 15 al 17 dicembre, presso il Teatro di Tor Bella Monaca si terrà inoltre un convegno intitolato Lo stato della riflessione su Rossellini in Italia, organizzato dalla Fondazione Roberto Rossellini. La stagione di prosa - che entra invece nel vivo a fine ottobre – “emoziona” ancora, accogliendo i grandi protagonisti della scena nazionale, spettacoli già visti e non, per un teatro di segno contemporaneo anche nella rilettura dei classici: dai Sei personaggi in cerca d’autore firmati da Carlo Cecchi alla Bisbetica Domata filologicamente interpretata da Tullio Solenghi, dal Decameron diretto da Alessandro Fabrizi a Silvio Orlando protagonista di Questi fantasmi! di De Filippo, per arrivare alle due prove shakespeariane di Giuseppe Marini, che porta in scena prima Sogno di una notte di mezza estate e poi la sua ultima produzione, Amleto. E nel cartellone trovano spazio anche due proposte d’autori d’oggi, portati in scena da attori monologanti, capaci di parlare delle diverse criticità del mondo del lavoro senza rinunciare al sorriso. Neri Marcoré fa sua l’ironia di Daniel Pennac in La lunga notte del dottor Galvan, mentre Paola Cortellesi con le sue doti trasformistiche denuncia il problema della precarietà in Gli Ultimi saranno ultimi di Massimiliano Bruno. Ma l’appuntamento che apre Tor Bella Monaca alla scena internazionale, quella dei grandi maestri, è una straordinaria prima nazionale in esclusiva romana: a novembre la sala grande del teatro ospiterà l’ultima creazione del mito vivente del teatro mondiale, Peter Brook, Sizwe banzi est mort, di Athol Fugard, (uno dei massimi drammaturghi ed autori sudafricani), John Kani e Winston Ntshona, tradotto e adattato in francese da Marie-Hélène Estienne, ed interpretato da Habib Dembelé e Pitcho Womba Konga. Uno spettacolo incentrato sui drammi quotidiani dei ghetti neri dell’apartheid, un esempio imprescindibile di teatro totale, che con un tono leggero e la crudeltà del riso sa trattare i drammi più strazianti dell’umiliazione e del sopruso, e che vede il ritorno di Brook al suo grande amore per i testi nati nelle townships del sud Africa. Grande prosa quindi, e naturalmente grande musica, scelta spesso per celebrare le giornate di festa: non mancheranno i concerti e i recital in questa stagione del Teatro Tor Bella Monaca, che inaugura il cartellone con Garinei! Giovannini! Kramer! In Jazz!!!; e ancora, l’omaggio nell’anno mozartiano della Roma Sinfonietta, che presenterà l’opera Il Re Pastore, il 1° gennaio Clarae Voces in concerto saluteranno il nuovo anno; il 14 febbraio il recital di Davide Cavuti con Michele Placido, Amori e fulgori dannunziani; l’8 marzo sarà tutto dedicato all’universo femminile, con il recital Tango – La donna vestita di sole, sempre di Cavuti, con l’interpretazione di Caterina Vertova. Varia e ricca di stimoli anche la proposta per i ragazzi: è il caso de Il Piccolo Principe della compagnia Mannini-Dall’Orto o di Alice e le meraviglie di Oda Teatro/Cerchio di Gesso, di Cappuccetto Rosso proposto dal Kismet e ancora di A Brema! della compagnia Melarancio e Il gatto con gli stivali portato in scena da Bollicine. Dall’altra, invece, le creazioni s’ispirano a degli oggetti, quotidiani o di un recente passato, per raccontare storie singolari e suggestive: da Una Topolino alle Mille Miglia del Teatro Giocovita, al Diario segreto sfogliato da La città del teatro/Fondazione Sipario Toscana, dal Mangiadisk riscoperto da Koreja, per finire con la storia di Un cappello Borsalino del Teatro del Rimbalzo. Tutto questo e molto altro ancora è il pianeta Tor Bella Monaca 2006/2007 maria antonietta AMENDUNI


Ottobre 2006

Come sempre, sale “La febbre del sabato sera”!

Nella Latin-american edition 2006: Il famoso musical torna in Italia in un'edizione completamente rinnovata e con le star del fortunato programma 'Ballando con le stelle'

Samanta Togni (maestra di Frizzi), l'eccentrico Andrea Placidi (partner della Ferrari) e la frizzante Denise Abrate (compagna di Igor Cassina). E alcuni dei maestri dell'edizione di quest'anno : il vincitore Raimondo Todaro (partner di Miss Italia Cristina C?hiabotto), il magnetico Samuel Peron (maestro della sensuale Loredana Cannata), l'affascinante ballerina russa Natalia Titova. Grande novità dell'edizione 2006 sarà appunto la riedizione di tutte le coreografie in chiave latino-americana con la partecipazione di tutti ballerini professionisti del mondo della danza sportiva e con la partecipazione straordinaria della rivelazione di questa edizione della trasmissione : il vulcanico Stefano Masciarelli nel ruolo del DJ Monty. Rimarranno intatte le atmosfere anni '70 tipiche della pellicola di John Badham che lanciò John Travolta, così come le sonorità tipiche di quei tempi restituite dall'impeccabile falsetto stile Bee Gees di Paride Acacia, Francesco Regina e Max Giusto (già interpreti del trio Gibb nella precedente edizione). La Regia e l'adattamento dei dialoghi in italiano (canzoni in inglese) saranno di Massimo Romeo Piparo. Cast: Simone Di Pasquale (Tony), Natalia Titova (Stephanie), Lucio Cocchi (Bobby), Ilario Parise (Double J), Andrea Placidi (Joey), Denise Abrate (Annette), Samanta Togni (Connie), Valentina Vincenzi (Doreen), Alessandro Tinchini (Fusco), Massimiliano Giusto (Il padre), Carla Castelli (La madre), Raimondo Todaro. Corpo di ballo: Samuel Peron, Gabriela Valiukaitè, Vincenzo Minieri, Raimondo Todaro, Ilaria Segoni, Fabrizio Graziani, Stefano Oradei, Alessandra Mason. E si sa, sarà nuovamente un successo perché i ballerini della fortunata trasmissione di rai 1 piacciono tanto ma soprattutto perché Saturday Night Fever è stata,nei mitici anni '70,un'icona per tutti gli adolescenti topi di discoteca che trascorrevano ogni sabato sera,esattamente dalle 0.00 alle 6.00 a scatenarsi sulle coloratissime piste da ballo,esattamente come il mitico Tony Manero,interpretato da un John Travolta ventitreenne al suo primo ruolo da protagonista. E comedimenticare, un film davvero spettacolare, concentrato in un momento della vita che ben pochi,anzi nessuno si era mai messo in testa di sviluppare...e cioè proprio quello del sabato sera! un must ormai per ?molti giovani,che si riconoscono nel film! Un personaggio, che matura di attimo in attimo, passando da atteggiamenti spavaldi e da "capetto" ad altri di persona davvero matura, conoscendo una ragazza piu grande...insomma comincia ad essere se stesso! qual era la scena piu bella? logicamente quando si preparava...sembrava quasi un film d azione, proprio come se dovesse uscire per una missione di guerra..e invece era proprio per il sabato sera!
maria antonietta AMENDUNI


8 Ottobre 2006

Il fascino intramontabile e il mito di Dalida

“Avec le temps – Dalida” scritto e diretto da Pino Ammendola, è in scena al Teatro J.P.Velly di Formello il 14 e 15 ottobre. Maria Letizia Gorga, protagonista, in una grande prova di attrice.

