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17/03/2010

RODOLFO LAGANA’ IN SE NON FOSSI GIÀ CONFUSO MI CONFONDEREI



Torna a Roma a grande richiesta Rodolfo Laganà con il suo nuovo e brillante show “Se non fossi già confuso mi confonderei”che sarà in scena dal 16 marzo fino al 3 aprile alla Sala Umberto di Roma.

Lo stesso Laganà ha dichiarato: “Gli spettacoli quando funzionano, devono restare, mi piace fare teatro a Roma, dentro il GRA. Sono convinto che è uno show che più sta e più gente verrà. Mi piacerebbe portarlo avanti anche in estate”

“Se non fossi già confuso mi confonderei”, prende spunto da una divertente e surreale riflessione sulla confusione che ci circonda e ci coinvolge. La mancanza di punti di riferimento, l’assenza di regole certe, il peso delle proprie contraddizioni, sono i fattori scatenanti di uno stato confusionale che rischia di trasformarsi in caos.

I monologhi, a volte grotteschi e paradossali, sempre coinvolgenti ed esilaranti, si alternano alle spassose canzoni di Mario Pappagallo, suonate dal vivo da una band di formidabili musicisti diretta da Stefano Palatresi.

“Se non fossi già confuso mi confonderei” è un “one man show” di un Rodolfo Laganà bravo più che mai, attore brillante ed ironico come pochi, che ha in sé la verve, il disincanto e il magistrale umorismo della sua città; che, con Cristian De Sica, ha prestato la sua faccia ad una delle campagne pubblicitarie più famose degli ultimi anni e che continua a frequentare il cinema, la televisione ed il teatro con grande professionalità.
SALA UMBERTO
dal 16 Marzo al 3 aprile 2010
Dal martedì al venerdì ore 21.00, sabato ore 17 e 21.00 domenica ore 17.30. 2° mercoledì ore 17
Costo del biglietto: Galleria €20,00 Poltrona €25,00 Poltronissima €35,00

Maria Antonietta Amenduni


17/03/2010

Galatea Ranzi e Luca Lazzareschi ne LA LOCANDIERA



Torna a Roma a grande richiesta Rodolfo Laganà con il suo nuovo e brillante show “Se non fossi già confuso mi confonderei”che sarà in scena dal 16 marzo fino al 3 aprile alla Sala Umberto di Roma.

Lo stesso Laganà ha dichiarato: “Gli spettacoli quando funzionano, devono restare, mi piace fare teatro a Roma, dentro il GRA. Sono convinto che è uno show che più sta e più gente verrà. Mi piacerebbe portarlo avanti anche in estate”

“Se non fossi già confuso mi confonderei”, prende spunto da una divertente e surreale riflessione sulla confusione che ci circonda e ci coinvolge. La mancanza di punti di riferimento, l’assenza di regole certe, il peso delle proprie contraddizioni, sono i fattori scatenanti di uno stato confusionale che rischia di trasformarsi in caos.

I monologhi, a volte grotteschi e paradossali, sempre coinvolgenti ed esilaranti, si alternano alle spassose canzoni di Mario Pappagallo, suonate dal vivo da una band di formidabili musicisti diretta da Stefano Palatresi.

“Se non fossi già confuso mi confonderei” è un “one man show” di un Rodolfo Laganà bravo più che mai, attore brillante ed ironico come pochi, che ha in sé la verve, il disincanto e il magistrale umorismo della sua città; che, con Cristian De Sica, ha prestato la sua faccia ad una delle campagne pubblicitarie più famose degli ultimi anni e che continua a frequentare il cinema, la televisione ed il teatro con grande professionalità.
SALA UMBERTO
dal 16 Marzo al 3 aprile 2010
Dal martedì al venerdì ore 21.00, sabato ore 17 e 21.00 domenica ore 17.30. 2° mercoledì ore 17
Costo del biglietto: Galleria €20,00 Poltrona €25,00 Poltronissima €35,00

Maria Antonietta Amenduni


17/03/2010

Galatea Ranzi e Luca Lazzareschi ne LA LOCANDIERA



Galatea Ranzi è la protagonista de La locandiera di Carlo Goldoni, che va in scena dal 16 al 28 marzo al Teatro Eliseo di Roma con la regia, le scene e i costumi di Pietro Carriglio. In scena Luca Lazzareschi (il Cavaliere di Ripafratta), Nello Mascia (il Marchese di Forlipopoli), Sergio Basile (il Conte d’Albafiorita), Luciano Roman (Fabrizio) e Domenico Bravo, Eva Drammis, Aurora Falcone, Maurilio Giaffreda, Samuel Kwaku Gyamfi, Jennifer Schittino. Le musiche dello spettacolo – prodotto dagli Stabili di Palermo e Catania – sono di Matteo D’Amico, le luci di Gigi Saccomandi. Si replica fino al 7 febbraio e, successivamente, in tournèe a Catania, Genova e Roma.
Lo spettacolo di Carriglio si libera dagli stereotipi del goldonismo, focalizzando l’attenzione sullo straordinario meccanismo teatrale dell’opera, su alcuni aspetti tradizionalmente poco analizzati del testo, su un’inedita e sorprendente caratterizzazione del personaggio della Locandiera e sull’impianto figurativo, che richiama i dipinti del Tiepolo e di altri pittori. La locandiera, considerata una delle più belle commedie del mondo, definizione che è ricaduta su Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais, su La mandragola di Machiavelli e su La brocca rotta di Kleist, è tra quelle commedie che Carriglio definisce «meccanismi ad orologeria perfetti».. Spiega il regista: «Vi è un sottile piacere del teatro, del fare teatro che coinvolge e che stupisce. La locandiera è un orologio, un orologio del gran ’700, scandisce il tempo che passa inesorabilmente, senza la possibilità di essere fermato dai virtuosismi o dal gioco sottile che muove gli ingranaggi: e amareggia profondamente».

Maria Antonietta Amenduni


14 Agosto 2009

Al Teatro Valle sono di scena le Monografie.



Prima stagione teatrale per il Teatro Valle, orfano del Teatro Quirino. Dopo anni in cui i due teatri hanno fatto parte entrambi del circuito teatrale dell’ETI, Ente Teatrale Italiano, da quest’anno il Quirino è stato affidato a gestione privata, dunque questa è la prima stagione del teatro valle da “single”. “Il teatro Valle vuole diventare un luogo di sperimentazione, un teatro di progettualità”. Questo il piano per il cartellone 2009/2010 del teatro sito in via del teatro Valle 21 stando alle parole del direttore generale dell’Eti-Ente Teatrale Italiano Ninni Cutaia. “Al centro abbiamo messo l’artista e l’attore italiano. Si è deciso di coinvolgere Ferruccio Marotti e l’Università attraverso il teatro Ateneo, per creare delle nuove forze creative di ricerca. Stesso fine svolge l’Accademia Silvio D’Amico, con cui intendiamo presentare delle lectio magistralis sul teatro. Il cartellone offre una proposta interessante che vede di scena sezioni monografiche dedicate a grandi autori e attori. Inoltre la stagione viene inaugurata dalla danza contemporanea, con due monografie dedicate a Emio Greco e Jirí Kylián. Il primo presenta il dirompente HELL (13 e 14 ottobre 2009), il Purgatorio visto come una POPOPERA (17 e 18 ottobre 2009), e DOUBLE POINTS: ONE & TWO (20 ottobre 2009). Jirí Kylián presenta NDT III, gruppo stabile di danzatori over 40 in LAST TOUCH FIRST (22 al 24 ottobre 2009), il 3 novembre con NOVECENTO; il 4 LIBERA NOS; il 5 novembre UNO SCAMPOLO DI PARADISO; dal 10 al 22 novembre 2009 ZIO VANJA e il 16 novembre CAMILLO OLIVETTI: alle radici di un sogno. La Compagnia Sciamone Sfarmeli, di casa alla Comédie Française, propone PALI (dal 24 novembre al 6 dicembre 2009); lunedì 30 novembre 2009 la proiezione del film DUE AMICI; l’8 e 9 dicembre LA FESTA; 10 e 11 dicembre IL CORTILE infine il 12 e 13 dicembre LA BUSTA. A Natale il Valle resta aperto e invita le famiglie con il suggestivo e coinvolgente Teatro Kismet OperA che propone il testo LA REGINA DELLE NEVI (dal 15 al 24 dicembre 2009 – dal 28 dicembre 2009 al 6 gennaio 2010). Il regista Maurizio Scaparro presenta a dicembre, unendo cinema e teatro, il film L’ULTIMO PULCINELLA, con Massimo Ranieri. Emma Dante, artista palermitana ma ormai europea, arriva al Valle con gli attori della compagnia Sud Costa Occidentale e mette in scena MPALERMU (25 gennaio 2010) vincitore del Premio Scenario nel 2001. Accanto a questo primo successo della sua carriera, è in cartellone la trilogia sulla famiglia siciliana, con VITA MIA (18 gennaio 2010) e CARNEZZERIA (11 gennaio 2010). In cartellone anche una novità: LE PULLE (8 al 24 gennaio 2010) in cui Emma Dante è anche attrice. “Toni Servillo e Licia Maglietta – riprende Terrazza -, con teatri Uniti offrono un’eccezionale possibilità: il percorso artistico sintetizzato in una rassegna di film, legata ai suoi registi e alle sue produzioni”. Servillo in scena ripropone la TRILOGIA DELLA VILLEGGIATURA (dal 2 al 14 febbraio 2010) e LETTURE (8 febbraio), serata tra versi e parole dei grandi poeti partenopei. Licia Maglietta completa il mosaico, affrontando nel triplice ruolo di autrice- attrice-regista MANCA SOLO LA DOMENICA (16 al 21 febbraio 2010), trasposizione del romanzo Pazza è la luna di Silvana Grasso. Il testo vincitore della prima edizione del Premio Siae-Eti-Agis, L’EBREO (dal 23 febbraio al 7 marzo) di Gianni Clementi è allestito secondo il punto di vista di Enrico Maria La Manna, il quale ha dichiarato: “E’ un testo ambientato nel ghetto, i dialoghi sono in romano e sono entusiasta che Stefania Sandrelli, protagonista dello spettacolo, parlerà nel suo dialetto originario il toscano. Un’occasione rara”. Glauco Mauri festeggia i suoi ottant’anni al Valle. Sfida sulla scena Roberto Sturno nel testo contemporaneo L’INGANNO (9 al 28 marzo 2010) di Anthony Schaffer, thriller psicologico giocato sul contrasto tra verità e menzogna. In programma per celebrare l’artista, è previsto un incontro tra Mauri e il pubblico in una serata beckettiana: pioniere dell’autore irlandese in Italia, presenta la sua interpretazione d’oggi de L’ULTIMO NASTRO DI KRAPP (22 marzo 2010), introdotta in video da quella di ieri (1962) di ATTO SENZA PAROLE. La Sicilia torna anche con Andrea Camilleri con la messinscena de IL BIRRAIO DI PRESTON (8 al 25 aprile 2010), adattato dallo stesso Camilleri e dal regista, Giuseppe Di pasquale, occasione utile per festeggiare il cinquantenario dello Stabile di Catania. Dal 27 aprile al 9 maggio 2010 il Teatro Stabile di Catania mette in scena il divertente testo COME SPIEGARE LA STORIA DEL COMUNISMO AI MALATI DI MENTE per la regia di Matei Visniec. A chiudere la stagione ci sarà Mariangela Melato, che si cala con la consueta intensità e generosità ne IL DOLORE (11 al 23 maggio 2010), dramma tutto al femminile dalle pagine di Marguerite Duras.

Maria Antonietta Amenduni


14 Agosto 2009

Olimpici del Teatro, il premio del Presidente di giuria, Gianni Letta, assegnato a Franca Valeri



Arriverà a settembre, come ormai da tradizione, la grande serata al teatro Olimpico di Vicenza in programma il prossimo 11 settembre in cui saranno annunciati i vincitori dell'edizione 2009 del Premio "Eti - Gli olimpici del teatro", l'Oscar del teatro promosso dall'Ente Teatrale Italiano e dal Teatro Stabile del Veneto, e' stato comunicato il nome della vincitrice del Premio del Presidente della Giuria, attribuito da Gianni Letta. A ricevere quest'anno l'ambito premio sul palco del Teatro Olimpico, sara' Franca Valeri, straordinaria interprete, autrice, regista che ha attraversato la storia dello spettacolo italiano in piu' di sessant'anni di intensa attivita'. La serata finale di consegna dei Premi a Vicenza (trasmessa in diretta da Rai Uno), sara' cosi' l'occasione per festeggiare questa grande artista e la sua carriera. La popolarita' di Franca Valeri, legata a indimenticabili apparizioni cinematografiche e radiotelevisive come caratterista irridente del perbenismo borghese - su tutte la 'Sora Cecioni' - si e' sempre nutrita della sua raffinata pratica teatrale, cui l'artista si e' dedicata in maniera quasi esclusiva dagli anni '80 in poi, offrendo alla regia ed inscenando lei stessa la sua lucida e dolente maschera comica. Il premio a Franca Valeri, dopo quello ad Anna Proclemer lo scorso anno, e nelle precedenti edizioni a Mario Scaccia, Giorgio Albertazzi, Armando Trovaioli, Rossella Falk e Carlo Giuffre', conferma la volonta' degli Olimpici di celebrare le personalita' artistiche che hanno fatto la storia del teatro, in un'ideale staffetta fra i grandi maestri e gli attuali protagonisti del palcoscenico. Dopo la serata delle nominations, svoltasi al Teatro Valle di Roma lo scorso giugno, quando una giuria di esperti ha scelto la terna di candidati per ciascuna delle quattordici categorie in gara, il Premio si avvicina alla sua fase finale con l'avvenuta assegnazione dello speciale 'Premio del Presidente della Giuria'. Ogni anno, infatti, il Presidente della Giuria Gianni Letta attribuisce a suo insindacabile giudizio un riconoscimento speciale (che si aggiunge a quelli votati dalla giuria degli oltre 450 artisti e professionisti dello spettacolo) ad uno degli artisti che hanno segnato indelebilmente il teatro e la cultura italiani.

Maria Antonietta Amenduni


20 Giugno 2009

“Oedipus in the top” alla Fonderia delle Arti.

Duccio Camerini: racconto “a bocca chiusa” con attori, musica e silenzi

Difficilmente uno spettacolo di Duccio Camerini può passare inosservato. Chi lo conosce sa che con lui la curiosità non è ma abbastanza, chi ancora non lo conosce ha la giusta occasione per entrare nel suo mondo teatrale. Mai banale e abituato a stupire il pubblico, Camerini presenta lo spettacolo Oedipus in the top - racconto “a bocca chiusa” con attori, musica e silenzi. Lo spettacolo, organizzato da Maurizio Boco, debutterà alla Fonderia delle Arti (via Assisi, 31 - Roma) il 27 giugno e sarà in scena fino al 30. Favola, mito, racconto da cui tutti discendiamo. Edipo è una storia profondamente europea ed attualissima, di integrazione e diversità, di problemi di identità quanto mai sentiti come nostri. “Un mito che però trovando sulla sua strada l’Edipo Re di Sofocle ne è stato fatalmente schiacciato.” afferma Duccio Camerini presentando il suo progetto, uno spettacolo insolito, soprattutto se si pensa al lavoro della compagnia La casa dei racconti da lui diretta sulla parola e il racconto. Camerini e la sua compagnia, dopo aver ottenuto i finanziamenti per la realizzazione della manifestazione, affrontano per la prima volta una narrazione da una visuale del tutto inedita, ovvero senza l’uso delle parole. Il progetto nasce come un laboratorio di studio dei linguaggi teatrali incentrato sull’interazione tra danza, musica e teatro, realizzato con il sostegno del Comune di Roma - Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione, e co-prodotto con Fonderia delle Arti, la scuola di Teatro, Musica e Cinema diretta da Maurizio Boco e Giampiero Ingrassia che da sempre ha fatto di questa interazione il suo punto di forza. “L’idea di base” prosegue Camerini - “è di sperimentare un linguaggio scenico che riesca a comunicare senza restare intrappolati nell’obbligo della parola, ma neppure nel mimo, o nella pantomima: un racconto a bocca chiusa che riesca a trovare una propria coerenza e necessità. Qualcosa a metà tra la danza e la scena. Con supporto di musiche. E silenzi”. La storia di Edipo verrà restituita basandosi non solo sulla versione di Sofocle, ma anche sugli studi di Karol Kerenyi, James Hillman, Jean-Pierre Vernant e Roberto Peregalli. Sette gli attori che daranno vita ad “Oedipus”, Graziano Piazza (Tiresia), Marta Iacopini (Giocasta), Salvo Lombardo (Edipo), Ciro Carlo Fico (pastore), Andrea Adinolfi (Laio), Cristina Pedetta (Peribea), Fabio Frattasi (Polibo). Il linguaggio musicale è affidato alle composizioni originali di Fabrizio Sciannameo, eseguite dal vivo da Umberto Zanardo alla batteria, Fabrizio Paparello alle tastiere e Sebastiano Forte alla chitarra; il linguaggio corpo-danza è curato da Valeria Andreozzi. i materiali di scena sono di Alice Pizzinato, i costumi di Roberta Orlando. Assistenti alla regia Michela Mancini e Davide Nebbia.

Maria Antonietta Amenduni


15 Giugno 2009

Per il Nuovo Teatro Quirino Vittorio Gassman, in arrivo una “stagione Revolution” sotto la nuova direzione artistica di Geppy Gleijeses.



Una conferenza assai affollata e a lungo attesa quella del Teatro Quirino Vittorio Gassman, e non poteva essere altrimenti visto che è stata la prima conferenza del nuovo direttore artistico Geppy Gleijeses . La stagione 2009-2010 del Nuovo Teatro Quirino di Roma sara' all'insegna della notorieta', ma soprattutto sarà la stagione d'esordio per il nuovo gruppo che lo scorso 5 marzo ha rilevato la gestione del Teatro, quello che fa capo al Teatro Stabile di Calabria. Con orgoglio, e circondato dai suoi “collaboratori”, Gleijeses ha dichiarato nella lunga presentazione, che il gruppo ha raccolto una sfida che, con i tempi che corrono, era impensabile: ''Dovevamo essere in tanti a concorrere, - ha detto - ma evidentemente la crisi che attanaglia tutti, la provvisorieta' che da sempre contraddistingue i destini del teatro di prosa in Italia, e le condizioni del bando ritenute troppo onerose, hanno bloccato gli altri. Non e' stato cosi' per noi, e non credo che ci abbia guidati l'incoscienza, ma quello che mi piace definire l''ottimismo della ragione'. E' nei momenti di crisi che il teatro offre la possibilita' del riscatto e della rinascita “.

Tante le novità e le proposte, che coinvolgeranno anche l’assetto logistico del teatro; fra i lavori che verranno approntati figureranno l'allestimento di un caffe'-teatro nel foyer, dove si potra' passare il tea-time, l'happy hour, sentire musica. Verra' poi creata una biblioteca (sono in corso le trattative con le biblioteche di Roma) e una rivendita di video e libri; e nella sala Petrolini si installeranno delle postazioni video dove chiunque potra' vedere gratuitamente le commedie, i film, i video e i materiali messi a disposizione dalle Compagnie.

Ma non è tutto, la facciata del 1871 verra' ripulita e illuminata, i colori interni ravvivati, e si cerchera' di risolvere il problema della visibilita' precaria delle balconate, sostituendo le ringhiere in metallo con ringhiere di plexiglas. Come ha ribadito Geppy Gleijeses, non verra' smantellata la struttura, ma solo rinnovata. Lo stesso presidente dello Stabile di Calabria ha colto l'occasione per ringraziare quanti lo hanno assistito nel suo compito, tra cui il figlio Lorenzo che dirigera' il Programma Ragazzi, Ringraziamenti sono giunti anche a Shapour Yazdani, socio di Gleijeses da diverso tempo. Presente alla conferenza anche il viceministro della Cultura dell'Iran, Hossein Imani, il quale ha rivolto il suo applauso all'organizzazione.

Geppy Gleijeses, ha presentato la sua prima stagionee e la sua 'piccola rivoluzione per creare uno spazio che viva 320 giorni l'anno 18 ore su 24.L'apertura 2009-2010, dopo la rassegna a settembre Quirino Revolution dedicata alla drammaturgia contemporanea, e' fissata per il 6 ottobre. In tutto 13 spettacoli, fino a maggio. A parte la stagione 'ufficiale', che partirà con 'Novecento napoletano' (dal 6 al 18 ottobre) di Lello Scarano e Bruno Garofalo (che ne è anche regista) e che vede sul palco Gennaro Cannavacciuolo e Rosaria De Cicco, quattro progetti affiancheranno la stagione: “Quirino Revolution', 'Autogestito Quirino', 'Eventi' e “Quirino per i ragazzi'. "Ci tengo a sottolineare che ad aprire la stagione ufficiale non sarà uno spettacolo di prosa ma uno spettacolo di danza e musica - ha commentato Gleijeses - sotto il palco ci saranno 14 elementi d'orchestra e una banda che arriverà da fuori e che coinvolgerà la platea in una chiave gioiosa". Procedendo con la stagione ufficiale, dal 20 ottobre all'8 novembre andrà in scena 'Il caso di Alessandro e Maria. Curiosa replica di una storia che ha già avuto luogo' di Giorgio Gaber e Sandro Luporini con Luca Barbareschi (anche regista) e Chiara Noschese; seguirà 'Il giuoco delle parti' di Luigi Pirandello (10-29 novembre) diretto da Elisabetta Courir e con Geppy Gleijeses, Marianella Bargilli e Leandro Amato; 'Macbeth' di William Shakespeare, nella versione di e con Gabriele Lavia, andrà in scena dal primo al 13 dicembre; si prosegue con 'I casi sono due' di Armando Curcio (15 dicembre-10 gennaio), diretto e interpretato da Carlo Giuffré. Dal 12 al 24 gennaio sarà il turno di 'Sei personaggi in cerca d'autore'di Luigi Pirandello, con Giulio Bosetti (anche regista), Antonio Salines, Silvia Ferretti, Nora Fuser e Marina Bonfigli; Alessandro Preziosi sarà protagonista di 'Amleto' di William Shakespeare dal 26 gennaio al 7 febbraio diretto da Armando Pugliese; il balletto di Mosca salirà sul palco dal 9 al 14 febbraio con 'Il lago dei cigni' di Piotr Ilic Ciajkovskij diretto da Elik Melikov; dal 16 al 28 febbraio andrà in scena 'Grease il Musical' di Jim Jacobs e Warren Casey in una nuova versione diretta da Federico Bellone e portata sul palco dalla Compagnia della Rancia; dal 2 al 21 marzo Nancy Brilli sarà protagonista di 'Alphabet' di Massimiliano Bruno ed Edoardo Falcone. Si prosegue con 'La fortuna con la effe maiuscola' di Eduardo De Filippo e Armando Curcio (dal 6 al 25 aprile), diretto e interpretato da Luigi De Filippo; il Balletto, questa volta quello di Milano, torna di nuovo protagonista con 'Romeo e Giulietta' di Piotr Ilic Ciajkovskij (4-9 maggio) diretto da Giuseppe Acquaviva; a chiudere la stagione è 'Francesco e il re. La vera storia dell'incontro tra Francesco di Paola e Luigi XI di Francia' (11-23 maggio) di Vincenzo Ziccarelli con Ugo Pagliai, Paola Gassman e Philippe Leroy.

Maria Antonietta Amenduni


6 Giugno 2009

La Sala Umberto dedica la stagione alla drammaturgia italiana



La Sala Umberto diviene teatro di produzione oltre che di ospitalità e presenta una stagione tutta nuova, all'insegna della drammaturgia italiana. Questa la novità per la stagione 2009/2010 al teatro di Via della Mercede. Si riparte da un aumento degli abbonati del 25% pari a 2800. Rispetto alla precedente stagione - spiega Alessandro Longobardi, direttore artistico - ho scelto di dare prevalenza agli autori italiani contemporanei; attraverso le loro opere possiamo percepire da diverse angolazioni le atmosfere e i linguaggi delle giovani generazioni e dei nostri luoghi''.

L'amore e' il tema raccontato da Gabriele Pignotta, ''il Salemme degli anni 2000'', lo definisce Longobardi. Pignotta con ''Ti sposo ma non troppo'' racconta una storia vera iniziata su Facebook, un matrimonio annunciato si sfascia ed un single convinto si sposa. Anche Lorenzo Gioielli parla di amore con la commedia ''Non c'e' tempo amore'', con Amanda Sandrelli. Un'altra ironica fotografia dell'attualita' e' ''Tutto quello che le donne (non) dicono'' di Francesca Reggiani e Valter Lupo. Sara' poi la volta di Gianni Clementi con ''Ben Hur''; E dopo il successo della passata stagione, ottenuto con lo spettacolo “Col piede giusto”, torna alla Sala Umberto, anche Angelo Longoni autore di ''Testimoni'' con Giampiero Ingrassia e Daniele Liotti. Il testo, portato al successo dalla coppia Gassman-Tognazzi, narra di due amici, testimoni casuali di un omicidio consumatosi all’interno della malavita organizzata, che decidono di riconoscere e denunciare gli assassini. Il futuro che li attende è sconcertante: dopo aver compiuto il loro dovere, saranno costretti a sparire, cambiare città, nome, lavoro e identità per preservarsi da eventuali ritorsioni o vendette. La commedia sfiora il paradosso e scivola nel finale in una irrealtà da incubo, molto vicina alla confusione e all’inquietudine con la quale viene percepita la giustizia da tutti noi.
Il viaggio sulla contemporaneita' si conclude con un altro spettacolo di Clementi: ''I dolori del giovane Wert…Muller'' nel quale, Massimo Wertmuller innamorato pazzo ma allo stesso arrabbiato della sua citta', Roma, la elogia e la critica. Infine, Rodolfo Lagana' che ancora non si pronuncia sullo spettacolo che portera' sul palcoscenico della Sala Umberto. ''Sara' una sorpresa - afferma Rodolfo Lagana' - non ho ancora deciso se ripresentero' lo spettacolo dello scorso anno, portato in scena solo quattro settimane oppure ne presentero' uno del tutto nuovo''. Ritorna Paolo Poli con lo spettacolo ''Sillabari'' di Goffredo Parise mentre Gianrico Tedeschi porta sul palcoscenico ''Metti in salvo il tesoretto''.

Prosegue con successo crescente il progetto sul Teatro Ragazzi con Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, La sirenetta, Il fantasma di canterville, Giovani spiriti, Io me ne frego (sul bullismo), Robinson e Manfriday ecc. È previsto inoltre un percorso alla scoperta dello spazio Teatro: visite guidate dietro il sipario che sveleranno i segreti della macchina teatrale. Tutto ciò nell’intento educativo di avvicinare i più giovani al teatro, non solo come pubblico, ma anche come soggetti attivi.

Maria Antonietta Amenduni


6 Giugno 2009

Eliseo e Piccolo Eliseo, stagione “sfacciata” e coraggiosa che non penalizza la qualità.



“La creatività contro la crisi”. Con questo motto, Massimo Monaci, direttore del Teatro Eliseo, ha presentato la stagione teatrale 2009/2010 dell’Eliseo e del Piccolo Eliseo Patroni Griffi. cominciato la conferenza stampa di presentazione della stagione 2009/2010. Il teatro è una risorsa essenziale della nostra società, è culla di cultura, strumento conoscitivo di sapere e di rispetto al quale non si può prescindere. Dopo i tagli annunciati al Fus il principale motto del Teatro Eliseo per la prossima stagione infatti è “Rinuncio a tutto. Non al teatro”. A questa idea, ribadita da tutti gli artisti che hanno parlato (indossando come il direttore delle simpatiche T-shirt rosse che mostravano il motto) si unisce, anche per ridurre i costi in tempi di crisi, un diverso orientamento produttivo che porta il Teatro Eliseo a stringere collaborazioni con altre istituzioni teatrali, aumentano insomma le coproduzioni rispetto alle produzioni dirette.

Un cartellone sfacciato e coraggioso quello dell’Eliseo che premia i giovani e la loro voglia di affermarsi in un mondo teatrale ancora troppo arginato al passato. Senza nulla togliere alla nostra grandiosa tradizione teatrale, è pur giosto che si dia anche spazio a chi, pur avendo qualche anno in meno, il teatro lo sa fare bene, nel rispetto della stessa tradizione. Dunque ben venga la “sfacciataggine” di Monaci e del suo teatro e il coraggio di proporsi con un cartellone che punta al nuovo ma senza tralasciare la qualità.

Si aprono così le porte a spettacoli come La tempesta diretto da Andrea de Rosa con Umberto Orsini, in scena a fine novembre, oppure Quattro atti profani, di Antonio Tarantino per la regia di Walter Malosti, e ancora, grazie a una corealizzazione con Romaeuropa Festival, andrà in scena il teatro di figura della Handspring Puppet Company, diretta da William Kentridge, con Woyzeck on the Highvel.

E poi spazio alle ospitalità come La notte dell’angelo, scritto e diretto da Furio Bordon, e prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Copenaghen, prodotto dall’Ert e Il Dio della carneficina diretto da Roberto Andò. Questi ultimi due sono già stati in scena a Roma nella passata stagione. Spazio anche ai grandi nomi (perché va bene il coraggio, ma i conti col fatturato bisogna anche farli!). Arrivano così Massimo Ranieri (Polvere da Bagdag con la regia di Maurizio Scaparro), Gian Marco Tognazzi (Die Panne di Durrenmat), Rossella Falk ( con Est Ovest di Cristina Comencini), Leo Gullotta (che ritorna con Il piacere dell’onestà), e Nicola Piovani (Epta, suite strumentale in sette movimenti per sette elementi).

Il Piccolo Eliseo Patroni Griffi si apre invece con, una divagazione “da territori prettamente teatrali”, come la ha definita Monaci, e si tratta della proiezione, in abbonamento del film di Maurizio Scaparro, L’ultimo Pulcinella con Massimo Ranieri, operazione che Scaparro porterà in altri teatri italiani. Si continuerà poi con proposte interessanti come quella di Fausto Paravidino, (La malattia della famiglia M, Sogno d’amore di Giampiero Rappa) e poi Dacia Maraini, Claudio Santamaria in uno spettacolo su Koltès, La notte prima della foresta, quest’ultimo all’interno della rassegna RomaCittà Teatro, manifestazione riservata alla drammaturgia contemporanea nata dalla collaborazione tra l’associazione siciliana Città Teatro e il Teatro Eliseo.

Maria Antonietta Amenduni


1 Maggio 2009

“Andata/Ritorno/Andata”: il lungo viaggio di Olga, alla ricerca di un sogno, in scena al Teatro Lo Spazio.it



Il viaggio della speranza, l’inseguimento di un sogno, il desiderio di cambiare la propria vita. E’ il motivo che spinge milioni di persone ogni giorno a lasciare il proprio paese di origine alla ricerca di una vita migliore. Con un testo di raffinata poesia, al di là dei luoghi comuni, questo e molto altro viene raccontato dal 5 al 17 maggio al TeatroLoSpazio.it con “Andata/Ritorno/Andata”, progetto di Jana Balkan, scrittura drammaturgica di Marco Ongaro, regia Walter Manfrè. Intensa protagonista è Isabella Caserta in scena con Marco Ongaro che canta dal vivo. Musiche e canzoni sono di Marco Ongaro, arrangiamento musicale di Enrico Terragnoli, sequenze video di Luca Caserta, foto di scena di Andrea Darra, scene e costumi Laboratorio Teatrale, produzione Teatro Scientifico - Teatro/Laboratorio. La storia si sviluppa con una successione di quadri, che servono a giustificare la decisione del lungo viaggio fatto da Olga da uno sconosciuto villaggio della Moldavia per arrivare nel nuovo Eldorado dell’Italia. Sistemarsi e tornare, costruire una casa nel proprio villaggio, far studiare i figli, assicurare loro un futuro migliore… E tutto questo con il desiderio del ritorno, che si fa sempre più forte accanto alla nostalgia, quasi a cancellare il tempo, a cancellare le esperienze fatte fuori della propria comunità o a sentirle come non totali. Umorismo e amarezza s’inseguono in una regia che accompagna e sottolinea la forza e la poesia del testo. In scena, Isabella Caserta racconta e interpreta in un crescendo talora drammatico, talora spensierato, storie di disperazione di una vita precaria, della mancanza d’identità, dei dubbi sull’esistenza.Le canzoni di Marco Ongaro, che canta dal vivo, accompagnano e scandiscono i passaggi della narrazione. Walter Manfrè così scrive nelle note di regia: “Un movimento continuo, andata – ritorno - andata, domina questa nostra riflessione/spettacolo sull’andamento della vita umana. Il tema del viaggio, ormai desueto per la continuità con cui è stato trattato dai poeti, torna qui prepotente come costante di una povera anima che, se non fosse per la propria ingenuità e la solarità che la pervade, sarebbe da catalogare nel ciclo dei vinti di verghiana memoria. Ma qui la nostra “eroina” vince. Vince. Non trionfa. Sa attraversare con ostinazione il momento ‘Peripezie’ che ogni racconto impone ed arrivare al porto sicuro di un luogo senza mare dove sa ristabilire l’ ‘Equilibrio’… Quanta malinconia durante il percorso, quanta paura. Ma anche quanto calore: di fuoco di legna, di farine impastate, di pani, di case, di occhi di bambini. E poi odori di morte, di vita e tradizioni e regole e leggi che gente da lei lontana ha chiamato con nomi strani… Il linguaggio poetico si mescola alla cronaca, il quotidiano diventa sogno, il dolore racconto. E le canzoni, storie anch’esse di altri, di sogni di altri, di vite di altri si intersecano con preghiere e sussurri e canti folklorici e litanie per essere insieme, tutti, Poesia”.
Repliche tutti i giorni ore 21.00, domenica ore 17.30, lunedì riposo.

Maria Antonietta Amenduni


1 Maggio 2009

In scena al Teatro India, Rosvita con Cinzia Dezi, Michela Marangoni, Ermanna Montanari, Laura Redaelli



Debutta il 6 maggio al Teatro India “Rosvita” di Ermanna Montanari regia di Marco Martinelli Come ci racconta la regista, Rosvita è una drammaturga del X secolo, una monaca sassone che nel convento di Gandersheim riscrisse le commedie di Terenzio trasformandole in drammi edificanti. La sua produzione può essere letta come una prima, arcaica forma di "teatro della crudeltà". Abbiamo intitolato a suo nome questa nostra miniatura corale, inanellando e montando frammenti delle sue partiture sceniche: in esse vengono sconfitte crudeli figure paterne e autoritarie, in esse le tormentate figure femminili, in maniera improvvisa e iperbolica, accettano precipitosamente e la tentazione e la resa e la conversione. Non c'è logica, non c'è buonsenso, non c'è misura: tutto si compie nell'eccesso dell'interiorità, là dove affrontiamo le sfide decisive. Roghi di giovinette, stupri e torture, cedimenti, amori impossibili che non si arrestano neanche davanti alla necrofilia, padri autoritari e pii: miniature medievali che riaffiorano da un passato remoto e che si perpetuano sempre uguali (se solo le sappiamo leggere) nelle cronache quotidiane del pianeta. La crudeltà ambigua e disorientante dei drammi di Rosvita mi parla ancora, a distanza di dieci secoli, a distanza di quasi vent’anni dal mio primo accostarmi alla sua opera: tutto, nella sua scrittura insieme devota e infuocata, vi accade all’improvviso, la tentazione e la resa e la conversione. Non c’è logica, non c’è buon senso, non c’è realismo, non c’è psicologia: tutto si compie nell’eccesso dell’interiorità, là dove affrontiamo le sfide decisive, là dove i nostri sentimenti si ergono smisurati e assoluti, non accettando sagge correzioni dal di fuori. Le figure che Rosvita tratteggia con la sua prosa rimata, svuotate della loro sostanza corporale, diventano emblemi dello spirito, marionette al vento. Urlano, pregano, si seppelliscono. Dicono di no, dicono di sì, e sempre accettano liete il loro abisso. “Là dove sarà il tuo cuore, là vi sarà anche il tuo tesoro.” La “debolezza” femminile ha la meglio sul “vigore” maschile, per usare la sintesi della canonichessa di Gandersheim, la prima scrittrice di teatro a noi nota dell’Occidente. Un conflitto tra autorità patriarcale e ribellione muliebre, agito scenicamente in un’epoca in cui spesso la donna veniva descritta come “sacco di escrementi”, “porta del Diavolo”.
L’autrice ha liberamente rielaborato le traduzioni dal volume ROSVITA, Dialoghi drammatici, a cura di Ferruccio Bertini, Milano, Garzanti, 2000

Maria Antonietta Amenduni


5 Aprile 2009

“ Bertrand s’amuse ”: progetto “ FUSIONE “ (Laboratorio)



Al Teatro Palladium di Roma, il giorno 21 aprile 2009, alle ore 20.30, con ingresso libero e CD del progetto in omaggio, è in programma un concerto poetico dal titolo “Bertrand s’amuse”, suddiviso in due parti. Nella prima vengono proposti 17 testi poetici tratti dal libro “Toboga” di Regina Franceschini Mutini, messi in musica ed eseguiti al pianoforte dal maestro Gianluca Pezzino e cantati da Gianni De Feo; nella seconda un monologo - “Liane” - sempre per la voce di Gianni De Feo , sonorizzato dal sound design Mirco Mencacci. Il Progetto mette a fuoco la comparazione di diversi linguaggi artistici, dei quali protagonisti sono autori impegnati in differenti discipline : la scrittura poetica, la scrittura musicale e vocale,la partitura sonora legata alla lettura.
Per preparare alla visione e all’ascolto del concerto poetico , presso il DAMS (Università di Roma Tre, aula b3, Via Ostiense 133), lunedì 20 aprile alle ore 11.00, si terrà un seminario dal titolo : “Fusione. Parole e Musica” .
Interverranno per il Dipartimento Comunicazione e Spettacolo il Prof. Luca Aversano e il Prof. Giancarlo Sammartano, Pippo Di Marca, regista e Direttore Artistico dell’Atelier Meta-Teatro, Cosimo Cinieri attore, Francesca Della Monica cantante e esperta della vocalità e Pino Tufillaro, attore e video-artista.