Jolanda Gigliotti, nata in Egitto da genitori calabresi, conosciuta in tutto il mondo come la cantante Dalida. Elegante e altera, drammatica come la sua voce cupa, entrò, nel decennio a cavallo fra la metà degli anni ’60 e ’70, nelle case degli italiani grazie alla presenza mediatica ma discreta della televisione di quegli anni. Dalida, la sua arte, la sua vita, sono il fulcro dello spettacolo interpretato da Maria Letizia Gorga con i musicisti Stefano De Meo,Elena Lera, Laura Pierazzuoli, Marco Colonna, scritto e diretto da Pino Ammendola , in scena al teatro J.P.Velly di Formello il 14 e 15 ottobre. Dalida, per il suo modo di attraversare la storia, d’illustrarne i cambiamenti, è una vera eroina dei nostri tempi. Grazie al bell'aspetto già 17 anni vince il concorso di bellezza "Miss Ondine" e successivamente la fascia di Miss Egitto che le offre la posibilità di iniziare la scalata al successo. Nel 1964 è ?la prima donna a vincere il disco di platino. Dopo una breve storia di tre anni con Christian de la Mazière, siamo nel 1966 quando instaura una relazione col cantante italiano Luigi Tenco, e sarà con lui che parteciperà al Festival di Sanremo del 1967 con la canzone "Ciao amore ciao", scritta dallo stesso Tenco. Si dice che la cantante, colpita dalla bellezza della canzone, abbia convinto Tenco titubante a partecipare alla manifestazione e addirittura che gli organizzatori, che l'avevano esclusa in prima battutta, la fecero poi partecipare al Festival perché Dalida minacciava di non prendervi più parte. La giuria elimina comunque la canzone "Ciao amore ciao" e il 27 gennaio Luigi Tenco si suicida con un colpo alla tempia . È Dalida che, entrando nella stanza d'albergo di Tenco, lo trova rivolto per terra. La cantante, che chiedeva di fermare il Festival, lascia Sanremo per volontà degli organizzatori. Il 26 febbraio Dalida tenta di togliersi la vita in un hotel a Parigi con un piano molto lucido, ma sarà salvata grazie ad una cameriera. Nel 1968 partecipa a "Partitissima" (ex "Canzonissima") e vince con "Dan dan dan" e nel ritirare il premio, Dalida dice "Lassù qualcuno è contento" riferendosi evidentemente a Luigi Tenco. È una vittoria chiacchierata e sofferta: chiacchierata perché considerata "politica", dovuta più all'enorme pubblicità che il tentato suicidio le ha procurato che a meriti effettivi; sofferta su un piano personale, perché Dalida proprio in questo periodo sta decidendo se tenere o meno il bimbo che porta in grembo, frutto di un'effimera avventura, optando infine sulla seconda per via della situazione sentimentale. Nello stesso anno in Italia recita sul set di "Io ti amo", film di Antonio Margheriti, ottiene il titolo di "Commendatore delle Arti, delle Scienze e delle Lettere", conferitole dal presidente francese Charles De Gaulle, ed è la prima donna a ricevere la medaglia della Presidenza della Repubblica. Siamo nel 1969, quando Dalida si innamora di un ragazzo italiano di 22 anni di nome Lucio:? relazione che viene interrotta per le pressioni del suo stesso staff. Un anno dopo Dalida è in Nepal e soggiorna in un ashram per studiare la religione indù, e dedicarsi intensamente alla ricerca interiore. Nel 1981 Dalida festeggia i 25 anni di carriera con la consegna di un disco di diamante. Parte per l'Egitto nel 1986, dove recita nel film "Le Sixième Jour" (Il sesto giorno, di Youssef Chahine) e per la prima volta nel ruolo principale. Torna a Parigi e dichiara che, dopo aver rivisto i luoghi della sua infanzia, è stanca e incapace di riprendere la vita e i ritmi di sempre e sarà proprio approfittando del lungo ponte in occasione della festa dei lavoratori, che Dalida architetta il disarmante piano del suo suicidio. Sabato 2 maggio 1987 Dalida chiama il fratello-manager Orlando che le annuncia di aver rinviato un previsto servizio fotografico a causa del freddo; la sera, la cantante dice alla cameriera che farà tardi perché ha intenzione di recarsi a teatro e le chiede di svegliarla verso le 5 pomeridiane del giorno successivo. In realtà, con la macchina fa il giro dell'isolato, per poi barricarsi nella sua villa della rue d'Orchamps ed ingerire un cocktail di barbiturici. È il 3 maggio 1987 che, a Montmartre, Dalida si toglie la vita, a vent'anni dal primo tentativo. Accanto al corpo lascia appena un biglietto: "La vita mi è insopportabile. Perdonatemi.". Tra i primi a scoprire la tragedia vi è il fratello Orlando, nominato erede universale ed oggi custode intransigente dell'immagine di Dalida. La morte di Dalida lascia sotto shock la Francia intera. Nel 1997 è stata inaugurata a Montmartre una piazza in suo onore,dove per altro è posto un busto di bronzo che la raffigura. Dalida e' una leggenda ancora oggi, per varie categorie di pubblico, disseminate per il mondo, che ritrovano nelle sue canzoni le gioie e le paure, i dolori e i canti d'infanzia - tutte cose umane ed eterne, come eterna rimarra' la sua fama di sensibilissima cantante suicida. La Gorga fa venire i brividi ed emoziona, tanto somiglia i?n tonalità estensione ed intensità drammatica a quella della cantante egiziana. L’ottima scelta dei brani, l’intelligente testo di Ammendola, che non fa interpretare alla protagonista il ruolo della cantante, ma le fa semplicemente compiere un omaggio da fan, una fan che da bambina portava nel grembiule di scolara la foto di quella che le sembrava una “fata”, fanno sì che lo spettacolo risulti altamente godibile. Ottima la scelta delle canzoni, come quelle di Ferrè e Tenco. Ma soprattutto lo spettacolo si ricorda per la splendida performance della protagonista. Uno spettacolo per tutti, giovani e meno giovani, perché possano, a secondo dei casi, conoscere o ricordare l’arte straordinaria di quella sfortunata artista.
maria antonietta AMENDUNI


1 Ottobre 2006

Partendo dal buio feroce per arrivare alla luce

Debutta in prima assoluta al Teatro Argentina il nuovo lavoro di Pippo Dalbono dal titolo “QUESTO BUIO FEROCE”. Dalbono scava nella natura profonda dell'uomo.

po futuro e di un tempo passato. Indossano abiti antichi e alla moda. Il viso bianco, riproducono giochi di adulti, sadici, violenti. In questa scatola chiusa, l’azione procede per frammenti che affondano nei desider?i, nei ricordi, nei sogni o negli incubi con un tratto derisorio che strappa amari sorrisi. Un uomo seminudo veste gli abiti eleganti del cantante e finalmente canta la sua canzone; Cenerentola vince la sfida con le sorellastre e balla col suo principe ridotto a un ridicolo pupazzo; il racconto dell’edificante storia della famigliola americana si arena tra i singhiozzi della narratrice che lasciano immaginare un esito terribile; sfilano i personaggi in sontuosi costumi d’epoca come per una crudele serata di moda che annienta ciò che richiama… Crudeltà e travestimento sono gli strumenti usati da Delbono per mostrare un’umanità smarrita dietro fragili apparenze e segnata dalla sofferenza: “Ho incontrato di Harold Brodkey – dice il regista - in uno scaffale di una piccola libreria in un paese senza libri, lì abbandonato, scritto in italiano, un incontro straordinariamente misterioso. E in quel libro, in quel viaggio, ho ritrovato il mio viaggio, la mia storia”. Pippo Delbono incontrerà il pubblico martedì 10 Ottobre 2006, alle ore 17, al foyer del Teatro Argentina.
maria antonietta AMENDUNI


Settembre 2006

Un teatro come luogo fisico in cui svolgersi…

Laboratorium Teatro, Centro di Ricerca e Sperimentazione Teatrale, al via con la stagione 2006/07. Uno spazio da scoprire nel quartiere Portuense.

A Roma, nel cuore del quartiere Portuense, nasce un nuovo spazio teatrale, Il LABORATORIUM teatro, pensato non solo per essere luogo di rappresentazione, ma anche sede di un laboratorio permanente e di scambi. Un crocevia tra le diverse culture teatrali, un territorio da esplorare e condividere (workshop e seminari per l’indagine e l’approfondimento dell’arte dell’attore) . Una “palestra” per tutti quanti vogliano affrontare con serietà e dedizione un percorso di ricerca teatrale. Fortemente voluto dall’Associazione Claudio Gora, lo spazio si presenta come una bella novità nel panorama teatrale romano. “Uno spazio non convenzionale, dove è importante la struttura, l’architettura, la tecnica, ma ancora di più chi lo abita”. “L’esigenza era quella di avere uno luogo dove un gruppo di attori, già riuniti nell’Associazione Claudio Gora, potessero condurre un lavoro di ricerca sistematica. Una ricerca che deve andare oltre il puro aspetto formale e trasformarsi in un training quotidiano, indipendent?e dalle esigenze della singola e specifica rappresentazione. Si tratta di un lavoro iniziato diverso tempo fa con la fondazione dell’Associazione Claudio Gora e che oggi ha trovato finalmente una casa, un luogo fisico in cui svolgersi”. Quello che accomuna gli artisti dell’Associazione è un modo di intendere il teatro in cui alla passione si unisce il rigore, una costante attività di ricerca svolta attraverso un lavoro duro, costante, quasi monastico. “I luoghi della ricerca a Roma sono pochi –e nella maggior parte dei casi si tratta di una ricerca limitata al piano formale..Per noi, invece, la ricerca è un lavoro profondo che solo in parte viene trasmesso al pubblico, ma che di fatto appartiene alla sfera intima dell’attore. Nel teatro convenzionale l’attore non ha la possibilità di lavorare quotidianamente – spiega – non si 'allena' tutto l’anno, ma in realtà dovrebbe farlo, come se fosse un atleta. Laboratorium Teatro è stato pensato per essere uno spazio di rappresentazione, ma anche un luogo dove condividere un laboratorio permanente, in cui tutti coloro che desiderano portare avanti un lavoro di questo genere possano trovare ospitalità al di fuori dei meccanismi e delle tempistiche tradizionali”. Il risultato di questa ricerca è un teatro estremamente semplice e al tempo stesso raffinatissimo, con una forte idea di fondo. “Un attore deve sapersi trasformare per la scena, non restituire, come spesso invece accade, quotidianità il teatro deve creare aspettativa nel pubblico, andare oltre quello che gli spettatori si aspettano, immetterli in una dimensione sconosciuta, toccare al contempo la memoria collettiva del pubblico e la propria memoria soggettiva, regalare loro la sensazione di appartenere ad un tutto che è il rito del teatro. Troppo spesso a teatro si è sopraffatti dal formale e questo di fatto impedisce al pubblico di immaginare, essere partecipe, fantasticare in un rapporto dinamico con l’attore. Per questo motivo il modo in cui offro una storia al pubblico è più importante della storia stessa. A?ttraverso il lavoro quotidiano, invece, gli attori imparano a dilatare la loro presenza nello spazio e ad essere essi stesso teatro. In assenza di una struttura fisica, il teatro esiste comunque, in assenza di un vero attore no”. Liberi da vincoli e da logiche di mercato! Proprio questa libertà, conquistata, permette di realizzare spettacoli , performance , ospitare gruppi provenienti da altri paesi e organizzare molteplici attività pedagogiche ( seminari e workshop con: Rena Mirecka, Leris Colombaioni, Anna Maria Civico, Potlach etc…). Dal 2005 l’associazione organizza la Rassegna Teatrale Premio Claudio Gora. Un teatro totale! L’Associazione Claudio Gora è nata nel 2000, totalmente auto finanziata, grazie anche al contributo della Banca del Fucino , ha trasformato un vecchio supermercato ( nel cuore del quartiere Portuense) in un Centro di Ricerca e Sperimentazione Teatrale…finalmente un supermercato che diventa teatro e nonil contrario!!! Questi alcuni degli spettacoli in cartellone: Quartet, Premio Claudio Gora, Passion Selon Madalene, Nerone, La classe morta, la schiuma dei giorni, Agamennone e tante altre proposte a livello di seminari.
maria antonietta AMENDUNI


Settembre 2006

A Formello. Un teatro per tutti i gusti

Riparte la stagione teatrale al Jean Pierre Velly di Formello. Uno spazio interessante e accattivante a nord di Roma, che può rivelarsi fonte infinita di spunti culturali interessanti.

oggia, pigrizia, indolenza hanno portato pubblico prenotato a rimanere beatamente a casa lasciando vuoto un posto per i quali altri volentieri avrebbero fatto le corse – afferma il direttore artistico Tomaso Thellung - prenotare un biglietto e lasciarlo inusato ci crea grossi problemi perché il teatro ha solo 220 posti e una volta raggiunto il limite con le prenotazioni noi diamo “esaurito”lo spettacolo. Purtroppo abbiamo imparato che il 20% buono dei prenotati cambia idea e non si presenta. Istituire gli abbonamenti ci permette di garantire la visione della rappresentazione, a chi davvero è interessato”. Gli abbonamenti potranno essere “composti” dagli stessi spettatori e comprenderanno 7 spettacoli a scelta nel calendario per un totale di 84,00 euro rispetto al costo unitario di 12,00 euro del biglietto. Attenzione rivolta anche alle scuole superiori. Rivolgersi ai giovani è infatti una delle principali intenzioni del teatro formellese. E poi c’è la ciliegina sulla torta: “Accadde il mese scorso” è infatti il titolo del rotocalco culturale che Massimo Cinque e Arnaldo Colasanti condurranno in diretta sul palco del teatro una volta al mese proponendo ogni volta, a seconda del tema, personaggi e personalità che del tema stesso siano altamente rappresentativi. Il tutto alla presenza e con l’interazione del pubblico che potrà quindi far domande, dire la sua, confutare tesi e proporne di personali. Questi tutti i titoli in cartellone: Avec le temps, Dalida, Gastone, Calcoli, Muratori, F?ratelli gemelli. Caporali coraggiosi, papaveri nel grano,rlecchino servitore di due padroni, Va tutto storto, pericolo di coppia e assolutamente da non perdere è il teatro di Paolo Graziosi che poporrà, Le sedie, Primo amore, L’ultimo nastro di Krapp, e Catastrofe. Spazio poi ai ragazzi con Il sogno dell’ombrellaio, La storia di Gesù di Nazareth e Strip Per informazioni: 069088337
maria antonietta AMENDUNI


Luglio 2006

Teatro Quirino: grande repertorio di interprete.