Maria Antonietta Amenduni


5 Aprile 2009

Prima che il Sogno

Giorgio Albertazzi e Michele Placido insieme al Teatro Tor Bella Monaca

Giovedì 9 aprile il palcoscenico del Teatro Tor Bella Monaca ospiterà un incontro eccezionale: Giorgio Albertazzi e Michele Placido insieme per Prima che il Sogno una serata magica in cui le voci e la musica si faranno veicolo per un’ode al mare. Due grandi artisti che si alterneranno rubando versi a grandi poeti e regalando al pubblico frammenti dei loro ricordi, del mare, della vita. Una coppia collaudata e in forte sintonia, ancora una volta unita sul palcoscenico in una serata nuova, unica. E allora Borges, D’Annunzio, Dante, Gozzano, Montale: prima che il sogno. Con Albertazzi e Placido ci saranno la fisarmonica di Davide Cavuti e il pianoforte di Paolo Di Sabatino. “Protagonista dello spettacolo è il mare, - come ci racconta Giorgio Albertazzi - che è origine della vita, tema di poeti (grandi e piccoli) e sfida di grandi esploratori e, se si vuole, il luogo dei guai. Nel mare c’è la balena bianca e c’è soprattutto Ulisse, che è, oltre all’eroe di Omero anche di D’Annunzio, Joyce, Pascoli, Dante e di altri ancora. Michele ed io proveremo a navigarci con qualche rischio, ma con soddisfazione. Infondo navigare necesse est, vivere non est necesse”. Un’incontro teatrale da raccontarsi come un viaggio. E come un viaggio sembra aprirsi simbolicamente allo spazio di tensione esistente fra l’erranza ed il radicamento: tipiche connotazioni umane. Già nei primi versi dell’Odissea si annuncia che il racconto narra di un viaggi ed inutile sarebbe affrettarlo, anzi, «devi augurarti che la strada sia lunga» raccomanda ad Ulisse Constantinos Kavafis, perché solo così avrà senso il ritorno di un uomo fatto ricco dalle esperienze, dagli incontri. Perché viaggiare ha a che fare con la morte, è anche un differire la morte: «rimandare il più possibile l’arrivo, l’incontro con l’essenziale. Viaggiare non per arrivare ma per viaggiare, per arrivare il più tardi possibile, per non arrivare possibilmente mai». Tuttavia, un giorno, si torna chiudento così il viaggio che riconduce, che riporta al luogo di partenza per ritrovare finalmente le proprie cose, ma soprattutto la pace con se stessi. Come ha scritto Milan Kundera, «il più grande avventuriero di tutti i tempi è anche il più grande nostalgico». La metafora della vita come di un viaggio marino riempie romanzi e poesie da sempre, viaggio che approda infine ad esiti felici, oppure – come in Jaspers – allo scacco, al naufragio: «Naufragare significa fare un’esperienza che non si può né anticipare, né evitare, perché giungere al proprio compimento è anche dissolversi. L’ultima possibilità che rimane a tutto ciò che si realizza nel tempo è quella di attuarsi per naufragare completamente».

Maria Antonietta Amenduni


5 Aprile 2009

Ti ho sposato per ignoranza



Dopo il successo di “Papà non ha figli” e “Miracolo a delinquere” al Teatro dei Comici debutta la nuova divertente commedia di Gianfranco Gallo “Ti ho sposato per ignoranza” in scena dal 27 marzo al 26 aprile. Per la prima volta sul palco insieme a Gianfranco e Massimiliano Gallo e la Compagnia Stabile del Teatro dei Comici la bellissima Maria Monsè.
La messa in scena di questa commedia è il primo degli omaggi al Teatro dal quale l'autore, Gianfranco Gallo, proviene e dal quale è partito, quel Teatro comico napoletano di nobile tradizione che presenta al pubblico di Roma in due originali versioni. Un Teatro i cui eroi furono Antonio Petito e la sua famiglia, Cammarano, Eduardo Scarpetta e tanti altri che traghettarono il palcoscenico partenopeo dalla Commedia dell’Arte ai testi di Eduardo e dei nuovi drammaturghi. Un’ antica farsa di Pasquale Petito è appunto lo spunto per questo esilarante spettacolo, il cui titolo originale, “A scarrecavarrile” (“A scarica barile”), spiega tutta la trama: storia di tradimenti e perdoni nel segno di una grande tradizione comica rinnovata, protagonista incolpevole un bastone da uomo che fa da asse per una serie di costruzioni comiche di grande eleganza ed efficacia.
Una messa in scena di sicuro effetto che trascinerà lo spettatore in un’epoca, passata e indefinita allo stesso tempo, nella quale ritroverà una vis comica, un linguaggio e un’attualità del tutto originali e vicini al moderno sentire.
Lo spettacolo sarà in scena dal martedì al sabato alle ore 21,00 e la domenica alle ore 18,00.
Il costo dei biglietti va da un minimo di 15 euro ad un massimo di 23 euro.
Il Teatro dei Comici è in Piazza S. Chiara, 14.
Cast: Gianfranco Gallo, Massimiliano Gallo, Maria Monsè, Antonio De Rosa, Anna De Nitto, Flora Gesuèle

Maria Antonietta Amenduni


5 Aprile 2009

La Famiglia dell’Antiquario



Debutta il 24 marzo al Teatro Argentina “La famiglia dell’Antiquario” la commedia scritta nel 1750 da Carlo Goldoni, un testo “diverso” ricco di contrasti che imprevedibilmente, rispetto al repertorio goldoniano, non si definiranno nel classico lieto fine ma lasceranno spazi aperti e situazioni irrisolte. La regia è affidata a Lluis Pasqual, uno dei più grandi registi europei che per la prima volta si confronta con un testo goldoniano in italiano.
La famiglia dell’antiquario, così come ci racconta il regista, è un’opera leggera come il fumo e delicata come una ragnatela. Goldoni la colloca in una lontana Palermo, che è come dire Venezia. E i suoi personaggi sono più veneziani dello stesso Rialto, tutti toccati dalla stessa luce del miracolo e avvolti dalla stessa acqua che li riflette. Un lunatico collezionista di “anticaglie” e suo figlio, una contessa che non va d’accordo con sua nuora, figlia di un bottegaio danaroso che finirà per mettere ordine nella casa, una coppia di amici che aiutano a ingarbugliare “la pièce” e tre maschere che sopravvivono come possono approfittando della follia generale. Tutto qui. Un intero universo. E vita. Tonnellate di vita in forma di teatro. Di quando stiamo parlando? Goldoni ci parla di lui e dei suoi contemporanei, ...è chiaro ...però, solamente? Mi sembra di intuire che, nel delicato esercizio di scrivere una commedia senza trama, Goldoni dia ai suoi personaggi con poche pennellate un’essenza molto profonda e molto nitida e così fresca e profumata che come un raggio di luce attraversa con nitidezza i tempi, si ferma e li illumina per un attimo, per poi arrivare fino al nostro presente. In qualsiasi angolo della città possiamo ancora sentire l’eco delle sue parole che non sappiamo bene se siano uscite da una finestra duecento anni...o due minuti prima, parole come anelli di una lunga catena che è stata tessuta attraverso gli anni. L’umanità, col tempo, ha accumulato tante cose buone e cattive che dovrebbero aver sepolto una voce di due secoli fa, come quella di Goldoni, e invece l’eco di questa voce è ancora chiara e vicina. Forse perché visti dal suo sguardo, i sentimenti e le manie sonno le stesse? Chi osserva chi in questo testo raffinatissimo e misterioso? Siamo noi che osserviamo Goldoni o è lui che ci guarda malizioso e sorridente soprattutto contento di aver indovinato una specie di codice genetico di comportamento che perdura allegramente e si ripete e continua a girare come gira il mondo? È questo viaggio dalla sua voce fino alla nostra eco, con le sue fermate e le sue riprese, quello che osserva da qualche parte lo sguardo giocondo di Goldoni?

TEATRO ARGENTINA
Teatro Stabile del Veneto - Teatro Stabile di Genova
La Famiglia dell’Antiquario
di CARLO GOLDONI
con: Virgilio Zernitz, Piergiorgio Fasolo, Anita Bartolucci, Gaia Aprea, Aldo Ottobrino, Nunzia Greco, Enzo Turrin, Paolo Serra, Giovabbi Calò, Eros Pagni, Massimo Cagnina
Regia Lluis Pasqual

Maria Antonietta Amenduni


19 Marzo 2009

Lady Oscar approda sul palcoscenico al Teatro Vascello di Roma.



Uno dei cartoni animati più amati di sempre, che ha fatto la storia della tv e animato la fantasia di quanti ne erano e sono ancora oggi degli appassionati di quella Lady, che donna non poteva essere! L’Associazione “Diverbia et Cantica”, presenta al Teatro Vascello di Roma, “LADY OSCAR François – Versailles Rock Drama” opera in 2 atti liberamente ispirata al romanzo “Versailles no bara” di Ryoko Ikeda, noto in Italia con il nome “Lady Oscar”, con Danilo Brugia e ALICE MISTRONI. Autore testi, musiche e regista Andrea Palotto. Direzione musicale e arrangiamenti EMILIANO TORQUATI, coreografie RITA PIVANO.
Nella Francia pre-rivoluzionaria una donna, nel dare alla luce sue figlia, muore. Il marito, austero generale dell’esercito, alleva la bambina come fosse un uomo arrivando a farle avere da Re Luigi XV il grado di comandante delle guardie reali. La storia si svolge tra le contraddizioni interiori di questa ragazza che scopre i primi istinti di donna, sempre negati dalla volontà paterna, e si intreccia con gli eventi che hanno segnato la Francia e l’Europa di quei tempi e ne hanno cambiato il pensiero. I rintocchi dell’’orologio della rivoluzione sono scanditi dalle battute satiriche del Robespierre/Burattinaio “amico del popolo” (giornale realmente esistito in epoca rivoluzionaria), che ripropone le macchiette cortigiane e rende cruda la realtà popolare mettendola a confronto con gli sfarzi della corte più grande e bella d’Europa. Ad arricchire la storia c’è naturalmente l’amore in tutte le sue forme: taciuto, represso, manifesto, speranzoso, segreto, nascosto, non corrisposto, negato, inseguito, incompreso ed infine raggiunto nel sacrificio estremo. François, André, Maria Antonietta e Fersen, le tante facce di un sentimento.

Ad un anno dal rinnovo del gemellaggio tra Roma e Parigi, proponiamo il primo Rock Drama interamente italiano, un tributo al popolo della rivoluzione del 1789 e ai movimenti che hanno segnato le tradizioni e le culture europee, cambiandone profondamente il pensiero. Presentato alla maniera dei grandi musical anglosassoni, una delle forme artistiche più innovative ed in continua ascesa sul nostro territorio ed in Europa, il lavoro è basato su realtà storiche e temi sociali ancora attuali come quelli della disuguaglianza (problema molto sentito nella nuova società multirazziale) , della disperazione causata dalla ostentazione degli eccessi della ricchezza in contrapposizione agli stenti della povertà (significativi i recenti dibattiti politici in materia cui ancora non si riesce a dare una svolta), dall’amore che mette a nudo l’animo umano e dalla follia inaspettata che ne consegue (tutt’oggi i telegiornali sono pieni di fatti di cronaca scaturiti dalla deformazione di un sentimento o di una passione). Una storia di forte impatto emotivo e grande interesse culturale, drammatica nel suo svolgimento, che mette a confronto modelli sociali lontani più di due secoli, ma che presentano le stesse problematiche, incongruenze e discriminazioni.
La accuratezza nella ricostruzione di alcuni personaggi storici quali, Luigi XVI, Maria Antonietta d’Austria, Robespierre, Marat e tanti altri, inseriti all’interno di una storia avvincente trattata con un linguaggio moderno e accattivante, lo rendono uno spettacolo fruibile per chiunque anche a studenti delle scuole medie e superori.

AL TEATRO VASCELLO di Roma
Via Giacinto Carini n° 72
Dal 20 marzo al 5 aprile 2009

con
François – Lady Oscar: Alice Msitroni
Andrè Grandier: Danilo Brugia
Robespierre/Burattinaio: Massimilano Micheli
Augustine Jarjeyes: Alessandro Tirocchi
Fersen: Cristian Ruiz
MariaAntonietta: Emanuela Maiorani
Duca D'Orleans: Igino Massei
Marie: Anna Cetorelli
Contessa/Marguerite: Gloria Gulino
Sophie: Dominga Cozzolino
Re Luigi XVI: Filippo Dini
Re Luigi XV/ Oste: Francesco Biolchini
Bastien: Cristiano Leopardi
Dottore/Valletto: Paolo Cives

Maria Antonietta Amenduni


9 Marzo 2009

La clown terapia in scena al Teatro Lo Spazio.it: “La verità è un limone” di e con Selene Gandini; con la partecipazione vocale di Giorgio Albertazzi.



Selene Gandini, attrice di grande pregio e valore, in uno spettacolo affascinante, in cui esalta tutta la sua arte e il suo indiscutibile talento. In scena al Teatro Lo Spazio.it dal 17 al 22 Marzo, lo spettacolo “La verità è un limone”, di e con Selene Gandini, regia di Gianni Masella e con la voce di Giorgio Albertazzi. Nel ruolo dell “Io razionale” : Victor Nget De Crescenzo; attrici video: Greta Rossi, Cristina Rocchetti, Chiara Politanò, Sylvia Kleoniki Sakellaridis, Fatima Ali. Collaborazione artistica di Gloria Pomardi.

Un racconto delizioso e straniante Una fiaba onirica e spiritosa, una fantasia di capriole a ritmo sempre più veloce, come in un sogno. Un sogno di quelli che lasciano inquieti. Tuye-yè-yè non è uomo , non è donna o forse è entrambi all’interno di un gioco. In una soffitta ha creato un mondo fatto di risposte surreali ed immaginarie. Lo spettacolo esplora l’inconscio ed il sogno di T. per arrivare alla scoperta di quella realtà dalla quale è partito il suo viaggio.

Gli amici di Tuye-yè-yè sono un orso di peluche, un cavallo di pezza, una paletta ed una piccola scopa. Nello spazio, fili di lunghezze diverse con lenzuola dipinte da T. che descrivono i protagonisti della sua storia. Come un rito, ogni giorno stende le lenzuola assegnando loro la parte. T. parla con ciascun lenzuolo , giocando con scale di dimensioni diverse, con bolle di sapone, con oggetti differenti a cui presta la voce. Interagisce con il pubblico (per lui pubblico immaginario) a cui racconta la sua storia ed i suoi pensieri ( dal suo dolce preferito, al fatto che tutti lo vogliono come capo del mondo, fino a parlare di Dio).

I racconti ed i gesti sono tragico-comici e dalle sue innumerevoli risate inizieranno le domande. È un personaggio cattivo, dolce, euforico, triste ed i passaggi da uno stato d’animo all’altro sono frutto del dialogo che ha con L’INTERLOCUTORE e il BAMBINO. Il primo ( voce off ) è la voce interna a cui ognuno di noi assegna un valore ed un nome. Nella solitudine la scopriamo . E’ con l’Interlocutore che riusciamo a creare un dialogo con noi stessi. Dà un senso a quello che facciamo. Il secondo (videoproiettato ), rappresenta l’IO adulto, la parte razionale ed è con lui che nascono situazioni di gioco e di conflitto. Interagisce con la storia anche uno strumento musicale (sax), anche lui in scena ma “suonato” dall’ immaginazione .

Sull’unico lenzuolo bianco vengono proiettate immagini e video apparentemente senza un filo logico, volte a rappresentare la mente di T. Il pubblico vedrà la successione di queste immagini e dialoghi ripetuta nell’arco dello spettacolo più volte, fino ad arrivare a capire a quale mondo reale T. ha attinto per creare la sua dimensione fantastica. T. non vuole dimenticare quello che lo circonda, ma lo rielabora a suo modo, creando un mondo parallelo. Tutto nasce dal bisogno di essere interi, dall’ esprimere pienamente noi stessi per quello che siamo e non per quello che rappresentiamo. Realtà, sogno e illusione si intrecciano fluendo e divenendo una storia sola ed è in quella storia che ritroviamo uniti coscienza razionale ( INTERLOCUTORE e BAMBINO) e istintività creativa ( TUYE-YE’-YE’).

Durata dello spettacolo: 1 ora
Appuntamento per il Dopoteatro dal 19 al 22 marzo con gli EQU in concerto.
TeatroLoSpazio.it
Spettacoli ore 21.00 - Domenica ore 17,30. Ingresso 12 Euro, ridotto 7 Euro, tessera associativa trimestrale 3 Euro
Dopoteatro dalle 22:30 – domenica ore 21,00 –costo biglietto 7 euro + tessera associativa trimestrale 3 Euro
Roma, Via Locri 42/44, (traversa di via Sannio, Metro San Giovanni)Tel.+39 0677076486 +39 392 9583409
info@teatrolospazio.it
Gli uffici sono aperti il pomeriggio, il botteghino un'ora prima dello spettacolo
Prenotazioni per il pubblico e informazioni 06 77076486 - info@teatrolospazio.it

Maria Antonietta Amenduni


9 Marzo 2009

La parola ai giurati, diretto ed interpretato da Alessandro Gassman. Al di la di ogni ragionevole dubbio, i giurati si danno battaglia al Teatro Eliseo di Roma.



Bellissimo! Sarà abanale, semplice o riduttivo, ma questò è l’aggettivo che riassume lo spettacolo “La parola ai giurati” di Reginald Rose, nella traduzione di Giovanni Lombardo Radice, che vede protagonista e regista un superlativo Alessandro Gassman; con lui in scena un cast di tutto rispetto composto da: con Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Fabio Bussotti, Paolo Fosso, Nanni Candelari, Emanuele Salce, Massimo Lello, Emanuele Maria Basso, Giacomo Rosselli, Matteo Taranto, Giulio Federico Janni. Lo spettacolo è in scena a Roma al Teatro Eliseo dal 3 al 22 marzo.

Alessandro Gassman alla sua seconda prova di regia, affronta un testo socialmente coinvolgente e profondamente attuale come è La parola ai giurati di Reginald Rose. La trama del testo teatrale è piuttosto semplice: la vicenda è ambienta nella New York degli anni ‘50. È il 15 agosto e una giuria popolare composta da dodici uomini di diversa estrazione sociale, età e origini sono chiusi in camera di consiglio per decidere del destino di un ragazzo ispano-americano accusato di parricidio. Il verdetto di colpevolezza sembra scontato, quasi una formalità e presumibilmente si espliciterà in pochi minuti . Ma uno di loro, che con meticolosità e intelligenza costringe gli altri giurati a ricostruire nel dettaglio i passaggi salienti del processo e, grazie a una serie di brillanti deduzioni, e ad un ragionevole dubbio, confutando le prove indiziarie a carico del sedicenne parricida , a poco a poco riesce ad insinuare i dubbi anche nella mente degli altri giurati e la situazione si complica, il tempo passa, e le coscienze di tutti devono fare i conti con quanto è stato detto e con quel lancinante ragionevole dubbio.

I personaggi affrontano in un crescendo rossiniano ore e ore rinchiusi in una stanza a fare i conti con le prove, le testimonianze e le incoerenze; Il crescendo si trasmette con grande semplicità dal palcoscenico al pubblico, grazie alla bravura degli attori, alla regia meticoloso, piena di buone trovate e di effetti visivi e sonori che arricchiscono e completano l’ottimo meccanismo ad orologeria che è questo spettacolo.
L’intera piece è giocato sul perfetto contrasto fra i caratteri dei personaggi, così diversi fra loro e così magistralmente dipinti dai bravi attori mentre il regista in scena Gassman, quasi sacrifica perfino la propria verve mimica e declamatoria sedendo intorno al tavolo in modo da volgere le spalle al pubblico. Gassman dimostra di aver raggiunto un grande livello di maturità artistica come attore, e conferma una raffinata predisposizione alla regia. Degni di lode anche tutti gli attori in scena, senza eccezione alcuna, perché il successo di uno spettacolo bellissimo come questo, fatto di coralità, si poggia sul fondamentale contributo di tutti.

Questo lavoro teatrale inoltre aiuta a riflettere sulla pena di morte ma anche più semplicemente sui nostri comportamenti quotidiani, quando ,in particolare per ruolo siamo chiamati a giudicare gli altri , non in base ai semplici fatti ma ripetendo solo una opinione comune acquisita spesso tramite canali mediatici non sempre disinteressati. Da non perdere.

Maria Antonietta Amenduni


9 Marzo 2009

Ultimi giorni per “La dodicesima notte” al Teatro Ghione. Deliziosa Selene Gandini nel ruolo di Feste.



Ultimi giorni di replica al Teatro Ghione di Roma per “La dodicesima notte” di William Shakespeare. Traduzione, adattamento e regia sono di Nicasio Anzelmo. In scena: Selene Gandini, Tony Allotta, Marco Benvenuto, Cristina Borgogni, Alessandra Fallucchi, Flaminia, Fegarotti, Federico Frignani, Ciro Pipolo, Fabrizio Raggi, David Paryla, Natale Russo, Mario Scerbo.
Dopo Amleto, Romeo e Giulietta e Sogno di una notte di mezza estate, Nicasio Anzelmo mette in scena a Roma uno dei più complessi testi shakespeariani. Ambiguità e confusione danno vita ad un esilarante quanto esasperato gioco di sospetti, frutto di una raffinata tecnica teatrale quanto di una consapevole maturità artistica.

“Scritta a 36 anni è la migliore commedia di Shakespeare – afferma il regista Nicasio Anselmo - ma non appartiene a nessun genere preciso: è un’opera infinita, non perché offre “un’immagine fedele della vita” ma perché ne da “un’esatta rappresentazione di natura generale”. La commedia è la parodia di altre commedie di Shakespeare e potrebbe, per complessità e struttura, rimanere ultima nella creazione. Tutti i personaggi sono folli, senza saperlo, per questo il ritmo è frenetico. Ha le Atmosfere tipiche dei saturnali, legati alle celebrazioni religiose dell’Epifania, ma a questa festa non si fa mai nessun riferimento. Il testo si muove, invece, continuamente sulle note della violenza, che però si sublima nella vena ironica del linguaggio shakespeariano. Olivia, incarnazione della passionalità, della sessualità esplicita, è l’elemento dionisiaco sublime, la dispensatrice dell’erotismo. Fa parte di quei personaggi shakespeariani in cui l’amore carnale è al centro delle attività umane e di conseguenza è sempre narcisistico e incontrollabile. Maria, Sir Tobia, Sir Andrea e Fabian, pur essendo dei personaggi un po’ sgradevoli per la loro cattiveria, sono al contrario sempre al limite del sadismo. Maria è un’ arrampicatrice sociale, un personaggio maligno. Sir Tobia e Sir Andrea sono entrambi delle caricature. Malvolio ci viene presentato come un individuo rispettabile per poi subire una radicale trasformazione in corso d’opera. La dodicesima notte diventa il dramma, a poco a poco, di Malvolio, un don Chisciotte erotomane. È vittima della sue stessa inclinazione, dei suoi sentimenti. Il suo sogno socio-erotico è una delle più brillanti invenzioni di Shakespeare, e ciò che adesso può apparirci un vezzo (le giarrettiere e le calze) allora era davvero trasgressione”.

Uno spettacolo che è una sorta di festa, dove un gruppo per lo più di giovani attori, gioca amabilmente con la raffinatezza di un testo arguto, geniale e sensuale al tempo stesso, dove la passione, l’inganno e la furbizia dettano legge. Il gruppo di attori si destreggia, tra testo e musiche all’interno di una regia altrettanto festosa. Tra tutti spicca in particolare la bravissima Selene Gandini, attrice pregevole, dalla presenza scenica imponente che riesce a deliziare il pubblico con una interpretazione di Feste geniale e originale. Oltre le sue innegabili doti di attrice la Gandini rivela anche delle doti canore raffinate. Feste è il genio della dodicesima notte, il più affascinate dei buffoni shakespeariani, il più savio ma anche il più folle. Olivia lo ha ereditato dal padre ma in lui avvertiamo ormai la stanchezza del proprio professionismo di talento: si è stancato del suo ruolo. E manifesta questa stanchezza con brio e arguzia, dando l’impressione di sapere tutto quello che c’è da sapere. Feste è il monito di Shakespeare ad invitarci a non cercare a tutti i costi la moralità: una faccia, una voce, un vestito, due persone.

Teatro Ghione
Via delle Fornaci, 37 - ROMA
La dodicesima notte
di William Shakespeare
Traduzione, adattamento e regia di Nicasio Anzelmo
Lo spettacolo andrà in scena dal 10 febbraio all'8 marzo 2009

Maria Antonietta Amenduni


15 Febbraio 2009

Irresistibile “L’intervista” con Valerio Binasco e Maria Paiato.

Al Teatro Eliseo, uno spettacolo che scorre via in un respiro per due interpeti di grande levatura.

E’ in scena al Teatro Eliseo, L’intervista, ultima delle nove opere prodotte da Natalia Ginzburg per il teatro, con Valerio Binasco e Maria Paiato. Valerio Binasco ritorna a confrontarsi anche da regista con la prosa della Ginzburg, dopo lo spettacolo Ti ho sposato per allegria.
È il 1978, Marco Rozzi (Valerio Binasco), giovane giornalista, arriva in una casa di campagna per realizzare un’intervista a un importante studioso, Gianni Tiraboschi, oggetto della sua giovanile ammirazione. Ma ad accoglierlo troverà solo Ilaria (Maria Paiato) e Stella (Azzurra Antonacci), rispettivamente la compagna e la sorella di Gianni Tiraboschi. Nella vana attesa del suo interlocutore, Marco si intrattiene con Ilaria, e tra di loro si crea un’intimità non cercata che li porta a rivelarsi l’un l’altra le proprie ingenue ambizioni. A distanza di poco più di un anno la scena si ripete: di nuovo la mancata intervista, e di nuovo tra Marco e Ilaria nasce uno scambio semplice ed intenso sui sogni e le sconfitte della vita.
L’incontro tra Marco e Gianni Tiraboschi avverrà solo dieci anni dopo, quando Marco avrà abbandonato il giornalismo e perso ogni interesse all’intervista e Tiraboschi si sarà ritirato dalla vita pubblica in seguito a una crisi depressiva, ma noi qui non lo vedremo.
Attraverso una scrittura teatrale vivace e sfrontatamente fragile, attenta ai piccoli gesti di vita quotidiana e sempre carica di ironia, la Ginzburg ci racconta l’atmosfera dell’Italia degli anni compresi tra il 78 e l’88: anni importanti per un’Italia in cui tutto si dissipa e muore e ciò che resta è il desiderio confuso di mettere in salvo qualcosa che è stato bello e nobile.
Questo testo è uno dei capolavori della Ginzburg.. I dialoghi scorrono che è una meraviglia e la coppia Paiato – Binasco è stupefacente; che la Paiato fose una grande signora del nostro teatro italiano, questo lo sapevamo gia, ma che con Binacso l’accoppiata funzionasse così bene, questa è proprio una gran bella scoperta. La regia e l’interpretazione di Binasco sono sublimi e raffinate. Giù il cappello invece per Maria Paiato, superba e superlativa. Graziosa è Azzurra Intonaci, che da due interpreti così avrà molto da rubare. Uno spettacolo che è un piacere, novanta minuti che scorrono via in un respiro. Da non perdere.

TEATRO ELISEO
dal 10 febbraio all’1 marzo 2009
MARIA PAIATO
VALERIO BINASCO
L’intervista
di Natalia Ginzburg
con Azzurra Antonacci
scene Antonio Panzuto
costumi Sandra Cardini
luci Pasquale Mari
musiche originali Antonio Di Pofi
regista collaboratore Nicoletta Robello
regia VALERIO BINASCO
produzione Teatro Eliseo / Teatro Stabile di Firenze

Maria Antonietta Amenduni


15 Febbraio 2009

L’audace Lo Cascio da “la Caccia” alle emozioni.

In scena al Teatro Valle lo spettacolo “La Caccia”, scritto, diretto ed interpretato da Luigi Lo Cascio.

In scena al Teatro Valle, fino al 22 Febbraio, lo spettacolo scritto, diretto ed interpretato da Luigi Lo Cascio, dal titolo “La caccia”. Un monologo multimediale che esplora con un segno nuovo ed originale il dialogo in scena di diversi linguaggi artistici: dal video all’animazione, dal teatro di parola al teatro di figura, mettendo in gioco il corpo e la voce, le visioni con i suoni, per raccontare l’ultima terribile notte di Penteo, il tiranno di Tebe che sfidò Dioniso, ma ne rimase affascinato, finendo per diventare da cacciatore facile preda.
Autore, regista ed interprete di questo spettacolo liberamente tratto dalle Baccanti di Euripide è Luigi Lo Cascio, uno dei volti più importanti ed amati del cinema d’autore italiano, da sempre legato al teatro, perché la sua passione recitativa è nata in palcoscenico, dove ritorna per sfidare i grandi archetipi tragici. Nelle Baccanti, dice l’artista «Euripide mette in scena lo scontro micidiale tra un uomo e un dio, che lamenta il fatto di non essere stato riconosciuto e venerato proprio nella sua città d’origine. Il conflitto coinvolge tutta la comunità e il corpo sociale è sconvolto…» e nella punizione il dio supera i miti, eccede. «In che cosa consiste questo eccesso? La caccia è lo svolgimento di questo interrogativo ».
Giocando con i video, con i toni, con le figure mitologiche intorno a lui, Lo Cascio-Penteo vive «una notte di tormenti e di rivelazioni che lo conducono inesorabilmente ad affrontare il dio in un corpo a corpo definitivo. Da cacciatore, Penteo sarà ridotto a preda. E in questa nuova condizione, transitando dalla regalità iniziale all’inedito ruolo di vittima, andrà incontro ad un terribile destino di frammentazione».

E’ geniale l’utilizzo di spot pubblicitari che sostituiscono il coro, per sottolineare lo smarrimento e l'odierna perdita delle radici classiche, il venir meno dei valori profondi della tragedia.
La caccia sarebbe un monologo: ma grazie all’accurato e raffinato apparato visivo il protagonista si trova incessantemente a confrontarsi, oltre che con un giovanissimo saccente critico (il bravo Pietro Rosa), ma anche con il gioco digitale che rende perfetto onore ad uno spettacolo inconsueto, insolito e originale che sfrutta sapientemente l’immagine senza snaturare il senso e il contesto teatrale, regalando un pacchetto completo fatto di spettacolo al confine con il cinema, il tutto per un’operazione meticolosa che solo la bravura di Lo Cascio poteva sapientemente sostenere. Nulla e lasciato al caso e Lo Cascio dimostra ancora una volta di essere un grande interprete, originale e audace e un regista illuminato che gioca abilmente con il teatro, l’immagine e l’emozione. Uno spettacolo che è una perfetta fusione tra teatro in senso stretto e nuove tecnologie visive.

È uscito in questi giorni nelle librerie il volume edito Viennepierre edizioni (Milano, 2009) che segna l’esordio narrativo di Luigi Lo Cascio, e che raccoglie il testo de La Caccia e del precedente spettacolo da lui scritto, interpretato e diretto, “Nella tana”. Dopo le repliche al Teatro Valle, La Caccia sarà in scena a Catania, Teatro Ambasciatori, dal 24 febbraio al 1 marzo.

Roma, Teatro Valle
dal 10 al 22 febbraio 2009
CSS Teatro Stabile d’innovazione del FVG
LUIGI LO CASCIO
LA CACCIA
di Luigi Lo Cascio liberamente ispirato a Baccanti di Euripide
uno spettacolo ideato da Nicola Console, Luigi Lo Cascio, Alice Mangano, Desideria Rayner
con Pietro Rosa
scene e concezione video Alice Mangano
scene e disegni Nicola Console
disegno luci Stefano Mazzanti
suoni e montaggio video Desideria Rayner
regia di Luigi Lo Cascio
spettacolo vincitore del Biglietto d'oro per il teatro 2008

Maria Antonietta Amenduni


9 Febbraio 2009

I due gemelli Veneziani secondo Calenda, buono si, ma con qualche macchietta di troppo.



Il paradosso degli opposti caratteri ed il contrasto tra antagonista e protagonista, comico e spalla, trovano la sintesi ne I DUE GEMELLI VENEZIANI, testo di Carlo Goldoni interpretato “in una sola volta” dal corpo unico di Massimo Dapporto. Commedia degli equivoci e dell’identità divisa, la vicenda di Tonino e Zanetto ha, fin dal suo esordio nel 1747, ritrovato il favore del pubblico, mai abbandonando i lazzi e le battute, mai rinunciando allo studio dei caratteri e al virtuosismo comico. In attesa di un finale tutt’altro che convenzionale, il regista Antonio Calenda, rielabora elementi da commedia dell’arte con quelli di una più matura introspezione che costruirono nel tempo la fama dell’Autore di Venezia. C’è il gioco del teatro – dalle commedie di Plauto alla destrezza di Terenzio - c’è l’equivoco dei mascheramenti, dei malintesi e degli intrighi, c’è la consapevolezza di chi scrive per la scena e di chi la scena la affronta, inguaribile istrione, sera dopo sera.
SulIa scena semplice e quasi vuota, appena accennata da Pier Paolo Bisleri ma piuttosto opportunamente segnata dalle luci di Sergio Rossi ed in sintonia con i costumi, anch’essi sobri ma vivaci, di Elena Mannini - la compagnia si destreggia tra realismo e fantasia mettendo a frutto tutte le tecniche della drammaturgia settecentesca tanto mirabilmente affinate da chi è capace, scrivendo, di affidare ad un attore una parte dopo averla costruita sull’attenzione ai caratteri nonché alla psicologia di umane inclinazioni e potenzialità.

Lo spettacolo scorre bene per tutte le due ore, senza intoppo alcuno. La regia di Calenda è giusta e misurata, quasi cinematografica nella precisione in cui sono “fotografate le scene”. Gli interpreti funzionano come un meccanismo ad orologeria. Da evidenziare l’interpretazione di Umberto Bortolani del Sig. Pancrazio, teoricamente caro e vecchio amico di famiglia, che in pratica si rivela essere un bieco cospiratore, che trama alle spalle della bella Rosaura e del suo promesso sposo, plagiandoli vistosamente con un gesto delle mani. Molto brava è anche l’interprete della serva Colombina, Giovanna Centamore, vezzosa, giusta e con una bella presenza scenica. A volte un po’ sopra le righe le interpreti di Rosaura (Alessandra Raichi) e Beatrice (Marianna de Pinto). Che dire di Massimo Dapporto che in scena appare perfettamente a suo agio e dimostra di divertirsi ampiamente nel ruolo dei due gemelli veneziani. Eppur qualcosa non torna e si ha come la sensazione che molto spesso si perda la misura e si esageri un po’ troppo con le macchiette o con gli ammiccamenti al pubblico e le cosiddette “caccole”…vecchi trucchetti, non sempre necessari.

Roma, Teatro Quirino
dal 3 febbraio al 1° marzo 2009
MASSIMO DAPPORTO in
I DUE GEMELLI VENEZIANI di Carlo Goldoni
con in ordine di apparizione Alessandra Raichi (Rosaura), Giovanna Centamore (Colombina), Osvaldo Ruggieri (il dottor Balanzoni), Francesco Gusmitta (Brighella), Umberto Bortolani (Pancrazio), Marianna de Pinto (Beatrice), Carlo Ragone (Florindo), Felice Casciano (Lelio), Adriano Braidotti (Arlecchino), Lamberto Consani (Bargello)
scene Pier Paolo Bisleri
costumi Elena Mannini
luci Sergio Rossi
musiche Germano Mazzocchetti
regia Antonio Calenda

Maria Antonietta Amenduni


9 Febbraio 2009

Puccini e la luna in scena al Teatro Manzoni di Roma



Per il 150 anniversario della nascita di Giacomo Puccini, sarà in scena al Teatro Manzoni dal 17 febbraio al 15 marzo lo spettacolo “Puccini e la luna” Carlo Alighiero e Giovanni de Feudis. In scena Carlo Alighiero e Laura Lattuada, con la partecipazione di: Rosita Tassi (soprano) - Margherita Pace (soprano) - Ugo Tarquini (tenore), Caterina Genta, Rossella Vicini e il maestro di pianoforte Enzo De Rosa; regia di Carlo Alighiero. Puccini e la Luna è uno spettacolo di prosa e lirica. La musica interagisce con la prosa e viceversa. E’un tentativo di creare uno spettacolo unico con due linguaggi.
L’azione si svolge nel 1924. “La luna” l’ispirazione, la donna, il sesso, il rifugio, per Puccini nella commedia sono rappresentate dalla sua ultima amante, Rose. Un invenzione, non lontana dalla realtà. Protagonista con Puccini e Rose, è la musica. Alcune delle più belle arie di Puccini sono suonate e cantate dal vivo dagli altri personaggi della commedia: un maestro di musica, due soprano, un tenore, una mimo e una segretaria.
Ripercorrendo alcuni momenti della vita del maestro lo spettacolo cerca di descrivere al meglio il suo carattere, le sue debolezze, il suo pensiero. La critica smaliziata, e la sua insofferenza per la “nuova musica” di Schönberg. Il maestro intendendo la musica come un qualcosa in continua evoluzione, è incuriosito da queste nuove tecniche, da tutto ciò che è strumentale. Tentato dal nuovo, vorrebbe in qualche modo trasformarlo e inserire quanto c’è di valido nel suo ultimo lavoro, “Turandot” ma senza tradire il suo teatro, le sue amate eroine la sua musica. Questo contrasto lo porta a una crisi creativa, che ormai dura da alcuni anni, e ad una accentuata stagnazione del lavoro.
La “luna” in questo momento lo tradisce, non è più fonte di ispirazione ma di dubbi. Accentuati e moltiplicati nella commedia da colei che dovrà essere la futura protagonista di Turandot, la sua bellissima e giovane amante Rose Ader. L’opera non cammina, non si conclude con il trionfo della principessa come lei vorrebbe. Cosciente della crisi creativa del maestro lei lo accusa di essere vecchio, finito, di non avere più idee. Puccini reagisce e cerca di superare il momento critico scegliendo la soprano che in Turandot dovrà sostenere il ruolo della dolce schiava Liù e lavorando con lei. Questo scatena Rose che si sente scalzata artisticamente dal suo ruolo di protagonista. Il contrasto, fonte di violente scenate e la malandata salute di Puccini, creano in lui un’ ansia che gli impedisce di portare a termine il suo ultimo capolavoro. Turandot andrà in scena incompiuta alla Scala con la direzione di Toscanini nel 1925. Un anno dopo la morte del maestro.
In scena al Teatro Manzoni (via Monte Zebio 14/c tel.06/3223634) dal 17 febbraio al 15 marzo. Orario spettacoli: dal martedì al venerdì ore 21, sabato ore 17 e ore 21, domenica ore 17.30 lunedì riposo. Giovedì 5 marzo ore 17 e ore 21.. Biglietti intero 23 euro, ridotto 20 euro, prevendita 1 euro.