Il teatro di Via delle Vergini propone un cartellone 2006/07 che si combina con testi assolutamente classici o classici contemporanei. In scena Il Gattopardo, Antigone, Delitto e castigo e molto altro ancora.

oggi, risponde. Un’opportunità in più per i giovani ai quali l’Ente non smette di interessarsi. Quindi, a guidare ed indirizzare queste personalità future della scena, l’esperienza di Maestri puri: un esempio è certamente Glauco Mauri che, regista ma anche interprete insieme al compagno di sempre Roberto Sturno, torna a Roma con Delitto e Castigo, (dal 14 novembre al 3 dicembre) campione d’incassi della passata stagione, nonché uno degli spettacolo più belli di tutto il 2005/2006. Regia ed interpretazione anche per Giulio Bosetti che sceglie Marina Bonfigli e Sandra Franzo in Antigone (dal ?5 al 21 dicembre 2006); doppio registro anche per Giuseppe Pambieri in scena con Micol Pambieri e Nino Bignamini ne La commedia degli errori (24 aprile al 6 maggio 2007) e triplo, addirittura, per Luigi De Filippo, mattatore a tutto tondo – regista, attore e autore – nel suo Storia strana su una terrazza napoletana (dal 20 marzo all’8 aprile 2007). Generazioni affini per competenza e professionalità sono Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina in Opera Comique (dal 24 ottobre al 12 novembre 2006), interpretato con Daniela Giovannetti per la regia di una firma che è sempre una certezza come Antonio Calenda. Paola Quattrini ed Enrico Lo Verso, saranno a strana coppia di un bel classico quale Un tram che si chiama desiderio diretto da una grande firma del teatro italiano come Lorenzo Salveti. Largo spazio alle donne in q??????????u¨?uesta stagione. Sfidano per la prima volta la scena, Nicoletta Braschi ne Il metodo gronholm (dal 20 febbraio al 4 marzo 2007) diretto da Cristina Pezzoli, e Claudia Gerini in Blackbird (dal 9 al 21 gennaio 2006), con Ennio Fantastichini, per la regia di Peter Stein. E ancora donne, grandi donne anzi! Largo dunque a Milva canta Brecht (dal 6 al 18 marzo 2007) ancora diretta da Cristina Pezzoli, e Marina Malfatti in Gallina Vecchia (dal 10 al 22 aprile 2007) per la regia di Piero Maccarinelli Novità assoluta al Quirino la danza per la presenza illustre di Andrè de La Roche interprete in Lo schiaccianoci; torna invece dal successo della passata stagione, il clown lirico e fiabesco del russo Slava col suo spettacolo Slava’s Snowshow di tradizione e lingua poetiche. Ampia la gamma degli autori: dai classici antichi a quelli moderni, da Sofocle a Dostoevskij da Shakespeare a Tennesse Williams a Brecht accanto ad autori più curiosi quali Augusto Novelli e Nicola Fano, o i “nuovi stranieri” come David Harrower, autore d’oltremanica, e Jordi Galceran, giovane artista catalano.
maria antonietta AMENDUNI


Luglio 2006

Stagione del Teatro Sistina

Per la stagione abbonamento 2006 2007 il Sistina prosegue la sua oramai tradizionale linea artistica, ovvero presentare grandi spettacoli e grandi interpreti. Una linea che non disdegna però qualche incursione nel particolare e nell’innovativo. Proprio per questo la stagione si apre con lo spettacolo, Squali - Una Storia Vera e Un Sogno (10 ott.-15 nov.), che promette di essere un’assoluta novità per il panorama teatrale italiano. Uno spettacolo ideato e voluto da Alberto Luca Recchi con Paola Conte dove sogno, magia e fantasia si fondono per creare due ore sorprendenti. Con Giulia Ottonello, Carlo Ragone, Alexandra Filotei, Tony Allotta e con la partecipazione di Piermaria Cecchini. A novembre il sipario si apre su un nuovissimo spettacolo di Enrico Montesano (14 nov. – 7 gen.), protagonista assoluto, anzi il mattatore di questo nuovo spettacolo. Un “one man show” ricco di divertimento, di musica, di ironia e di allegria. Uno spettacolo intenso e coloratissimo proprio come vuole la tradizione del Teatro Sistina, per la regia di Gino Landi. A gennaio 2007 abbiamo il ritorno di Lorella Cuccarini , protagonista di Sweet Charity (16 gen. – 18 feb.), un musical americano che sembra sia stato scritto appositamente per lei, per sottolineare le sue corde interpretative sia di attrice che di cantante che di ballerina. Lo spettacolo è prodotto dalla Compagnia della Rancia per la regia di Saverio Marconi e Luca Tommassini. In scena anche Cesare Bocci. A fine febbraio arriva Parlami di Me (27 febbraio - 8 apr?ile)uno spettacolo musicale appositamente scritto da Maurizio Costanzo e Enrico Vaime per Christian De Sica. Uno spettacolo pieno di ironia, comicità divertimento e musica. Aprile propone una commedia musicale inedita Tootsie – Il gioco dell’ambiguità (17 aprile –13 maggio). Protagonisti di questa esilarante commedia uno scatenato Marco Columbro affiancato da Chiara Noschese ed Enzo Garinei. Una commedia con musiche originali; una storia ambientata in uno studio televisivo, che diverte e commuove, uno spettacolo dal ritmo travolgente che propone una girandola di sentimenti e personaggi alle prese con le loro emozioni e il loro bisogno di affetto, personaggi che, cercando lavoro, trovano amicizie e amori imprevedibili. L’ultimo spettacolo in abbonamento della stagione, propone: il fascino, la bellezze di Michelle Hunziker protagonista di un musical amato e conosciuto come Cabaret – Il Musical (22 maggio – 17 giugno). Dopo il successo ottenuto con “Tutti insieme appassionatamente, ritorna con il più “europeo” dei musical americani… forse per questo è rappresentato un po’ ovunque in Europa: dai successi recenti in Germania, è in scena ora in Olanda e in Spagna ed è annunciato in Inghilterra e in Francia per la prossima stagione. Una grande storia d’amore ambientata nel fascino sognante del mitico “Kit-Kat Club” nell’Europa degli anni ’30. Fuori abbonamento, dal 16 novembre, sarà in scena Geronimo Stilton Super Show. Un musical tutto dal vivo che ha per protagonista il personaggio più amato dai bambini: Geronimo Stilton. Lo spettacolo sarà in scena dal martedì al sabato alle ore 18,00 e la domenica alle ore 10,30 e 21,00. E sempre fuori abbonamento, dal 10 al 15 aprile 2007LIMON DANCE COMPANY Il 2007 è l’anno dei festeggiamenti per il 60° anniversario della Limón Dance Company e il centenario della nascita di José Limón, il grande coreografo americano d'origine messicana considerato uno dei padri della modern dance. La sua tecnica ha influenzato generazioni di artisti della danza in tutto il mondo e i suoi l?avori coreografici sono entrati nella storia, elettrizzando il pubblico con la sua danza virile e dinamica, d'intensa espressività drammatica. La compagnia che porta il suo nome e che continua a rappresentare la sua opera è così divenuta una delle più importanti formazioni del mondo della danza moderna . Nata nel 1946, la Limón Dance Company è un esempio lampante di compagnia d’autore che ha saputo mantenere intatta la forza, la freschezza, l’originalità e il genio del suo fondatore. In occasione del suo anniversario presenta per l’Italia un repertorio esclusivo che fa rivivere le creazioni originali di Josè Limon e di Doris Humphrey, ma non manca di presentare lavori di coreografi di oggi tra cui Lar Lubovitch e Jirí Kylián.
maria antonietta AMENDUNI


Luglio 2006

AL TEATRO VALLE LO SPETTACOLO CONTINUA…

Nel cartellone teatrale 2006/2007 del bellissimo teatro romano, passato e presente si fondono. Il Valle, sarà, nella prossima stagione, interamente dedicato alla drammaturgia italiana.

Sempre di più intitolata al Teatro Italiano la storica sala che fu di proprietà della Famiglia Caprinica, e che ora appartiene a?ll’Ente Teatrale Italiano. Il Valle, infatti, sarà, nella prossima stagione, interamente dedicato alla drammaturgia italiana. Il cartellone si compone di più fili conduttori. A cominciare dalle creazioni di autori contemporanei: Margherita e il gallo di Edoardo Erba, Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi, Il Sorriso di Daphne scritto e interpretato da Vittorio Franceschi, le Due Partite di Cristina Comencini. Accanto, opere di drammaturghi e scrittori moderni: La Governanate di Vitaliano Brancati, Il Seduttore di Diego Fabbri, Gastone di Petrolini, Un’indimenticabile serata di Achille Campanile, L’ Enrico IV di Pirandello. In cartellone anche percorsi particolari come il Tartufo di Molière, Cesare Garboli, e affidato alla regia e all’interpretazione di Carlo Cecchi, Le smanie per la villeggiatura di Goldoni, riscritto da parte di Bucci-Randisi-Sgrosso-Vetrano. E, per finire, ancora il Goldoni di Un curioso accidente. La drammaturgia italiana cercava il suo palcoscenico di elezione: l’intenzione del Teatro valle era proprio quella dipoter dire che da oggi questa nuova casa c’è, ed è uno dei teatri più belli di Roma. Ma il Valle non è soltanto “scena italiana”. Il Teatro si apre, infatti, ad una proposta di Danza anche internazionale, con gli spettacoli del Progetto Tersicore. In un’ottica di acquisizione di nuovi spazi per la Danza nella città di Roma, l’Associazione I Borghi e l’ETI si sono uniti nel tentativo di colmare un vuoto, organizzando una rassegna che porta sulla scena capitolina le stelle del balletto mondiale e i nomi più prestigiosi della coreografia contemporanea, articolata su due spazi: l’Auditorium della Conciliazione e, appunto, il Teatro Valle. Gli appuntamenti proposti al pubblico sono tutti di sicura attrattiva e di grande richiamo; in scena al Valle, a partire dal mese di ottobre, la poesia visiva della danza di Carolyn Carlson, l’arte del movimento della Nikolais Dance Theatre, la ricerca musicale e coreografica di Monica Casadei, le magiche visioni d’ombre, musica e danza di Teatro Gi?oco Vita e Aterballetto. Ma vediamo come scorre il nuovo cartellone. Dal 10 al 22 ottobre, aprirà la stagione La Governante di Vitaliano Brancati con Lucrezia Lante della Rovere, Andrea Tidona, regia Armando Pugliese. Dal 24 al 29 ottobre, seguirà Le smanie per la villeggiatura di Goldoni, uno spettacolo di e con Elena Bucci, Stefano Randisi, Marco Sgrosso, Enzo Vetrano. Dal 31 ottobre -19 novembre, sarà la volta di Margherita e il gallo di Edoardo Erba, interpretato da Maria Amelia Monti e Gianfelice Imparato per la regia di Ugo Chiti. Si prosegue con Il Seduttore di Diego Fabbri, dal 28 novembre - 12 dicembre con Pino Caruso, regia di Roberto Guicciardini. Ancora Goldoni dal 19 - 31 dicembre, con Un curioso accidente che vede duettare l’insolita coppia Mario Scaccia – Debora Caprioglio sotto la direzione di Beppe Arena. Gastone di Petrolini con Tosca e Massimo Venturiello, qui nella doppia veste di chansonnier e regista, sarà invece lo spettacolo che aprirà il 2007, in scena dal 2 all’11 gennaio. Dal 16 gennaio al 4 febbraio sarà la volta della versione teatrale di Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi con Paolo Ferrari protagonista per la regia di Teresa Pedroni, seguito da Un’indimenticabile serata di Achille Campanile con Piera Degli Esposti, per la regia di Antonio Calende. Dal 13 al 25 febbraio sarà la volta di Il Sorriso di Daphne scritto e interpretato da Vittorio Franceschi, con Vittorio Franceschi, Laura Curino, Laura Gambarin, regia Alessandro D’Alatri. Enrico IV di Pirandello, sarà in scena dal 27 febbraio - 11 marzo con Sebastiano Lo Monaco, per la regia di Roberto Guicciardini. Dal 13 marzo - 1 aprile, nella riscrittura di Cesare Garboli, arriva Il Tartufo di Moliére con Valerio Binasco, Carlo Cecchi, Iaia Forte, Angelica Ippolito, Licia Maglietta, Antonia Truppo, diretti da Carlo Cecchi. Si conclude dal 10 aprile - 6 maggio con le Due Partite di Cristina Comencini, (già grande successo nella stagione appena conclusa), autrice e regista del poker femminile composto da Margherita Buy, Isabella? Ferrari, Marina Massironi, Valeria Milillo. E lo spettacolo continua...
maria antonietta AMENDUNI


Luglio 2006

Eliseo e Piccolo Eliseo...ed il teatro italiano “mette la ali”!

Presentata la stagione dei due Teatri di Via Nazionale. ''Metti le ali ai tuoi pensieri. Vola al Teatro Eliseo''. Questo lo slogan della stagione teatrale 2006/2007. Ad aprire la stagione sarà Claudia Cardinale.