Maria Antonietta Amenduni


4 Febbraio 2009

Il ritmo frenetico de “La dodicesima notte” al Teatro Ghione



Al Teatro Ghione di Roma è la volta del Bardo. In scena dal 10 febbraio all’8 marzo lo spettacolo “La dodicesima notte” di William Shakespeare. Traduzione, adattamento e regiadi Nicasio Anzelmo. In scena: Selene Gandini, Tony Allotta, Marco Benvenuto, Cristina Borgogni, Alessandra Fallucchi, Flaminia, Fegarotti, Federico Frignani, Ciro Pipolo, Fabrizio Raggi, David Paryla, Natale Russo, Mario Scerbo.

Dopo Amleto, Romeo e Giulietta e Sogno di una notte di mezza estate, Nicasio Anzelmo mette in scena a Roma uno dei più complessi testi shakespeariani: La dodicesima notte. Ambiguità e confusione danno vita ad un esilarante quanto esasperato gioco di sospetti, frutto di una raffinata tecnica teatrale quanto di una consapevole maturità artistica.

“Scritta a 36 anni è la migliore commedia di Shakespeare – afferma il regista Nicasio Anselmo - ma non appartiene a nessun genere preciso: è un’opera infinita, non perché offre “un’immagine fedele della vita” ma perché ne da “un’esatta rappresentazione di natura generale”. La commedia è la parodia di altre commedie di Shakespeare e potrebbe, per complessità e struttura, rimanere ultima nella creazione. Tutti i personaggi sono folli, senza saperlo, per questo il ritmo è frenetico. Ha le Atmosfere tipiche dei saturnali, legati alle celebrazioni religiose dell’Epifania, ma a questa festa non si fa mai nessun riferimento. Il testo si muove, invece, continuamente sulle note della violenza, che però si sublima nella vena ironica del linguaggio shakespeariano. Olivia, incarnazione della passionalità, della sessualità esplicita, è l’elemento dionisiaco sublime, la dispensatrice dell’erotismo. Fa parte di quei personaggi shakespeariani in cui l’amore carnale è al centro delle attività umane e di conseguenza è sempre narcisistico e incontrollabile. Maria, Sir Tobia, Sir Andrea e Fabian, pur essendo dei personaggi un po’ sgradevoli per la loro cattiveria, sono al contrario sempre al limite del sadismo. Maria è un’ arrampicatrice sociale, un personaggio maligno. Sir Tobia e Sir Andrea sono entrambi delle caricature. Malvolio ci viene presentato come un individuo rispettabile per poi subire una radicale trasformazione in corso d’opera. La dodicesima notte diventa il dramma, a poco a poco, di Malvolio, un don Chisciotte erotomane. È vittima della sue stessa inclinazione, dei suoi sentimenti. Il suo sogno socio-erotico è una delle più brillanti invenzioni di Shakespeare, e ciò che adesso può apparirci un vezzo (le giarrettiere e le calze) allora era davvero trasgressione”.

Uno dei personaggi più affascinanti dello spettacolo è Olivia, che il regsta racconta così: “Ha un ruolo enigmatico soprattutto quando legge la lettera di Olivia, il brano più irriverente della produzione shakespeariana. Porta dentro di sé tutto il suo universo erotico, incapace di distinguere la realtà dalla fantasia. Sogna con tanta intensità da deformare il proprio senso della realtà e cadere vittima nella mani di Maria. Il suo essere puritano altro non è che la copertura della sua sete di grandezza e subisce costantemente le conseguenze della pericolosa preminenza della propria immaginazione. Malvolio è un opportunista, uno dei più crudeli della produzione shakespeariana. Il personaggio nasce dalla penna dell’Autore, come si racconta, più per una battaglia poetica contro Ben Jonson, ma nello scriverlo gli sfugge di mano; dato che il dramma non ha bisogno di Malvolio per procedere”.

Accattivante come sempre il personaggio di Malvolio; ecco come continua il regista: “Malvolio non vuole bene a nessuno tranne che a sé stesso. È un personaggio che non sa ridere e che detesta le risate degli altri suscitando nel pubblico anche un leggero sadismo euforico; e lo stesso pubblico non lo deve vedere come un personaggio simpatico. Uno snob, per dirla in breve. Tormentare Malvolio, quindi, non è sadismo ma catarsi perché funge da capro espiatorio. Perennemente intrappolato nella stanza buia della propria ossessiva considerazione del sé, tende alla moralità come esemplificazione ipercritica. È Feste a vincere il premio dell’arguzia ma dalla saggezza di Feste, Malvolio non imparerà nulla. Feste è il genio della dodicesima notte, il più affascinate dei buffoni shakespeariani, il più savio ma anche il più folle. Olivia lo ha ereditato dal padre ma in lui avvertiamo ormai la stanchezza del proprio professionismo di talento: si è stancato del suo ruolo. E manifesta questa stanchezza con brio e arguzia, dando l’impressione di sapere tutto quello che c’è da sapere. Olivia perdona la sua svogliatezza e in cambio lui cerca di farla uscire dal suo lutto prolungato. Abilissimo cantante, canta in chiave minore, e pur lavorando per Olivia è presente anche verso il duca, di cui conosce benissimo i piani. Feste è il monito di Shakespeare ad invitarci a non cercare a tutti i costi la moralità: una faccia, una voce, un vestito, due persone. Feste, inoltre, canta la canzone più malinconica mai scritta da Shakespare, un addio lirico, l’epilogo di un folle spettacolo, ma conserva il suo canto erotico-domestico in cui probabilmente la “follia” è l’organo maschile”.

Teatro Ghione
Via delle Fornaci, 37 - ROMA
La dodicesima notte
di William Shakespeare
Traduzione, adattamento e regia di Nicasio Anzelmo
Lo spettacolo andrà in scena dal 10 febbraio all'8 marzo 2009

Maria Antonietta Amenduni


26 Gennaio 2009

“Il dubbio”, insinuante e corrosivo come un tarlo, ramifica e colpisce, anche gli innocenti.

In scena al Teatro Valle di Roma, Stefano Accorsi, Lucilla Morlacchi, diretti da Sergio Castellitto.

Un dubbio insinuante che si fa largo subdolamente come fosse un tarlo. E’ in scena al Teatro valle di Roma dal 20 gennaio all’8 febbraio Il Dubbio, dal testo omonimo dell’eccellente sceneggiatore cinematografico John Patrick Shanley (Premio Pulitzer 2005 per la drammaturgia). In scena Stefano Accorsi, Lucilla Morlacchi, diretti da Sergio Castellitto. Il dubbio porta in scena una tematica forte e attuale: quella della pedofilia in ambiente cattolico, sullo sfondo di una scuola parrocchiale del 1964, ed in un momento in cui l’assassinio di Kennedy intaccava il senso di sicurezza della nazione e il Concilio Vaticano II ridefiniva i rapporti fra clero e fedeli. In un’opera lucidissima eppure densa di pietà, costruita su una drammaturgia classica eppure attuale, il dramma si sviluppa non tanto sul tema dell’abuso, quanto intorno al sospetto, lasciando emergere tutta la componente emotiva della storia. Il giovane padre Flynn, appassionato e carismatico sacerdote, cerca di dare alla scuola nuove e più umane sembianze; i suoi modi sono seducenti, è di bell’aspetto e vuole avvicinarsi ai suoi fedeli, essere parte della loro famiglia. Tutto questo finisce per suscitare gelosie e timori nella difficile realtà del bronx, al punto che tutta quella “modernità” e la familiarità con la quale è accolto dalla comunità, quella devozione che anima la sua predica domenicale, incontrano la diffidenza di Suor Aloisia, dura e crudele nel sospettare di quell’uomo come di un pedofilo che ha abusato dell’unico ragazzino di colore della scuola parrocchiale. Accusa ed allontanamento dunque, conseguenza l’una dell’altra ma il dubbio, appunto, affiora. Verità, paura, purezza: il pubblico assiste allo scontro tra i personaggi e le loro convinzioni, sperimentando direttamente l’incertezza e le sue diaboliche sfumature. Accorsi e Morlacchi interpretano prepotentemente due personaggi mastodontici, agli antipodi, che fanno rimbalzare continuamente la palla tra il credere ora all'innocenza, ora alla colpevolezza del prete. A difendere ambiguamente il Prete troviamo una brava Nadia Kibout, nel ruolo della madre. E il dubbio si ramifica e colpisce, anche gli innocenti. La dove i dialoghi tacciono, giochi di luce e ombre, musiche dell'epoca e movimenti di scena alimentano l'attesa e la tensione. La tensione è palpabile, i colpi bassi subdoli, l’ipocrisia latente, il tutto abilmente amalgamato dalla mano esperta di Castellitto che allestisce un perfetto meccanismo. Essenziale ma efficace la scenografia. Raffinata la traduzione di Flavia Tolnay e l’adattamento di Margaret Mazzantini

Teatro Valle
20 gennaio 8 febbraio
Hurlyburly e Alien produzioni
Stefano Accorsi, Lucilla Morlacchi
IL DUBBIO
di John Patrick Shanley (Premio Pulitzer 2005)
traduzione Flavia Tolnay
adattamento Margaret Mazzantini
con Nadia Kibout, Alice Bachi
scene Antonella Conte
costumi Isabella Rizza
disegno luci Raffaele Perin (A.I.L.D.)
regia Sergio Castellitto

Maria Antonietta Amenduni


26 Gennaio 2009

“Quartetto per viola”, in scena al TeatroLoSpazio.it



Dopo rinomati allestimenti di successo che hanno conquistato pubblico e critica, Torni in scena il divertente spettacolo “Quartetto per viola”. Tra piece e musical, la compagnia, composta da Riccardo Bergo, Tiziano Floreani, Raffaele La Pegna e Ignazio Raso, per la regia di Claudio Carafoli, questa volta si esibisce al TeatroLoSpazio.it, fino al 15 marzo. La scelta di questo teatro non e' casuale. Da una parte, infatti, c'e' uno spettacolo capace di fondere insieme suggestioni cinematografiche, musical, comicita' pura e raffinate citazioni.

Dall'altra, invece, c'e' uno dei teatri off piu' d'avanguardia di Roma, un luogo multiforme e poliedrico, un posto unico carico di magia, in grado di mettere insieme forme d'arte diverse e dove l'unico comune denominatore e' l'amore per l'arte e la cultura. E dall'incontro fra queste due filosofie simili, nasce una sfida: tenere in programmazione per piu' di due mesi (dal 2 gennaio al 15 marzo 2009) uno spettacolo, abbracciando una tendenza tipica dei teatri off, tanto cara a inglesi e francesi.

Il divertente spettacolo "Quartetto per Viola" racconta la storia di quattro giovani allievi alle prese con la loro alquanto singolare ed eccentrica insegnante di recitazione: la signorina Viola De Lullis…anni? Tanti!!! Le lezioni si susseguono nella solita routine, finche non si affaccia quella che potrebbe essere la chiave di svolta, il treno che passa una sola volta nella vita. L’occasione è di quelle da non perdere: un provino in america per un musical. A quel punto le prove si fanno più serrate e i quattro giovani attori devono impegnarsi in tutte le discipline, ma qualcosa succede e…

Un cast perfettamente assortito, con quattro bravi attori, capitanato da una divertente ed irriverente Anna Cianca. Tante le citazioni, talvolta assai leziose e raffinate, per un simpatico allestimento che si fa beffa delle commedie musicali. Uno spettacolo intelligente che concentra in un’ora e venti minuti, tanta energia e vitalità per raccontare il difficile mestiere dell’attore. Da vedere.

Maria Antonietta Amenduni


19 Gennaio 2009

“Bruciati” in scena al Teatro Sala Uno



Per gli amanti del teatro, un appuntamento da non perdere. In scena al Teatro Sala Uno dal 14 al 22 Febbraio, la Compagnia Sycamore T Company presenta “BRUCIATI”, un dramma teatrale di Angelo Longoni con Eleonora Ivone e Gabriele Sabatini. La regia è di Georgia Lepore, aiuto regia: Erika Li Causi, disegno luci di Giuseppe Russo, scene di Leonardo Conte e Alessandra Panconi.
Ecco come Angelo Longoni racconta il suo testo: “Un ragazzo e una ragazza dediti a due forme diverse di prostituzione si ritrovano coinvolti nella morte di un loro comune cliente, un anziano avvocato, al quale sottraggono una valigetta che contiene un milione e ottocentomila euro in contanti. Ignorando la provenienza del denaro ed immaginando che si possa trattare di soldi "sporchi", i due ragazzi si rintanano in una stanza di albergo in attesa di comprendere esattamente la loro condizione e soprattutto per capire se sono in pericolo o se qualcuno è sulle loro tracce. In questa situazione d'attesa, emergono le esistenze ed il passato dei due ragazzi che, tra reticenze, confessioni, inganni, violenze e tenerezze, mettono a nudo il proprio passato e le rispettive disperazioni nei confronti di una vita che apparentemente è ancora all'inizio e nel fiore degli armi, ma che è percepita da loro come perduta ed ormai irrimediabilmente bruciata. Bruciati è una storia sulla gioventù che si autodistrugge nel dolore nel disagio, nella demotivazione, nell'inconsapevolezza. C'è un fuoco autonomo capace di bruciare in fretta la vita dei ragazzi. Un fuoco magico e spietato che terrorizza e attrae e che è in grado di eccitare e di distruggere. Lo stesso fuoco che fa morire il sabato notte in uno schianto, che fa correre le moto in bilico sul una sola ruota , che spinge ad usare la stessa siringa di un compagno di buco. Lo stesso fuoco che sta negli eccessi, nel desiderio di denaro e di bellezza, di ammirazione ed esteriorità, che fa ritenere la vita a venticinque anni già andata, finita. E il resto non conta più Niente importa perché tutto è valutato allo stesso modo.
Quando il fuoco brucia nel cuore di un ragazzo, la vita e la morte sono così vicine che si confondono tra loro. E confondere è il gioco più eccitante”.

Durata dello spettacolo: 1 ora
TEATRO SALA UNO
Info e prenotazioni:Teatro Sala Uno ROMA: Piazza Porta San Giovanni, 10 Roma Tel.:06 7009329
info@salauno.it
Orario spettacolo: il 14,16,18 e 20 febbraio alle ore 21 ;il 17, il 19 e 21 febbraio
alle 19 ; il 15 e il 22 alle 18.
Biglietti: Costi biglietti:€ 15,00 ; €12,00 ; € 7,00;€ 1,00.
http://www.salauno.it/
mezzi pubblici: Metro A: fermata S.Giovanni - Tram: 3 - Bus: 16/81/85/186/218/360/590/665/850

Maria Antonietta Amenduni


19 Gennaio 2009

Le solitudini estreme de Il Laureato in scena al Teatro Quirino



Quarant’anni fa il film di Mike Nichols fece del giovane Dustin Hoffman e della seducente Anne Bancroft le icone della cultura anti-boghese del tempo: oggi IL LAUREATO - romanzo di Charles Webb, tradotto per la scena da Terry Johnson – arriva sui palcoscenici italiani nell’adattamento di Antonia Brancati e Francesco Bellomo, diretto da Teodoro Cassano. La cinica e nichilista Mrs Robinson è Giuliana De Sio, che in un gesto di estremo scherno delle regole, e forse anche in un disperato tentativo di sentirsi desiderata, irretisce il giovane Ben, interpretato da Giulio Forges Davanzati.
La musica è ancora quella indimenticabile di Simon e Garfunkel, però la storia non è più rivoluzionaria, non fa scandalo; sottolinea invece l’attualità di esistenze tanto disperate, di solitudini estreme, le sempre più difficili relazioni uomo-donna, le schiaccianti ipocrisie delle convenzioni sociali.
La signora Robinson ancora affascinante, ma totalmente estranea al mondo, per il regista “vaga in una sorta di periferia dell’esistenza, come in un acquario popolato da creature che si lasciano vivere, lei sola della sua specie… Il sollievo della fuga, possibile solo in fondo al bicchiere, sembra placare la claustrofobia del conformismo”. In questo suo esilio dalla società, incontra la smania di novità, la voglia di trasgredire, del giovane Benjamin Braddock, e con lui, per noia e disperazione, lancia un’assurda sfida al mondo. Guardando al film e al tempo passato da allora, in scena un’inquietudine maggiore segna il rapporto tra i due, e l’happy-end che aveva rassicurato le platee americane, sembra solo gesto riparatore, il più conformista ed amaro.

Roma, Teatro Quirino
al 9 gennaio al 1 febbraio 2009
GIULIANA DE SIO
Mrs Robinson
e
GIULIO FORGES DAVANZATI
Benjamin Braddock
in
IL LAUREATO
adattato da
Terry Johnson
basato sul romanzo di Charles Webb
e sulla sceneggiatura cinematogafica di Calder Willingham, Buck Henry
con la partecipazione di ANTONIO PETROCELLI Mr Braddock
con Valentina Cenni Elaine Robinson, Giulia Weber Mrs Braddock
Paolo Gattini Psicologo, Adriana Fortunato ballerina
e con LUIGI DI FIORE Mr Robinson
regia TEODORO CASSANO

Maria Antonietta Amenduni


19 Gennaio 2009

Al teatro dell’Orologio il famigerato caso “Salon Kitty”



La vicenda di Kitty Schmidt, il famigerato caso “Salon Kitty”, fu uno dei più grossi scandali del regime nazista. Circa trent’anni fa, Tinto Brass (il Brass prima maniera, impegnato nel senso dell’ideologia nonché del gusto e della misura, sia pure nella provocazione) ne ricavò un fortunatissimo film - divenuto nel tempo un vero e proprio cult – che però non rispetta se non in parte la verità storica. In realtà, l’operazione di spionaggio organizzata dalle SS intorno all’elegante bordello di “fraulein Schmidt” (microfoni nascosti nelle camere per registrare le conversazioni ‘intime’ dei vari gerarchi con ragazze appositamente addestrate, allo scopo di smascherare eventuali complotti e infedeltà) fu assai più sottile e devastante di quanto ancora non sia stato detto: la si potrebbe definire una vera e propria “cartina di tornasole” delle fobie e della violenza fisica e psicologica del Nazismo. Riccardo Reim e Riccardo Cavallo propongono in questo loro spettacolo una nuova lettura dei fatti – in chiave di macabro musical. Una storia al limite dell’irreale, che scopre un aspetto inedito del Nazismo, una sua sordida, insospettabile faccia rimasta finora nascosta, ma non per questo meno tremenda e inquietante.

TEATRO DELL’OROLOGIO - Sala Grande -
Via de’ Filippini, 17/a – tel. 06.6875550
dal 10 al 21 dicembre ‘08
Dal martedì al sabato ore 21.00 – domenica ore 17.30
“SALON KITTY”
uno spettacolo di
RICCARDO CAVALLO e RICCARDO REIM
con
CLAUDIA BALBONI, ALESSIO CARUSO, GIANNI DE FEO,
NICOLA D’ERAMO, CRISTINA NOCI,
DANIELA TOSCO, FRANCESCA R. DE BERARDIS
Al pianoforte STEFANO DE MEO
e con GIULIA ADAMI, ANTONIO FAZIO, MARIA AMABILE MILIOTO,
ELISA PAVOLINI, FRANCESCO TRASATTI.
Biglietti: ingresso € 12,00 ridotto € 10,00 – tessera associativa € 2,00

Maria Antonietta Amenduni


1 Gennaio 2009

Anna Marchesini suggella i suoi “Giorni Felici”



Giorni Felici, opera poetica e insieme tragica rappresentazione di una donna qualunque, Winnie, che affonda lentamente ed inesorabile nella sabbia e, tuttavia, vuole ricordare i suoi giorni felici. L’immobilità del personaggio è “Niente”, senza inizio e senza fine; la realtà scenica è circoscritta da un riso feroce e mansueto. Un testo complesso e difficile di Samuel Beckett, fuori dagli schemi classici del teatro, che accorpa in se raffinati spunti poetici alla tragica rappresentazione della miseria esistenziale.
A trarre forza, dalla grandezza di questo testo, per fare il suo ritorno sulle scene e Anna Marchesini, che fino al 18 gennaio, al Teatro Eliseo, interpreta Winnie.
La protagonista cerca di proteggere il falso Io dall’Io autentico, nascondendo a se stessa, prima ancora che agli altri, la realtà della propria agghiacciante situazione.
Nello spazio scenico risuonano frasi illusorie; Winnie: “Eh, sì, così poco da dire, così poco da fare, e una tale paura, certi giorni, di trovarsi… con delle ore davanti a sé, prima del campanello del sonno, e più niente da dire, più niente da fare, che i giorni passano, certi giorni passano, passano e vanno, senza che si sia detto niente, o quasi, senza che si sia fatto niente, o quasi”.
In scena Winnie non è sola, ma ha nell’altro personaggio, Willie, non un interlocutore, bensì un ascoltatore con cui parlare in continuazione, interrompendosi soltanto per compiere i pochi gesti che la posizione le consente. In ogni gesto insignificante, la protagonista ricerca la felicità.La normalità delle frasi dei due personaggi nell’anormalità della situazione.
Dopo le vaie prove a cui Anna Marchesini, negli anni, ci ha abituati, vederle in queste vesti, sembra inizialmente strano e ogni tanto si fa fatica a staccare da lei l’immagine o la voce di quei personagi da lei stessa creati e cha hanno fatto storia; ma la Marchesini, dimostra ancora una volta di avere tanto da dare al suo pubblico e lo fa da grande e raffinata interprete e regista quale è. Questo testo affronta anche e soprattutto, le povere icone della vita femminile borghese per antonomasia, tutta rivolta alla celebrazione dei propri vuoti simboli, che nell’ansia dimostrativa della protagonista assurgono tuttavia ad altrettanti mezzi per aggrapparsi ad ogni costo alla vita. Le creature del drammaturgo irlandese scontano la morte vivendo. E’ questo il filo conduttore che collega le opere di Beckett, è il principio dal quale prendono vita i suoi personaggi. L’assenza di senso della vita si concentra nei suoi drammi, e la Marchesini, pur se non bionda e grassottella come la descrive l’autore, da voce e corpo a Winnie, in modo più che degno.
“ Da quando ero una allieva dell’Accademia – racconta Anna Marchesini - desidero interpretare Winnie di Giorni Felici. Una delle poche, forse la più forte spinta ad invecchiare, è stata raggiungere quel… “cinquantenne” richiesto dal testo. Per la didascalia “preferibilmente bionda e grassottella” purtroppo non ho potuto provvedere; è una delle poche eccezionali libertà strappate alla messa in scena del testo che Beckett, attraverso gli eredi, impone invece in assoluta conformità con l’originale. Ho l’autorizzazione insomma, a non prendere troppe iniziative, soprattutto quelle del tipo: coniugarsi al plurale, ingurgitando le parti degli altri, le parole degli altri: bulimico rapporto col testo e col palcoscenico che ultimamente mi aveva garantito una certa illusione di ubiquità. Ma a pensarci bene quando si dice…”Le vie del Signore!”…
Winnie infatti “si accontenta”, ma sarebbe più giusto dire che vi si sublima, di vivere a mezzo busto o con la sola testa, in compagnia di una informe sporta, solo ed unico contenitore di tutto ciò che rappresenta la sua vita. E la Marchesini aggiunge: “Finisco per infilarmi in un buco, inghiottita nel terreno, in uno spazio desolato, in un tempo fermo, nei giorni di Winnie, affaccendata a riempire il tempo tra il campanello del giorno e il campanello del sonno, con i gingilli della sua grossa sporta nera. Le viscere sepolte e poi prolassate in una gabbia che tuttavia la “protegge” dal mondo circostante, dal nulla che la sovrasta e la comprende. In questa condizione terminale che, in qualche momento della nostra esistenza appartiene certo a tutti noi, Winnie diventa dunque portavoce di un’umanità sfinita e disfatta che tuttavia si accanisce ad esistere, a resistere, a dire tutte le parole che ci sono da dire, a identificarsi con quelle, per riempire il silenzio, per sottolineare il silenzio, per abbellire la propria fine...”

TEATRO ELISEO
dal 16 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009
ANNA MARCHESINI in
Giorni felici
di SAMUEL BECKETT
traduzione Carlo Fruttero
con Renato Cecchetto
regia Anna Marchesini
scene Carmelo Giammello
costumi Santuzza Calì

Maria Antonietta Amenduni


8 Dicembre 2008

Il Vangelo secondo Pilato: il “Caso Gesù”, analizzato da Glauco Mauri e Roberto Sturno.



Una scrittura contemporanea esplora l’eterno dilemma tra dubbio e fede: Il Vangelo secondo Pilato, di Eric-Emmanuel Schmitt, testo teatrale dello stesso autore da un suo romanzo di grande successo. Come l’originale, lo spettacolo è diviso in due parti. Nella prima, La notte degli ulivi, a narrare è lo stesso Gesù di Nazareth: in attesa dell’arresto, conscio della morte imminente, colto dal dubbio sulla sua natura divina, confessa umane paure, mentre ripercorre il suo straordinario percorso di vita, da un’infanzia normale fino alla presa di coscienza della propria missione.
Il singolare taglio autobiografico genera una rilettura della vita di Cristo sospesa tra il polo dello stupore, del dubbio, della turbata rivelazione di sé a sé stesso, e il polo dell’assunzione di responsabilità nell’economia della salvezza: un atto di fede verso il traguardo della croce con angoscia mista a incrollabile determinazione d’amore.
Il Vangelo secondo Pilato, la seconda parte, è l’inchiesta innescata dalla scomparsa del corpo di Gesù dal sepolcro e successiva riapparizione, con il ritmo e il sapore di una vicenda poliziesca, intessuta di indagini, interrogatorii, sopralluoghi, esperimenti, capovolgimenti di prospettiva. Un’inchiesta che il procuratore di Giudea compie per mettere a tacere le voci di una presunta resurrezione, una ricerca che si dipana nei meandri di Gerusalemme e, in pari tempo, nel labirinto della coscienza di Pilato. “Nel caso di Gesù – dice Pilato – ho tentato di difendere la mia ragione, salvarla a tutti i costi dal mistero. Ammetto che esiste qualcosa di incomprensibile”.
Lo spettacolo è una trappola magnetica che si attacca allo spettatore e lo dilania, insinuandosi tra dubbi e antiche certezze, riportando alla memoria concezioni spesso date per acquisite, certe e dunque archiviate nei meandri della memoria. L’eterno conflitto tra fede e dubbio, si palesa in tutta la sua inesorabile attualità in questo testo, e viene egregiamente interpretato da Glauco mauri e Roberto Sturno, che con la loro solita, proverbiale maestria affascinano il pubblico per entrambi gli atti. “Dubitare e credere sono la stessa cosa solo l’indifferenza è atea”, il Pilato che indaga sul “caso Gesù” ne è convinto. Dubita persino Cristo il protagonista della vicenda insieme con Pilato. Cristo, nell'orto degli ulivi, si interroga sulla sua missione, sul suo destino, si chiede se sia giusto che debba essere proprio lui a dover compiere la volontà del padre. E anche la figura di Giuda, il traditore viene riletta in una nuova luce. “Il vangelo secondo Pilato”, è un testo spudoratamente bello ed intrigante, (testo del drammaturgo e scrittore francese Eric-Emmanuel Schimit - autore anche di Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, da cui è stato tratto l’omonimo film con Omar Sharif), che solo due attori di grande livello come Ma urie Stirno potevano interpretare.
Ottima la regia di Galuco Mauri, interprete, regista e curatore del testo.

25 novembre 14 dicembre
Compagnia Mauri - Sturno
Glauco Mauri, Roberto Sturno
IL VANGELO SECONDO PILATO
di Eric-Emmanuel Schmitt
adattamento Glauco Mauri
traduzione Stefania Micheli
con Marco Blanchi
scene Mauro Carosi
costumi Odette Nicoletti
musiche Germano Mazzocchetti
regia Glauco Mauri

Maria Antonietta Amenduni


8 Dicembre 2008

Teatro di Natale alla Cripta della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino



Che le feste piacciano o no, la magia del Natale, ha sempre il suo indiscutibile fascino e quando a questa ci si aggiunge la magia del teatro, il gioco è fatto!
L’appuntamento è di quelli da non perdere alla Cripta della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino (Piazza S. Alessio 23 - Roma), la compagnoa teatrale La Bottega delle Maschere, sarà in scena dal 16 al 20 dicembre con lo spettacolo Teatro di Natale, componimento e regia di Marcello Amici. In scena:
Antonella ALFIERI, Marcello AMICI, Maria Pia CARLUCCI, Cristina CHIRIAC, Giorgio CORCOS, Umberto QUADRAROLI, Anna VARLESE, Marco VINCENZETTI
Magnificat. Fuori è notte. È la Vigilia di Natale. Inizia così, dal cielo in su, “Teatro di Natale”, la recita a soggetto per la grande notte di Bethlemme. È un componimento che attinge alle Sacre scritture, alla letteratura europea, alle tradizioni romane. E’ un appuntamento con la poesia. La messinscena sale sulle colline di cartone del presepio e da lì gli attori guardano le contrade della terra illuminate da strane comete e popolate da gente triste. Tra i pupazzi del presepio tutto diventa leggenda e favola; il quotidiano si riproduce per essere letto e interpretato. Il teatro prende in prestito le colline di cartone per intervenire in una delle stagioni più capricciose e incerte della storia dell’uomo, perché tornino i colori del sogno e della poesia. Da una parte i passi antichi della Notte Santa, dall’altra Maria e Giuseppe che arrivano a Bethlemme per il censimento di Augusto. Cercano un alloggio. Gli attori si compongono: i profeti, i saggi, i contrari, i favorevoli, i filosofi e si ricompongono con accenni intensi di quello che accadrà nel pomeriggio di un Venerdì Santo. E’ una messinscena costruita tra letteratura e palcoscenico, perché il teatro è il solo luogo dove gli spazi si riempiono di personaggi, di voci, di musica, di corpi, di significati e di simboli.
Teatro di Natale è l’opera naif che la Compagnia Teatrale La bottega delle maschere mette in scena alla fine dell’autunno per significare il Natale 2008 nel contesto delle asprezze internazionali e per ricordare il felice mondo dei bambini che prima fanno il giuoco, poi ci credono, poi lo vivono come vero. È una storia costruita con la poesia di tanti poeti, da Pascoli a Gozzano, da Quasimodo a Pasternak, da Manzoni a Ungaretti, con la solennità delle Sacre Scritture, del Corano e con la teatralità di certe laudi romane dei secoli XV e XVI.
E’ teatro sacro. E’ una strana avventura di pupazzi traditi, offesi e santi. Il loro è un universo di gente che risale come dalle profondità di un abisso per scrivere una storia futurista dai connotati di sogno, dove si racconta di passioni non più soggette alla forza di gravità. I “Pupazzi” parlano, dicono, rivelano, esasperano i loro ricordi, i loro desideri, i loro dolori, i loro vizi, le loro virtù. Per loro il racconto di Natale colora la vita e riscrive la poetica dell’assurdo. È bello, almeno nei giorni vicini alla neve, pensare al teatro come a un luogo dove si possa contemplare la vita da una distanza giusta, da un posto protetto, tutto nostro, dove, ancora, è possibile una riflessione senza angosce, mentre la neve fiocca, fiocca, fiocca e una zana dondola pian piano...
Il Presepe è stato realizzato da Padre Bruno Masetto

Ingresso gratuito - fino ad esaurimento posti - con prenotazione obbligatoria
Accesso alla Cripta: 20.45 - Inizio spettacolo: 21.15 - fine spettacolo: 22.15
Informazioni e prenotazioni: 06.6620982
Sarà benaccetto un contributo per gli oltre 30.000 pasti caldi che ogni anno i Padri Somaschi
della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino offrono ai Poveri di Roma

Maria Antonietta Amenduni


8 Dicembre 2008

Teatri di Cintura: Molto rumore per nulla



Dopo il tutto esaurito al Teatro India, debutta il 6 dicembre al Teatro Tor Bella Monaca e proseguirà il 9 dicembre al teatro Quarticciolo Molto rumore per nulla la celebre commedia shakespeariana che è l’esito di un laboratorio teatrale tenuto da Gabriele Lavia con una ventina di giovani attori.
In questa commedia, come sostiene Gabriele Lavia, sono contenuti alcuni temi chiave del teatro shakespiriano, in primo luogo il dilemma esistenziale tra l’essere e l’apparire, il tema del doppio, dello specchio, della maschera. Dov’è la verità? In ciò che è, in ciò che si deve o in ciò che appare?
Nella solare città di Messina, il ricco Leonato accoglie nella sua magione il principe d’Aragona don Pedro di ritorno dalla guerra insieme ai suoi più stretti compagni. L’atmosfera gaia e leggera dell’estate mediterranea fa da sfondo agli amori tra il giovane Claudio e la dolce Ero e tra i litigiosi Beatrice e Benedetto. Nell’imminenza delle nozze di Claudio ed Ero, don Juan, geloso del favore che Claudio gode presso don Pedro, fa di tutto per screditare Ero e impedirle così di sposare il suo amato. Nulla però potrà impedire all’amore di trionfare sui cattivi sentimenti che saranno giustamente puniti. Questa, in breve, la trama di un’opera che condensa in sé tutto il meglio delle commedie shakespeariane: finte morti, sospetti, intrighi, schermaglie amorose, scambi di persona, congiure. Un molto – per fare una sintesi estrema di questa divertentissima opera – che attraverso lo specchio del rumore si riflette e diventa, o ritorna, nulla. Il nulla evocato nel titolo della pièce: “lo scandalo, il delirio, la rabbia, la rissa, la finzione, la guerra, l’amore... sono l’esito del nulla, certo arriveranno al nulla. La vita allora non è che un’ombra che cammina per davvero, un povero attore che si agita nella scena, per la sua ora, tutto sudore, furia, temperamento... La congiura, la guerra civile che ha visto soccombere il “bastardo” Juan e vincere il “legittimo” Don Pedro, lo scambio di persona tra Ero e Margherita, la fin???•?m???o?ta morte di Ero, la finta figlia di Antonio, le maschere... le maschere... le maschere... tutto questo... tutto questo “rumore” finirà nel nulla come era nato dal nulla e allora... ha ragione Benedetto... Balliamo!”
Ci saranno tanta musica e tante canzoni, due pianoforti, un flauto e delle chitarre in scena. Sarà tutta musica dal vivo. I ragazzi canteranno e suoneranno molto. Sono motivi nati apposta per lo spettacolo, che di per sé già contiene tante canzoni. I costumi saranno a volte indossati, a volte solo appoggiati e a volte trascinati da attori in abiti di tutti i giorni, a seconda degli stati d’animo, a seconda della “maschera”, del ruolo, dell’apparenza. “Sarà uno spettacolo molto allegro, leggero, fresco e divertente” così come auspica il regista. Ruoli e interpreti: Pietro Biondi Lionato, Lorenzo Lavia Benedetto, Giorgia Salari Beatrice, Francesco Bonomo Claudio, Salvatore Palombi il principe Don Pedro, Andrea Nicolini Carrubo, Gianni De Lellis Antonio, Luca Fagioli Cancelliere, Alessandro Riceci Don Juan, Alfredo Angelici Borraccio, Tamara Balducci Ero, Faustino Vargas Guardia, Viviana Lombardo Cetriolo, Alessandro Cangiani Guardia, Daniele Sirotti Corrado, Silvia De Fanti Orsola, Andrea Trovato Frate Francesco, Claudia Crisafio Margherita.

Teatri di Cintura
6 e 7 dicembre 2008 al Teatro Tor Bella Monaca
9 e 10 dicembre 2008 al Teatro Biblioteca Quarticciolo
MOLTO RUMORE PER NULLA
di William Shakespeare
traduzione Chiara De Marchi
regia e scene Gabriele Lavia
costumi Andrea Viotti
musiche originali Andrea Nicolini
light designer Pietro Sperduti

Maria Antonietta Amenduni


8 Dicembre 2008

Storia di Ermengarda al Teatro India



In prima nazionale assoluta debutta il 9 dicembre al teatro India Storia di Ermengarda, di Marta Poggi per la regia di Nicola Russo.
Lo spettacolo si inserisce all’interno del progetto speciale giovani “Oggi verso domani”, ideato dal Teatro di Roma per dare voce alle nuove generazioni. Una iniziativa importante dedicata alla scrittura teatrale giovanile che ha trovato il palcoscenico del Teatro di Roma a sostegno della loro promozione e distribuzione, e che ha ottenuto il patrocinio morale della Siae. Una scommessa per un cammino che, partendo dall’oggi, vuole guardare con apertura ed interesse al domani.
Una struggente variazione tragicomica sulle vicende - storiche e manzoniane - dei Franchi e dei Longobardi. Ermengarda, principessa longobarda che sposa Carlo Magno per rafforzare l’alleanza politica dei due imperi, in questo spettacolo diviene una donna che scacciata da Parigi da suo marito, reinventa la sua Storia e racconta la sua versione dei fatti: la vicenda del suo amore e della sua fine.
Un testo nuovo, questo scritto dalla giovane Marta Poggi, che si distingue nel panorama della drammaturgia contemporanea per originalità e ricchezza linguistica.
Nicola Russo alla sua quarta prova di regia, avvalendosi della collaborazione dell’artista milanese Giovanni De Francesco, ambienta l’azione in uno spazio astratto, nelle stanze di un palazzo immaginato, evocato solo da un perimetro che diventa campo da gioco e labirinto, dove è il corpo degli attori la struttura portante degli accadimenti.

Secondo l’autrice “nel testo ci sono suggestioni e spunti da vari generi e varie esperienze teatrali: Brecht, la commedia dell'arte, il melodramma, l'avanspettacolo, perché Ermengarda vuole anche essere un discorso sul teatro, sulla potenza creativa ed evocativa del teatro che racconta e raccontando fabbrica storie tanto più care quanto più distanti dalla Storia che si pretende unica per tutti”.
Ermengarda, Adelchi e Carlo, ci racconta Nicola Russo, che sono personaggi storici prima e letterari poi, nella scrittura di Marta Poggi acquistano una terza identità che si confonde con le prime due in un’atmosfera di sogno.
E come in un sogno nel testo convivono tragedia e riso, grottesco e profondità di sentimenti.
E su tutto c’è una riflessione sull’amore, sulle sue illusioni, sulla sua assenza, sulla distorsione del mondo che siamo capaci di intraprendere in risposta ad un amore non corrisposto, non rivelato, tradito o ripudiato. Con il programma di sala verrà presentato un inconsueto graphic novel teatrale realizzato per l'occasione da Riccardo Falcinelli, una sorprendente messa in pagina del testo che si affianca alla messa in scena vera e propria.