E’ assolutamente evidente la soddisfazione di Antonio Calbi per i successi raggiunti, per la stagione passata che ha avuto un ottimo riscontro; e tutto questo positivismo non si può che confermare con la presentazione di questa nuova stagione.Il teatro Eliseo di Roma, che ha presentato la sua stagione 2006-07, si conferma uno dei centri teatrali piu' importanti e vivaci d' Italia, sia quando produce i suoi spettacoli, sia quando ospita quelli altrui, sia quando mette in campo moltissime iniziative culturali e artistiche parallele con sigle oramai note al suo pubblico. Il primo grande colpo lo si mette a segno con Claudia Cardinale che torna in scena al teatro. Aprira' infatti la prossima stagione dell'Eliseo di Roma con 'Lo zoo di vetro'. Un classico americano di Tennessee Williams. Lo ha annunciato la stessa attrice, intervenendo telefonicamente da Parigi alla conferenza di presentazione della stagione 2006-07 del teatro romano. Lo spettacolo sara' diretto dal regista-musicista Andrea Liberovici.'Essere attori vuol dire anche 'interpretare, modificare, trasformarsi' ha detto la Cardinale. ''Metti le ali ai tuoi pensieri. Vola al Teatro Eliseo''. Questo lo slogan della stagione teatrale 2006/2007 del teatro romano che, attraverso un ricco cartellone e importanti protagonisti della scena, guidera' il pubblico in un viaggio tra tradizione e innovazione: ''Il teatro e' arte sociale, arte della memoria e merita il giusto spazio, affinche' Roma diventi realmente anche capitale della cultura - ha dichiarato Antonio Calbi, direttoreartistico dell'Eliseo - E' quindi necessario riconoscere il giusto statuto al teatro, messo a servizio della comunita'''. In quest'ottica, numerose le iniziative per coinvolgere le diverse realta' cittadine, come quella di ''Teatro e Carcere'': infatti, il Teatro Eliseo aderisce al progetto di sostegno interministeriale, Giustizia - Beni e Attivita' Culturali, per il reinserimento sociale e la formazione professionale dei detenuti nell'ambito dei mestieri dello spettacolo. ''Oggi, nelle carceri italiane ci sono oltre 61.000 detenuti e la capienza massima e', invece, di 41.000 - ha spiegato Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia, nel corso della conferenza stampa - non solo c'e' un eccessivo affollamento, ma la situazione e' ancor piu' critica per l'elevato numero di suicidi. In questo deserto, pero', c'e' una ricchezza di laboratori teatrali, di scrittura e dibattiti. La produzione teatrale dentro le carceri, oggi ha la possibilita' di uscire all'aria aperta. Una sorta di evasione - ha concluso Manconi - per qualche giorno''. Tra i progetti speciali per la prossima stagione, la promozione della drammaturgia francese contemporanea con ''Face a' face. Ma passiamo alla stagione teatrale. Si comincia col ritorno del canadese 'Cirque Eloise' col nuovo fantasioso e poetico 'Nomade' (26 settembre) e si entra nel vivo con Claudia Cardinale protagonista di 'Lo zoo di vetro' (17 ottobre); poi e' una parata di attori importanti: Gassman, Orsini, Poli, Giuffre'. Eliseo Ragazzi, Eliseo mondo (quest'anno una serie di incontri con la drammaturgia francese), e poi Eliseo Culture (le conversazioni filosofiche del lunedi') ed altro ancora compresa un'attivita' di ''Teatro e carcere'' in collaborazione con il Ministero della Giustizia. Forti di questa offerta, i dirigenti del grande teatro romano - ovvero il presidente e il direttore generale Vincenzo e Massimo Monaci, il direttore artistico Antonio Calbi – si chiedono a voce alta: quale e' la missione di un grande teatro privato in una citta' come Roma, pienissima di offerte spettacolo 'pubblico' (ovvero gratuite, pagate dal Comune e dallo stato)? . ''L'Eliseo e' una struttura privata, deve far quadrare i suoi conti - spiega Calbi - Ma la sua missione e'pubblica: il Campidoglio dovrebbe tenerne conto''. Ecco dunque il cartellone dell'Eliseo, che si completa poi con quello del Piccolo Eliseo da quest'anno dedicato a Giuseppe Patroni Griffi. Claudia Cardinale, intervenuta oggi alla conferenza stampa con una telefonata da Parigi e' l'attrice bandiera: si affida al giovane regista Andrea Liberovici molto versato nell'uso delle nuove tecnologie per rilanciare un classico americano, che fu caro a Luchino Visconti. SeguonoAlessandro Gassman regista e protagonista di 'La forza dell'abitudine', aspra commedia dell'austriaco Thomas Bernhard; Nino D'Angelo e Angela Pagano in 'Zingari' una delle commedie con musiche piu' belle di Raffaele Viviani; Paolo Poli fara' sorridere il suo pubblico con 'Sei brillanti', dedicato alle grandi forme mondane, femminili, dalla Cederna alla Aspesi; Carlo Giuffre' recitera' ancora 'Il medico dei pazzi' di Eduardo Scarpetta, gia' campione d'incassi quest'anno; Andrea Camilleri e' pure in cartellone, come autore di 'La Concessione del telefono', protagonista Francesco Paolantoni; Pietro Cariglio e' il regista di 'Il povero Piero' di Achille Campanile, prodotto dal Biondo Palermo; Geppy Glejeses e Leopoldo Mastelloni recitano 'Io l'erede', un testo poco noto di Eduardo De Filippo; Paolo Bonacelli e' 'Enrico IV' di Shakespeare; Giancarlo Cobelli firma 'La locandiera' di Godoni con Mascia Musy; Tullio Solenghi porta in scena 'Le nozze di Figaro' di Beaumarchais; Tosca dedichera' una serata speciale a un omaggio alla canzone de romana di Gabriella Ferri. Ricco di dieci titoli il cartellone del Piccolo Eliseo, dove spiccano Rossella Falk con il suo spettacolo dedicato a Maria Callas, 'Vissi d'arte, vissi d'amore' e Umberto Orsini che festeggera' i suoi 50 anni di teatro con 'Il nipote di Wittgenstein' di Thomas Bernhard. Fra produzioni e coproduzioni la sigla dell'Eliseo comparesu sette spettacoli di varia natura e impegno. Fra questi saranno in tournee 'L'uomo, la bestia e la virtu' di Pirandello, protagonista Leo Gullotta; 'La ballata del carcere di Reading' di Oscar Wilde, con Orsini e Giovanna Marini; 'La forma delle cose' di Neil LaBute, con Lorenzo Lavia.
maria antonietta AMENDUNI


Luglio 2006

Albertazzi: “Teatro di Roma, Teatro d'Europa”

Presentata la stagione 2006/07 del Teatro Argentina. In cartellone 14 spettacoli, a Settembre il primo Festival Post Jugoslavia. Presenti anche Calenda, Luca De Filippo, Delbono, Lavia.

Teatro di Roma, teatro d’Europa: contaminazione di linguaggi e generi; sensibilità alle istanze, alle proposte e alle scritture di scena di autori, registi e interpreti diversi. Questo sembra essere il motto della nuova stagione teatrale del Teatro Argentina che ha presentato il cartellone 2006/07. “Bisogna cominciare a smettere di pensare negativo quando si parla di arte e cultura”, “La bellezza è l’armonia delle imperfezioni; bisogna aprire le porte e confrontarsi”. Così hanno esordito rispettivamente Oberdan Forlenza e Giorgio Albertazzi presidente e direttore del Teatro di Roma, in conferenza stampa. E tra i soliti salamelecchi stile “siamo tutti bravi e belli e ci vogliamo tanto bene”, insieme a Forlenza e Albertazzi, molti sono gli artisti intervenuti: Antonio Calenda, Luca De Filippo, Pippo Delbono, Gabriele Lavia, Toni Bertorelli, Franco Branciaroli, Annamaria Guarnieri, Antonio Latella, Sandro Lombardi, Giuseppe Marini, Mario Martone, Mariano Rigillo, Anna Teresa Rossini, Franca Valeri, Patrizia Zappa Mulas. Quattordici le proposte in cartellone, con quattro produzioni e coproduzioni e sette prime nazionali. Si rafforza la presenza internazionale con tre spettacoli dall’Europa (Soirée de Gala, European house, D.Joao) e la novità di un festival di teatro, danza e musica interamente dedicato ai paesi della ex Jugoslavia, che si svolgerà nei Teatri Argentina, India e Valle dal 27 Settembre al 16 Ottobre 2007, a cura di Giorgio Ursini Uršic. Inoltre: la partecipazione alle Notti Bianche e una rassegna sulle donne e la poesia. Aprirà la stagione Roger Planchon, padre nobile del teatro francese con il suo Soirée de gala (20-22 Settembre, prima internazionale) che trae ispirazione da alcune novelle giovanili di Cechov . E poi due coproduzioni del Teatro di Roma. Ancora una volta Pippo Delbono, col suo nuovo lavoro Questo buio feroce (3-15 Ottobre, prima nazionale) scava nella natura profonda dell’uomo. “Nasce da un libro che ho trovato per caso in Birmania - afferma Delbono - un libro di un malato di aids che vede tutto buio intorno a se. Partendo da questo titolo ho pensato di fare uno spettacolo che dal buio feroce, arriva ad una luce che potrebbe essere quella riconoscibile in parole come: “ancora voglio scrivere di amore” di Dario Bellezza”. I rapporti all’interno della famiglia - sempre più espressione di ipocrisia, in Le voci di dentro di Eduardo De Filippo (20 Ottobre–19 Novembre, prima nazionale), per la regia di Francesco Rosi, con Luca De Filippo. Segue Le lacrime amare di Petra Von Kant (21 Novembre–3 Dicembre), per la regia di Antonio Latella, con Laura Marinoni. Testo poco rappresentato sulle scene italiane, Assassinio nella cattedrale (7-22 Dicembre) di Thomas Stearns Eliot, regia Pietro Carriglio, con Giulio Brogi. E se nella vita di certezze ne abbiamo poche, il Teatro Argentina ce ne offre una: l’appuntamento fisso annuale con Memorie di Adriano, di Marguerite Yourcenar (10-21 Gennaio), regia Maurizio Scaparro, con un Giorgio Albertazzi. Ancora un riferimento a Shakespeare per il barcellonese Alex Rigola, con il suo European house (prologo a un Amleto senza parole) (26 e 27 Gennaio). In Il sergente, a Mario Rigoni Stern (6-18 Febbraio) Marco Paolini rielabora alla sua maniera il romanzo autobiografico di Stern. Ricardo Pais, affronta nel suo D.João, Dom Juan ou le Festin de Pierre (24 e 25 Febbraio) un classico del teatro: il Don Giovanni di Molière. E’ la volta poi di La tempesta di Shakespeare (28 Febbraio-11 Marzo), nella lettura di Tato Russo. Romolo, il grande di Friedrich Dürrenmatt (13-18 Marzo), uno dei più dissacranti autori della drammaturgia contemporanea, è la proposta della compagnia di Mariano Rigillo, per la regia di Francesco Guicciardini. La scienza e la necessità di rigenerarla sono i temi di Vita di Galileo di Brecht (20 Marzo-1 Aprile, prima nazionale), secondo la lettura di Antonio Calenda, con Franco Branciaroli. “Ha ragione chi dice occhio per occhio, dente per dente, o chi dice che non ce occhio e non c’è dente? Misura per misura o dismisura per dismisura? Ragione per ragione o follia contro follia?”. Così Lavia annuncia così il suo Misura per misura di Shakespeare (11 Aprile-6 maggio, prima nazionale. Chiuderanno la stagione tre straordinarie attrici, Franca Valeri, Annamaria Guarnieri e Patrizia Zappa Mulas, protagoniste di Les Bonnes (Le serve), capolavoro tanto surreale quanto crudele di Jean Genet (8 – 20 Maggio). Il Teatro di Roma parteciperà alle Notti Bianche, che quest’anno si “raddoppiano”, con tre eventi. La ripresa di Edipo a Colono di Sofocle, nel fortunato e suggestivo allestimento di Mario Martone, proprio l’8 Settembre aprirà la stagione 2006-2007del Teatro India (con repliche fino al 30 Settembre). Il 9 Settembre Giorgio Albertazzi, presso l’Area Sacra di Torre Argentina, (dove alle Idi di Marzo del 44 a.C. fu pugnalato Cesare), sarà interprete di La morte di Cesare e i gatti di Tony Crast, fra Shakespeare, Plutarco e le Memorie di Adriano, rileggerà la morte di Cesare. Infine, il laboratorio teatrale integrato Piero Gabrielli, a cura di Roberto Gandini, offrirà alla città un coloratissimo e vivace spettacolo interpretato da ragazzi con e senza disabilità. Vidi le Muse – poetesse che leggono poetesse, è invece il titolo della rassegna curata da Valerio Magrelli.
maria antonietta AMENDUNI