Storia di Ermengarda al Teatro India
progetto speciale OGGI verso DOMANI
con il Patrocinio Morale della SIAE per la promozione “Giovani Drammaturghe”
regia di Nicola Russo
scene e costumi di Giovanni De Francesco
con Sara Borsarelli, Lorenzo Fontana, Michele Nani, Marta Poggi
TEATRO INDIA Ermengarda dal 9 al 13 dicembre 2008

Maria Antonietta Amenduni


30 Novembre 2008

“Poveri ma belli”, in scena a Roma al Teatro Sistina

Intervista al protagonista maschile, Antonello Angiolillo.

Un classico del cinema anni Cinquanta, un capolavoro di Dino Risi, approda al teatro. 'Poveri ma belli' di Dino Risi, sbarca al Sistina in versione musical, con un cast altisonante e la regia affidata a Massimo Ranieri. Dal 26 novembre al 6 gennaio, il teatro Sistina, tempio capitolino della commedia, ospiterà 'Poveri ma belli. Il musical', un grande spettacolo musicale nella tradizione di quelli targati 'Garinei e Giovannini' con protagonisti in scena Bianca Guaccero, Antonello Angiolillo, Michele Canfora, Emy Bergamo e Francesca Colapietro. Le musiche e le liriche sono firmate da Gianni Togni mentre le coreografie sono di Franco Miseria.

''Portare in scena, in commedia musicale, il film 'Poveri ma Belli', grande commedia dedicata a Roma, è impresa abbastanza ardua. Soprattutto per chi, come me, si accinge a doverlo dirigere seduto nella platea - ha spiegato Massimo Ranieri - di quello che è il teatro più famoso in Italia proprio per questo genere di spettacolo. L'intento è quello di proporre al pubblico una storia fatta di sentimenti puri, veri, genuini non contaminati e mistificati come sono ai nostri giorni. Uno spettacolo fatto di attori, di musica, di balletti, di scenografie e di costumi. Tutte facce della stessa medaglia e tutte importanti allo stesso modo''.

Il cast vede, nel ruolo della protagonista Giovanna, Bianca Guaccero: un’attrice che il pubblico ha applaudito in teatro ne “Il gattopardo” con Luca Barbareschi, in televisione (tra gli altri) in “Il bene e il male di G. Serafini, “Capri 2” di Barzini e Molteni, “La terza verità di S. Reali, “Assunta Spina” di R. Milani e al cinema, nelle ultime stagioni, in “The Shadow Dancer” di Mirman, “Hollywood Files” di Segatori, “Benedetti dal Signore” di Massaro e “Il trasformista” di Barbareschi. Antonello Angiolillo nei panni di Salvatore e Michele Carfora in quelli di Romolo sono due interpreti che il pubblico teatrale conosce bene per le loro partecipazioni a musical di successo in scena in queste ultime stagioni. Troviamo poi Emy Bergamo (Marisa), Francesca Colapietro (Annamaria), Fabrizio Paganini (Ugo), Maurizio Semeraro (Leonetto), Roberto Bani (il regista), Titta Graziano (Silvana). Con loro un gruppo di 20 solisti e soliste.

Uno degli interpreti più interessanti di questo spettacolo e il protagonista maschile, il bravo Antonello Angiolillo.

Quarant’anni e tantissima esperienza in Italia e all’estero. Quanto hai portato di te in questo personaggio?
“Mi sono messo a disposizione del personaggio. Mi stò mettendo alla prova dal punto di vista artistico, perché in Italia va di moda seguire il metodo Stanislavskij che va benissimo e credo che ognuno debba trovare il metodo migliore per se. Però per me che sono razionale, questo metodo mi frenava in alcune cose. Ho scoperto questo insegnante che è Jean-Paul Denizon, assistente di Peter Brook, che fa un lavoro che parte dal corpo e ti pone dei limiti ai quali tu ti puoi aggrappare e sentirti poi completamente libero. Per questo spettacolo, affidandomi a Massimo (Ranieri, ndr), ho lasciato che lui mi desse questi limiti dentro i quali gioco e faccio quello che voglio. Ho sempre pensato che niente succede per caso, forse dovevo fare questo spettacolo con un regista come Massimo, che non viene Stanislavskij, ma viene dal teatro classico italiano”.

Quindi credi che “nulla succede per caso”?
“Credo che niente succeda per caso ma che ci dobbiamo saper amministrare noi quel caso. Come ne “La Profezia di Celestino”, penso che se le cose succedono c’è un perché, noi non le possiamo cambiare, ma ne possiamo essere pienamente coscienti”.

E tu sei un buon amministratore di te stesso?
“Si, ma sono sicuro che serva tantissima fortuna nel trovarsi nel posto giusto al momento giusto e poi ti devi saper amministra la fortuna che hai. C’è gente a cui passa d’avanti il fiume della fortuna ma poi non se ne accorge nemmeno. Penso che “Poveri ma belli” sia per me parte di quel fiume; un mese a Roma, al Sistina, con un bel ruolo! Spero di saper gestire questa fortuna dal lato artistico, facendomi anche conoscere di più dal pubblico”

Ti ritieni fortunato?
“Molto fortunato”!

Leggendo il tuo cv, ho visto che oltre una grande esperienza professionale fai anche moltissime cose nel tempo libero. Dove trovi il tempo?
“In questo momento trovo il tempo togliendolo alle relazioni interpersonali perché sono single! Ma lo troverei comunque! mi piace la montagna e poi sono nato come ballerino e mi piace fare tutto ciò che è fisico e che mi da delle emozioni per cui non riesco a star fermo. Appena posso faccio arti marziali e corro in montagna a fare le mie escursioni con mio figlio che è Scott, un fantastico Golden Retriever”.

Allora in bocca al lupo per la tua nuova avventura teatrale!
“Crepi, anche se i lupi mi stanno simpatici”!
Maria Antonietta Amenduni


23 Novembre 2008

Quando i comici si spostano dalle tavole del palcoscenico, alla ribalta della radio: Ottovolante!

Intervista a Savino Zaba, conduttore del programma radiofonico e dei divertentissimi spettacoli dal vivo.

La comicità e i suoi interpreti sono divenuti orami parte essenziale della quotidianità per riuscire a strappare un sorriso al pubblico anche quando il momento non sebra essere dei migliori. Ma che succede quando i comici si spostano dalle solite tavole del palcoscenico al “palco” del aradio? La risposta è semplice: “Ottovolante”, il noto programma di Radio 2 che è tornato per la nona stagione! Una giostra di comici italiani che non solo in radio ma anche dal vivo, presso gli studi romani di Via Asiago, regalano serate di grande divertimento e spensieratzza. Anche quest'anno l'unico, originale, indiscusso comic-jockey esistente Savino Zaba prende per mano gli ascoltatori e il pubblico in studio, nello scrigno magico della migliore comicità: il sabato e la domenica alle 8 daremo la sveglia al week-end degli italiani a suon di battute, ma rimane intatto anche il classico spazio della domenica alle 13.30 per un'altra ora e un quarto di buonumore tra pranzo e partite. Accanto ai cabarettisti più famosi, spazio ai talenti emergenti. Oltre al formato veloce e allegro di musica e cabaret, tornano a gran richiesta i famosi Live Show di Ottovolante. Abbiamo chiacchierato con il simpaticissimo conduttore pugliese della trasmissione, Savino Zaba.

Partiamo dalla tua vena comica, quando hai scoperto di averla?
“Non so, non mi sento un comico, anzi no non lo sono, mi piace definirmi un conduttore brillante. Ho la fortuna di avere un bravo autore che è Marco Terenzi. Se poi mi viene anche qualche battuta, va bene, vuol dire che sono entrato nel clima della trasmissione. Il comico, ha la fisicità e la faccia giusta che non mi competono. Il successo per un conduttore che conduce una trasmissione e quello di far sentire lo spettatore a casa sua e se io riesco in questo sono contento”!

Quanto conta l’audacia nel tuo lavoro?
“Tanto e noi pugliesi in questo siamo dotati perché nasciamo in una terra non povera, ma che stà al sud e dove da sempre bisogna fare enormi sacrifici. L’audacia la si ha congenita, nel sangue, ed il contesto ti sottopone a fare di necessità virtù. Nonostante io usi poco il mio pugliese, sono orgoglioso di esserlo. Sono uno che non si ferma mai di fronte alla prima difficoltà. Sono abituato a seguire un sentiero e a percorrerlo con determinazione anche quando la strada sembra segnata. Audacia, coraggio, tenacia, forza, sono tutte caratteristiche mie ma della gente del sud in generale”.

Cosa non ti piace invece della Puglia?
“Che siamo lamentoni e ci piangiamo addosso, ci commiseriamo e vogliamo farci compatire. Questo non mi piace, bisogna alzarsi le maniche e agire. La mia filosofia è sperando-agendo, invece la gente del sud in generale punta troppo sulla speranza e meno sull’agire. Trovo che si debba avere il coraggio di agire di più”.

Tu ti senti più sognatore o più razionale?
“Credo di essere più razionale ma spesso mi abbandono ai miei sogni. Quando ero ragazzino sognavo di fare delle cose e si sono realizzate per cui continuo a sognare ancora. Sono un leone ascendente sagittario. Ho anche una visione mistica e religiosa molto personale. Sono molto concreto e terreno”.

Si dice che gli dei quando vogliono punirci realizzano i nostri desideri. Ti è mai successo?
“Certo! Mi è successo quando dopo RadioNorba, sono venuto a Roma ad RDS o a RTL. Avevo sempre sognato di parlare ad un pubblico nazionale, ed invece mi sono sentito di fronte ad una difficoltà pazzesca e c’è stato un momento in cui ho pensato di lasciare tutto”.

E cos’è che ti ha fatto desistere?
“La mia pugliesità e la mia tenacia. Questo è un mestiere balordo fatto di astio e di tensioni, non è sempre meritocratico e le occasioni per dire basta ci sono, ma io non ho mai lasciato. Nonostante le difficoltà stò realizzando molti miei desideri”.

Tra i tuoi desideri, Ottovalente che posto occupa?
“E’ una tappa importante, non certo un punto di arrivo. Quando mi sentirò arrivato, sarà finita la mia carriera e la mia vita”.

Quando non lavori in radio, che cosa ascolti?
Ascolto molto i gr, perché ho una grande passione per tutto quello che è informazione; mi piace molto Radio24, Radio Capital, Radio2 e Radio Dj, alcune cose di RMC. Ho una predilezione per la talk radio, dove c’è più parlato che musica, perché la musica invece la scelgo per conto mio

Ed in tv invece?
“La tv non la guardo molto per mancanza di tempo, ma anche li guardo molta informazione, mi piace Ballarò, le Iene, Striscia la Notizia e seguo i calcio e i programmi in cui si fa musica”.

A proposito di questo, quando torna il tuo programma musicale su Rai 1, “Music”?
“Io spero ad inizio del nuovo anno perché c’è sete di musica, soprattutto sul primo canale, perché su Rai 1, “Music”è l’unico programma musicale, oltre San Remo”.

A cosa stai lavorando in questo momento?
“Alla radio, idee nuove per la radio, attendo il ritorno in televisione, stò scrivendo un libro di cui però ancora non parlo, ma spero di potertene parlare presto”.

Le tue grandi passioni?
“Il mio cane, anche lui pugliese, un trovatello di Conversano che vive con me da 10 anni, e poi da italiano medio, anche la Juve. Tra le altre mie passioni ci sono anche il cinema, i concerti, il teatro e la moto”.

Che dirti allora, in bocca al lupo per la tua carriera e non solo!
“Crepi! e da pugliese ti dico statt bbunn”!

Maria Antonietta Amenduni


23 Novembre 2008

Il Re Lear barbarico di Eros Pagni, in scena al Teatro Eliseo.

Con la sua cupa maestosità e il suo fare cerimonioso, Pagni, vale da solo tutto l’allestimento.

In scena al Teatro Eliseo, fino al 30 novembre, Re Lear di William Shakespeare, interpretato da Eros Pagni, per la regia di Marco Sciaccaluga, nella nuova traduzione di Edoardo Sanguineti. Il Re Lear di Marco Sciaccaluga, si propone come una rigorosa e moderna rilettura della tragedia scespiriana, di cui viene portata in primo piano la dimensione di una storia arcaica, ambientata in un mondo barbarico e attraversata dalle grandi passioni primordiali che stanno alla radice dell’umanità di tutti i tempi. Il tutto fondato su un vitale e raffinato uso del linguaggio, che trova in questa nuova versione italiana in versi e in prosa, come l’originale, un prezioso fondamento drammaturgico. Re Lear è universalmente considerata una delle migliori tragedie di William Shakespeare. Scritta nei primi anni del Seicento, è basata sulla leggenda di Leir, un re della Britannia vissuto prima che questa diventasse parte dell’Impero Romano. Una storia arcaica, dunque, che era già stata narrata in cronache, poemi e anche testi teatrali, prima che Shakespeare scegliesse di raccontarla di nuovo. La vicenda è nota. Il vecchio Re Lear decide di dividere il proprio regno tra le tre figlie, a seconda dell’amore che sapranno dimostrargli. Due delle figlie, Goneril e Regan (rispettivamente sposate con il duca di Albany e di Cornovaglia), gli offrono subito altisonanti dichiarazioni d’affetto, mentre la terza, Cordelia, si limita a dichiaragli un giusto amore. Irritato dalla risposta, Lear la ripudia e divide tutto il suo regno tra Goneril e Regan, le quali s’impegnano a dargli ospitalità, un mese per una, in compagnia della sua scorta di cento cavalieri. Mentre Cordelia, sposatasi con il Re di Francia, abbandona il regno, Lear ha modo ben presto di constatare l’ingratitudine delle due figlie favorite. Colpito nel suo orgoglio di re e di padre, sempre più solo in compagnia del proprio Fool, Lear perde progressivamente la ragione. E, nel frattempo, la sua storia s’intreccia con quella del devoto Gloucester, anche lui protagonista di un dramma famigliare, che lo porta alla disperazione e alla distruzione fisica a causa delle manovre del figlio bastardo, Edmund, il quale riesce a convincerlo a mettere al bando l’innocente primogenito Edgar. Votate entrambe a un tragico precipizio, le due vicende umane si rispecchiano e s’intrecciano in una società stravolta dalle lotte intestine e dalle più violente passioni individuali. Eros Pagni, con la sua imponenza, il suo broncio, la voce profonda e tutta la sua prepotenza scenica, valgono da sole l’allestimento dello spettacolo. Riesce a rendere omaggio al testo, sviluppando con una semplicità disarmante, come se lo spiegasse ad un bambino, tutto il crescendo dell’evolversi interiore e mentale del personaggio. La regia e la scenografia, cupa, claustrofobia, ingabbiante, ricordano il Re Lear giapponese di Kurosawa nel film Ran.. Anche il trucco richiama il film; ne sono un esempio le fronti alte delle tre figlie del re, la Cordelia di Fiorenza Pieri, la Regan di Alice Arcuri, la Goneril di Orietta Notari. Anche i costumi tramandano un’atmosfera orientaleggiante. Accanto a Eros Pagni, nel ruolo del re di Britannia che decide di dividere il proprio regno tra le figlie, saranno in scena molti attori che da alcuni anni ormai costituiscono la compagnia del Teatro Stabile di Genova: Alice Arcuri (Regan), Gianluca Gobbi (Edgar), Maurizio Lastrico (Albany), Massimo Mesciulam (Kent), Orietta Notari (Goneril), Aldo Ottobrino (Cornovaglia), Enzo Paci (Oswald), Nicola Pannelli (Edmund), Fiorenza Pieri (Cordelia), Vito Saccinto (Fool), Federico Vanni (Gloucester), e, ancora, Massimo Cagnina, Fabrizio Careddu, Michele Di Siena, Pier Luigi Pasino, Marco Pieralisi. Scene e costumi di Valeria Manari, musiche di Andrea Nicolini, luci di Sandro Sussi, fonica di Claudio Torlai.
Maria Antonietta Amenduni


22 Novembre 2008

Il Re di New York, incoronato al Brancaccio

Biagio Izzo, mattatore tra gag e balletti in un atipico vaudeville/musical, che strizza l’occhio alla TV.

E’ il classico spettacolo classificato nella sezione “Buonumore”. Niente grosse pretese, ma tanto divertimento per trascorrere una serata spensierata. A metà strada tra vaudeville e musical, sulle note musicali di Paolo Belli, è in scena al Teatro Brancaccio, dal 18 al 30 novembre, Il Re di New York, con uno dei comici più in voga del momento: Biagio Izzo. I fratelli Montemarano (Biagio Izzo e Teresa Del Vecchio) sbarcano in quel di New York dalla loro Napoli. Motivo? L’eredità di zio Johnny, un vecchio parente dimenticato, emigrato anni or sono verso il Nuovo Continente in cerca di fortuna. Proprietario dell’importante bar-ristorante Il re di Mergellina, situato nel quartiere di Little Italy, questo zio la fortuna l’aveva trovata. Ma una volta sbarcati in America, i fratelli Montemarano entrano in conflitto: Biagio – stregato dalla megalomania della Grande Mela – sogna di trasferirsi definitivamente per non fare più ritorno; Teresa è più risoluta, e medita di vendere l’attività, dividere i ricavi e tornare al più presto in patria. Al momento di intraprendere le pratiche notarili, emergono una serie di personaggi rivelatori di un passato del Ristorante controverso: a quanto pare il caro zio è stato protagonista di una serie di traffici illeciti. In scena con Biagio Izzo troviamo anche Teresa Del Vecchio, Paola Bonanni, Max Vitale, Giorgio Carosi, Antonio Conte, con la partecipazione di Antonella Elia. Biagio Izzo non è solo il protagonista, ma è anche coautore insieme a Bruno Tabacchini, suo collaboratore storico da più di 20 anni. Tra balletti e gag, lo spettacolo, diretto da Claudio Insegno, risulta essere molto televisivo e gli effetti sonori che sottolineano le gag, così come i titoli di testa o le immagini proiettate, ne sono una conferma. Il ruolo determinante in questo spettacolo, lo giocano l’esuberanza e la mimica degli attori. Sulla scenografia che riproduce un locale trendy di New York, dallo stile lineare, si alternano i protagonisti fuori le righe. La compagnia è ben assortita e tutti danno vita ad un ingranaggio scorrevole. Nonostante una prima parte un po’ più lenta, il secondo atto diventa quasi un one man show, durante il quale un inarrestabile Biagio Izzo, (a volte esagerando anche un po’ con le gag), inanella una battuta dopo l’altra. Ci si diverte di gusto, si ride molto e come prevedibile il pubblico accorre per uno spettacolo di Biagio Izzo, perché, che piaccia o no, la sua comicità rallegra la serata.
Maria Antonietta Amenduni


22 Novembre 2008

Il caffè del Signor Proust, scritto e diretto da Lorenzo Salvati, in scena al Teatro dell’Orologio.



In scena al Teatro dell’Orologio, fino al 7 Dicembre, lo spettacolo “Il caffè del Signor Proust”, scritto e diretto da Lorenzo Salveti. In scena Gigi Angelillo.Alla ricerca del tempo perduto, tra un caffè e una madeleinette, lo spettatore penetra nella vecchia casa dove abitò Marcel Proust. La signora Celeste, governante e angelo custode dello scrittore, racconta le sue memorie mentre prepara il caffè secondo un vecchio rito, alla maniera di Proust. La donna (o forse è un uomo, perché la voce e il portamento sono senza dubbio maschili) fa luce sui piccoli angoli bui e impolverati della vita dello scrittore. Coraggio, basta sorseggiare una tazza di caffè e affiorano i ricordi che il pubblico osserverà “dalla porta della cucina” attraverso gli sguardi, i trasalimenti, le parole di colei che l’aveva amato, subito, assaporato, si potrà posare un occhio indiscreto su certi rituali maniacali e ossessivi, ma anche teneri e ridicoli dell’esistenza alla rovescia di Marcel Proust. Lo spettacolo si è aggiudicato il Premio IDI Maschera d’oro 1990 a Gigi Angelillo come migliore interprete; inoltre “Il caffè del Signor Proust”, è stato ospite ai Festival: “Italia in scena”-Bruxelles 1990, I Festival du theatre italien d’aujourd’hui- Theatre Petit Montparnasse –Parigi 1992, Festival International theaternetto-Tel Aviv-1993 Istituti Italiani di cultura : Budapest (1994)- Montreal (1997)- Lisbona (1999)- Stoccolma(2003) Barcellona (2006) In scena dal martedì al sabato ore 21.30; domenica ore 18.30 Lunedì riposo
Maria Antonietta Amenduni


22 Novembre 2008

Il battibecco infinito tra due sorelle in scena con “Sugo finto” al Teatro la Cometa.

Il testo scritto da Giovanni Clemente, vede protagoniste Paola Tiziana Cruciani e Alessandra Costanzo. La regia è affidata alla sapiente mano di Ennio Coltorti.

E’ in scena al Teatro La Cometa, dall’11 al 30 Novembre, lo spettacolo “Sugo finto” di Giovanni Clemente, con Paola Tiziana Cruciani e Alessandra Costanzo. La regia è di Ennio Coltorti. Due sorelle zitelle, Addolorata e Rosaria, offese da una natura ingenerosa, trascorrono la propria esistenza in un continuo ed esilarante scambio di accuse reciproche. Un battibecco infinito che non conosce sosta. Qualsiasi circostanza, qualsiasi avvenimento diviene argomento di animata e inconciliabile discussione. Rosaria domina, Addolorata subisce. Finché un giorno Rosaria viene colpita da un ictus. Gravemente menomata è assistita da Addolorata, che finalmente può vendicarsi dei soprusi subiti per tutta la vita dalla sorella. Infatti Addolorata inizia a raccontare quotidianamente, all’immobile e muta sorella, di come sta dilapidando il cospicuo piccolo tesoro accumulato in Banca, in anni di risparmi e lavoro. Rosaria, adottando l’unica arma che ancora le resta, inizia a rifiutare cibo ed acqua ed è ormai allo stremo delle forze, quando Addolorata capisce che le rimane una sola strada: l’ennesima resa. Ma ormai non può più fare a meno della presenza dell’altra, la sua vita non avrebbe più senso ed è per questo che torna sui suoi passi e china la testa di fronte all’inespressiva sorella. Rosaria ha avuto ragione ancora una volta e uno svelto guizzo della sua lingua, che attinge nel cucchiaio di minestra portole da Addolorata, è il suo definitivo, muto grido di vittoria. Un testo confezionato per una grande prova d’attrici, che ne esaltino l’incalzante comicità, ma anche la struggente malinconia. Un testo intimo e claustrofobico, che “usa” Addolorata e Rosaria e ne fa lo specchio di una società, come la nostra, sempre più portata a rinchiudersi a riccio, a considerare “l’Altro”, “il mondo fuori” il nemico. E allora il piccolo appartamento delle due zitelle diventa una sorta di avamposto, le finestre, delle feritoie da cui osservare, senza essere visti, il pericolo che incombe e sta per sferrare l’ultimo assalto a un nucleo “A7???a??????indifeso e normale”. La miopia di tale atteggiamento è tanto più evidente quando il rifiuto aprioristico al confronto, in un contesto socio-economico, quale l’attuale, che ci costringe quotidianamente a fare i conti con il “diverso”, assume spesso l’aspetto di una sorta di autoemarginazione. E le piccole gioie della vita, che fortunatamente ognuno di noi ancora sperimenta, non possono non venire segnate dallo scoppio implosivo del nostro stesso risentimento. Forse è proprio questa la più grande sconfitta che una donna, un uomo, una società possano soffrire. Un minuscolo Titanic in formato domestico, destinato all’inevitabile affondamento. E quando già i flutti lambiranno il volto degli incoscienti crocieristi, sarà ancora una risata l’ultimo suono percepito da orecchie tanto distratte.
Maria Antonietta Amenduni


8 Novembre 2008

“The Damned – La caduta degli Dei” in scena al Teatro India.

Dalla sceneggiatura di Nicola Badalucco, Enrico Medioli e Luchino Visconti; regia di Diego de Brea

L’11 e il 12 novembre al Teatro India sarà ospite per la seconda volta lo Slovensko Mladinsko Gledalisce di Lubiana con il suo nuovo spettacolo “ The Damned”, tratto dalla sceneggiatura del film di Luchino Visconti “La caduta degli dei” e diretto dal pluripremiato regista sloveno Diego De Brea.
“La caduta degli dei” ruota attorno all’ascesa del Nazismo attraverso le vicende della famiglia di industriali von Essebeck e del suo declino in un periodo in cui la morale individuale non esiste più e tutto è permesso nell’èlite della società. La narrazione principale segue il legame tra grande industria e regime nazista che Visconti interpreta come desiderio di potere, rafforzato dalla decadenza morale della società del tempo. Il vecchio mondo si sgretola letteralmente intorno ai protagonisti mentre il nuovo mondo emergente, rappresentato dall’ambizioso Bruckmann (Dirk Bogarde) e dal nevrotico Martin (Helmut Berger), è un mondo dominato da inganni, incesti, stupri, pedofilia e omicidi. Alla fine, i soli sopravvissuti saranno coloro in grado di collaborare con la politica nazista senza ripensamenti; quelli che diventano totalmente malvagi. Nel suo lavoro, Visconti introduce vari temi tratti da diverse, fondamentali opere della letteratura europea: da Shakespeare, che forse è più intensamente presente con Macbeth (il tema dell’omicidio del re, la relazione tra Bruckmann e Sophie) e Hamlet (la relazione tra figlio e madre), ad Eschilo (la struttura della sceneggiatura segue quella dell’Orestea), da Dostoevsky (stupro e suicidio della ragazza dal romanzo I Demoni), a Wagner e Thomas Mann (Buddenbrooks), filtrando tutto ciò attraverso la successione cronologica di reali eventi storici avvenuti tra il 1933, quando il Reichstag bruciò il 27 febbraio, e il 1935. Tempi in cui, al comando di Hitler, la Germania cambiava ad una velocità incredibile.
Ha scritto dello spettacolo la stampa slovena: The Damned traspone il contesto storico e politico di Visconti nei personaggi principali, acuisce e condensa le loro situazio`?????u??L’1ni drammatiche, li semina in un interno teatrale e porta i dialoghi ridotti del film al limite a cui la soggettività esasperata delle élite economiche e politiche appare visibile. Quello che si ottiene da questo procedimento è un formato attuale di storia tragica shakespeariana.
Diego De Brea affronta i temi in maniera personale, rude e diretta, priva di compromessi ma allo stesso tempo marcatamente estetica, ispirata dalla ricca produzione di arte visiva dell’Europa Occidentale. Ciò lo rende riconoscibile al pubblico e agli operatori culturali in Slovenia e all’estero. In scena: Sandi Pavlin, Maruša Geymayer-Oblak, Matija Vastl, Uroš Macek, Ivan Godnic, Željko Hrs, Pavle Ravnohrib, Romana Šalehar, Nataša Travnikar, Dario Varga, Boris Kos, Jadranka Tomažic, Ivan Rupnik, Olga Grad, Kristina Cufar, Staša Miklavec, Boštjan Kljakic, Valerij Jeraj, Štefan Marcec, Mitja Trampuš.
Lo spettacolo è in lingua slovena con sopratitoli in italiano. Durata 100 minuti senza intervallo

Maria Antonietta Amenduni


25 Ottobre 2008

Terza giornata al Festival del Cinema di Roma per De Sica e famiglia.

La proposta più incuriosente del giorno è: Un Barrage contre le Pacifique

Giornata poco interessante quella di venerdì 24 al Festival del cinema di Roma. Tra disorganizzazioni e un po’ di noia, i film in concorso per questa giornata sono Schattenwelt di Connie Walther; Der Baader Meinhof Komplex di Uli Edel; Un Barrage contre le Pacifique di Rithy Pahn e Parlami di me di Brando De Sica.

Schattenwelt: Dopo 22 anni di carcere, l'ex-terrorista Widmer torna in libertà. Era uno dei capi della seconda generazione della RAF, inizialmente nota anche come Banda Baader-Meinhof. Durante un sequestro non riuscito, il suo commando uccise von Seichfeld, direttore di banca, ed uno dei suoi dipendenti ma non si seppe mai chi esplose i colpi mortali. Gli altri componenti del commando sono oggi tutti morti ad eccezione di Marita, in quegli anni anche amante di Widmer. Fuori di galera, l'uomo vorrebbe reintegrarsi nella realtà di un mondo a cui non si è mai abituato e riuscire a ricucire il rapporto con suo figlio Samy. Widmer lo ignora ma la sua vicina, la giovane Valerie, è coinvolta con il suo passato. L'uomo avverte la tensione della ragazza ma non riesce a capirne la ragione.

Der Baader Meinhof Komplex: Negli anni Settanta Ulrike Meinhof, giornalista borghese e progressista, si unisce al gruppo armato guidato da Andreas Baader passando alla clandestinità. Il film ritraccia la drammatica, sanguinosa, vicenda della R.A.F, la Rote Armee Fraction, dai primi attentati fino alla prigionia nel carcere di Stammheim e al drammatico epilogo con il suicidio collettivo nel 1977. La pellicola è tratta dal libro-inchiesta di Stefan Aust, ex caporedattore di der Spiegel. In scena i migliori interpreti dell'attuale cinema tedesco.

La proposta più interessante di questa giornata è l’accativante Un Barrage contre le Pacifique, per la regia di Rithy Pahn, con Isabelle Huppert (la madre), Gaspard Ulliel (Joseph), Astrid Berges-Frisbey (Suzanne), Randal Douc (Signor Jo).
Indocina 1931, Golfo del Siam. Una famiglia di coloni francesi lotta contro la povertà. La madre di Joseph e Suzanne si rende conto che la partenza dei suoi figli ormai adulti è inevitabile. Ingannata dall'amministrazione coloniale, la donna ha investito tutti i suoi risparmi in terreni senza valore e continuamente minacciati dal monsone. Decisa a combattere la corruzione dei burocrati che l'hanno truffata, intraprende un folle progetto: costruire un argine contro il mare ricorrendo all'aiuto degli abitanti del villaggio.

"Più che critici e giornalisti, servirebbe uno psicanalista...". ad affermarlo è Brando De Sica, regista di 'Parlami di me', che fotografa lo spettacolo teatrale omonimo del padre Christian, in cui trova spazio un'accorata invocazione di Vittorio De Sica. In concorso (ma ancora se ne deve capire il perché!) al Festival di Roma, prodotto dalla madre di Brando, Silvia Verdone, distribuito (ancora non si sa se al cinema o direttamente in dvd) da Luigi e Aurelio De Laurentiis, questo film formato famiglia segna l'esordio in regia di Brando, 25 anni, studi alla University of Southern California (Usc).
E se i nomi illustri non dovessero bastare, basta aggiungere che la sceneggiaturaè di Maurizio Costanzo, Enrico Vaime. Assolo in forma di musical di Christian De Sica che, sulla scena teatrale mette in scena ricordi e nostalgie famigliari, brani di Garinei e Giovannini e monologhi personali, autobiografia e storia della rivista, omaggi al grande cinema e allo showbiz italiano.

Le polemiche sul nepotismo in conferenza stampa sono nate subito e Brando ha cercato di fermarle subito: "Proprio per evitare simili accuse, a 18 anni ho lasciato casa e me ne sono andato a Los Angeles, per imparare il mestiere che voglio fare: il regista. Comunque, trovo assurdo questo accanimento contro i figli d'arte: in America non è così, basti pensare ai Fonda, i Barrymore, i Douglas. Che dovrebbe fare lo Stato, sovvenzionare noi figli di papà perché non possiamo lavorare? Al contrario, noi più di altri possiamo renderci conto dei sacrifici e del rispetto per il lavoro che servono". Come sul palco per il padre, anche Brando ricorda con commozione Vittorio De Sica, il nonno che non ha mai conosciuto: "Sono entrato in contatto con lui vedendo i suoi film, soprattutto amo Umberto D., i panama e i Principi di Galles che ci ha lasciato. Ancora ne conservano l'energia".
Stà di fatto che a parte le belle parole, quando si ha un cognome così altisonante l’esordio al cinema è più che facilitato, anche se il paragone è ancora ben lontano.


Maria Antonietta Amenduni


24 Ottobre 2008

EMANUELA AURELI Recital

Una sana risata che fa bene alla salute!

Non esiste nessuna emozione umana, a parte ovviamente l’amore e la sessualità, che sia cosi potente ed universale per alzare lo stato vitale dell’essere umano: la risata! Una sana risata provca piacere e benessere. La ricerca del piacere è quindi una parte difensiva fisiologica dell’essere umano. Quando ridiamo, tutto il corpo ne trae giovamento, sollievo e rilassamento muscolare. Insomma, se volete regalarvi una serata di benessere fisico e mentale, rilassatevi e ridete. Opportunità da non perdere in merito è Martedì 28 ottobre ore 21:00 Presso il Cinema Teatro Azzurro di Viterbo (via C. Cattaneo, 44), con EMANUELA AURELI Recital Ridere fa bene al cuore e alla mente. Quando poi la satira coniuga intelligenza e qualità, ed è condita con ottima musica, l’appuntamento è di quelli imperdibili. Emanuela Aureli, la regina delle imitazioni - erede del grande Gigi Sabani – arriva a Viterbo in “buona compagnia” : Milly Carlucci, Barbara D'Urso, Mara Venier, Rosanna Lambertucci, Loredana Bertè, Ornella Vanoni, Raffaella Carrà, Monica Bellucci. Chi ha avuto modo di apprezzare la sua abilità, ha già capito che ci riferiamo ad alcuni dei numerosi personaggi impareggiabilmente parodiati da Emanuela. Il palco del Teatro Azzurro di Viterbo (via C. Cattaneo, 44) ospiterà martedì 28 ottobre alle ore 21:00 un recital di alto spessore culturale. Emanuela Aureli recital, memore degli anni d’oro del cabaret, apre infatti anche alla musica. Momo la provocatoria cantautrice lanciata da Piero Chiambretti nel Dopofestival di Sanremo 2007, poterà sul palco del Teatro Azzurro la sua satira sociale fatta di note e di teatralità ereditata dalla grande Edith Piaf. L’artista proporrà alcuni estratti dal suo album Il giocoliere (2007), accompagnata dalla inseparabile pianista Federica Principi. E a proposito di Francia, l’altro ospite musicale della serata sarà Mario Salis, romano sì, ma da anni residente nella terra degli chansonnier. Non a caso la scelta di vita del cantautore si sposa con la vita artistica, poiché le sue canzoni “parlano francese” in senso musicale, pur recitando versi rigorosamente italiani. La sua storia inizia nella romanissima piazza Navona, dove nel corso di una serata viene notato dal regista Luigi Comencini. Da qui una delle sue canzoni Momento 25 bis – Nella canzone del male è stata inserita nel film L'ingorgo. Inizio di una carriera importante, durevole fino ai giorni nostri.
Maria Antonietta Amenduni


19 Ottobre 2008

Il vuoto che genera la violenza: “Bravi ragazzi”.

In scena al TeatroLoSpazio.it, lo spettacolo scritto e diretto da Angelo Longoni. Ciò che si vuole indagare con BRAVI RAGAZZI è la percezione, da parte degli italiani, dello straniero diverso in tutte le sue manifestazioni.

Uno spettacolo che non può e non deve passare inosservato. In scena al TeatroLoSpazio.it, dal 24 Ottobre al 9 Novembre, lo spettacolo “BRAVI RAGAZZI” scritto e diretto da Angelo Longoni, con Lorenzo De Angelis, Riccardo Francia, Valerio Morigi ed Edoardo Persia. Quattro ragazzi per strada. Motorini, cellulari, fumo, rabbia e solitudine. Nessun sogno. Nessuna aspettativa. L’ingiustizia del loro quartiere. L’ingiustizia del loro linguaggio. Soli, abbandonati, nessun adulto, nessun aiuto. Poi l’odio e il vuoto, l’azione e la paura. Razzisti senza ragione, senza pensiero. Bambini perduti, mai cresciuti. Quattro ragazzi per strada. Qualsiasi cosa è meglio del vuoto che hanno, qualsiasi… anche l’odio.

L’Italia è diventata un Paese intollerante? E’ vero quello che dice il Censis secondi cui Roma è una città più pericolosa di New York? I fenomeni di razzismo nel nostro Paese non vanno sottovalutati. A parte gli allarmismi e le facili speculazioni politiche, e' in ballo la nostra radice storica di nazione tollerante, inglobante e sicura, perché oggi purtroppo nel nostro paese a prevalere è la paura e la diffidenza nei confronti degli “altri”. In parlamento impazza il decreto sicurezza, sui media, le notizie di apertura riguardano sempre episodi di razzismo, violenza e aggressioni, che sull’onda dell’emotività fanno salire lo share e vendere i giornali. Nel frattempo si verificano nuovi casi di immigrazione clandestina: ci si deve chiedere se si sta facendo tutto quello che e' possibile prima che sia troppo tardi.

Ma i giovani che ruolo hanno in questo clima latente di violenze ed intolleranze? Angelo Longoni, autore e regista, prova a raccontarlo con “Bravi Ragazzi”, uno spettacolo spiazzante, disarmante, duro e dal forte impatto emotivo, che farà riflettere i giovani e non solo.

Ecco come l’autore e regista Angelo Longoni racconta il suo spettacolo: “Ciò che si vuole indagare con BRAVI RAGAZZI è la percezione, da parte degli italiani, dello straniero diverso in tutte le sue manifestazioni e la visione di un mondo che si sovrappone al nostro e che succhia linfa vitale provocando l’asfissia della nostra organizzazione sociale. E’ evidente che la percezione del nomade, apolide, senza lavoro, senza dimora, senza leggi e regole, senza uno stato di riferimento, senza documenti, senza limiti d’azione, è assimilabile a quella di un parassita che trae un vantaggio a spese dell'ospite creandogli un danno biologico. Esattamente come accade in natura il parassita invade il territorio e il corpo di un altro essere vivente e lentamente inizia a vivere alle sue spalle contaminandone l’esistenza. BRAVI RAGAZZI indaga proprio questa percezione da parte di un gruppo di giovani italiani residenti in una qualsiasi periferia di una grande città italiana. Il vuoto dei loro discorsi, la vacuità delle loro opinioni, l’ottusità del loro conformismo, l’assenza di modelli di riferimento sono il paradigma di una società che lentamente sta abbandonando il mondo giovanile ad un destino di solitudine e di torpore culturale. C’è la tendenza a pensare che le vittime di questo stato di cose siano unicamente le persone che subiscono violenze e ingiustizie ma in qualche modo lo sono anche coloro che le praticano. Il vuoto che circonda esteriormente i giovani e quello che pervade le loro teste e i loro cuori colloca anch’essi tra le vittime. L’inconsapevolezza dei loro comportamenti, la superficialità di giudizio uniti a una buona dose di violenza fanno parte di quella confusione esistenziale che li spinge verso l’odio per i diversi, siano essi degli stranieri o i tifosi di una squadra di calcio avversaria o un antagonista occasionale trovato in discoteca o in mezzo a una strada. Prima caratteristica di questo vuoto e di questa violenza è sicuramente il linguaggio che si è fatto, negli anni, sempre più povero, sempre più essenziale, sempre più piatto e livellato su una consuetudine lessicale insufficiente. Ed è proprio nel linguaggio che si trovano i primi segni di una violenza che fa presto a superare il livello puramente lessicale per trasferirsi sul piano fisico. La tesi che si esprime in BRAVI RAGAZZI è che il vuoto genera aggressività e le differenze sociali generano violenza. La solitudine dei giovani, la mancanza di collegamento tra loro e le istituzioni, le enormi carenze linguistiche e culturali che caratterizzano il loro modo di comunicare, l’indifferenza della politica nei confronti dei ragazzi delle periferie, tutte queste ragioni sono alla base di un deterioramento costante e progressivo di una comunità che non sa più che farsene delle nuove generazioni e le spinge, con la propria indifferenza, verso conflitti di cui tutti ignoriamo le future conseguenze”.

Durata dello spettacolo: 80 minuti. Appuntamento per il Dopoteatro il 24 - 25 e 26 Ottobre con Caterina Gramaglia, Alessia Degli Angioli, Elena Arvigo, Cristina Odasso, con lo spettacolo "Ma chi è?", scritto e diretto da Caterina Gramaglia. Durata: 50 minuti. Prenotazioni per il pubblico e informazioni 06 77076486 - info@teatrolospazio.it

Maria Antonietta Amenduni


19 Ottobre 2008

Quattro donne e tutta la loro irriverente ironia in: “Ma chi è” al TeatroLoSpazio.it



Il 24 –25 e 26 Ottobre dopo lo spettacolo “Bravi ragazzi” scritto e diretto da Angelo Longoni, al TeatroLoSpazio.it, largo al dopo-teatro con lo spettacolo: " Ma chi è? " di Caterina Gramaglia. In scena: Elena Arvigo, Alessia Degli Angioli, Caterina Gramaglia, Cristina Odasso. Regia di Caterina Gramaglia.
La storia: 4 ragazze dai venti ai trent'anni amiche dall'infanzia si ritrovano in un appartamento a fare i conti con la loro vita quotidiana, attraverso pettegolezzi, consigli, confessioni....
4 ragazze che si raccontano....interrotte da vari avvenimenti.
La preparazione di una festa, in attesa di....in attesa che....sempre in attesa di qualcuno di qualcosa che deve arrivare.....poi finalmente suona il telefono....il citofono....ma non è chi vorrebbero che fosse....allora chi è?
Un monolocale, due porte, quella della camera, quella dell'ingresso un corridoio che va scomparendo nella quinta. Un divano, un mobiletto, un tavolino, uno sgabello,uno stereo, libri, dischi. Eva è una giovane scrittrice che lavorava in una scuola di inglese per pagarsi il corso di scrittura, si innamora del direttore Edoardo che la lascia dopo qualche mese per una nuova segretaria tutta pepe.
Eva è molto romantica e sognatrice, sono due settimane che è rinchiusa in casa in piena depressione, così in soccorso arrivano, Giulia una attrice sconclusionata e casinara e Claudia ipocondriaca e maniaca dello star bene. Infine arriva il quarto personaggio Elena la più grande del gruppo e la più concreta che è appena tornata da un divorzio col suo ex marito. Elena è la coinquilina di Eva, tornando vede il caos lasciato dalla povera depressa che piange per amore in bagno inizia una breve discussione e dopo questo confronto, chiarita la faccenda Giulia propone di fare una festa e invita una serie di persone....La storia...si conclude con l'attesa, l'infinita attesa.....di....? Bo! Nel mentre ci saranno una serie di colpi di scena....di situazioni intrecciate con altre....dove ancora di più verranno fuori le personalità di queste quattro donne sempre alla ricerca.....
Durata 50 minuti.

TeatroLoSpazio.it
Dopoteatro dalle 22:30 – domenica ore 21,00 Ingresso 7 Euro, tessera associativa trimestrale 3 Euro Roma, Via Locri 42/44, Tel.+39 0677076486 +39 392 9583409 info@teatrolospazio.it

Maria Antonietta Amenduni


15 Ottobre 2008

Al TEATRO DEI SATIRI, “QUESTA SERA COSE TURCHE” Di Giorgio Centamore; regia di ENZO IACCHETTI



Debutta martedì 30 settembre al Teatro dei Satiri di via Grottapinta, la divertentissima commedia di Giorgio Centamore “QUESTA SERA COSE TURCHE” prima regia teatrale di ENZO IACCHETTI.Protagoniste tre donne: Alessandra Sarno, Pia Engleberth e Rossana Carretto.
I discorsi “tra femmine” sono sempre appartenuti alle leggende e alla fantasia del mondo maschile ma finalmente grazie all’abile penna dell’autore teatrale e televisivo Giorgio Centamore ed all’abilità umoristica di Enzo Iacchetti, per la prima volta alle prese con il palcoscenico come regista, li vedremo rappresentati in “QUESTA SERA COSE TURCHE” dalle migliori interpreti del teatro comico nazionale, Rossana Carretto, Pia Engleberth, Alessandra Sarno.
Com’è d’abitudine quando si trovano in un ambiente a loro esclusivo uso le donne sciolgono remore e freni inibitori esprimendo punti di vista, raccontando episodi e interpretando ruoli, personaggi ed esperienze a dir poco esilaranti. Questo è quanto avviene alle tre protagoniste della nostra commedia colte nell’avvolgente intimità di un bagno turco che si trasforma in silenzioso spettatore della nascita di un’amicizia profonda, di quelle che frugano nell’intimo della propria esistenza ma che tuttavia si esaurirà con la magia del momento contestualmente con l’abbandonano di quello stesso posto.
“Questa sera cose turche” rimarrà in scena sino a domenica 26 ottobre.

Maria Antonietta Amenduni


15 Ottobre 2008

“Perversioni sessuali a Chicago”, in scena al Teatro Argot.

Sara Maestri, una delle belle protagoniste di notte prima degli esami, sarà una delle protagoniste dello spettacolo.

E’ in arrivo al Teatro Argot Studio, un ciclone di divertimento: “Perversioni sessuali a Chicago” di David Mamet, per la regia di Massimiliano Farau. In scena: Sarah Maestri, Antonella Civale, Nicola Nicchi, Giuseppe Tantillo. Lo spettacolo sarà in scena dal 14 Ottobre al 26 Ottobre 2008, Ore 21 (Sabato anche 18.30 Domenica ore 19).
Siamo a Chicago, nel 1976, è estate. Danny Shapiro e Deborah Soloman trascorrono una notte insieme e tentano di trasformare questo incontro in una relazione. Ma non hanno fatto i conti con le loro paure e soprattutto con le velenose incursioni dei rispettivi amici Bernie Litko e Joan Webber.
Se Bernie non fa altro che bombardare Danny con racconti di portentose prestazioni sessuali, improntate al più delirante e corrivo “machismo”, e inoculargli dosi massicce di misoginia, Joan non è da meno nel profondersi con Deborah in risentite analisi del comportamento maschile.
Dan e Deb, dopo l’iniziale apertura – Mamet celebra lo stupore della reciproca intimità così come il dolore della separazione - finiscono per cedere a questo fuoco incrociato e per ripiombare nella sfiducia e nel disincanto.

Si tocca il fondo nella scena finale in cui i due uomini si ritrovano a celebrare il più becero sessismo mentre adocchiano e tentano di adescare ragazze sulla spiaggia.
“Sono passati trentaquattro anni da quando l’autore ha scritto questo testo – afferma il regista Massimiliano Farau - ma la situazione, da allora, non ha fatto che peggiorare: l’inasprirsi dell’individualismo, internet, i telefonini, hanno accelerato vertiginosamente i processi di spersonalizzazione nei rapporti e la difficoltà a costruire una autentica intimità. In Inghilterra la percentuale di singles ha superato, per la prima volta nella storia della nostra civiltà, quella delle persone sposate. E’ per questo che, pur a tanti anni di distanza, Perversioni sessuali a Chicago mantiene ancora la sua carica corrosiva e provocatoria: non solo per il linguaggio esplicito e la franchezza con cui ritrae lo stato delle cose nei rapporti uomo-donna, ma anche per il fondo di amarezza sotteso ad una scrittura che, a un primo livello, è esilarante nella sua caustica ferocia. Voltaire ha detto che le parole servono a nascondere le emozioni. Di questo parla la commedia, di come quello che diciamo condiziona quello che pensiamo” ha dichiarato Mamet al New York Times all’epoca del debutto della commedia. Sviluppando questa idea, Anne Deane, una delle più raffinate studiose di Mamet, ha scritto: “Perversioni sessuali a Chicago abbonda di dialoghi alimentati da una pulsante energia nevrotica. I frenetici duelli verbali di cui i personaggi si compiacciono sono il loro modo di nascondere il vuoto che esiste alla base delle loro esistenze: il trasporto con cui si lanciano reciprocamente battute e luoghi comuni nasconde solo in parte la loro disperazione. Fintanto che riescono a continuare a scherzare, criticare, e fantasticare, possono illudersi di essere felici”.

Maria Antonietta Amenduni


7 Ottobre 2008

Va dove ti porta il cuore in scena al Teatro Quirino.

Tre generazioni di donne – la nonna Olga, la figlia Ilaria e Marta, la nipote – si confrontano e si scontrano nel loro quotidiano rapporto, e provano a recuperare attraverso l’affetto profondo che le unisce un legame più autentico

Uno spettacolo delicato e potente, tutto al femminile, apre la stagione 2008|2009 del Teatro Quirino di Roma: Va dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro, bestseller degli anni ’90, con milioni di copie vendute in tutto il mondo, si muove dalla pagina alla scena, in una riduzione teatrale firmata dalla stessa autrice e da Roberta Mazzoni, con la collaborazione della regista Emanuela Giordano, e affidato alla sensibilità interpretativa di Marina Malfatti ed Agnese Nano, in scena con Carolina Levi. Tre generazioni di donne – la nonna Olga, la figlia Ilaria e Marta, la nipote – si confrontano e si scontrano nel loro quotidiano rapporto, e provano a recuperare attraverso l’affetto profondo che le unisce un legame più autentico e leggero, una serenità condivisa e libera. Il testo è un’analisi acuta e modernissima dei difficili meccanismi che governano le famiglie, persone diverse per carattere, età, abitudini che vivono accanto, ogni giorno, ma sembrano non conoscersi, spesso lontane, per abitudine, colpa o vergogna. Olga, la nonna del racconto, cresciuta sotto il peso dall’ambiguità della sua famiglia, ha educato sua figlia e poi sua nipote mostrandosi di grande limpidezza d’animo, ma nascondendo loro un terribile segreto che crea una sopita, continua inquietudine nei dialoghi fra i personaggi. Come nel romanzo, la storia procede in una girandola di bugie, paure, accuse, drammi e tenerezze, che porteranno le donne ad una nuova, sincera intimità solo quando Olga troverà la forza di rivelare alla nipote la verità nascosta sulla tragica fine di sua madre, liberandosi allo stesso tempo di un atroce segreto e del più pesante obbligo di salvare le apparenze. Roma, Teatro Quirino, dal 7 al 26 ottobre 2008. La nuova stagione del Teatro Quirino riserva grande spazio a testi contemporanei, d’origine letteraria e di fortuna cinematografica, offrendo l’opportunità di lanciare una nuova iniziativa realizzata dall’Ente Teatrale Italiano e dal Centro sperimentale di cinematografia. Si parte martedì 21 ottobre, alle ore 17 con il primo degli appuntamenti pensati tra parola, immagine e teatro: le interpreti e la regista dello spettacolo Và dove ti porta il cuore incontrano il pubblico alla Sala Trevi, per parlare del loro lavoro di trasposizione per la scena del romanzo di Susanna Tamaro, seguendo con il pubblico la proiezione dell’omonimo film, diretto da Cristina Comencini (1999), per un confronto tra i diversi linguaggi delle arti.
Maria Antonietta Amenduni


7 Ottobre 2008

Come uno scandalo al sole in scena al Teatro Manzoni

Vecchi amori mai finiti, nuovi amori adolescenziali in un purpurrì di emozioni, tra musiche degli anni ‘60.
Una vecchia casa di famiglia trasformata in albergo dai proprietari per sbarcare il lunario. Giorgio e Silvia vi abitano da sempre, li è nato il loro figlio, ma Giorgio ha dilapidato le ricchezze di famiglia e l’alcool lo sta distruggendo. Un matrimoni finito, rancori che si trascinano giorno dopo giorno in una finta quiete che un una serena giornata d’estate viene scossa irrimediabilmente. Un uomo d’affari di successo, insieme alla moglie Helen e alla figlia adolescente, torna dopo circa vent'anni in Versilia, dove trascorreva le vacanze da ragazzo, facendo il bagnino per pagarsi gli studi. Tea l’uomo e Silvia, si riaccende quella fiamma che in realtà non si era mai spenta e a complicare le cose si aggiunge il neonato amore tra il figlio di lei e la figlia di lui. Tra i due giovani sboccia l’amore, proprio come era avvenuto tempo prima tra la madre di lui e il padre di lei, che si scoprono ancora innamorati. Quando la situazione viene scoperta scoppia lo scandalo. I due ragazzi ne rimangono traumatizzati, ma il loro amore consente di superare il momento difficile. Tratto liberamente dal best-seller di Sloan Wilson, “Come uno scandalo al sole”, spettacolo in scena al Teatro Manzoni dal 30 settembre al 26 novembre, voleva basarsi su una forte carica emotiva e stigmatizzando l’ipocrisia e i pregiudizi del comune sentire. In scena Pietro Longhi, Isabella Russinova, Valentina Marziali, Danilo Celli, Berto Gavioli, Gabriella Silvestri. Regia di Silvio Giordani. Il rapporto tra i due giovani infatti non è platonico (da qui lo scandalo) e fa da detonatore ad una situazione complessa. Il fuoco che covava da anni sotto la cenere torna a ruggire impetuoso e Giorgio Morandi, piccolo albergatore e sua moglie Silvia (Pietro Longhi e Isabel Russinova) che in passato non avevano saputo scegliere l’amore, ora sotto la spinta emozionale e la voglia di vivere dei giovani amanti sono costretti a confrontarsi con i loro veri sentimenti. In realtà lo spettacolo risente di una regia troppo scarna. Nel secondo atto si evincono troppe scene non funzionali allo spettacolo, facendo si che il prodotto complessivo risulti frammentato e se ne perda in parte la poesia. Il copione inoltre pecca di un taglio eccessivo al ruolo dei due giovani ragazzi interpretati da Danilo Celli e Valentina Marziali, facendo perdere l’importanza e il valore di questi due personaggi, che erano nell’intenzione del loro creatore originale, lo scrittore Sloan Wilson. Questo è un vero peccato, data la bravura dei due giovani protagonisti, Valentina Marziali, affascinante ed energica, gioca abilmente con i vari registri emozionali del personaggio, regalando una bella interpretazione ricca di sfumature. Ad aiutare il prodotto complessivo arrivano in soccorso le accattivanti canzoni degli anni ’60 che fanno da cornice a questa storia d’amore in grado ancora oggi di commuovere ed entusiasmare il pubblico di tutte le età. Lo spettacolo ha debuttato in Prima Nazionale il 10 agosto 2008 al Festival di Borgio Verezzi. In scena al Teatro Manzoni (via Monte Zebio 14/c, tel. 06.3223634) dal 30 settembre al 26 ottobre. Orario spettacoli: dal martedì al venerdì ore 21, sabato ore 17-21 domenica ore 17.30. lunedì riposo. (il giorno 16 ottobre ore 17-21). Biglietti: intero 23 euro, ridotto 20 euro, prevendita 1 euro.

Maria Antonietta Amenduni


7 Ottobre 2008

Il carrozzone de “I parenti terribili”, in scena al Teatro dell’Orologio

Nel capolavoro di Cocteau, l'analisi di una famiglia dove primeggia l'amore-odio fra la madre, Yvonne, dilaniata da apprensione continua, gelosia e furore, e suo figlio, Michel
Molti critici considerano “I parenti terribili”, la più perfetta opera teatrale di Cocteau. Complicatissimo, morboso, drammatico intreccio di affetti e di relazioni incrociate tra i componenti di una bizzarra e sciamannata famiglia che viene definita dai suoi stessi membri “il carrozzone”. “I parenti terribili” è in scena al Teatro dell’ Orologio (sala grande) Dal 2 al 12 ottobre ’08, con Gloria Sapio, Valentina Martino Ghiglia, Felice Leveratto, Giuseppe Morteliti, Claudia Manini. Regia di Adriana Martino. Questo testo, definito alla prima rappresentazione nel 1938, "altamente scandaloso", è l'analisi di una famiglia dove primeggia l'amore-odio fra la madre, Yvonne, dilaniata da apprensione continua, gelosia e furore, e suo figlio, Michel, che è vittima di una profonda dicotomia: passione per la madre morbosamente possessiva e amore per una giovane amante che si rivelerà poi la mantenuta del padre stesso di Michel. Il dramma fra madre e figlio è accuratamente nascosto dalla complicità familiare, e, intorno alla protagonista, si muovono ossessivamente sorella, figlio, marito, fino ad arrivare ad un finale inaspettato che nasconderà di nuovo nel buio i "segreti" familiari. Sotto differenze borghesi si ritrova qui il dramma familiare dell’amore assoluto, folgorante e tragicamente impossibile. I parenti terribili, è il testo in cui Cocteau finge di essersi convertito alle regole del teatro borghese, dopo anni di funambolismi verbali e drammaturgici che hanno dato luogo a testi come Orfeo e La machine infernale. L’ordine anarchico della “madre-bambina” è quello di Antigone, l’ordine sociale della zia Leò e della ragazza Madeleine quello di Creonte. Tra i due ordini oscilla Michel, candido come il giovane Edipo, assassino involontario non di Laio bensì di Giocasta. I personaggi sono spinti all’estremo con una sorta di esasperazione e di crudeltà, un inferno familiare, soffuso ora di pietà ora di ironia che rende allucinato il vero, dilatandolo attraverso un intrigo di apparente vaudeville, a dimensioni quasi di trag?•??)?e?Media. Il testo, appare oggi estremamente attuale, in un momento storico in cui i valori della famiglia vengono spesso sovvertiti dalla società di oggi in continuo mutamento. In Italia è stato rappresentato per la prima volta nel 1945, protagonista Andreina Pagnani, regia di Luchino Visconti. Complicatissimo, morboso, drammatico intreccio di affetti e di relazioni incrociate tra i componenti di una bizzarra e sciamannata famiglia che viene definita dai suoi stessi membri “il carrozzone”. Un intreccio da vaudeville in cui si palesa un innesto di psicologia drammatica. Lo scrittore prende alcuni personaggi, desunti dai più classici archetipi tragici, e li inserisce in una vicenda i cui ritmi e le cui trovate ricordano il vaudeville. Tramite questo specchietto per le allodole, Cocteau spinge lo spettatore in un territorio che, attraverso una quotidianità dai colori comici, si apre ad una dimensione più puramente tragica.

Maria Antonietta Amenduni


22 Settembre 2008

Il dilemma esistenziale tra l’essere e l’apparire: “Molto rumore per nulla”

Il teatro India apre la stagione con il testo di Shakespeare, diretto da Gabriele Lavia.
Debutta il 23 settembre al Teatro India di Roma Molto rumore per nulla la celebre commedia shakespeariana che è l’esito di un laboratorio teatrale tenuto da Gabriele Lavia con una ventina di giovani attori. Affidare l’apertura della stagione ad un’esperienza laboratoriale è il primo segno dell’attenzione alle nuove generazioni e al teatro di domani che il programma di India si è dato come direttrice fondamentale della sua programmazione.
In questa commedia, come sostiene Gabriele Lavia, sono contenuti alcuni temi chiave del teatro shakespiriano, in primo luogo il dilemma esistenziale tra l’essere e l’apparire, il tema del doppio, dello specchio, della maschera. Dov’è la verità? In ciò che è, in ciò che si deve o in ciò che appare?

Nella solare città di Messina, il ricco Leonato accoglie nella sua magione il principe d’Aragona don Pedro di ritorno dalla guerra insieme ai suoi più stretti compagni. L’atmosfera gaia e leggera dell’estate mediterranea fa da sfondo agli amori tra il giovane Claudio e la dolce Ero e tra i litigiosi Beatrice e Benedetto. Nell’imminenza delle nozze di Claudio ed Ero, don Juan, geloso del favore che Claudio gode presso don Pedro, fa di tutto per screditare Ero e impedirle così di sposare il suo amato. Nulla però potrà impedire all’amore di trionfare sui cattivi sentimenti che saranno giustamente puniti. Questa, in breve, la trama di un’opera che condensa in sé tutto il meglio delle commedie shakespeariane: finte morti, sospetti, intrighi, schermaglie amorose, scambi di persona, congiure. Un molto – per fare una sintesi estrema di questa divertentissima opera – che attraverso lo specchio del rumore si riflette e diventa, o ritorna, nulla. Il nulla evocato nel titolo della pièce: “lo scandalo, il delirio, la rabbia, la rissa, la finzione, la guerra, l’amore... sono l’esito del nulla, certo arriveranno al nulla. La vita allora non è che un’ombra che cammina per davvero, un povero attore che si agita nella scena, per la sua ora, tutto sudore, furia, temperamento... La congiura, la guerra civile che ha visto soccombere il “bastardo” Juan e vincere il “legittimo” Don Pedro, lo scambio di persona tra Ero e Margherita, la finta morte di Ero, la finta figlia di Antonio, le maschere... le maschere... le maschere... tutto questo... tutto questo “rumore” finirà nel nulla come era nato dal nulla e allora... ha ragione Benedetto... Balliamo!”

Ci saranno tanta musica e tante canzoni, due pianoforti, un flauto e delle chitarre in scena. Sarà tutta musica dal vivo. I ragazzi canteranno e suoneranno molto. Sono motivi nati apposta per lo spettacolo, che di per sé già contiene tante canzoni. I costumi saranno a volte indossati, a volte solo appoggiati e a volte trascinati da attori in abiti di tutti i giorni, a seconda degli stati d’animo, a seconda della “maschera”, del ruolo, dell’apparenza. “Sarà uno spettacolo molto allegro, leggero, fresco e divertente” così come auspica il regista. In scena: Pietro Biondi, Lorenzo Lavia, Giorgia Salari, Francesco Bonomo, Salvatore Palombi, Andrea Nicolini, Gianni De Lellis, Luca Fagioli, Alessandro Riceci, Alfredo Angelici, Tamara Balducci, Faustino Vargas, Viviana Lombardo, Alessandro Cangiani, Daniele Sirotti, Silvia De Fanti, Andrea Trovato, Claudio Crisafio. In scena fino al 19 ottobre


Maria Antonietta Amenduni


22 Settembre 2008

Teatro Manzoni: un teatro che si nutre dell’affetto del pubblico.

Storie ironiche, brillanti e scoppiettanti costellano il cartellone della stagione teatrale 2008/09.
Quale miglior soddisfazione se non quella di essere premiati per l’affetto del proprio pubblico!? E’ quello che succede da anni al Teatro Manzoni, nel cuore del quartiere Prati a Roma, il teatro trae ogni anno la sua forza dall’amore che il suo pubblico ha per i suoi protagonisti. Il Manzoni da diversi anni propone e ospita, commedie divertenti. E’ stato premiato con il biglietto d’oro, assegnato dall’Agis, Eti, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, per il successo di pubblico conseguito nella stagione 2007/8.
Anche quest’anno, la programmazione per la stagione teatrale 2008/9 è caratterizzata dalla messa in scena di storie ironiche, brillanti e scoppiettanti, scelte per far emozionare e riflettere.

Ad aprire il cartellone il 19 settembre spetterà alla commedia musicale scritta e diretta da Cesare Vangeli Come Ginger e Fred, con Cesare Vangeli e Simona Patitucci.Sette donne, prendono lezioni di tip e tap, dove un’ora di danza a settimana rappresenta una fuga dalla quotidianità, e il loro insegnante diventa un “mito”. Si presenta la grande occasione: il gruppo viene invitato a ballare in una serata di beneficenza con personaggi famosi del mondo dello spettacolo! Fino al 28 settembre (spettacolo fuori abbonamento).
Dal 30 settembre al 26 ottobre saliranno sul palcoscenico Pietro Longhi, Isabel Russinova protagonisti di Come uno Scandalo al Sole di Roberta Skerl per la regia di Silvio Giordani. Due giovanissimi durante una vacanza al mare in Versilia si innamorano e scoprono che i loro rispettivi genitori si erano amati in passato….. Liberamente tratto dal Best-Seller di Sloan Wilson, questa commedia narra di una semplice ma straordinaria storia d’amore che coinvolge ed emoziona il pubblico di qualsiasi età. In scena anche una tra le più brave giovani attrici del nostro panorama teatrale: Valentina Marziali.

Fabrizio Frizzi, Edy Angelillo con la partecipazione di Carlo Alighiero sono gli interpreti di Ninà, di Andrè Roussin dal 28 ottobre al 23 novembre per la regia di Carlo Alighiero. Andrè scopre che sua moglie Ninà lo tradisce. Si presenta a casa dell’amante Gerard per eliminarlo,ma trova un uomo felice di scomparire dalla faccia della terra! E con l’arrivo di Ninà assisteremo ad una girandola di equivoci ed emozionanti colpi di scena.
Dal 25 novembre Pino Ammendola, Patrizia Pellegrino presentano La Capannina di Andrè Roussin per la regia di Ennio Coltorti. Dopo un naufragio, una coppia si ritrova su un’isola deserta in compagnia del classico amico di famiglia, che si rivelerà essere l’amante della moglie…Ma altre complicazioni verranno a galla in questo mare di situazioni paradossali comiche e inaspettate…(fino al 21 dicembre).

Dal 26 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009 Sydne Rome, Nicola Pistoia, Gabriella Silvestri saranno i protagonisti di Lo scopone scientifico di Rodolfo Sonego, adattamento teatrale di Gianni Clementi per la regia di Renato Giordano. Spaccato sull’Italia degli anni ’70, commedia comica e amara, è la storia di Peppino, straccivendolo e Antonia sua moglie, che attendono l’arrivo della vecchia miliardaria americana, per la consueta partita a scopone scientifico, sperando in una grossa vincita che possa cambiare la loro misera esistenza…
Dal 20 gennaio Gianfranco D’Angelo e Ivana Monti presentano Un giardino di aranci fatto in casa di Neil Simon adattamento di Mario Scaletta per la regia di Patrick Rossi Gastaldi. Michael Hut, famoso sceneggiatore di Hollywood è in crisi. Né la sua compagna Hilary, né il suo migliore amico, riescono a smuoverlo dalla pigrizia creativa nella quale si è rinchiuso. Ma all’improvviso arriva Jenny, sua figlia che non vede da 18 anni! Divertente, ironica e attuale, la commedia affronta il tema del complicato rapporto genitori- figli.(fino al 15 febbraio).

Dal 17 febbraio Carlo Alighiero, Laura Lattuada presentano Puccini e la Luna scritto e diretto da Carlo Alighiero e Giovanni De Feudis. Ripercorrendo alcuni momenti della vita del maestro, la pièce cerca di descrivere il suo carattere, le sue debolezze, il suo pensiero, le sue passioni. E’ uno spettacolo di lirica e prosa fusi insieme, dove ascolteremo alcune delle più belle arie, suonate e cantate dal vivo. (fino al 15 marzo).
Dal 17 marzo Pino Insegno e Claudio Insegno presentano Un marito per due scritto e diretto da Claudio Insegno. Phil nel momento in cui incontra sull’autobus l’amore della sua vita Julie, perde talmente la testa che decide addirittura di sposarla! Questa volta George , amico per la pelle non è disposto ad aiutarlo….soprattutto con la moglie! Commedia di equivoci, bugie e sotterfugi , una vera macchina per risate!!(in scena fino al 12 aprile).

Dal 14 aprile Gabriele Pignotta, Fabio Avaro presentano Scusa sono in riunione, ti posso richiamare? Scritta e diretta da Gabriele Pignotta. E’ la storia di cinque trentacinquenni, ex compagni di università, che hanno deciso di dedicare la loro vita alla carriera immergendosi in un’esistenza stressante e logorante. Il sopraggiungere di una telefonata misteriosa stravolgerà l’andamento generale del caos quotidiano!!!
A chiudere la stagione toccherà a Pietro Longhi e Michela Andreozzi con L’inquilina del piano di sopra di Pierre Chesnot per la regia di Silvio Giordani, dal 12 maggio al 7 giugno. Per Bernardo l’arrivo di Sofia non corrisponde alla semplice inquilina del piano di sopra ma ad un vero uragano sempre in piena che lo stravolgerà con la sua simpatia, bellezza …e un pizzico di sana follia!!!

Maria Antonietta Amenduni


14 Settembre 2008

Romaeuropa Festival: tanti stimoli e nuove forme d’arte.


Più di 300 artisti per 28 progetti. 54 serate di spettacoli, 7 luoghi differenti, e 57.000 posti per il pubblico. Questi i numeri della 23ª edizione del Festival Romaeuropa che, col neodirettore Fabrizio Grifasi, mantiene uno sguardo giovane e sempre stimolante. Sguardo che quest'anno, si prolunga anche sul web raccogliendo e sviluppando gli stimoli provenienti dalle nuove forme d'arte generate o veicolate attraverso la rete dagli utenti.
Ad inaugurare la lunga kermesse sarà Sasha Waltz. Considerata dalla critica come «la nuova Pina Bausch». In questa coreografia del 2004, "Impromptus", basata sull'esecuzione live di alcuni "Improvvisi" schubertiani, la Waltz recupera, rispetto al suo Tanztheater più rigoroso, un linguaggio più puro e articolato della danza. Sulla scena vedremo due piattaforme ovali con una lieve pendenza, che si intersecano, determinando un'instabilità dei ballerini impegnati in un gioco di duetti, opposti e complementari, basato sulla "contact improvisation" (in collaborazione con Auditorium Conciliazione). Un inedito connubio è quello tra il coreografo e danzatore Akram Khan e l'attrice Juliette Binoche in scena come ballerina. Un debutto nella danza che ha il sapore di una sfida. Con sé stessa anzitutto. Per verificare se si tratta di vero talento bisognerà attendere il 5 novembre quando la vedremo calcare il palcoscenico accanto al coreografo anglo-pakistano nello spettacolo"In-I", e con le scene dello scultore indiano Anish Kapoor. Al mondo musicale di Gershwin è dedicato lo spettacolo dal titolo omonimo della Compagnia Montalvo-Hervieu (corealizzato con Tersicore, Auditorium Conciliazione).

Torna, dopo il debutto nella scorsa edizione del Festival di una originale versione della "Sagra della primavera" che miscelava un sofisticato primitivismo con passi di salsa, Emanuel Gat. Una performance coreografica multidisciplinare che fonde madrigali, canzoni folk e gregoriano, con immagini e video della vita quotidiana di Manhattan e Harlem, segna il grande ritorno dello statunite???•1?nse Bill T Jones con la sua Arnie Zane Dance Company. Ma Romaeuropa è anche musica, teatro, arti visive. Eugenio Finardi e l'ensemble Sentieri selvaggi, offriranno un "Omaggio a Vladimir Vysotsky", l'artista russo divenuto leggendario per le sue canzoni di feroce critica al regime stalinista. Altre atmosfere dell'est con la voce di Iva Bittovà, insieme a Bang on a Can-All Stars, formazione statunitense, protagonisti anche di un secondo concerto incentrato su Brian Eno.
Antonio Pappano, alla testa di un cast di attori e di cantanti e dell'orchestra e del coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dirigerà l'opera contemporanea "Jeanne d'Arc au bûcher" (Giovanna d'Arco al rogo) di Arthur Honegger. La memoria, o meglio la perdita di essa e il tentativo di ricostruirla, muove "Lev", del gruppo teatrale Muta Imago, e "Il riconoscimento di Sakuntala" di Natana Kairali dramma evocativo dell'oblio d'amore dove i simboli intrecciano i diversi piani del racconto, come è nella tradizione del kuttiyatam, arte scenica millenaria del Kerala. 12 saranno le ore che terranno impegnato lo spettatore che assisterà alla versione integrale dell'opera indiana, e 24 sono quelle di "One day" dell'Accademia degli Artefatti, parodia spettacolare sull'evento, una messa in scena circolare senza un inizio e senza una fine. Il collettivo Santasangre, presenterà "Seigradi", performance a cavallo tra danza e arti visive sul ciclo dell'acqua e la difficoltà di vita in caso di sua assenza o eccesso. E l'acqua dà il titolo agli "Studi per l'intonazione del mare" di Salvatore Sciarrino. Chiuderà il musicista siciliano Giovanni Sollima che, affiancato dalla violoncellista croata Monika Leskovar e dall'ensemble tedesco Solistenensemble Kaleidoscope, presenterà "We were trees".

Maria Antonietta Amenduni


14 Settembre 2008

Teatro India, uno spazio aperto al confronto: Short Theatr3

Il teatro, nel cuore del quartiere San Giovanni, festeggia il suo primo anno di vita e presenta la stagione teatrale 2008/2009. Anche quest’anno, oltre il teatro, c’è il “dopoteatro”
Dopo il primo anno di programmazione, si riapre il sipario al Teatro Lo Spazio, una realtà culturale nata solo un anno fa e che sta guadagnando fama nel panorama teatrale romano. A San Giovanni, nei pressi del mercato di via Sannio, questo nuovo spazio, diretto da Alberto Bassetti e Francesco Verdinelli, ha l’obiettivo di rivitalizzare una zona di Roma ricca di storia e tradizioni, dove si intende avviare una serie di eventi nelle varie discipline: prosa e musica, danza e video arte, pittura e performance.
La scelta architettonica di lasciare il più possibile ‘a vista’ la struttura essenziale e scarna aderisce all’idea di offrire maggiore apertura ed è anche il motivo che ha spinto Alberto Bassetti e Francesco Verdinelli che curano la direzione artistica del teatro, a dare a questo luogo il nome di Teatro LoSpazio.it.
La grande novità è l’idea di tenere aperto il teatro LoSpazio.it per la seconda serata, il cosiddetto “dopoteatro” più informale, al limite del work in progress dove si potrà ascoltare musica, un attore potrà testare un nuovo monologo, un cantante improvvisare, un poeta lanciare il suo ginsberghiano URLO!
Proprio per questo si è lasciato un piccolo angolo della sala principale per una zona bar, dove sarà possibile sedere e confrontarsi su quanto appena visto e su mille altri temi.
La struttura che ospita il teatro, uno spazio di circa 200 mq al piano strada di via Locri, era un vecchio magazzino del 1870 abbandonato da molti decenni.

Il Teatro presenta ora la sua nuova stagione teatrale.
“Puntavamo ad una programmazione molto rigorosa e mirata, e con questa stagione pensiamo di aver centrato l’obiettivo – afferma uno dei Direttori Artistici, Alberto Bassetti – Abbiamo messo insieme molti degli autori più interessanti che da anni lavorano in Italia. Il nostro progetto si propone di far sapere agli autori italiani contemporanei, che esiste uno spazio, dove si può essere rappresentati non per uno scopo effimero, ma per creare quel repertorio italiano fatto di titoli di valore che possono durare nel tempo”.

Il sipario si alzerà il 16 settembre con “UNA RAGAZZA D’ORO” di Tatiana Olear, con Dijana Pavlovic, Nicola Ciammarughi, Ambra D’Amico e Tatiana Olear. Regia di Tatiana Olear. È la storia di una bambina, poi ragazza, poi donna zingara, che è un’ estranea per antonomasia, persino nel suo paese d’origine. Dal 1 al 19 Ottobre è di scena “LE DUE SORELLE” di Alberto Bassetti, con Anna Ferzetti e Chiara Tomarelli, musiche di Francesco Verdinelli, regia di Alberto Bassetti e Francesco Verdinelli. Due giovani donne, due sorelle, nell’attesa di un improbabile autobus, meditano sul loro futuro di attrici che hanno appena visto fallire la propria piccola compagnia teatrale. Dal 21 Ottobre al 9 Novembre toccherà a “BRAVI RAGAZZI” di Angelo Longoni con: Lorenzo De Angelis, Riccardo Francia, Valerio Marigi, Edoardo Persia. Regia di Angelo Longoni. Quattro ragazzi per strada. Rabbia, solitudine e nessun sogno. L’ingiustizia del loro quartiere. L’ingiustizia del loro linguaggio. Ed ancora dall’11 Novembre al 16 Novembre, “CASA DI BAMBOLE (OVVERO BAMBOLE DI CASA)” di Alessandro Trigona e Antonella Dell’Ariccia, con Antonella Dell’ Ariccia, Arianna Gaudio. Regia di Andrea Baracco. E’ una pungente critica sui tradizionali ruoli dell'uomo e della donna nell'ambito del matrimonio in epoca vittoriana. Dal 18 Novembre al 30 Novembre “LA FERITA” di Sergio Pierattini con Giulia Weber, regia di Dominique Tambasco. E' la storia delle vittime della strage di via dei Georgofili attuata dalla mafia il 27 maggio del 1993.

Dal 2 al 21 Dicembre è la volta dello spettacolo “L’ULTIMO ANGELO”, di Pierpaolo Palladino, con Pierpaolo Palladino e Cristina Aubry, regia di Manfredi Rutelli. E’ la storia di un marito e una moglie presi dalla ricerca spasmodica di un’avventura e dal desiderio di una via di fuga dal proprio mondo che sconfina nella voglia irrazionale di cambiare pelle…
L’anno si concluderà, dal 23 Dicembre al 30 Dicembre con “REINCARNAZIONI” di Adriano Vinello, con Marco Di Stefano, regia di Tanya Khabarova.
Aprirà il 2009 e sarà in scena fino al 15 Marzo “QUARTETTO PER VIOLA” di Claudio Carafòli, con Anna Cianca, Riccardo Bergo, Tiziano Floreali, Raffaele La Pegna e Ignazio Raso; musiche originali di Jean Hugues Roland. Regia di Claudio Carafòli. In scena quattro giovani allievi alle prese con la loro bizzarra insegnante di recitazione.