15 giugno 2006

SHO®T THEATRE: RADICALI TRASFORMAZIONI IN ATTO

Il Teatro di Roma e l’Accademia degli artefatti, presentano al Teatro India, dal 20 Giugno all’1 Luglio 2006, 10 giorni non stop di teatro, danza, performance, incontri, letture dentro e fuori, dalle 18 fino a notte inoltrata

Il teatro India si conferma luogo di incontro, dialogo, apertura verso le istanze e proposte di autori, registi e interpreti italiani e internazionali a confronto con la realtà contemporanea. In quest’ottica, nasce la manifestazione SHO®T THEATRE – radicali trasformazioni in atto, a cura di accademia degli artefatti - AREA 06, che prenderà il via il prossimo 20 Giugno e che prevede una “non stop” di dieci giorni con performance, teatro, danza, incontri, letture, installazioni, conversazioni, presentazioni libri, video, ristorazione-chill out e musica lunge, durante i quali si potranno vedere e incontrare artisti, giovani gruppi, drammaturghi, critici attenti al panorama teatrale contemporaneo. Direttore artistico della manifestazione è Fabrizio Arcuri, anima creativa dell’accademia degli artefatti che per questo progetto ha da subito trovato il sostegno del Teatro di Roma. SHO®T THEATRE intende investigare i segni e le scritture sceniche, le diverse modalità dei linguaggi ma anche e soprattutto quello che rimarrà scritto, i testi. L’obiettivo primario del progetto è stimolare l’incontro e il confronto tra artisti di provenienza diversa, portando con sé la prospettiva di creare momenti di riflessione e di scambio. Con l’ausilio di studiosi, drammaturghi, critici e artisti si tenterà di aprire un dibattito, avviare un monitoraggio, fare un punto sulla questione, verificare il rapporto tra arte, vita e politica cercando di individuare alcune chiavi di lettura del contemporaneo per ristabilire o proseguire un importante momento di confronto pubblico. SHO®T THEATRE non è un festival, ma una manifestazione di idee, di modalità, di temi, di strategie della durata di dieci giorni.. La manifestazione si aprirà con l’ultimo accattivante studio dei Motus dal titolo emblematico Piccoli episodi di fascismo quotidiano, (20 e 21 Giugno). Tra le compagnie ospiti vanno poi segnalati due lavori di giovani emersi nell’ultimo Premio Scenario: il Teatro Sotterraneo di Firenze (vincitori generazione scenario) con Il corpo del ?condannato (22 e 23 Giugno) e Amnesia vivace di Roma con Dux in scatola (28 e 29 Giugno). Nei primi due giorni della manifestazione attraverseranno gli spazi del teatro India lo spettacolo Requiescat (20 e 21 Giugno) di Francesco Saponaro e Peppino Mazzotta, che in una ulteriore tappa di studio torneranno sul lavoro già presentato al teatro Mercadante di Napoli nel progetto “A Est”, rielaborando il testo del ceco Jiri Pokorny R.I.P., e bugulA-autobiografia coreografica (20 e 21 Giugno) di Sistemi Dinamici Altamente Instabili. Dalle Barbie kamikaze, provocatoriamente tagliuzzate da Tony Clifton Circus in Rubbish rabbit e Il ritorno di Hula-doll (21 e 22 Giugno) si passa poi al monologo/comizio del dittatore interpretato da Fabrizo Parenti e da Quellicherestano ne L’addio del premio Nobel 2004 Elfriede Jelinek (22 e 23 Giugno). A distanza di poche ore e di pochi metri, si continua con un altro autore di area germanica, il tedesco Rainald Goetz di cui verrà presentato Colica dal Battello Ebbro (22 e 23 Giugno), mentre concluderà la prima settimana Titolo provvisorio: Senza titolo di Antonio Tagliarini (23 Giugno). E ancora: nella sezione “teatro”, Teatro aperto di Milano con alcuni estratti di Prima della pensione dell’austriaco Thomas Bernhard per la regia di Renzo Martinelli, (26 e 27 Giugno), e ancora L’assoluzione di Gianluca Riggi (27 e 28 Giugno), l’accademia degli artefatti propone Tre pezzi facili – ballate sul collasso del mondo del drammaturgo inglese Martin Crimp, per la regia di Fabrizio Arcuri (29 e 30 Giugno), mentre il duo Roberto Rustioni – Milena Costanzo presenta un work in progress a partire da suggestioni ispirate a Rodrigo Garcìa con Està bien (30 Giugno e 1 Luglio) infine, il dissacrante, vulcanico “filosofo buffone” Leo Bassi con il suo “esplosivo” e contestato La Revelaciòn (30 Giugno e 1 Luglio). La sezione “teatro-performance” vede invece protagonisti Dreamachine che in anteprima presenta il progetto Corpo a corpo (26 e 27 giugno) condiviso da Daria Deflorian e Alessandra Cristiani e? i Kinkaleri con lo spettacolo pool (29 e 30 Giugno). Nelle sezioni “letture” e “ri-letture”, gli appuntamenti con Alessandro Benvenuti (26 Giugno) che leggerà in presenza dell’autore Genova ‘01 di Fausto Paravidino, Danilo Nigrelli (27 Giugno) che presenterà per la regia di Sylvie Busnel il testo Incroci/Derive, di Eugène Durif, in collaborazione con il progetto TERI; Fortebraccio Teatro che interpretando le parole di Mariangela Gualtieri, poetessa-guerriera sempre rivolta al passato del futuro, presenterà La delicatezza del poco e del niente (28 e 29 Giugno). Nella sezione “danza”, è significativo l’appuntamento con la compagnia Virgilio Sieni che presenterà il folgorante assolo di Marina Giovannini sulla guerra, coreagrafato da lei stessa e da Virgilio Sieni, solo empty (26 e 27 Giugno). Da segnalare inoltre le “conversazioni” con autori e registi internazionali tra cui Jiri Pokorny, Michal Docekal, Fausto Paravidino, Davide Enia, Letizia Russo, Rodrigo Garcia, Martin Crimp. “Si tratta – spiega Fabrizio Arcuri - di un vero e proprio spazio aperto al confronto dove i vari tasselli che compongono queste articolate giornate concorrono non solo a offrire prospettive diverse del fare teatro ma anche a proporre angolazioni alternative dalle quali affrontare le questioni. Partendo dal presupposto che l’arte offre uno specchio deformato della realtà e ci soccorre nella lettura di quello che accade, il mondo, con i suoi equilibri, le tensioni ed i suoi rapporti di potere, costringe costantemente l’arte a riflettere sulle forme di rappresentazione.” Sarà possibile assistere a proiezioni video, installazioni, presentazioni di libri e soffermarsi negli spazi di ristorazione-chill out, animati dalle stimolazioni sonore e visive del Bluecheese project che si avvarrà di d.j. e v.j. internazionali per le feste di apertura e chiusura della manifestazione. Accademia degli artefatti ha da sempre coniugato al lavoro teatrale della compagnia un’ attività di organizzazione e di promozione del teatro, ha inventato ?e organizzato nel 1996 Extraordinario rassegna di teatro contemporaneo che ospitò al Teatro Vascello di Roma numerose compagnie della nuova generazione, comunemente a AREA06 ha organizzato tra l’altro le notti bianche del Mittelfest (2001), ZO6 Sottovuoto per Enzimi Festival 2002, Panoramica teatro a Parma (2003). SHO®T THEATRE è un’idea nata qualche anno fa in una delle tante occasioni di confronto che caratterizzano A06. A06 è una compagine di gruppi romani, un laboratorio di idee di cui fanno parte accademia degli artefatti, sistemi dinamici altamente instabili, fortebraccio teatro, quellicherestano, agresta, p.a.v., travi rovesce. L’idea è poi stata portata al suo compimento da accademia degli artefatti con la complicità delle altre compagnie, incontrando da subito l’interesse del Teatro di Roma.
maria antonietta AMENDUNI


20 maggio 2006

L’amore come antidoto al fango e alla neve fradicia

In scena al Teatro India, in prima nazionale, la nuova produzione del Teatro di Roma: Memorie dal Sottosuolo, da Fëdor Dostoevskij; adattamento e regia di Gabriele Lavia.

“Io sono un uomo malato… un uomo cattivo… un uomo che non ha nulla di attraente… ripugnante in sommo grado” Fëdor Dostoevskij, da “Memorie dal sottosuolo” Debutterà il prossimo 23 Maggio al Teatro India la nuova produzione del Teatro di Roma: Memorie dal sottosuolo, da Fëdor Dostoevskij, di cui Gabriele Lavia firma l’adattamento e la regia ed è interprete principale. Con lui in scena: Pietro Biondi e Euridice Axen. Lo spettacolo rappresenta la prima tappa del progetto pluriennale dello Stabile capitolino con uno dei più attenti, inquieti, profondi artisti del nostro teatro, progetto che prevede per la stagione 2006-2007 la messa in scena di Misura per Misura all’Argentina. Scritto nel 1865, il romanzo di Dostoevskij (sorta di confessione, resoconto scritto in prima persona) indaga la psiche tormentata e i meccanismi perversi della mente dell’“Uomo del sottosuolo”, un giovane impiegato inconcludente, a disagio con se stesso e in collisione con la società, isolato, con una vita di relazione inconsistente; un “…uomo malato, un uomo cattivo, un uomo che non ha nulla di attraente, ripugnante in sommo grado…” come si autodefinisce il protagonista nell’incipit del romanzo. Gabriele Lavia dà vita ad un personaggio spietato e patetico nello stesso tempo, a volte comico, grottesco o ridicolo. Con lui interagiscono sulla scena mano sempre troppo. Molto più lungo di quanto non faccia una persona contenta di riavere finalmente la sua privacy». Nato a Dublino nel 1971, Conor McPherson è?la giovane prostituta Lisa (Euridice Axen) e il domestico Apollon (Pietro Biondi). Lisa è il simbolo dell’innocenza perduta e della possibilità di redenzione grazie all’amore (“Quando si ama vale la pena di vivere anche senza essere felici - le dice l’Uomo del sottosuolo –. La vita è bella per la ragione che si ama. Anche nel dolore, se si ama, la vita è bella. In qualunque modo si viva, se si ama, vale la pena stare al mondo… Basta amarsi”. E più avanti: “dove non c’è amore, non c’è niente”, “L’amore è un mistero divino”). Apollon, di cui l’Uomo del sottosuolo vorrebbe liberarsi ma non può, non parla ma recita salmi, lo domina e tacitamente lo rimprovera, rappresentando in effetti la sua coscienza. La scena di Carmelo Giammello è dominata dalla neve, una neve surreale di cui persino gli interni sono pieni, una “neve fradicia” che circonda i mobili, un “cancro nevoso” che sembra voler invadere tutto. Il colore è un monocroma grigiastro, come se tutto fosse ghiacciato, un freddo marcio e fangoso che sembra riflettere in sé il male del mondo che poi, conclude Lavia, è la mancanza di amore. I costumi sono di Andrea Viotti, le musiche di Andrea Nicolini, le luci di Giovanni Santolamazza. “Per “Sottosuolo” Dostoevskij intende una particolare condizione umana – afferma Gabriele Lavia - la condizione dell’uomo solo, escluso dal consorzio umano e ripiegato su se stesso. La solitudine è la sua malattia ed essa porta con sé l’indifferenza, l’astio, il livore, l’odio nei confronti di tutti gli altri. Sono questi sentimenti che fanno del “Sottosuolo” il vero inferno sulla terra, inferno alle cui pene i dannati si sottomettono come per una oscena fatalità e con un senso chiaro e vivissimo della propria Colpa, trascinati da una assurda esaltazione. Questo mio “adattamento” per il palcoscenico si fonda sull’ultimo episodio con cui si chiudono le Memorie dal sottosuolo. E’ un epismano sempre troppo. Molto più lungo di quanto non faccia una persona contenta di riavere finalmente la sua privacy». Nato a Dublino nel 1971, Conor McPherson èo?dio emblematico, una specie di metamorfosi dello stato in cui versa il protagonista che va incontro a un avvenimento di fondamentale importanza: l’appuntamento con una donna. Non una donna qualunque: la donna di tutti… la prostituta. In questa “ultima scena” ho cercato di introdurre le confessioni che fanno impietosamente luce sugli angoli più bui e sudici del “sottosuolo” del protagonista e che occupano la prima parte nel racconto di Dostoevskij. L’angosciosa ammissione del suo fallimento, col potente, oscuro senso di colpa, è il tema che fa da sfondo all’ultimo incontro, o forse il primo di una nuova fase della vita di quest’uomo: l’incontro con una creatura femminile, una giovanissima prostituta: personaggio che è spesso di scena nella invenzione letteraria di Dostoevskij. L’incontro fra l’uomo e questa giovane donna è fallito in partenza per il muro di disprezzo che egli mette tra sé e la “donnaccia”…Dall’immaginario dell’uomo emerge infatti una fantasia distruttrice e vendicativa che fa della creatura che gli sta davanti il capro espiatorio delle proprie umiliazioni: diventa l’oggetto su cui scagliarsi con tale crudeltà da ferirla profondamente e macchiarsi di una colpa insanabile”. In scena fino al 18 giugno.
maria antonietta AMENDUNI