Dal 17 Marzo al 22 Marzo, “COME LA POLVERE E IL FUOCO” (dopo Romeo e Giulietta), di Giuseppe Manfridi, Maria Francesca Destefanis, Silvia Guidi, con: Giuseppe Russo, Luca Di Cecilia, Carlo Vatteroni, Serena Borelli e Marianna Di Mauro; regia: Maria Francesca Destefanis. Quattro incontri che si svolgono nell' “aldilà” della storia d'amore più famosa al mondo. Dal 7 al 19 Aprile è di scena “ARRIVEDERCI ANTIGONE”, di Jessica Bonanni; regia di Marco Maltauro. Dal 21 Aprile al 3 Maggio, “UN MOSTRO DI NOME LYLA” di Enrico Bernard, con Giorgio Gobbi e Cinzia Monreale, regia di Francesco Branchetti. Il testo, scritto nel 1990, ha anticipato il caso della presunta madre assassina di Cogne. Dal 5 Maggio al 17 Maggio “ANDATA/RITORNO/ANDATA”, scrittura di Marco Onagro, con Isabella Caserta e Marco Onagro; regia di Walter Manfrè. Un lungo viaggio fatto da Olga da uno sconosciuto villaggio della Moldavia per arrivare nel nuovo Eldorado dell’Italia.
Dal 19 Maggio al 24 Maggio, “Caro Millenovecento” -Ricordi e accordi del secolo breve- di Fabio Renato d’Ettorre e Patrizia La Fonte, con Patrizia La Fonte e Fabio Renato d’Ettorre, Marco Cianchi, Fernando Lepri. Un concerto narrativo che ripercorre in un’ emozionata “soggettiva” la storia del Millenovecento.
Ci sarà spazio anche per Michela Andreozzi che presenterà lo spettacolo da lei scritto, dal titolo “LA FESTA”, con Massimo Poggio, Fabrizia Sacchi, Yuljia Mayarchuck, Edoardo Leo, Marco Bonini, Lidia Vitale, Alberto Basaluzzo; regia di Georgia Lepore. Un gruppo di amici legati da sempre si incontrano ad un compleanno. Sono realizzati professionisti, vincenti, ma infelici…

Dopoteatro
Per gli associati: dal martedì al sabato: teatro, live concerts, soft music, drinks, mostre d'arte, Proiezioni, eventi, performing arts, sorprese.
Tre nuovissime sale sviluppate su tre livelli. Spazi polifunzionali per teatro, eventi, rappresentazioni, prove teatrali e danza, location, cinema e tv, teatro di posa, casting, convegni, musica, mostre d'arte, sfilate, set fotografici. Tutte le strutture all'interno sono movibili, gli spazi possono essere reinventati per qualunque uso. Per info su tutte le attività teatrali, musicali, sala prove, teatro di posa, convegni, feste ed eventi: Info sulla programmazione del dopoteatro: 06 77076486 info@teatrolospazio.it

Stagione Teatrale 2008/2009
Spettacoli ore 21.00 - Domenica ore 18,00. Ingresso 12 Euro, ridotto 7 Euro, tessera associativa 3 Euro
Dopoteatro dalle 22:30
Roma, Via Locri 42/44, Tel.+39 0677076486 +39 392 9583409
info@teatrolospazio.it
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Maria Antonietta Amenduni


14 Settembre 2008

Teatro India, uno spazio aperto al confronto: Short Theatr3

Letteratura, storia, arte e teatro. Magici incontri in luoghi straordinari: il Museo Andersen, il Chiostro di San Giovanni Battista dei Genovesi e il Museo Carlo Bilotti all’Aranciera di Villa Borghese, accoglieranno racconti itineranti…
Arte e spettacolo dove meno te lo aspetti. Una formula ormai consolidata, luoghi unici e spesso poco conosciuti entreranno in rapporto con personaggi storici e letterari protagonisti del passato attraverso la voce e il corpo di grandi attori. E’ “Esplor/Azioni Tra Arte e Teatro”, il festival teatrale diretto da Gioia Costa, organizzato dall’Associazione Culturale Esplor/Azioni in collaborazione con Zétema Progetto Cultura, giunto alla sua nona edizione.
Dal 14 settembre al 4 ottobre tre ambientazioni scelte per la loro bellezza e particolarità, il Museo Andersen, il Chiostro di San Giovanni Battista dei Genovesi e il Museo Carlo Bilotti all’Aranciera di Villa Borghese, accoglieranno racconti itineranti che fondono letteratura, teatro, musica e arte con il piacere della scoperta di luoghi suggestivi.

La serata di apertura, il 14 settembre al Museo Andersen (ore 20.00 e 21.00) giovani attrici e attori italiani e francesi, provenienti dall’Accademia d’Arte Drammatica e da altre scuole di recitazione, rappresenteranno Echi, facendo apparire Paolina Borghese, Margherita Sarfatti, Mastro Luisa Casati Stampa e Benvenuto Cellini in una scelta degli episodi più belli delle scorse edizioni del festival.
Un inedito ritratto di Monsignor della Casa, L’altro, sarà quello che Paolo Graziosi, diretto da Alfonso Santagata, racconterà il 25, 26 e 27 settembre (ore 21.00) nel Chiostro della Confraternita di San Giovanni Battista dei Genovesi. Così come inedito è l’incontro tra Graziosi, grande attore di teatro e cinema (ricordiamo il suo recente Aldo Moro ne Il divo di Sorrentino) e Alfonso Santagata, grande attore anch’egli e regista, fra l’altro fondatore di una delle compagnie più interessanti del teatro di ricerca italiano. Il chierico libertino, che fece carriera con i papi rinascimentali e diventò arcivescovo di Benevento e poi Nunzio Apostolico a Venezia, è ricordato nel suggestivo chiostro della confraternita di San Giovanni Battista dei Genovesi, che era appena stato costruito negli anni del suo soggiorno a Roma, nel primo '500. Sarà qui che Giovanni della Casa, fingendo di essere il precettore di un giovane di nobile famiglia, elaborerà un codice di comportamento, di etica e di estetica indispensabile per chi voglia vivere in mezzo agli altri e non “per le solitudini”.

Il monologo nasce in collaborazione con Benevento Città Spettacolo dove sarà presentato in anteprima assoluta il 21 settembre.
Appuntamento di grande fascino anche quello del 2, 3 e 4 ottobre (ore 21.00) con Clara Galante che farà rivivere in A B C, l’elegante figura di Irene Brin, una delle donne italiane più cosmopolite del secondo dopoguerra, nella splendida cornice del Museo Carlo Bilotti all’Aranciera di Villa Borghese.
Poliglotta, amante dell’arte, viaggiatrice, giornalista brillante e colta, Irene Brin era una donna dotata di grandissimo stile e cultura. I suoi consigli sul saper vivere e sulla buona educazione dalle colonne di Omnibus e della Settimana Incom erano un appuntamento imperdibile per gli intellettuali dell’epoca. L'Obelisco, galleria di via Sistina che Irene Brin aveva aperto con il marito Gaspero del Corso, era diventato un punto di riferimento per l'arte di avanguardia dell’epoca ma, quando organizzarono una mostra di disegni di Grosz, la polizia pensò di farla chiudere con l’accusa di "oscenità", che valse a Irene Brin e a Gaspero del Corso una condanna a due mesi di prigione, poi cancellati in appello.
L’omaggio a Irene Brin si svolgerà proprio a poca distanza da quella che fu la sua galleria, fra le opere di arte moderna che tanto amava.
060608 (attivo tutti i giorni dalle 9.00 alle 22.30) www.e-azioni.net www.museocarlobilotti.it www.culturaroma.it

Maria Antonietta Amenduni


7 Settembre 2008

Teatro India, uno spazio aperto al confronto: Short Theatr3

L’Accademia degli Artefatti, presentano una rassegna ai confini della realtà.7 giorni non stop di teatro, danza, performance, incontri, concerti, letture
Uno spazio aperto al confronto. Sette giorni intensi tra teatro, danza, incontri, laboratori, letture, performance, conversazioni, presentazioni di libri, video; ristorazione-chill out e musica lunge. Tutto questo è Short Theatre al Teatro India dal 7 al 13 settembre. Tanti appuntamenti e la possibilità di incontrare artisti, giovani gruppi, drammaturghi, critici attenti al panorama teatrale contemporaneo.
Short Theatre, alla sua terza edizione, si conferma un importante appuntamento dedicato alla drammaturgia contemporanea, italiana e internazionale.
Punto cardine è l’incontro e il confronto tra artisti di diversa provenienza (generazionale e culturale). La partecipazione al dibattito di studiosi, drammaturghi, critici e artisti offre l’occasione di monitorare e “fare il punto” sulla questione del rapporto tra realtà e rappresentazione (e tra arte, vita e politica), e di individuare alcune chiavi di lettura del contemporaneo.
Ci si muove ai confini della realtà, perché quando lo spazio diventa un luogo di confine, dove lo scambio e la relazione tra le zone adiacenti diventano la sostanza per alimentare una nebulosa in continuo divenire, quando la determinazione di uno spazio scivola attraverso la relazione con il contesto in cui si trova, quando l’arte cerca uno spazio dove rispondere alle provocazioni della realtà, vivere quello spazio diventa una necessità.

Diverse le sezioni tematiche che si intrecceranno nel ricco programma.
La manifestazione aprirà domenica 7 (in replica lunedì 8) con la drammaturgia straniera di uno degli autori canadesi più noti, Michel Tremblay, Le cognate, nello spettacolo di Andrea Adriatico di Teatri di Vita. Il focus sulla drammaturgia contemporanea canadese, nato con la collaborazione dell’Agenzia Culturale del Québec in Italia, proseguirà sabato 13 con Il sentiero dei passi pericolosi, di Jean Marc Bouchard, nello spettacolo del Nuovo Teatro Nuovo, preceduto alle ore 18 da un incontro a cui parteciperanno l’autore stesso e il regista Tommaso Tuzzoli.
Autore attento alle contraddizioni della società contemporanea, lo svedese Lars Noren firma il testo Tra un’ora e 12 minuti da cui Manifatture Knos/Induma Teatro trae ispirazione nello spettacolo con la regia di Werner Waas (domenica 7). L’abitacolo di una macchina, lo spazio ridotto in rapporto all’esterno, l’oscillazione tra il dentro e il fuori, sono alla base dello spettacolo performativo Cumulonenbi alla mia porta della compagnia Cosmesi (domenica 7 e martedì 9). Nasce sempre da una riflessione sullo spazio, Head VI di Masque Teatro (domenica 7 e lunedì 8) liberamente ispirato a Francis Bacon - Logica della sensazione di Gilles Deleuze. Voce provocatoria della drammaturgia contemporanea e Premio Nobel per la letteratura nel 2004, l’austriaca Elfriede Jelinek firma il progetto Drammi di principesse, di cui FattoreK presenta due atti unici estratti da La morte e la principessa I e III, rispettivamente: i dialoghi Biancaneve e il cacciatore (lunedì 8) e Rosamunda e Fulvio (martedì 9). Daria Deflorian e Antonio Tagliarini sono autori di un omaggio a Cafè Müller lo storico spettacolo Pina Bausch, in Rewind, mentre a seguire gli scanzonati e irriverenti Tony Clifton Circus presentano il nuovo lavoro La morte di Babbo Natale (martedì 9).

Secondo capitolo dell’Eptalogia di Hieronymus Bosh, La stravaganza dell’autore argentino Rafael Spregelburd, nello spettacolo di PsicopompoTeatro è una riflessione sulla deviazione da un ordine prestabilito, mentre il movimento portato all’esasperazione, all’iperattività nutre La cosa, creazione collettiva di Teatro Sotterraneo (entrambi mercoledì 10).
Nasce da un lavoro di ricerca su Sarah Kane, sulla parola lacerante e evocativa Purificati, il progetto di un gruppo di giovani attori emergenti, guidati da Antonio Latella (giovedì 11). Nella stessa serata, ispirati da uno dei romanzi più noti della letteratura per ragazzi, Le Tigri di Mompracem di Emilio Salgari, I Sacchi di Sabbia percorreranno i vasti mari della Malesia in Sandokan o la fine dell’avventura.
L’autrice cilena Manuela Infante presenta uno studio del nuovo lavoro Fine (venerdì 12), seguito da un ironico e dissacrante quadro del nostro tempo in Made in Italy, groviglio di immagini, parole e musica di Babilonia Teatri, Premio Scenario 2007 (in replica anche sabato 13).
La sezione performance si apre domenica 7 con l’installazione in loop ogni 15 minuti Wunderkammer soap di Ricci&Forte in replica anche lunedì 8. L’alterazione della percezione visiva è alla base di Snapshot/Something burning – Rome 08-09 di Rosa Casado e Mike Brookes, estratto dal progetto anglo-spagnolo Miniatures historica, a Short Theatre grazie alla collaborazione con l’Instituto Cervantes (lunedì 8). E’ dedicato all’universo femminile, alla difesa di un’immagine anche nelle avversità, La primadonna- chi semina vento raccoglie tempesta di Cosmesi (martedì 9), così come sono donne le due protagoniste di ALP, Anna Livia Plurabella, tratto da Finnegans Wake di James Joyce nella performance di Enrico Frattaroli e Anna Paola Vellaccio (giovedì 11). Partitura fisica, esasperata e disperata, tanto da sfociare nella nevrosi, Crac dei Motus (venerdì 12 e sabato 13), fa parte del più ampio progetto X(ics) racconti crudeli della giovinezza.

Prendendo spunto dai personaggi dei cartoni animati, il Teatro delle Moire ne stravolge il senso presentando in Violently Snow White (venerdì 12), tre Biancaneve, tre figure diverse che potrebbero moltiplicarsi, così da incarnare le infinte possibilità dell’essere.
Comfort di MK (mercoledì 10), nella sezione danza, è un’indagine sul senso di appartenenza che il corpo cerca fuori di sé, sull’identità costruita attraverso il movimento, mentre investiga le dinamiche famigliari, il rapporto tra fratelli uniti pur nelle differenze Animale omega di Immobile Paziente (venerdì 12 e sabato 13). Partono invece dalla canzone tradizionale romana, per rivisitarla in chiave moderna , gli Ardecore in concerto domenica 7.
Precedono gli spettacoli le conversazioni, martedì 9, Quali spazi per la drammaturgia contemporanea – Ipotesi di produzioni e residenze a partire dalla scrittura teatrale coordinate da Graziano Graziani e Attilio Scarpellini, con ospiti: Azzurra D’Agostino (protagonista di una lettura scenica a seguire), Renato Gabrielli, Giulio Marzaioli, Daniele Timpano, Ricci&Forte e l’incontro a cura dell’Agenzia Culturale del Québec in Italia (sabato 13).

Inoltre è prevista anche la presentazione del libro Anatomie di un corpo scenico, a cura del Teatro delle Moire, Mondadori Electa (giovedì 11).
Per tutta la durata di Short Theatre, Podoff, media partner, allestirà un’area di approfondimento aperta al pubblico, in cui vedere e ascoltare le interviste alle compagnie e lasciare le proprie impressioni sui diversi spettacoli.
Riallacciando il dialogo aperto le scorse edizioni con le tre Università degli Studi di Roma e attivando una collaborazione con il Premio di Critica Lettera 22, SHORT THEATRE crea un nucleo editoriale a cura di Attilio Scarpellini, in seguito al quale le recensioni scritte dai partecipanti verranno pubblicate dal quotidiano 24” e sul blog di Podoff.
Le diverse sezioni aperte, Podoff, 24” e il punto di vendita libri curato da Minimum fax saranno così uno spazio in cui poter ampliare la riflessione sulle intersezioni fra generi teatrali e le modalità di fruizione.
Come nella passata edizione sarà presente la zona chill-out nell’area bar con musica e video.
Info: www.shorttheatre.com


Maria Antonietta Amenduni


30 Agosto 2008

"Bella Ciao – IL balsamo della memoria"

Al via il festival itinerante di Ascanio celestini, che offre numerosi appuntamenti dal Quadraro ai Castelli Romani. Ma quasta potrebbe essere l’ultima edizione.

Parte L'8 settembre la quarta edizione del festival "Bella Ciao – IL balsamo della memoria" di Ascanio Celestini. ed è il primo festival diretto da quel genio, garbato ed ironico, che è Ascanio Celestini. Basterebbe solo la direzione artistica per fare di questa manifestazione un appuntamento da non perdere, ma vale la pena soffermarsi su quelle che sono le due caratteristiche fondanti di Bella ciao. Intanto in «decentramento», l'altra fondante caratteristica di Bella Ciao è, ovviamente, il rapporto con la Memoria. Un festival che partendo dal quartiere romano Quadraro arriva fino ai Castelli Romani passando per le zone intermedie, in cui Celestini affonda proprio nel confronto e nell'elaborazione scenica della memoria, privata e collettiva, tutta la forza e l’energia del suo festival. Eppure questa interessante proposta del panorama romano sta rischiando di scomparire. Ecco come l’autore di “Scemo di guerra”, racconta il suo festival: “Quando mi hanno raccontato che in questa periferia di Roma dove sono nati mio padre e mia madre, dove sono nato io, dove è nato mio figlio e dove abito da trentasei anni avremmo avuto un teatro ho detto “troviamo gli spettatori prima di aprire un posto dove mandarli a vedere gli spettacoli”. E si, perché già qualcuno più illustre di noi aveva fatto l’Italia senza fare gli italiani e se n’era accorto un po’ tardi. Almeno qui, in questa periferia si poteva provare a fare gli spettatori prima di fare il teatro. Questo è successo cinque anni fa. E così abbiamo messo su un gruppo di lavoro abbiamo costruito una piccola cosa, un festival…E il festival ha funzionato e ce ne sono passati più di sessanta tra singoli e compagnie con centinaia di artisti e altrettanti volontari e tecnici…Insomma ci sembrava che gli spettatori c’erano, mo’ bisognava fare il teatro! Perché è vero che stiamo in borgata, ma non dobbiamo per forza essere burini e accontentarci di passeggiare nell’aria artificiale dei centri commerciali o farci la partitella nel parco più inquinato d’Europa. Invece i voli sull’aeroporto di Ciampino aumentano insieme all’inquinamento. Aumenta il cemento per i nuovi quartieri, palazzi buttati a caso nella campagna come gli stecchi dello shangai, cimiteri dei vivi, loculi dove portare la famiglia. Aumentano le opportunità per i gentili clienti di ipermercati dove nella luminescenza del neon puoi comprare di tutto dalle mutande commestibili ai gelati di pistacchio con croccantini di mescalina. Ma il teatro continua a mancare e il festival sta morendo. Lo sappiamo che i problemi da affrontare sono tanti e spesso più importanti di quelli che riguardano la cultura teatrale. C’è la guerra, l’immigrazione e le malattie, la prostituzione, la violenza giovanile e la criminalità organizzata, il problema della casa, il terrorismo e l’ambiente…Però abbiamo anche cercato di non accontentarci dei contenuti. Abbiamo scelto gli artisti perché erano bravi, perché molti di loro fanno un lavoro importante, spesso premiato all’estero e nei piccoli festival, ma ignorato dagli spazi istituzionali. Abbiamo provato a costruire un progetto, Maratoneti, che mettesse in luce il lavoro di cinque artisti per un anno intero, non solo durante la loro breve apparizione al festival. Speravamo che il progetto venisse apprezzato, appoggiato e persino stimolato. Abbiamo cercato di proporre laboratori e incontri, ma qualsiasi progetto si è interrotto per mancanza di spazi, di soldi e di sensibilità. Anche i nostri Maratoneti sono arrivati al traguardo. Ai cinque dell’anno scorso se ne dovevano aggiungere altri cinque di quest’anno, ma non abbiamo la possibilità manco di offrirgli un bicchiere d’acqua. Non possiamo farli correre scalzi e nudi. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior cantava De André. In quattro anni Bella Ciao un po’ di fiori li ha raccolti. Perché coi fiori si può fare arte e poesia come fecero Van Gogh e Baudelaire. E perciò si può fare anche il teatro e la musica, ma un festival ha bisogno di tempo, spazio e lavoro. Ha bisogno di un palco su cui far montare gli attori coi loro fiori, di luci per illuminarli, di microfoni per farli ascoltare. Ha bisogno di un teatro per rappresentare il teatro. Il letame non basta. Così tutti gli anni alla fine del festival ci siamo detti “chi ce l’ha fatto fare a imbarcarci in questa faticaccia?” Poi tutti gli anni ci siamo rimessi a lavorare. Non c’è due senza tre e noi siamo arrivati a quattro. Mi sa che il conto si ferma qui”. Per tutti gli appuntamenti del festival, spettacoli e luoghi www.bella-ciao.it – info 3891671705
Maria Antonietta Amenduni


30 Agosto 2008

Festival del teatro popolare di ricerca: L’ ultima luna d’estate

festival del teatro popolare di ricerca nelle colline della Brianza lecchese

Le spiagge si svuotano, l’estate volge al termine e con lei arriva anche la sua ultima luna. Al via L'edizione 2008 di “L’ultima luna d’estate”, dal 29 agosto- 7 settembre 2008. Il festival del teatro popolare di ricerca, quest’anno alla sua XI edizione, affronta il tema delle identità culturali.
A partire da questo tema sono quindi da segnalare gli spettacoli "Rabinovich e Popov" di Moni Ovadia, accompagnato al pianoforte da Carlo Boccadoro, ambientato nel periodo dell'Unione Sovietica, "Synagosyty" dell'attore iraniano Aram Kian, per la regia di Gabriele Vacis, considerazioni di un mediorientale che vive in Italia, e "Eurotour" dell'Alexian Group, il più autorevole esponente della musica e della cultura rom in Italia. Un tempo sono stati considerati zingari anche gli italiani che si spostavano come migranti nell'Europa settentrionale, come ci racconta Mario Perrotta nel suo "Italiani Cìncali". E certamente zingari erano gli attori girovaghi delle famiglie teatrali della prima metà del secolo scorso, raccontate da Titino Carrara, con la regia di Laura Curino, nell'epico e picaresco "Strada Carrara". Ed è di ambientazione gitana "La casa di Bernarda Alba", l'ultimo e più alto esito drammaturgico di Federico Garcia Lorca, messo in scena dalla Piccola Compagnia della Magnolia.

Sul tema della migrazione anche uno dei più illustri portavoce della musica popolare italiana Gianmaria Testa accompagnato dal clarinettista Gabriele Mirabassi in "Da questa parte del mare", un vero e proprio percorso, con la complicità di Erri De Luca,. E' forte la presenza di testi d'autore: dall' "Idiota" di Fiodor Dostoevsky, ridotto a monologo nella versione di La Danza immobile, al testo di Luis Sepulveda "Il mondo alla fine del mondo" interpretato da Giorgio Scaramuzzino del Teatro dell'Archivolto per la regia di Giorgio Gallione.
Dal romanzo di Silvana Grasso viene tratto "Manca solo la domenica" il monologo di Licia Maglietta, accompagnata dal banyan di Vladimir Denissenkov. O ancora una volta scrittori della cultura ebraica, come Kafka e Buber, citati nello spettacolo di Ronzinante "E fu sera e fu mattina", o le voci della letteratura Americana che fanno da sfondo alle vicende dell'11 settembre 2001 evocate da "Like a rolling stone" di Fabrica Bonaventura. Queste ultime sono anche le novità del Festival, così come lo studio su "La quinta stagione" del Teatro Città Murata/Teatrini di Napoli, per la regia di Roberto Abbiati, delicatissima opera sul tema della morte. Su un cote' più comico è Andrea Cosentino, uno degli attori più prepotentemente emergenti della nuova generazione, col suo surreale "Antò le momò", così come la divertente clownerie "Pasticceri", di Abbiati e Capuano, che ci introduce al tema del cibo.

Cibo e vino illustrati nel consueto mercatino dei produttori locali curato da Slow Food. Il vino di Montevecchia sarà protagonista degli aperitivi teatrali: "Di Bacco licor di vino", recital enopoetico di Teatro Invito e Atelier delle Arti e del Gusto, e "Veglia d'amore e di vino" del Teatro delle Forme. Parla di cibo anche "Un' odissea: spuntini" di Millima Teatro, racconto per bambini. Lo spazio dedicato alle famiglie è completato dal tradizionale Fagiolino del Teatro del Drago (un altro linguaggio popolare che non può mancare al festival è quello dei burattini) e alcune fiabe popolari nello spettacolo "Stracci" di Albero Blu. "Teste di stagione" de Il Cerchio Tondo, è invece un divertente laboratorio per la costruzione di pupazzi e burattini con la frutta e la verdura, che si terrà contemporaneamente al consueto mercatino dei produttori. Il rapporto con la natura è infatti un altro tema fondamentale: in questa edizione si riproporrà la fortunata formula delle "camminate teatrali" con il Teatro Telaio sul sentiero che da Galbusera Bianca conduce alla Ca' Soldato. E infine il teatro di strada con gli spericolati Eventi verticali che nello spettacolo si arrampicano su una ciminiera.


Maria Antonietta Amenduni


30 Agosto 2008

“Ballare di lavoro”, storia di migrazioni di Renata Ciaravino



Ha vinto il premio Calandra 2006 e a scosso le anime di chi lo ha visto. E’ “Ballare di lavoro - storia di migrazioni di Renata Ciaravino”, regia di Veronica Cruciani, con Veronica Cruciani e Alessia Berardi, musiche originali dal vivo di Cristina Vetrone.
Una giovane donna evoca attraverso i suoi ricordi la propria relazione con sua madre. Una storia che si dipana lentamente su differenti piani temporali. La figlia, nel presente, si appresta a preparare le cose che saranno utili durante il viaggio che la attende. La madre, indietro e lontano nel tempo, attraverso il suo vissuto, restituisce la storia di un popolo, di un paese nel periodo delle grandi migrazioni.
Parole ed immagini che restituiscono distanze geografiche. Un rapporto epistolare in cui si racconta del lavoro in un paese straniero, la volontà di far studiare i figli per un futuro migliore, diverso. Una tragedia narrata con leggerezza, come nella tradizione del racconto orale, in cui la leggenda si mescola a storie di vita vera, la fiaba diventa metafora e monito per le generazioni a venire. Fatti realmente accaduti, pervenuti a noi attraverso le voci di chi li ha vissuti, scritti e trasposti teatralmente, e che ci danno la possibilità di intravedere e di tenere in vita la storia di tante comunità, di tante madri di ieri, di tante figlie di oggi.
Il mondo delle ombre, grazie alla capacità evocativa del teatro, per un attimo fa sì che una madre possa di nuovo guardare la figlia in una dimensione di fisicità, nonostante la lontananza che le separa.
9 settembre 2008 Roma - Festival Bella Ciao (Centro Anziani la Romanina)- 21.30 - Via Gregoraci, 107


Maria Antonietta Amenduni


25 Agosto 2008

Il mercante di Venezia in scena al Silvano Toti Globe Theatre.

Protagonista è l'odio profondo tra "gentili" e "giudei", sebbene raccontato col garbo, la profondità e la suprema genialità del bardo.

“Mi ha maltrattato, ha gioito delle mie perdite, disprezzato i miei guadagni, raffreddato i miei amici, riscaldato i miei nemici, insozzato il mio abito, disprezzato il mio popolo e per quale motivo? Perché sono ebreo! Forse che un ebreo non mangia come gli altri esseri umani? Se lo pungete non prova dolore? Non si ammala delle stesse malattie dei gentili? E non si cura con le stesse medicine?”
(Shylock - Atto III scena I)

Uno spettacolo che tocca conflitti religiosi e riapre ferite ancora aperte pur con parole e storie del passato.Volge al termine la stagone 2008 del Silvano Toti Globe theatre. il teatro shakespeariano a Villa Borghese diretto da Gigi Proietti, per quest’anno, chiude i battenti con “Il mercante di Venezia” di William Shakespeare per la regia (anche traduzione e adattamento) di Loredana Scaramella - dal 30 agosto al 14 settembre 2008.
Il quarto ed ultimo spettacolo in calendario per questa stagione 2008 mette in scena lo scontro culturale, la dimenticanza e l’intolleranza da parte dei figli alle leggi dei padri, il conflitto fra amicizia e amore, l’amore stesso, la generosità e la bellezza contro il dovere, l’egoismo, il rigore e la competizione. Tutti temi, sempre attuali, molto cari a Shakespeare, che li affronta ne “Il Mercante di Venezia”. Protagonista è l'odio profondo tra "gentili" e "giudei", sebbene raccontato col garbo, la profondità e la suprema genialità del bardo. La più atroce e cinica commedia di sir William, nel cui testo vivace serpeggia antisemitismo d' epoca, anche se la tirata finale di Shylock dovrebbe fare giustizia. Personaggio chiave è Shylock, un personaggio che la storia del teatro vuole antipatico e ripugnante, patetico e grottesco. Un vecchio usuraio ebreo che nel dramma di Shakespeare esige in pagamento una libbra di carne dal suo debitore, e che non suscita nessuna simpatia, al massimo un velato sentimento di pietà.

In una Venezia notturna ed efficiente, lo squattrinato Bassanio trascina l’amico Antonio su una strada che potrebbe portarlo alla rovina, mentre a Belmonte Porzia aspetta invano qualcuno che la liberi dal voto paterno risolvendo l’enigma necessario per ottenere la sua mano. La storia racconta che Bassanio risolve il mistero e conquista il cuore della colta, sofisticata Porzia che poi dovrà perdonare il tradimento che l’amante compie ai suoi danni per favorire l’amico Antonio. Un perdono facile, quello degli amanti, che da sempre così cercano di sopravvivere ??????U??Uno spettacolo che tocca conflitti religiosi e riapre ferite ancora aperte pur con parole e storie del passato.Volge al termine la stagone 2008 del Silvano Toti Globe theatre. il teatro shakespeariano a Villa Borghese diretto da Gigi Proietti, per quest’anno, chiude i battenti con “Il mercante di Venezia” di William Shakespeare per la regia (anche traduzione e adattamento) di Loredana Scaramella - dal 30 agosto al 14 settembre 2008.
Il quarto ed ultimo spettacolo in calendario per questa stagione 2008 mette in scena lo scontro culturale, la dimenticanza e l’intolleranza da parte dei figli alle leggi dei padri, il conflitto fra amicizia e amore, l’amore stesso, la generosità e la bellezza contro il dovere, l’egoismo, il rigore e la competizione. Tutti temi, sempre attuali, molto cari a Shakespeare, che li affronta ne “Il Mercante di Venezia”. Protagonista è l'odio profondo tra "gentili" e "giudei", sebbene raccontato col garbo, la profondità e la suprema genialità del bardo. La più atroce e cinica commedia di sir William, nel cui testo vivace serpeggia antisemitismo d' epoca, anche se la tirata finale di Shylock dovrebbe fare giustizia. Personaggio chiave è Shylock, un personaggio che la storia del teatro vuole antipatico e ripugnante, patetico e grottesco. Un vecchio usuraio ebreo che nel dramma di Shakespeare esige in pagamento una libbra di carne dal suo debitore, e che non suscita nessuna simpatia, al massimo un velato sentimento di pietà.

In una Venezia notturna ed efficiente, lo squattrinato Bassanio trascina l’amico Antonio su una strada che potrebbe portarlo alla rovina, mentre a Belmonte Porzia aspetta invano qualcuno che la liberi dal voto paterno risolvendo l’enigma necessario per ottenere la sua mano. La storia racconta che Bassanio risolve il mistero e conquista il cuore della colta, sofisticata Porzia che poi dovrà perdonare il tradimento che l’amante compie ai suoi danni per favorire l’amico Antonio. Un perdono facile, quello degli amanti, che da sempre così cercano da offese e tradimenti.

Diverso è l’esito della partita fra l’Ebreo e il Cristiano.
A Venezia, dove è la classe dei mercanti ad essere “principesca”, il commercio è la zona di eccellenza e l’aristocrazia si occupa di tutelarla con leggi che difendano gli affari. La Repubblica per questo è tollerante con gli stranieri ed offre ospitalità al mondo eterogeneo dell’epoca. Ma quando uno straniero tocca i privilegi di un mercante, rispettando la legge e portandola alle sue estreme e paradossali conseguenze, allora la legge deve flettersi alla necessità di salvare il Mercante. E l’etica inflessibile dell’Ebreo Shylock, che non conosce mediazione né perdono, punta il dito sulla parzialità della legge veneziana e fa apparire quasi strumentale il discorso della clemenza e del perdono che rende la cattolica Venezia più elastica nelle sue sentenze, certo, ma assai poco affidabile. L’Ebreo se ne va in silenzio e la sua uscita di scena segna la sconfitta della rigidità della legge antica rispetto alla moderna, proteiforme legalità.
Shylock è un ebreo nel senso più antico del termine - ibril “colui che vive di là dal fiume” - quindi l’Altro in tutte le sue accezioni, l’Altro verso cui la Legge fatica ad essere giusta.
In scena : Elisa Amore, Michele Baronio, Alessandro D’Acrissa, Alessandro Federico, Paolo Giangrasso, Orlando Cinque, Gloria Gulino, Fortunato Leccese, Roberto Mantovani, Carlo Ragone, Mauro Santopietro, Loredana Scaramella. Ivan Zerbinati.



Maria Antonietta Amenduni


11 Agosto 2008

Al Teatro Lo Spazio Parole di scena / In altre parole

III edizione della rassegna di drammaturgia contemporanea internazionale a cura di Marco Belocchi e Pino Tierno

Letteratura e teatro per palati raffinati. Un perfetto connubio tra parola e palcoscenico, per chi testo e messa in scena è abituato non solo a vederli e ed ascoltarli, ma anche assaporarli in tutta la loro essenza, internazionalità e multuculturalità. E’ "PAROLE DI SCENA / IN ALTRE PAROLE ", la terza edizione della rassegna di drammaturgia contemporanea internazionale, che si terrà dal 7 all’11 settembre 2008, presso il Teatro Lo Spazio. La rassegna curata da Marco Belocchi e Pino Tierno, parla quest’anno ben quattro lingue. Ma le tematiche, le visioni, le inquietudini cui essa dà voce, da un mare all’altro, nessuno faticherà a comprenderle. E a riconoscerle.

Per l’ormai consueta ‘quebecchiana’, quattro testi di artisti giovanissimi ma già consacrati dalla scena, e non soltanto canadese: Chantal Bilodeau, Frédéric Blanchette, François Archambault e Catherine-Anne Toupin, sono autori di commedie in cui l’attrito fra la realtà che si vive e il sogno di ciò che si vorrebbe provoca un riso a volte mansueto, più spesso angoscioso.
Per la prima volta il festival punta poi i riflettori sulla scena slovacca, in bilico fra un ingombrante passato post-comunista e uno scosso presente, attratto e restio davanti al sogno occidentale. Viliam Klimacek ed Eva Maliti-Franová sono autori di punta di una drammaturgia che attende solo di essere scoperta.

Dalla Francia in anteprima mondiale, la ‘poesia della strada’ proposta da Carine Lacroix, con un testo sostenuto dall’Associazione Beaumarchais e che la Comedié Française ha già selezionato per il cartellone della prossima stagione.
L’israeliano Motti Lerner ci fa invece strada nelle torbide anse di un conflitto bellico forse già alle porte, con una pièce applaudita in molti paesi.
Dalla Spagna, per finire, una pièce delicata e toccante sui rapporti generazionali scritta da Juan Carlos Rubio, vincitore dei più importanti premi della scena iberica e poi la ricerca di una relazione autentica, espressa con impagabile levità dalla già affermata Paloma Pedrero.
Dieci testi, tanti incontri con gli autori e le autrici presenti al festival, per cinque intensissime giornate, tese a mostrare pregiate schegge della scena mondiale, della più apprezzata drammaturgia, ‘in altre parole’, del miglior Teatro d’autore.

Dal 7all’11 settembre 2008 ore 18.00 e ore 21,00
Rassegna di drammaturgia contemporanea internazionale
" PAROLE DI SCENA / IN ALTRE PAROLE"
a cura di Marco Belocchi e Pino Tierno
III edizione
Teatro Lo Spazio Roma, Via Locri 42/44, Tel.+39 0677076486 +39 392 9583409
info@teatrolospazio.it
Gli uffici sono aperti il pomeriggio, il botteghino un'ora prima dello spettacolo
Prenotazioni e informazioni per il pubblico 06 77076486 - info@teatrolospazio.it


Maria Antonietta Amenduni


25 Agosto 2008

Fontanonestate 2008: al via la XIII edizione.

Presso il Parco della Rimembranza un ricco programma di serate, incontri, reading e performances incentrati sull'incontro della pagina con la scena.

Torna anche quest’anno una delle manifestazioni storiche dell’estate romana. Dal 25 agosto al 14 settembre, torna al Parco della Rimembranza
Fontana dell’Acqua Paola (Gianicolo), la manifestazione FONTANONESTATE 2008.
Appuntamenti culturali di alto spessore per la qualità e la continuità negli anni della sua proposta, prestigiosa per la sua sede - lo splendido panorama della Terrazza del Gianicolo, di fronte alla Fontana dell'Acqua Paola - e accattivante per la formula in continuo rinnovamento, la rassegna presenta la sua tredicesima edizione con un programma di serate, incontri, reading e performances incentrati sull'incontro della pagina con la scena, ospitando artisti di fama e progetti innovativi all’insegna del binomio Qualità/Cultura.

Tra gli eventi di quest’anno:
- ARNOLDO FOÀ: OLTRE LA POESIA: un sorprendente interprete reinventa la sua arte in una serata-evento che offre un frizzante cocktail di suoi brani poetici, proposti e interpretati dal celebre attore insieme a Cristina Cellini, Lorenzo Degli Innocenti, Orsetta Foà con le musiche di Roberto Procaccini;
Giancarlo Zanetti alle prese con DORIAN di Giuseppe Manfridi da Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde: un monologo concerto in cui l'interprete è chiamato a vestire in sequenza i panni di tre protagonisti;
Giuseppe Manfridi sarà anche protagonista in prima persona di IN TRENO IN TRE NO!, performance di equilibrismo lessicale (sonetti monoconsonantici, strofe elaborate con due sole lettere, palindromi, ipogrammi, anagrammi, inversioni di senso), musiche di Antonio Di Pofi;
Ennio Coltorti, in DARKHOTEL@LORDBYRON.IT, affronta Byron nei suoi umori più neri, in una riscrittura elaborata con Tullia Alborghetti che cura anche la parte di Teatro di Figura con maschere e burattini, cui si aggiungono le videoproiezioni di Mario Calamita, le musiche di Luigi Maiello, le luci di Mario Feliciangeli.

Nella ricerca del rinnovamento dei linguaggi sono previsti anche incontri, reading, jamsession, tra i quali:
- BESTIE DA SBARCO - SCONCERTO, organizzato da Musamoi in collaborazione con A.L.M.A. (Associazione Liberi Artisti Musicisti) di Cosenza, performance Jam sui temi dell’immigrazione, con i jazzisti Mirko Onofrio (dal Roccella Festival 2008) e Nicola Pisani insieme alle interpretazioni tra testo e suono di Maria Luisa Bigai e a Luigi Tabita (vincitore del premio Vittorio Gassman attore emergente 2008); i testi sono di Francesco De Filippo, giornalista e scrittore (Mondadori, Rizzoli, Metailliè) che prenderà parte alla serata/evento;
AMORE E CRIMINE, reading di due autrici contemporanee: PRENDIMI E UCCIDIMI di Rossella Drudi, con Massimo Bonetti, Cristina Cellini e altri attori, in una serata stagliata su suggestive immagini dipinte da Claudio Angeloni; NON SONO STATA FINITA di e con CLARA GALANTI;
TEMPO D’ESPOSIZIONE, due serate di racconti dal vivo e immagini in sorprendenti combinazioni, a cura del Gruppo D.I.R.E. (Destinazione Ignota Ritorno Eventuale), formazione che ha fatto sua l’“arte” di condurre gli ascoltatori da un’atmosfera all’altra attraverso le potenzialità evocative del racconto e le capacità affabulatorie del narratore, accompagnato dalla musica dal vivo, che lascia comunque e sempre allo spettatore la libertà di immaginare.
Una finestra tutta dedicata alle ultime tendenze del racconto per immagini si aprirà con il meglio del CYBORG FILM FESTIVAL.
Infine, FONTANONESTATE 12+1!! una grande serata-kermesse omaggio alla manifestazione con incursioni in versi e in musica degli artisti da sempre vicini a FONTANONESTATE.


Maria Antonietta Amenduni


25 Agosto 2008

Con l’assegnazione del “Premio Speciale del Presidente” ad Anna Proclemer, la sesta edizione del Premo ETI Gli Olimpici del Teatro s’avvia al gran finale

La diffidenza nei confronti di ciò che si ritiene diverso può portare verso una confusione d’intenti che va oltre il ragionevole dubbio.

Bisognerà aspettare la serata al teatro Olimpico di Vicenza il 10 settembre prossimo per conoscere i vincitori dell’edizione 2008 del PREMIO ETI – GLI OLIMPICI DEL TEATRO, l’oscar del teatro promosso dall’Ente Teatrale Italiano e dal Teatro Stabile del Veneto, che già dal 2003 è diventato un atteso appuntamento d’incontro e di festa per la scena italiana.

Dopo la serata delle nominations, svoltasi al Teatro Quirino di Roma lo scorso giugno, quando una giuria di esperti ha scelto la terna di candidati per ciascuna delle quattordici categorie in gara, il Premio si avvicina alla sua fase finale con una prima notizia, quella dell’avvenuta assegnazione dello speciale “Premio del Presidente della Giuria”.

Ogni anno, infatti, il Presidente della Giuria Gianni Letta attribuisce a suo insindacabile giudizio un riconoscimento speciale (che si aggiunge a quelli votati dalla giuria dei 400 artisti e professionisti dello spettacolo) ad uno degli artisti che hanno segnato indelebilmente il teatro e la cultura italiana. A ricevere quest’anno l’ambito premio sul palco del Teatro Olimpico, sarà ANNA PROCLEMER, la straordinaria interprete che ha lasciato un segno in mezzo secolo di teatro italiano. La serata finale di consegna dei Premi a Vicenza (condotta da Tullio Solenghi e trasmessa in diretta da Rai Uno), sarà così l’occasione per festeggiare questa grande attrice e la sua carriera. Un cammino ricco di successi, d'incontri di vita e d'arte ­ da Brancati ad Albertazzi, da Bragaglia a Strehler, da Gassman a Ronconi ­, costellato di personaggi ed opere che spaziano da tragedie classiche a commedie brillanti, ad inediti contemporanei.

Il premio ad Anna Proclemer, dopo Mario Scaccia, Giorgio Albertazzi, Armando Trovaioli, Rossella Falk e Carlo Giuffrè conferma la volontà degli Olimpici di celebrare le personalità artistiche che hanno fatto la storia del teatro, in un’ideale staffetta fra i grandi maestri e gli attuali protagonisti del palcoscenico.
Dopo la finale di Vicenza, sarà dunque Anna Proclemer a guidare quest’anno la delegazione di artisti della scena, che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano riceverà per la consueta udienza al Quirinale dedicata ai Premi Olimpici, auspicio di buon lavoro per l’avvio di una nuova stagione teatrale.


Maria Antonietta Amenduni


11 Agosto 2008

Dalla tragedia all’happy end finale: “La commedia degli errori” in scena al Silvano Toti Globe Theatre.

La diffidenza nei confronti di ciò che si ritiene diverso può portare verso una confusione d’intenti che va oltre il ragionevole dubbio.

L’uguale letto come il diverso. Su questo elementare e allo stesso complesso concetto si gioca “La commedia degli errori” di Shakespeare, in scena dal 7 al 10 agosto e dal 16 al 24 agosto 2008 al Silvano Toti Globe Theatre per la regia e l’adattamento di Fabio Grossi e la traduzione di Guido Fink. Una delle prime commedie scritte da Shakespeare, che consente di evidenziare come la diffidenza nei confronti di ciò che si ritiene diverso può portare verso una confusione d’intenti che va oltre il ragionevole dubbio. Ispirata a I menecmi di Plauto, il meccanismo comico del doppio è qui elevato a potenza: ai due fratelli gemelli si aggiungono i due gemelli servi, anch’essi identici e omonimi. In questo gioco di doppi, quello che all’inizio passerà come drammatica espressione di vita, alla fine si contrapporrà con il proprio doppio, in una metafora che oscilla tra la vita e la morte.

Nella storia delle rappresentazioni elisabettiane, le due coppie di gemelli sono state sempre interpretate da due attori dall'aspetto simile. In alcune rappresentazioni moderne, i fratelli e i servi sono stati interpretati da un unico attore. Nella versione scenica di Fabio Grossi, uno stesso attore interpreterà il ruolo dei due gemelli. La vicenda si svolge in una unica giornata, dall'alba al tramonto, passando da un tragico inizio, con Egeone condannato a morte, al più classico degli happy end, con la famiglia ritrovata e un nuovo matrimonio all’orizzonte.

La commedia si svolge sullo sfondo della feroce rivalità tra le due città di Siracusa ed Efeso. Si apre con l'arresto di Egeone, mercante di Siracusa. Egeone, a cospetto di Solino, il duca di Efeso, gli racconta la storia del suo naufragio di molti anni prima, in cui furono dispersi la moglie Emilia, il figlio Antifolo, e il servo Dromio. Sia il figlio che il servo hanno un identico fratello gemello, che porta lo stesso nome, e che si è salvato dal naufragio. Nell'anno del loro diciottesimo compleanno, Egeone diede loro il permesso di partire per Efeso, alla ricerca dei gemelli perduti. Ma anche dei secondi Antifolo e Dromio non si sa più nulla. Cinque anni dopo, Egeone è partito alla volta di Efeso alla loro ricerca, ed ecco spiegato il motivo del viaggio. Solino si commuove al racconto del vecchio Egeone, e rimanda la sentenza di morte fino a sera, termine entro il quale Egeone dovrà trovare la somma di denaro per riscattare la sua vita. In realtà due dei gemelli dispersi vivono ora ad Efeso, mentre gli altri due giungono ora nella città. La commedia degli errori vera e propria comincia nel momento in cui Adriana, moglie di Antifolo di Efeso e i conoscenti di questo e di Dromio di Efeso confondono le loro identità con i gemelli siracusani…

La compagnia è composta da giovani professionisti, ma si avvale di professionalità affermate nel mondo del teatro come Santuzza Calì per i costumi e Germano Mazzocchetti per le musiche, il disegno luci è curato da Umile Vainieri. Questa lettura del lavoro shakespeariano sottolinea il clima da commedia che lo caratterizza: pur rispettando il dramma raccontato inizialmente, il percorso si snoderà tra ambiguità ed equivoci propri della trama.

Lo spettacolo pur peccando dell’esubero di “macchiette” fumettistiche, risulta essere molto divertente e si segue con piacere, facendo trascorrere in assoluta spensieratezza l’ora e 45minuti. Le idee di regia sono buone e Fabio Grossi, pur essendo alle prime esperienze di regia, dimostra capacità che si stanno affinando spettacolo dopo spettacolo, confezionando un prodotto gradevole, seppur con qualche riserva per il finale un po’ farraginoso. Bello il contrasto di caratteri tra le due sorelle Adriana e Luciana, ben interpretate rispettivamente da Federica Bern e Valentina Gristina, entrambe perfette nel ruolo. Fabrizio Amicucci risulta più convincente nell’interpretazione di Antifolo di Efeso, piuttosto che in quella del gemello Antifolo di Siracusa. Bravo e divertente è Fabio Pasquini anche lui nel doppio ruolo di Dromio di Efeso e Dromio di Siracusa. In scena anche Andrea Gambadoro, Gianni Giuliano, Gianni Verdesca, Gerardo Fiorenzano, Niccolò Rizzini, Roberto Saura, Federico Mancini, Loredana Piedimonte, Cristina Capodicasa, Rita Abela, Alessandro Gorgonie.
Maria Antonietta Amenduni


27 Luglio 2008

Marco Marzocca e il suo “Recital 2008”.

Da Ariel a Cassiodoro, fino ad arrivare al Notaio, tutti i personaggi che hanno reso famoso il comico reso celebre da Zelig.

Torna nei teatri e nelle piazze di tutta Italia il poliedrico Marco Marzocca nel suo divertente “Recital 2008” ricco di novità e dei più amati pezzi di repertorio.
Le “svampatissime” vicende di Ariel (il domestico filippino di casa Bisio, reso celebre da Zelig), i folcloristici racconti dell’ex pugile Cassiodoro e le inenarrabili memorie del Notaio potranno esser rivissute dal pubblico con l’appassionante e magica ritmica del tempo teatrale, ben più emozionante di quello televisivo.
La grandissima capacità d’osservazione, acquisita e sviluppata da Marzocca nel corso della sua quindicinale carriera artistica, si manifesta palesemente nella caratterizzazione, assolutamente universale, dei suoi personaggi davanti ai quali lo spettatore esplode in una risata immediata perchè immediata ne è la percezione.
La cadenza cantilenante ed assecondante di Ariel, il rintronamento di Cassiodoro, il continuo rimbrottare del Notaio sono in realtà quegli stessi elementi che lo spettatore individua nelle persone con cui si confronta nella società odierna, multietnica e più varia che in passato.
La presenza di un attore comico della portata di Stefano Sarcinelli (tra l’altro anche stimatissimo autore di testi televisivi), e quella di un brillante cantautore come Max Paiella molto amato dal pubblico radiofonico per le geniali “serenate coniglie” ed approdato di recente a "Zelig Off", siglano la certezza di un prodotto ben congegnato e confezionato appositamente per dare agli spettatori tante e tante risate, restando comunque godibile da tutte le fasce di età perchè certame spurio sa eccessi e volgarità di ogni tipo.
Tanti gli appuntamenti live per l’estate che si possono trovare sul suo sito www.marcomarzocca.com.


Maria Antonietta Amenduni


26 Luglio 2008

Re Lear: la bramosia del potere, l’ingratitudine e la lussuria

In scena al Silvano Toti Globe Theatre, Daniele Salvo dirige Ugo Pagliai, nella tragedia shakespeariana. Spettacolo coinvolgente anche se troppo lungo.

La tragedia della vita intesa come una ferita mortale. Re Lear, tragedia, scritta da Shakespeare nel 1605, periodo durissimo per l’Inghilterra a causa di una gravissima crisi economica, rispecchia le condizioni di incertezza dell’epoca.
Il potere, in quel momento di caos assoluto, divenne assolutamente ingestibile. Ci ritroviamo di fronte ad una società in cui i vecchi cedono il potere perché la situazione è ormai incontrollabile e la deriva culturale ed umana è irreparabile.
Il ricambio generazionale non è più possibile perché tutti i migliori istinti e le più alte necessità sono stati soffocati. I giovani, ostacolati in ogni modo dalle classi dirigenti e non educati ad un sano rapporto con la società, non seppero affrontare le responsabilità di governo e si persero in vani conflitti motivati da sfrenate ambizioni personali e velleitarismi.

Re Lear è in scena al Silvano Toti Globe Theatre di villa Borghese dal 19 luglio al 3 agosto. Per la regia di Daniele Salvo, con Ugo Pagliai.
Capolavoro della cultura occidentale, Re Lear è una metafora sulla condizione umana che ingloba in sé temi molto concreti quali la vecchiaia e la pazzia, innanzitutto, ma anche l’ambizione individuale e la bramosia del potere, l’ingratitudine e la lussuria. Nella tragedia si svolgono parallelamente due azioni assai simili nelle linee generali: la prima, che è la principale, consiste nella storia di Lear e delle sue tre figlie; la seconda narra le vicende di Gloster e dei suoi due figli.

Lear è un leggendario sovrano della Britannia vissuto alcuni secoli prima di Cristo che, vicino alla vecchiaia, aveva deciso di dividere il suo regno fra le tre figlie e i mariti che avrebbe loro assegnati, pur mantenendo l'autorità regale. Lear è la tragedia dei padri incapaci di capire i loro figli, padri che sono “ciechi di fronte all’adulazione dei figli che li vogliono ingannare e ciechi di fronte alla devozione dei figli che invece li amano” Re Lear paga i suoi errori “politici” a caro prezzo. Sino a quel momento ha potuto dettare leggi e norme. Improvvisamente la sua vita è sconvolta da un’esperienza che lo pone dal punto di vista non del dominatore ma del dominato. Lear entra così in una sorta di “seconda infanzia” che gli procura un’innocenza che rende ancora più crudeli le azioni delle due figlie Goneril e Regan e nel momento in cui inizia a dire la verità è considerato pazzo. Nella versione scenica di Daniele Salvo, re Lear viene interpretato da un attore di grande esperienza e spessore scenico come Ugo Pagliai.

Grazie ad una scenografia essenziale, l’azione viene trasferita su un piano interiore con momenti privatissimi e tesi, di un’emotività fortissima, pura e arcaica. Gli elementi naturali dominano. La pioggia, i tuoni e i lampi sono metafora della condizione interiore dei personaggi rispecchiandone l’emotività tormentata. La video proiezione viene qui utilizzata al servizio della messa in scena per creare illusioni, tempeste improvvise, incubi, visioni notturne, pianure e spiagge immense su cui Lear consuma la propria follia.
L’allestimento scenografico è decisamente di effetto e anche la regia, di Daniele Salvo, molto bella valorizza tutte le sfumature del testo. Ugo Pagliai regala un’interpretazione forte, emotiva, viscerale ed emozionante. Medio/alto è il livello complessivo dello spettacolo e del cast, con particolare attenzione per le interpretazioni di Virgilio Zernitz (Il Conte di Gloucester), Gianluigi Fogacci (Edgar), Giacinto Palmarini (Edmund). Unico difetto è la lunghezza complessiva dell’allestimento: tre ore di spettacolo si reggono difficilmente, si poteva sforbiciare di almeno mezz’ora senza nulla togliere al buon esito del lavoro complessivo.
In scena anche: Francesco Coltella,Tommaso Cardarelli, Andrea Romero, Max Sbarsi, Alfonso Generoso, Melania Giglio, Federica Bern, Nicola Bortolotti, Paolo Orlandelli, Niccolò Rizzino.


Maria Antonietta Amenduni


13 Luglio 2008

Il Teatro come strumento di pace.

Laboratorio internazionale di formazione e specializzazione a cura di Gabriele Vacis

Dopo una prima esplorazione a Gerusalemme est con otto attori professionisti del Teatro Nazionale Palestinese ed una propedeutica selezione di confronto in Italia a Polverigi (nel mese di aprile), completato il gruppo di lavoro con la selezione di trentasei giovani allievi palestinesi tra aspiranti artisti e tecnici della scena, entra nel vivo la parte più operativa del laboratorio teatrale diretto da Gabriele Vacis per il progetto Il Teatro come strumento di pace.

Promosso dal Settore Cooperazione del Ministero degli Affari Esteri, realizzato con la collaborazione progettuale dell’Ente Teatrale Italiano, in partenariato con la Cooperazione italiana a Gerusalemme, in collaborazione con Teatro Nazionale Palestinese e l’Associazione Inteatro di Polverigi, questo percorso formativo inaugura una modalità ed un metodo innovativi di collaborazione nei territori per la cultura. Il lavoro prosegue dunque nella città mediorientale con la fase operativa del workshop, suddiviso in diverse tappe – dal 23 giugno al 6 luglio, dal 15 luglio al 15 agosto e dal 18 al 31 agosto – guidate da Gabriele Vacis, regista e pedagogo di narrazioni e metodi di lavoro.

In campo l’espressione teatrale quale dimensione diversa per rappresentare e comunicare condizioni sociali anche drammatiche suggerite dalle esperienze di vita di ciascuno dei trentasei giovani allievi selezionati, ragazzi “normali” in cerca di incontri di scena – in questo caso si riflette su Shakespeare e Amleto - ma anche narratori di storie altre, paradossali, quelle si diverse da ogni altra quotidianità.
Così il lavoro sul campo prende la forma del corso di alta formazione e, prima di essere affidato, nella sua finale fase produttiva e distributiva, al Teatro Nazionale Palestinese, è stato invitato in forma si studio a Venezia alla Biennale Teatro diretta da Maurizio Scaparro (dal 27 ottobre al 27 novembre 2008), nell’ambito del Laboratorio Internazionale di formazione e specializzazione. Un’anteprima per l’Italia dell’esito del Laboratorio e del suo percorso, in perfetta sintonia col tema artistico delle prossime attività del settore che propongono la città lagunare quale città-laboratorio legata alle riflessioni sceniche d’oggi: così, negli spazi del passato viene ambientato il presente, la tradizione viene riletta con gli occhi della contemporaneità, attraverso un viaggio nella laguna che si spinge fino al bacino del Mediterraneo.


Maria Antonietta Amenduni


6 Luglio 2008

Nei giardini del Testaccio si scopre l’America

In scena di fronte al Teatro Vittoria, lo spettacolo “La scoperta dell’ America - All’ antica osteria”, che si svolge dentro la scenografia di una vecchia osteria nella quale viene ospitato anche il pubblico.

Il teatro esce dalla sua sala abituale, scende dalle tavole del palcoscenico per spostarsi all’esterno. E’ quello che succede nei giardini del Testaccio, davanti al Teatro Vittoria, dal 3 luglio al 2 agosto. All’interno del giardino c’è un’Antica Osteria dove la Compagnia del Teatro Vittoria rappresenta : La scoperta dell’ America - All’ antica osteria. Spettacolo musicale in due tempi di Attilio Corsini, liberamente tratto da “La scoperta dell’America “ di Cesare Pascarella con le musiche e le canzoni del Trio Favete Linguis.
Una serata ricca di eventi che prevede un primo appuntamento alle ore 21, con lo spettacolo “La scoperta dell’America”, poi alle ore 22,15 l’appuntamento è “musica e poesia di Roma e dintorni”. Alle ore 23 poi ci si sposta all’interno del teatro Vittoria per la rassegna cinematografia a cura di Antonio Ferraro: ” Ridi ridi che mamma ha fatto i gnocchi ! “ Alla riscoperta dei grandi comici romani: Billi e Riva, i fratelli Carotenuto, Renato Rascel e tanti altri.

Lo spettacolo “La scoperta dell’ America - All’ antica osteria” si svolge dentro la scenografia di una vecchia osteria nella quale viene ospitato anche il pubblico.
“La scoperta dell’America” è lo spettacolo più replicato del repertorio della compagnia del Teatro Vittoria, secondo soltanto a ”Rumori Fuori Scena”.
L’opera di Cesare Pascarella , messa in scena come una piccola commedia musicale, raccoglie entusiasmo e consensi dal pubblico più eterogeneo. Anche straniero.
Fa rivivere una romanità perduta : quella del fagottino, del socializzare intorno al tavolaccio con l’euforia del vino, dello stare insieme sotto il segno della poesia . Quella romanità così elegante, sottile, sorniona ed ironica che ci invidiavano anche gli inglesi.
Una festosa serata popolare con gli endecasillabi di Pascarella, che è un piccolo miracolo di partecipazione: la grande pergola colma di uva, l’arco romano in pietra, diventano insieme scenografia e contenitore dello spettacolo.

In questo luogo un po’ surreale, seduto ai tavolacci dell’osteria, gustando un buon vino, il pubblico, mescolato agli attori, rivivrà l’impresa di Colombo raccontata dai deliziosi e ironici sonetti di Cesare Pascarella.
Una “scoperta” improbabile, ironica, sorniona ed esilarante rivissuta dal carrettiere, dall’oste, dalla comare, dal bullo, dal prete e dagli altri avventori dell’osteria. Lo spettacolo , versione teatrale e regia di Attilio Corsini, impianto scenografico di Uberto Bertacca, è interpretato dalla Compagnia Attori & Tecnici con Attilio Corsini, Annalisa Favetti, Stefano Messina, Roberto della Casa con le canzoni eseguite dal vivo dai Favete Linguis: Emanuela Fresi, Antonio Fornari e Stefano Fresi.

Maria Antonietta Amenduni


30 Giugno 2008

Il “Sogno di una notte di mezza estate”, torna ad illuminare l’estate al Globe.

Lo spettacolo che aveva riscosso un grande successo la scorsa estate, inaugura la nuova stagione del Silvano Toti Globe Theatre di Villa Borghese.

Era stato senza dubbio lo spettacolo più bello della passata stagione del Silvano Toti Globe Theatre. Quest’anno “Sogno di una notte di mezza estate”, torna ad inaugurare la stagione del teatro immerso nel cuore di Villa Borghese. Lo spettacolo in scena dal 3 al 13 luglio, vede la regia di Riccardo Cavallo (traduzione di Simonetta Traversetti).
La notte di mezz’estate è una notte magica e il titolo ne svela immediatamente l’atmosfera onirica, irreale anche se, come viene precisato, la notte in cui si svolge gran parte dell’azione è quella del calendimaggio, la celebrazione del risveglio della natura in primavera e non in estate. E’ comunque l’augurio di un risveglio gioioso. Ma è davvero così? Tre mondi si contrappongono: il mondo della realtà (quello di Teseo, Ippolita e della corte), il mondo della realtà teatrale (gli artigiani che si preparano alla rappresentazione) e il mondo della fantasia (quello degli spiriti, delle ombre). Ma i sogni alle volte possono trasformarsi in incubi: il dissidio fra Oberon e Titania che rivela a un certo punto un terribile sconvolgimento nel corso stesso delle stagioni, il rapporto tra Teseo e Ippolita, il conquistatore e la sua preda, la brutalità di certi insulti che gli amanti si scambiano sotto l’influsso delle magie di Puck.

La grandezza di Shakespeare sta nell’aver saputo coinvolgere tre mondi diversi, ciascuno con un suo distinto linguaggio: quello delle fate che alterna al verso sciolto, canzoni e filastrocche, quello degli amanti dominato dalle liriche d’amore e quello degli artigiani, nel quale la prosa di ogni giorno è interrotta dalla goffa parodia del verso aulico.
Il mondo è folle e folle è l’amore. In questa grande follia della natura, l’attimo di felicità è breve. Un richiamo alla malinconia che accompagna tutta la vicenda.

Riccardo Cavallo confeziona uno spettacolo ben fatto che si lascia seguire piacevolmente, bella regia, belle musiche, belli i costumi e bravi gli interpreti. La regia e l’interpretazione rendono giusto onore alla perfetta partitura che la genialità di Shakespeare, ha creato con questo spettacolo. La prosa diviene come musica, in questo spettacolo, e Oberon, interpretato da Gianni De Feo, ne diviene un bravo direttore d’orchestra. Una conferma dello spettacolo e la brava Valentina Marziali. Ma chi segue da tempo non si stuisce della sua bravura e la ricorda sicuramente anche nel ruolo di Giulietta nel “Romeo e Giulietta” di Gigi Proietti. La sua spiazzante naturalezza conquista il pubblico. Molto bella la scena del secondo atto con i quattro innamorati. Esilaranti i siparietti dei comici, capitanati da due bravissimi Marco Simeoli e Gerolamo Alchieri. Convincente anche Sebastiano Colla. Divertentissimi Cristina Nocie e Fabio Grossi. Il cast è completato da Claudia Balboni nel ruolo di Titania, Federica Bern bel ruolo di Elena, Nicola D’Eramo, Daniela Tosco, Stefano Mondini, Marco Paparella, Fabrizio Amicucci, Roberto Stocchi, Alessio Caruso, Andrea Pirolli.

Maria Antonietta Amenduni


30 Giugno 2008

I più amati personaggi Disney e tante magiche illusioni sul palcoscenico per il nuovo “Disney Live! Il Magico Show di Topolino”

Uno spettacolo che farà impazzire grandi e piccini; sarà a Napoli, Milano, Torino e Roma

La magia Disney porta in scena una nuova produzione itinerante dal vivo, una novità assoluta per la prima volta in Italia, prodotta da Feld Entertainment e presentata da Applauso Spettacoli a Napoli, Milano, Torino e Roma.
Una combinazione unica di personaggi Disney e brillanti illusionisti per portare in scena un nuovo spettacolo dal vivo che saprà entusiasmare i bambini di tutte le età. “Disney Live! Il Magico Show di Topolino” accompagnerà il pubblico in un mondo in cui la magia e il divertimento Disney assumono nuovi ed elettrizzanti significati. Lo spettacolo ha l’obiettivo di fondere la magia dei leggendari film Disney in una rappresentazione unica dal vivo: gli umili vestiti di Cenerentola si trasformeranno, in un batter d’occhio, in uno splendido abito da sera; la principessa Jasmine di Aladdin si alzerà quasi in volo; e le scope incantate che danzano in Fantasia solleveranno Minnie. Il capo dei maghi – Topolino – eseguirà incredibili illusioni con la Fata di Cenerentola, Hatta (il cappellaio matto) di Alice nel Paese delle Meraviglie, e gli illusionisti professionisti Brad Ross e Alex Gonzalez.

La magia continuerà poi con le apparizioni delle principesse Disney, di Belle e Biancaneve e degli amici di Topolino che popolano Cartoonia — da Minnie a Paperino, da Paperina a Pippo.
“E’ uno spettacolo unico nel suo genere, che darà l’opportunità a bambini e adulti di vivere la potenza della magia,” spiega Kenneth Feld, produttore dello spettacolo. “Le famiglie assisteranno quindi a numeri di illusionismo davvero mozzafiato.” Il celebre esperto d’illusionismo Jim Steinmeyer (che ha lavorato con artisti del calibro di David Copperfield, Lance Burton e Siegfried & Roy) porta nello spettacolo oltre 20 anni di esperienza, dal famoso corpo tagliato in due fino al sensazionale sollevamento di Minnie.

In un altro numero strepitoso, l’illusionista Brad Ross solleva la Principessa Jasmine. Questa scena arriva al suo apice con un meraviglioso cielo stellato in un’atmosfera incantevole e surreale. Sulle note di “A Whole New World,” Brad raggiunge Jasmine e insieme i due volano verso l’alto.
“In ogni spettacolo che portiamo in scena, cerchiamo sempre di superare le aspettative del pubblico,” spiega il regista Jerry Bilik. “Con l’impatto delle illusioni, siamo in grado di trasportare gli spettatori ben oltre quel che ci propone l’immaginazione. Dal momento in cui inizia la magia, il pubblico viene coinvolto in scenari sorprendenti nel corso di un viaggio unico nell’esperienza Disney.”
E poi ancora spazio all’illusionista Alex Gonzalez e allo stile interattivo di Brad Ross. Con quest’ultimo saranno coinvolti i bambini sul palco che avranno l’opportunità di entrare a far parte della rappresentazione, sia per estrarre fazzoletti dal cilindro o per tentare la fuga più veloce del mondo.
Sia sul palco che seduti sulle poltrone, i bambini vivranno un’esperienza indimenticabile. Queste le tappe italiane del magico tour: Napoli (Palapartenone) dal 12 al 16 novembre 2008, Milano (Palasharp) dal 19 al 23 Novembre 2008, Torino (Mazdapalace) dal 26 al 30 Novembre 2008, Roma – (Palalottomatica) dal 03 al 08 Dicembre 2008.

Maria Antonietta Amenduni


30 Giugno 2008

Casalinghi Disperati al Teatro SpazioZero Villane.



Se eravamo abituati alle casalinghe disperate, ora i casalinghi tirarono fuori le loro ragioni! Lo fanno Roberto D’Alessandro, Gianni Cannavacciuolo, Nicola Padano, Mauro Serio con “Casalinghi Disperati (Desperate househusbands)” di Di Roberto D’Alessandro - Cinzia Berni e Guido Polito, per la regia di Renato Giordano. Lo spettacolo sarà in scena al Teatro SpazioZero Villane, dal 30 giugno al 05 luglio
Alberto, Giulio e Luigi sono tre uomini intorno ai quarant’anni che vivono loro malgrado nello stesso appartamento messo a disposizione dal comune ad affitto agevolato. Alberto è separato e passa gli alimenti a moglie e due figli, Giulio non è separato ma ha un figlio adulto a cui pensare ed infine Luigi è mantenuto dalla sua ex moglie, tutti e tre non hanno abbastanza soldi per potersi permettersi un appartamento da soli. In questa “casa-famiglia” i tre hanno trovato un loro equilibrio, orari per il bagno, turni in cucina e per la pulizia, spesa..etc...a rompere questo equilibrio arriva una sera Attilio, loro vicino cacciato di casa dalla moglie. Chiede loro ospitalità i tre riluttanti accettano, questo sarà la fine del loro equilibrio e l’inizio di una serie di situazioni tragi-comiche.
“ Lo spettacolo – racconta il regista Renato Giordano - mira ad analizzare l’universo degli uomini separati (cosiddetti padri invisibili), spesso costretti a pagare gli alimenti ad ex moglie e figli non gli resta abbastanza per vivere, così i comuni sempre più spesso mettono a disposizione degli alloggi per questa nascente categoria sociale. Il ruolo della donna cambiando ha inevitabilmente cambiato anche il ruolo del maschio, che è sempre più confuso e disorientato. La paternità viene oggi vissuta con uno spirito nuovo e meno passivo, così gli uomini rivendicano il diritto di stare vicino ai loro figli, soffrono quando questo non accade e spesso sono vessati e prevaricati dal cosiddetto sesso debole. In quest’ottica viene letta la vicenda dei quattro protagonisti di CASALINGHI DISPERATI che cerca sempre in chiave comica (come si addice a’ I PICARI) di affrontare un tema delicato e quanto mai attuale”.
SPAZIOZERO VILLAGE - Teatro aperitivo - Vle. Tor Di Quinto 57/b – Roma.
Infoline & biglietteria: 06-33225195 – 3924402581 – 3920219938 www.teatrospaziozero.it -ore 21.30

Maria Antonietta Amenduni


21 Giugno 2008

Il Teatro premia il Teatro. Scelte al Teatro Quirino di Roma le terne dei finalisti del Premio ETI-Gli Olimpici del Teatro 2008.



Anche quest’anno è tempo dei Premi ETI – Gli Olimpici del teatro; uno dei momenti più attesi, per artisti, teatranti, addetti ai lavori ed amanti del teatro in genere. Il 16 giugno 2008, al Teatro Quirino di Roma sono state discusse e votate le terne dei finalisti (nominations) per il riconoscimento annuale del teatro italiano, organizzato dall’Ente Teatrale Italiano e dal Teatro Stabile del Veneto. Alla presenza di attori e registi (tra cui ricordiamo Massimo Dapporto, Christian De Sica, Massimo D’Alatri, Roberto Herlitzka, Mariangela Melato, Andrea Giordana, Paola Gassman, Debora Caprioglio, Tullio Solenghi e molti altri) gli addetti ai lavori e un pubblico di appassionati hanno assistito alle discussioni della giuria, applaudendo o criticando le scelte.

La giuria, presieduta da Gianni Letta, a cui spettava il compito di indicare le nomination per le quattordici categorie del premio, era composta da: Giulio Baffi, Andrea Bisicchia, Masolino D'Amico, Giuseppe Ferrazza, Maria Rosaria Gianni, Enrico Groppali, Giancarlo Leone, Giovanna Marinelli, Lucio Mirra, Ludovica Modugno, Magda Poli, Sergio Sciacca, Nicola Viesti. Segretario generale del Premio è Maurizio Giammusso. Nel corso della serata, la discussione è stata particolarmente animata e non priva di contrasti, seguiti con passione quasi calcistica dal pubblico e dagli artisti intervenuti in sala.

Le terne designate dalla giuria testimoniano l’eterogeneità della nostra scena, il mescolarsi di generi e generazioni, di leggerezza ed impegno. A contendersi la palma come miglior spettacolo della stagione appena conclusa saranno Angels in America (anche nella terna della migliore regia con Bruni/De Capitani); La famiglia dell’antiquario, presente anche tra i finalisti per la regia di Lluìs Pasqual, per i costumi di Franca Squarciapino e per le musiche di Antonio Di Pofi; La parola ai giurati diretto ed interpretato da Alessandro Gassman. Il miglior interprete sarà scelto tra Leo Gullotta per L’uomo, la bestia e la virtù; Massimo Popolizio p??????????E??Anche quest’anno è tempo dei Premi ETI – Gli Olimpici del teatro; uno dei momenti più attesi, per artisti, teatranti, addetti ai lavori ed amanti del teatro in genere. Il 16 giugno 2008, al Teatro Quirino di Roma sono state discusse e votate le terne dei finalisti (nominations) per il riconoscimento annuale del teatro italiano, organizzato dall’Ente Teatrale Italiano e dal Teatro Stabile del Veneto. Alla presenza di attori e registi (tra cui ricordiamo Massimo Dapporto, Christian De Sica, Massimo D’Alatri, Roberto Herlitzka, Mariangela Melato, Andrea Giordana, Paola Gassman, Debora Caprioglio, Tullio Solenghi e molti altri) gli addetti ai lavori e un pubblico di appassionati hanno assistito alle discussioni della giuria, applaudendo o criticando le scelte.

La giuria, presieduta da Gianni Letta, a cui spettava il compito di indicare le nomination per le quattordici categorie del premio, era composta da: Giulio Baffi, Andrea Bisicchia, Masolino D'Amico, Giuseppe Ferrazza, Maria Rosaria Gianni, Enrico Groppali, Giancarlo Leone, Giovanna Marinelli, Lucio Mirra, Ludovica Modugno, Magda Poli, Sergio Sciacca, Nicola Viesti. Segretario generale del Premio è Maurizio Giammusso. Nel corso della serata, la discussione è stata particolarmente animata e non priva di contrasti, seguiti con passione quasi calcistica dal pubblico e dagli artisti intervenuti in sala.

Le terne designate dalla giuria testimoniano l’eterogeneità della nostra scena, il mescolarsi di generi e generazioni, di leggerezza ed impegno. A contendersi la palma come miglior spettacolo della stagione appena conclusa saranno Angels in America (anche nella terna della migliore regia con Bruni/De Capitani); La famiglia dell’antiquario, presente anche tra i finalisti per la regia di Lluìs Pasqual, per i costumi di Franca Squarciapino e per le musiche di Antonio Di Pofi; La parola ai giurati diretto ed interpretato da Alessandro Gassman. Il miglior interprete sarà scelto tra Leo Gullotta per L’uomo, la bestia e la virtù; rotagonista di Ritter, Dene Voss - spettacolo che è valso la candidatura anche a Piero Maccarinelli per la regia; Mariano Rigillo, candidato per Romolo il grande. La terna per la migliore attrice è composta invece da Guia Jelo per la sua interpretazione de La Lupa, Mascia Musy, protagonista di Anna Karenina, e Galatea Ranzi per Il Malinteso.

La creatività del sud emerge nella terna per il miglior spettacolo d’innovazione, formata da Le doglianze degli attori a maschera di Enzo Moscato, ‘Nzularchia diretto da Carlo Cerciello, ‘U Ciclopu di Vincenzo Pirrotta. Tullio Kezich, autore de Il Romanzo di Ferrara, Cesare Lievi con La badante, Roberto Saviano e Mario Gelardi, per la riscrittura di Gomorra, si contendono il premio come miglior autore di novità italiana. Grandi interpreti della nostra scena per gli “assoli” teatrali: il miglior interprete di monologo o one man show sarà scelto fra Roberto Herlitzka per Edipo a Colono ed Ex Amleto, Mario Maranzana protagonista di La fine è il mio inizio e Mariangela Melato, mattatrice in Sola me ne vo. Categoria composita, infine, quella del musical o commedia musicale, che vede in terna l’opera lirica rivisitata in chiave popolare da Roberto De Simone in Là ci darem la mano, l’omaggio all’avanspettacolo e alla rivista di Christian De Sica con Parlami di me diretto da Marco Mattolini, e Peter Pan la fiaba in musica per ogni età, diretta da Maurizio Colombi.

Insomma come ogni anno ci sono scelte plebiscitarie ed altre molto discutibili, che vedono esclusi artisti di ottimo livello che per un motivo o per l’altro rimangono esclusi, o più semplicemente perché purtroppo delle volte sembra che “è così che deve andare”. Ci consola comunque sapere che gli amanti del teatro sanno bene che i grandi interpreti o registi si possono trovare anche al di fuori dei soliti giri.
La parola adesso passa agli oltre 400 tra artisti e professionisti del Teatro che compongono la giuria popolare, chiamati a scegliere e votare i vincitori delle 14 categorie del Premio, che saranno premiati il 10 settembre prossimo al Teatro Olimpico di Vicenza, in una serata trasmessa come sempre da Rai Uno.
ESARE LIEVI per La badante
ROBERTO SAVIANO e MARIO GELARDI per Gomorra

Migliore scenografo
PIETRO CARRIGLIO per Orestiade
ROBERTO CREA per ‘Nzularchia
ANTONIO FIORENTINO per Il mercante di Venezia

Miglior costumista
ODETTE NICOLETTI per Faust
CATHERINE RANKL per Svet. La luce splende nelle tenebre
FRANCA SQUARCIAPINO per La famiglia dell’antiquario

Miglior autore di musiche
MATTEO D’AMICO per Il Malinteso e Orestiade
ANTONIO DI POFI per È vietato digiunare in spiaggia, Il mercante di Venezia, La famiglia dell’antiquario
SCOTT GIBBONS per Hey girl!

Maria Antonietta Amenduni


21 Giugno 2008

Joan Baez e Vinicio Capossela con la partecipazione di Xavier Rudd, in Live For Emergency



Un’occasione unica per vedere sullo stesso palco i tre grandi talenti: Baez, Capossela e Rudd, in un concerto per Emergency. Nella cornice di Piazza San Marco a Venezia, il 22 Luglio si terrà l’evento benefico più importante dell’estate, organizzato e prodotto da Barley Arts. A sostegno di Emergency si esibiranno due cantautori del calibro di Joan Baez e Vinicio Capossela, preceduti dal polistrumentista australiano Xavier Rudd.

Non è certamente una sorpresa vedere la folksinger americana Joan Baez impegnata in cause sociali e politiche, nelle quali si è distinta fin dagli anni ’60. Vederla però condividere il palco con Vinicio Capossela, uno degli artisti italiani più originali in circolazione, è invece un evento unico nel suo genere. Accanto a loro uno dei talenti australiani di maggior spicco degli ultimi anni, Xavier Rudd, ferreo sostenitore della non-violenza e delle cause a tutela dei popoli aborigeni. La voce di Xavier, unita alla sua maestria nel suonare diversi strumenti da lui stesso costruiti, tra cui chitarra, percussioni e didgeridoo, non mancherà di stupire piacevolmente coloro che ancora non lo conoscono, e sarà un’ottima apertura di serata prima di lasciare il palco agli altri due protagonisti dell’evento.

Vinicio Capossela, forte della sua creatività, proporrà le sonorità folkloristiche che lo caratterizzano, capaci di raccontare il sentire e le radici dei popoli, di qualunque provenienza essi siano, così come Joan Baez riporterà l’eco delle lotte pacifiste e per la difesa dei diritti umani nelle sue note folk e acustiche. Ad accompagnare la Baez, che la sera precedente terrà il suo unico altro concerto in Italia al Play Arezzo Art Festival, ci sarà la band con cui ha suonato nella tournee appena conclusa negli Stati Uniti, ovvero Erik Della Penna alla chitarra, Dean Sharenow alla batteria e alle percussioni, Michael Duclos al basso. Capossela, che quest’estate sarà protagonista di pochissimi e selezionati appuntamenti live fra i quali questo a Venezia, sarà affiancato da Vincenzo Vasi al theremin e percussioni, Alessandro Stefana alla chitarra, Zeno De Rossi alla batteria e Glauco Zuppiroli al contrabbasso.

Tutti e tre uniti non soltanto per incantare il pubblico con la loro musica, ma anche e soprattutto per contribuire al sostegno del centro Salam di cardiochirurgia di Khartoum, in Sudan, a cui verranno devoluti gli incassi della serata, patrocinata dal Comune di Venezia.

MARTEDÍ 22 LUGLIO 2008 – VENEZIA – PIAZZA S. MARCO
Inizio concerti: h 20.15 Xavier Rudd h 21.00 Joan Baez h 22.45 Vinicio Capossela
Ingresso: tutti posti numerati
40,00 + prev. (Settore D); 45,00 + prev. (Settore C); 55,00 + prev. (Settore B); 65,00 + prev. (Settore A) Biglietti in vendita nei circuiti Box Office, Unicredit Banca e Ticket One e in internet sul sito www.ticketone.it Vendita telefonica VENEZIA SPETTACOLI tel. 041.2719090 - Prenoticket 02.54271

Fonte Ufficio stampa Barley Arts
www.barleyarts.com

Maria Antonietta Amenduni


21 Giugno 2008

Chi ha chiamato la befana?

“Roma che ride”, festeggia la sua decima edizione con il nuovo spettacolo di Marco Falaguasta e Danilo De Santis.

Uno degli appuntamenti più spumeggianti dell’Estate Romana, per rinfrancarsi dalla calura estive e godersi un po’ di meritato relax durante le vacanze. Dal 5 luglio inizia una delle manifestazioni più frequentate dell’estate romana: Roma che ride, che si svolge a Villa Sciarra fino al 17 agosto e festeggia la sua decima edizione. Dopo lo strepitoso successo ottenuto nella precedente edizione con “So tutto sulle donne ….20 anni dopo” (oltre 8.000 presenze) la compagnia “Bona la prima” presenta la nuova pièce di Marco Falaguasta e Danilo De Santis “Chi ha chiamato la Befana?” per la regia di Marco Falaguasta, che è anche interprete con Vanessa Fulvio, Piero Scornavacchi, Marco Fiorini, Danilo De Santis, Valerio Isidori, Vasco Montez, Carmela Ricci.

La sera del 5 gennaio 1985 fa incontrare Marcello, Maurizio, Enzo, Fausto, un medico, un maresciallo dei carabinieri, un impiegato, un fotografo. Si sono iscritti ad un corso di sopravvivenza, ognuno con una motivazione diversa: per superare una storia d’amore finita, per lavoro, per evadere dalla vita quotidiana frenetica, per semplice curiosità. Quattro personalità diverse si ritrovano quindi a condividere una stanza e un nuovo modo per affrontare la vita……con regole rigidissime che vengono continuamente ripetute dalla voce registrata del grande “Mogol”.

Ma durante la notte un forte rumore li sveglia all’improvviso: al centro della stanza compare un’anziana donna dall’aspetto orripilante! I nostri uomini cominciano a porle una serie di domande: chi sia, da dove venga!!!... e con molta semplicità la donna risponde di essere la befana, di giungere da “Fatalismo”….e il suo arrivo è legato esclusivamente al fatto di essere stata chiamata!!!!
Riusciranno i nostri uomini a capire cosa stia accadendo….chi hanno di fronte…realtà, immaginazione o …? Divertente ed esilarante con numerosi colpi di scena, la storia ci riporta indietro nel tempo, a quell’età dove fate, befane, gnomi e folletti regnano sovrani, dove è molto più semplice sognare e perdersi con la fantasia, in un mondo in cui di sogni e fantasia c’è sempre tanto bisogno.

“Chi ha chiamato la befana?” è la commedia della leggerezza, del divertimento della spensieratezza che ferma il tempo e ci fa tornare ragazzi! - affermano gli autori Marco Falaguasta-Danilo De Santis - E’ una di quelle storie che consente a noi attori di sperimentare tutto il nostro ventennale affiatamento sul palco e di inseguirci a copi di battute inattese, d’improvvisazioni e di situazioni comiche nate sul momento. Potreste venire anche tutte le sere, trovereste ogni sera cose nuove, originali, create all’impronta… ma saremmo già contenti di avervi una sera sola, numerosi e pronti a ridere, a sognare con noi a trascorrere in maniera leggera una sera d’estate!”
Villa Sciarra (Entrate: Via Calandrelli 23 – Via delle Mura Gianicolensi), dal 5 luglio al 17 agosto. Orario spettacoli: dal martedì alla domenica ore 21,15 - lunedì riposo. Prenotazioni e informazioni: 06/5755482 – 339/6098268. Prezzo: € 16,00 Poltronissima - € 13,00 Poltrona.

Maria Antonietta Amenduni


15 Giugno 2008

Joaquin Cortes torna sulle scene romane con Mi Soledad



E’ il più grande ballerino di Flamenco del mondo. Joaquin Cortes sarà a Roma da lunedì 23 Giugno 2008 a mercoledì 25 giugno, alle ore 21.00 con il suo spettacolo Mi Soledad, presso il Teatro Sistina di Roma. Presentato per la prima volta il 3 maggio 2005 all’auditorium di Città del Messico, “Mi soledad” è uno spettacolo originale guidato interamente dalla musica e dal canto Flamenco. Joaquín Cortés, alla costante ricerca di un qualcosa di nuovo e differente, non si lascia spaventare dalla fusione di diversi stili e ancora una volta si assume i suoi rischi e attinge da svariate fonti.

La musica originale di “Mi soledad” è stata composta da Joaquín Cortés, José Carbonell ed Antonio Carbonell ed è il frutto di ritmi musicali diversi come il jazz, la musica cubana, la musica classica, senza dimenticare il flamenco, protagonista assoluto dello show. Il testo è stato scritto da Antonio Carbonell ed Arturo José Carbonell.

Joaquin Cortes ci propone un viaggio attraverso le sue emozioni. Il titolo “ Mi soledad” (“La mia solitudine”) propone un viaggio in questo sentimento, una solitudine molto sentita, carica d’intimità, sinonimo dell’individualità dell’uomo.Tramite la musica e i suoi inconfondibili passi, Cortes ci pone in comunicazione diretta con la sua anima e la sua arte, coinvolgendo il pubblico nei luminosi colori del Flamenco. Come quando di notte si passa attraverso quei momenti di dormiveglia nei quali tutta l’influenza del mondo esterno pare essere sparita e il nostro essere sogna costruendo nuovi mondi e nuove fantasie nelle quali siamo forti ed invincibili. Quei momenti nei quali desideriamo restare soli, stanchi della quotidianità, per incontrare noi stessi ed intavolare una conversazione con la nostra naturalezza.

Con una scenografia basata sulla semplicità e carica d’intimismo, emergono i sentimenti attraverso le inconfondibili musicalità di Cortes. Una progressione musicale nella quale emergono le ragioni più profonde dell’artista, dove vi è spazio per istanti di dialogo che danno allo spettacolo l’aspetto di un jam session. E che lo riempiono di freschezza e arte, trasformando ogni passo in un momento unico ed irripetibile.

Maria Antonietta Amenduni


15 Giugno 2008

Torna la Pirandelliana con due spettacoli: Enrico IV e Il giuoco delle parti.

Marcello Amici, torna a dirigere due testi di Pirandello per festeggiare la decima edizione della rassegna teatrale.

Con Enrico IV e Il giuoco delle parti la Compagnia teatrale “La bottega delle maschere” festeggia la X° Edizione della sua Pirandelliana (1999 - 2008). Due messinscena, a sere alterne, come un concerto a più voci.
All’Aventino, nel Giardino della Basilica di Sant’Alessio all’Aventino, sotto le stelle di una sera d’estate, si alterneranno dunque i due spettacolo: due sue commedie alla base della drammaturgia contemporanea messe in scena nel posto più elegante dell’Estate Romana. Inaugura la rassegna di teatro Il giuoco delle parti, l’8 luglio. Enrico IV debutta il 9 luglio, e così, a giorni alterni, fino al 10 agosto 2008. Gli spettacolo diretti da Marcello Amici, che sarà anche protagonista, vedranno in scena anche Marco Vincenzetti, Anna Varlese, Antonella Alfieri, Umberto Quadraroli, Andrea Volpetti, Riccardo Laurina, Carlo Bari, Pamela Del Grosso, Tommaso Carratelli, Micol Pavoncello, Giampaolo Filauro, Gianluca Blumetti.

Il giuoco delle parti ed Enrico IV sono commedie limite in ogni senso, le più meccaniche e crudeli, le più nitide e coerenti, le meno persuasive e le più sincere, le più ironiche e le più umoristiche: si racconta di istrioni che in punta di fioretto offrono lo spettacolo un po’ compiaciuto del loro virtuosismo dialettico.
La regia si è collocata tra i personaggi e il dramma che urge in loro, ne ha esposto il delirante narcisismo logico, ha scomposto volumi e colori, ha risolto il giuoco tra le maglie di un cubismo e la suggestione delle gelide geometrie di un teorema, ha giustificato la lucidità implacabile dei contenuti con una scenografia torturante, mentre tempi, luci e musiche evidenziano, senza forzature prospettiche, il luogo claustrofobico che si apre sempre con un raggio di luna, per dilatarsi poi nella stanza della tortura dalle pareti levigate, impenetrabili, luogo emblematico e focale di tutto il teatro pirandelliano.
Bianco e freddo, elegante e luciferino, logico e viola il mondo di Leone Gala, un escluso che risolve di testa tutti i problemi per giungere al pernio della realtà. Enrico IV giuoca la sua parabola in una carnevalata fittizia e claustrale, nel più classico dei recinti della commedia, dove tutto è una sottile algebra per conoscitori del teatro nel teatro.

Nel dipanare le due storie, la regia non ha mai dimenticato che Pirandello è l’autore del più acuto saggio sull’umorismo. Le risate di Leone Gala e di Enrico IV ne sono la firma autografa, falsa e vera, liberatrice ed amara, spontanea e provocatoria. L’ingranaggio delle due messinscena viene esposto in tutta la sua evidenza metaforica, l’asciutto contenitore mentale è reso visibile con effetti di magico realismo che oscilla tra Kafka e Buñuel, con i tempi, il battere e il levare, dell’uomo del Caos. Si respira aria favolosa, potrebbero sorgere incanti figurati, perché sempre con la luna tutto incomincia a farsi di sogno sulla terra. La scena, la recitazione, la ricomposizione del testo, le musiche, tutto è diventato spia di una precisa lettura registica. Il confine tra personaggio-uomo e personaggio-attore si rarefà sino a divenire impalpabile. Enrico IV è un poeta malinconico avvolto in un mantello di solitudine, Leone Gala un Amleto che discetta sulla condizione umana di cui è vittima e trionfatore. Tutti e due sono il teatro che assume su di sé la funzione della follia per scrollare le certezze che ancorano l’esistenza.

Maria Antonietta Amenduni


07 Giugno 2008

Presentata la stagione 2008 del Silvano Toti Globe Theatre.

Gigi Proietti, confermato direttore artistico del teatro di Villa Borghese afferma: “Il Globe è una pausa dal frastuono delle manifestazioni estive ascoltando la poesia shakespeariana”

“Squadra che vince non si cambia”. Suonano come un patto di alleanza le parole delll’assessore alle Politiche culturali del Comune di Roma Umberto Croppi, che così dicendo ha confermato Gigi Proietti alla direzione del teatro Silvano Toti Globe Theatre. “Proietti è uno dei più grandi professionisti del teatro” ha sottolineato Croppi, durante la presentazione della tsgione teatrale, che ha aggiunto: “Nonostante io tagli al bilancio abbiamo scelto di confermare i finanziamenti al Globe Theatre che quest'anno ammontano a 400mila euro attraverso i servizi erogati da Zetema ai quali si aggiungono altrettanti elargiti da sponsor privati. Conferma dettata sia dalla qualita' dell'offerta culturale del teatro, sia dal riscontro del pubblico. Proietti e' uno dei piu' grandi professionisti del teatro”.

"Roma -ha aggiunto l'assessore Croppi- governa il piu' grande patrimonio culturale del mondo che tuttavia va gestito meglio. I maggiori cambiamenti saranno la messa in ordine del settore che e' cresciuto in modo disordinato, l'aggiornamento di alcune iniziative, l'unificazione e la programmazione a lungo termine degli investimenti privati, ad esempio, attraverso un ufficio o un'agenzia che possa convogliarli".

La riconferma di Proietti alla direzione dello stabile deputato a promuovere il teatro elisabettiano a Roma e' limitata a questa unica stagione. "Se non si pensa - ha sottolineato Proietti - ad una prospettiva a lungo termine della mia direzione artistica almeno per 3 anni come nei teatri pubblici ipotizzo di lasciare. Ad oggi ho accettato -ha dichiarato Gigi Proietti- visti anche i tempi molto stretti. I progetti si possono fare se esiste una prospettiva di lungo termine. Mi auguro che il Globe possa avere una compagnia stabile affiancata da un centro studi. Se in futuro non dovessi essere più alla direzione di questo teatro – ha aggiunto Proietti -, spero che almeno si continui a rispettarne lo spirito”.

Che Proietti sia il direttore artistico di questo teatro, è cosa assai naturale, dato che il Silvano Toti Globe Theatre, nasce proprio da una sua intuizione. Il Teatro fu inaugurato nel 2003 per festeggiare i cento anni di Villa Borghese e il gemellaggio virtuale di Roma con Londra, sede del famoso Globe Theatre.

Ma passiamo alla stagione 2008 del Silvano Toti Globe Theatre. «Questo teatro e il suo cartellone - ha spiegato Gigi Proietti - servono per regalare ai romani un momento di relax, per offrire ai cittadini una pausa dal frastuono delle manifestazioni estive ascoltando la poesia shakespeariana». Il teatro da 1.260 posti ha registrato nella scorsa stagione quasi 36 mila presenze con 6 spettacoli in tre mesi, per 65 repliche. Il nuovo cartellone cartellone prevede quattro produzioni incentrate sull’opera shakespeariana, da sempre protagonista incontrastata dell’attività del Silvano Toti.

Si parte il 3 luglio 2006 con un successo che torna dalla passata stagione. E’ “Sogno di una notte di mezza estate”, sicuramento lo spettacolo più bello della stagione 2007 del Silvano Toti. Lo spettacolo per la regia di Riccardo Cavallo e la traduzione di Simonetta Traversetti, vede in scena anche quest’anno: Valentina Marziali, Nicola D’Eramo , Sebastiano Colla , Marco Paparella , Cristina Noci, Fabio Grossi , Marco Simeoli , Gerolamo Alchieri , Roberto Stocchi , Alessio Caruso , Andrea Pirolli, Daniela Tosco , Stefano Mondini, Fabrizio Amicucci , Federica Bern, Gianni De Feo. Dal 19 luglio il Globe Theatre ospiterà Ugo Pagliai in “King Lear”, la grande tragedia shakesperiana nella versione scenica di Daniele Salvo e la traduzione di Emilio Tadini. Un ruolo che Pagliai desidera interpretre da lungo tempo. In scena anche Virgilio Zernitz, Gianluigi Fogacci, Giacinto Palmarini. Dal 7 agosto sarà la volta di “La commedia degli errori” per la regia e l’adattamento di Fabio Grossi e la traduzione di Guido Fink. La stagione del Silvano Toti Globe Theatre chiude con “Il Mercante di Venezia” in scena dal 30 agosto con regia, traduzione e adattamento di Loredana Scaramella.

Maria Antonietta Amenduni


7 Giugno 2008

Antigone al Teatro India: non personaggi visti in prospettiva psicologica, ma vere e proprie funzioni tragiche mosse dal Coro che assume una grande importanza.



Primo spettacolo del progetto condiviso dalla Fondazione del Teatro Stabile di Torino, Teatro di Roma e Fondazione Teatro Due, l’Antigone di Sofocle si avvale della nuova traduzione del filosofo Massimo Cacciari e della direzione di Walter Le Moli. Proprio la prospettiva di un approccio filosofico fa da filo conduttore ad un allestimento di grande nitore, che intende ritrovare l’afflato politico di una tragedia che è archetipo sociale, fondamento di una democrazia dialettica e discorsiva, in cui la partecipazione del cittadino alla vita della polis era fattivamente attiva. In questa prospettiva, lo scontro ideologico e dialogico tra Antigone e Creonte ritrova la forza propulsiva originaria, tanto da suggerire spunti di riflessione di grande attualità, capaci di superare il dato eminentemente teatrale: non personaggi visti in prospettiva psicologica, ma vere e proprie funzioni tragiche mosse dal Coro che assume una grande importanza in quanto elemento che rappresenta ed incarna la polis. Il Coro, visibilmente e materialmente superiore rispetto alle dinamiche di scontro dei protagonisti, è dunque il vero motore, quasi un simbolo di ciò che resta, ovvero la sopravvivenza della città allo scontro di due concrezioni emblematiche della hybris. Come ha scritto, infatti, Ekkehart Krippendorff: «L’Antigone di Sofocle non è affatto un’univoca condanna dell’ostinazione del potere e della hybris del re Creonte. Antigone stessa va incontro alla rovina a causa della sua inflessibilità e della durezza dei principi che ispirano le sue azioni. Tutto ciò offriva materiale di riflessione, elementi di argomentazione per l’elaborazione di un proprio giudizio da parte del pubblico…». Uno scontro che procede hegelianamente, tra tesi e antitesi, che lascia agli spettatori il senso ultimo della sintesi. La polis, dunque, prova se stessa e simbolicamente mette in corto circuito gli elementi di crisi, facendoli collassare, salvo poi reagire per garantire la propria sopravvivenza: da un lato facendo sparire Antigone nelle proprie viscere, fino all’oblio, dall’altro rimuovendo semplicemente Creonte dal ruolo di potere. È dunque la dinamica inesorabile ed eterna della Città, che garantisce se stessa, il possibile nucleo di una tragedia come Antigone. Nella lettura del gruppo stabile di attori, Antigone diventa dunque lo spunto per una visione possibile di una democrazia oggi continuamente messa in discussione o imposta con forza.

Teatro India dal 10 al 15 giugno 2008
Fondazione del Teatro Stabile di Torino, Fondazione Teatro Due, Teatro di Roma
ANTIGONE
di Sofocle
traduzione Massimo Cacciari
regia Walter Le Moli
scene Tiziano Santi
costumi Vera Marzot
musiche Alessandro Nidi
luci Claudio Coloretti
direttore assistente Karina Arutyunyan

Maria Antonietta Amenduni


31 Maggio 2008

Il Teatro Delle Ombre di Huazhou all’Auditorium Parco della Musica



In scena all’Auditorium Parco della musica, il Teatro Delle Ombre di Huazhou. Una forma d'arte cinese che può vantare una lunghissima tradizione è rappresentata dal teatro delle ombre cinesi. Le ombre cinesi sono un tipo di spettacolo molto antico che veniva svolto in teatrini ambulanti che si spostavano da un paese all'altro. Era comune trovare questi teatri ambulanti vicino ai templi, durante le ricorrenze religiose, ma anche nelle feste laiche come il Capodanno o alle fiere di paese. Negli spettacoli le figure non si vedono direttamente ma, come dice il nome stesso, appaiono solo le loro ombre. Lo spettatore si pone davanti a uno schermo bianco semi-trasparente dietro il quale degli attori manovrano le figure e recitano le varie parti. Una potente fonte di luce proietta le ombre direttamente sullo schermo con l'effetto di ingigantirle e rendere animate le figure. Una leggenda vuole che l'Imperatore cinese Wudi (140-85 a.C.) fosse divenuto molto triste in seguito alla morte della consorte, la signora Li. Per consolare il sovrano, i suoi eunuchi fecero scolpire una figura in legno simile alla donna e ne proiettarono l'ombra su una tenda. L'Imperatore credendo che fosse lo spirito della sua amata che tornava a fargli visita si sentì consolato. Ovviamente oggi le figure non sono più di legno, ma di cuoio, più leggero e più semplice da maneggiare. L'antica arte cinese è, poi, stata esportata in tutto il mondo e, al giorno d'oggi, con ombre cinesi si indicano, in generale, tutte le ombre che vengono proiettate attraverso l'uso delle mani o di ritagli di carta o cartoncini . L’imperatore lo apprezzò molto e ne divenne un appassionato. Questa storia, raccontata nel Libro degli Han, è considerata la prima testimonianza dell’origine del teatro delle ombre cinesi di Huazhou.

In questo tipo di teatro, ogni scena coinvolge cinque artisti, diversamente da altri stili che richiedono sette o otto persone. Durante lo spettacolo, la storia viene cantata da una voce principale, tutti i movimenti vengono eseguiti da un solo artista che controlla le sagome tramite le bacchette e la musica viene suonata da tre musicisti. Quest’insieme crea l’effetto scenico del “raccontare una storia di millenni con una voce sola e governare milioni di guerrieri con due mani”. Le figurine sono realizzate a mano con pelle di vitello dal pelo nero, tramite un complesso procedimento che consta di più di 20 passaggi.

La Shaanxi Yutian Folk Art & Cultural Transmission Co. contribuisce a difendere il patrimonio culturale nazionale salvaguardando la preziosa tradizione del teatro delle ombre di Huazhou. Grazie allo sviluppo della manifattura artigianale delle ombre, la formazione e il training di giovani artisti, il Teatro delle ombre di Huazhou è diventato famoso in tutto il mondo.

CinaviCina Festival
Shaanxi Yutian Folk Art & Cultural Transmission Co.
Teatro Delle Ombre di Huazhou
6, 7 giugno ore 18, 8 giugno ore 11
Studio 3 – Auditorium Parco della Musica
Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili

Maria Antonietta Amenduni


27 Maggio 2008

Eliseo e Piccolo Eliseo: “un centro culturale a 360 gradi”.

Presentata la stagione 2008/09. Drammaturgia contemporanea, nuove produzioni, classici e progetti speciali. Torna in cartellone la compagnia “Teatro Libero di Rebibbia”, con Sasà Striano, che in questi giorni è nelle sale cinematografiche con Gomorra.

Silenzio, La Parola al teatro. E’ questo il nuovo slogan del Teatro Eliseo e Piccolo Eliseo Patroni Griffi. Ormai, non servirebbe neanche dirlo, la tendenza è quella di conciliare tradizione e innovazione, dividendo equamente tra drammaturgia contemporanea, nuove produzioni, classici e progetti speciali. Tutto questo perché, come detto dal Direttore Artistico Massimo Monaci, la storica struttura capitolina di Via Nazionale si confermi come "un centro culturale a 360 gradi, che si occupi, a partire dal palcoscenico, di moltissime altre cose". Dodici sono gli spettacoli in cartellone per la sala grande e nove quelli del Piccolo Eliseo Patroni Griffi. Grande vanto del Teatro e del suo Direttore Artistico sono le 13 tra produzioni e coproduzioni, realizzate dall’Eliseo, nonché le 475 volte che si aprirà il sipario per il 2008/09, tra spettacoli in cartellone e eventi speciali.

Ad aprire la programmazione dell'Eliseo, dal 14 ottobre al 9 novembre, ci sarà Leo Gullotta con "Il piacere dell'onesta'", un testo di Luigi Pirandello per la regia di Fabio Grossi che "offrirà una riflessione - ha sottolineato l'attore - sul concetto di onestà, sempre più considerato come una favola, e questo scritto di Pirandello secondo me è perfetto per dare lustro a questo concetto". Si aprirà poi la collaborazione con il regista Valerio Binasco che presenterà al Piccolo Eliseo Patroni Griffi "Un giorno d'estate", testo inedito di Jon Fosse (dall'11 novembre al 7 dicembre, ma andato in scena da poco al Teatro di Roma) e nella sala grande "L'intervista" di Natalia Ginzburg (dal 10 febbraio al 1 marzo), interpretato dallo stesso Binasco in compagnia di Maria Paiato, la quale scherzando afferma: “Io non mi sarei mai scelta per questo spettacolo, ma siccome mi piaccio le sfide, eccomi qui pronta!” Giancarlo Sepe si occuperà di una proposta molto bella di teatro per ragazzi dal titolo “Shakespeare low – bassi balordi e ignavi”. “Uno spettacolo in cui si parla di tutto il mondo, che si muove intorno alla tragedia – afferma Sepe – ma che non prende mai il ruolo da protagonista. Trovo bella l’idea che i ragazzi possano incontrare un pensiero di teatro, non frontale ma eccentrico”. Gli altri spettacoli in cartellone per il Teatro Eliseo sono: Re Lear (11/30 novembre con Eros Pagni, regia di Marco Sciaccaluga), Il Gabbiano (di Cechov dal 2 al 14 dicembre), Giorni Felice (16 dicembre2008/18 gennaio 2009 con Anna Marchesini), Le conversazioni di Anna K, (20 gennaio/8 febbraio, con Giuliana Lojodice, testo e regia di Ugo Chiti), Nonno Charlie e il mistero dell’anello mancante (Teatro Ragazzi, febbraio/aprile 2009), La parola ai giurati (3/22 marzo, interpretato e diretto da Alessandro Gassman), Amleto (24 marzo/5 aprile, con Luca Lazzareschi), Sillabari (dal 14 aprile, con Paolo Poli), Il sapore della cenere (19/21 maggio). Tanti sono gli altri appuntamenti previsti per il Piccolo Eliseo Patroni Griffi: Lina (21 ottobre/ 2 novembre con Fulvia Carotenuto), Udienza (13 gennaio/ 8 febbraio), Duetto (12/15 febbraio), La corsa di Moncicì (24 febbraio / 8 marzo), Il Vicario (14/19 aprile, con Marco Foschi), Semplicemente complicato (5/17 maggio con Stefano Santospago), Chie-Chan e io (19/31 maggio).

Attenzione particolare va dedicata all’appuntamento in scena dal 9 al 21 dicembre, del Piccolo Eliseo Patroni Griffi. C’è chi, pur chiuso dentro a un carcere, continua a sentirsi libero dentro, e esprime la sua libertà attraverso l’arte. C’è chi ora può dire: “Il teatro mi ha cambiato la vita”! C’è chi anche tra le quattro mura di un istituto di detenzione ha la forza, la volontà, il coraggio e il cuore di far nascere e creare arte! Sasà Striano ne è la prova evidente! Ieri detenuto, oggi una promessa del cinema e del teatro italiano. Lui che del dolore carcerario ne sa qualcosa, libero per indulto, da un anno calca i palcoscenici italiani da professionista, dopo essersi formato sulle tavole del palcoscenico del carcere, con la guida di Fabio Cavalli. Oggi è reduce dal successo del film “Gomorra”, dove ha riscosso critiche positive interpretando un ruolo duro come il più navigato degli attori. Lui che dice che non avrebbe mai pensato al teatro e che custodisce dentro tutti i personaggi interpretati fino ad oggi perché gli hanno dato la possibilità di vivere altre vite e di ricostruire la sua. Lui che forse non aveva mai pensato a quanto grande fosse il suo talento, e che nel teatro ha trovato il suo riscatto, ora sarà il protagonista dello spettacolo “Gadda vs Genet – (Il giovane criminale e altre storie di galera)”, drammaturgia e regia di Fabio Cavalli. Con Sasà saranno in scena anche Renato Rotondi, Fabio Rizzuto, Benneth Emenike. Un anno fa la Compagnia degli ex-detenuti di Rebibbia, scarcerati con l’indulto – debuttava sulle tavole del palcoscenico del Piccolo Eliseo Patroni Griffi al lato del cartellone ufficiale. A distanza di un anno la stessa Compagnia Teatro Libero di Rebibbia torna su queste scene in abbonamento per confermare la conquistata credibilità di attori. Durante la conferenza stampa Sasà scherza: “Da che sono nuovamente libero, sto sempre qui all’Eliseo! Questa sembra essere diventata la mia nuova casa, ora spero che non mi facciano arrestare di nuovo per questo!” Genet in questo testo svela i segreti sentimenti dei giovani ‘devianti’ al primo arresto, il mito del carcere duro, l’apprendistato alla fornace della violenza e del dolore.
A Sasà Striano, napoletano, appena tornato da Cannes dopo il successo di Gomorra, viene anche da chiedere che ne pensa di coloro che invece pensano che questo film non dia una immagine giusta dell’Italia all’estero: “Questo film è un capolavoro - afferma Sasà – Garrone è un artista, dipinge e questo film lo ha dipinto. Lui ha portato un’aria nuova a Napoli, a volte le persone hanno la necessità di denudarsi e Napoli lo ha fatto in questo caso. Napoli ha accolto in pieno il progetto Garrone, perché lui non si è preso licenze di regia, non ha fatto alcun atto di denuncia e ha guardato le storie con gli occhi delle vittime. Penso che chi ha criticato Gomorra, debba guardare il film con il cuore!“

Maria Antonietta Amenduni


25 Maggio 2008

ETI, tra classici ed innovazione, si dipanano le stagioni di Valle e Quirino.

Grandi interpreti e giovani talenti, famosi drammaturghi e scrittori contemporanei, teatro civile e omaggi al cinema, ma anche temi impegnativi come la religione.

Una stagione molto “cinematografica” quella del Quirino, e una stagione che profuma sempre di novità ed innovazione quella del Valle che vede invece vari richiami napoletani. Un 2008/09 dedicato all’eccellenza della scena, in un’efficace molteplicità di proposte che si snodano in parallelo tra il Teatro Quirino e il Teatro Valle di Roma, mettendo in relazione sapientemente testi classici e proposte inedite, la tradizione di grandi interpreti e il coraggio interpretativo di più giovani attori, differenti scuole di regia ed altrettanto diversi linguaggi scenici. Una grande attenzione alla drammaturgia mondiale fusa con l'obiettivo di mettere in relazione classicità e sperimentazione.

Due cartelloni a 360° che vogliono accontentare tutti i gusti. Grandi interpreti e giovani talenti, famosi drammaturghi e scrittori contemporanei, teatro civile e omaggi al cinema, ma anche temi impegnativi come la religione. Sono questi gli aspetti più importanti delle opere che andranno in scena sui palcoscenici dei teatri ETI di Roma dal prossimo ottobre. Anche quest’anno dunque vengono confermate dunque le differenti linee editoriali intraprese dai due teatri: il Quirino come culla di classicità e il Valle come laboratorio culturale pronto ad accogliere generi, generazioni nuove e sperimentazioni. Dunque c’è il cinema, c’è l’impegno sociale, c’è la religione, l’attualità, ma c’è anche molta femminilità nei cartelloni dei due teatri; interpretazioni di nomi femminili importanti del teatro italiano e testi di alcune delle nostre più famose autrici che pongono l'accento su tematiche importanti come la condizione delle donne nel mondo.

L’importante ritorno alla regia di Dario Fo è l’esclusiva porta per entrare nel vivo della stagione del Teatro Valle: Sotto paga! Non si paga!, commedia scritta nel ’74, che non mancò di creare scandalo, ritrova nell’interpretazione di Marina Massironi e di Antonio Catania la forza della sua denuncia. Seguirà LilliPupa, testo di Nicola Fano cucito addosso alla storia, di vita e di scena, di Angela Pagano, che si muove in un universo culturale, non solo napoletano, miscellanea di generi ed atmosfere, regia di Antonio Calenda. Ancora Napoli protagonista, ma quella di oggi, nel romanzo Magic People Show di Giuseppe Montesano, è ora anche un comico, feroce avanspettacolo pop. Drammaturgia che attinge alla letteratura contemporanea anche per Glauco Mauri, che adatta e dirige un testo del francese Eric-Emmanuel Schmitt; sempre condividendo la scena con Roberto Sturno, Mauri sceglie Il Vangelo secondo Pilato per riflettere, come in un giallo, sull’immenso e umano tema della fede e del dubbio. Pensato per le famiglie, nel periodo di Natale, è Scrooge, tratto dal Canto di Natale di Charles Dickens, comico e grottesco, lieve e pungente. Non concede invece spazio al sorriso e alla speranza la scrittura di Curzio Malaparte, dura ed icastica nel denunciare la realtà di Napoli, e insieme di tutta l’Europa piagata dalla guerra, nel romanzo-reportage La pelle, con Marco Baliani - anche regista. Torna a teatro, diretto da un artista altrettanto a suo agio sia sugli schermi che sul palco: Stefano Accorsi protagonista ne Il dubbio - testo del Premio Pulitzer John Patrick Shanley diretto da Sergio Castellitto. È con il monologo La Caccia, liberamente ispirato alle Baccanti di Euripide, che Luigi Lo Cascio, un altro dei volti più amati del cinema d’autore italiano, riconferma invece la sua passione per il teatro. La presenza internazionale al Valle è quella di una compagnia tutta maschile e tutta dedita alla messinscena dell’opera shakespeariana: gli inglesi Watermill, guidati dal regista Edward Hall, portano a Roma, alternando, Sogno di una notte di mezza estate e Il Mercante di Venezia. E’ poi la volta di Casa di Bambola - L’altra Nora, da Henrik Ibsen, uno spettacolo di Leo Muscato con Lunetta Savino. Dal capolavoro cinematografico di Federico Fellini, premio Oscar nel 1956, Tullio Pinelli e Bernardino Zapponi fecero un vero e proprio adattamento teatrale che diventa ora un’operina di commovente coinvolgimento: La Strada con Massimo Venturiello e Tosca. Si conclude con La badante di Cesare Lievi e Le invisibili di Emanuela Giordano (anche regista) e di Lidia Ravera.

Con uno spettacolo tutto al femminile, si apre la stagione del Teatro Quirino: Va dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro, e Roberta Mazzoni, con la collaborazione della regista Emanuela Giordano, affidato alla sensibilità di Marina Malfatti ed Agnese Nano, in scena con Carolina Levi. Sebastiano Lo Monaco sarà in scena con Otello diretto da Roberto Guicciardini. Seguirà Todo Modo di Leonardo Sciascia regia di Fabrizio Catalano Sciascia con Paolo Ferrari e Giuseppe Pambieri. È invece una commedia pungente sul teatro e i suoi retroscena Il divo Gerry di Noël Coward nella versione firmata da Francesco Macedonio ed interpretata da Gianfranco Jannuzzo. Arriva poi sulle scene, quello che all’epoca fu un film scandalo: Il Laureato nell’adattamento di Antonia Brancati e Francesco Bellomo, diretto da Teodoro Cassano, con Giuliana De Sio e Giulio Forges Davanzati. Arrivano poi I due gemelli veneziani di Godono con Massimo Dapporto, regia di Antonio Calende. I luoghi grigi e claustrofobici della decadente aristocrazia intellettuale russa, messa in ridicolo da Dostoevskij nel La casa degli idioti di Tato Russo da Fedor Dostoevskij. In un confronto generazionale tra padre e figlio, Geppy Gleijeses e il figlio Lorenzo si misurano con il repertorio di Eduardo De Filippo, scegliendo Ditegli sempre di si accompagnati in scena dalla duttilità recitativa di Gennaro Cannavacciuolo. Seguono un’ispirazione sospesa tra cinema e letteratura è la volta di I ponti di Madison County, diretta per la scena da Lorenzo Salveti, per l’interpretazione di Paola Quattrini e Ray Lovelock. È un’appassionata dedica ad un’icona del cinema di ogni tempo Marlene, l’omaggio alla Dietrich scritto da Giuseppe Manfridi, protagonista Pamela Villoresi, regia di Maurizio Panici. Ancora un omaggio con il testo originale di Tennessee Williams scritto per Anna Magnani – La rosa tatuata diretto da Francesco Tavassi, con Mariangela D’Abbraccio.

Maria Antonietta Amenduni


25 Maggio 2008

Cartellone 2008/09 del Teatro di Roma: una stagione di cambiamenti

Il direttore Artistico Giovanna Marinelli: “Un cambiamento di tendenza, nel rispetto del lavoro svolto per sei anni da Giorgio Albertazzi.

E’ un cartellone spiazzante quello proposto dal Teatro di Roma per la stagione 2008/09. “Un cambiamento di tendenza - ha affermato il Direttore Artistico del Teatro, Giovanna Marinelli - nel rispetto del lavoro svolto per sei anni da Giorgio Albertazzi, ma soprattutto dell' istituzionalità e dell'indipendenza del Teatro di Roma nel panorama cittadino e nazionale”. Questa affermazione sintetizza il percorso illustrato dal presidente dello stabile capitolino Oberdan Forlenza e dal neo direttore Giovanna Marinelli in occasione della presentazione del cartellone 2008-2009 del Teatro Argentina e del Teatro India; presenti anche gli assessori alla cultura di Comune, Provincia e Regione.

I due Teatri, India e Argentina, pur mantenendo la loro precisa identità, con questi cartelloni 2008-2009 si propongono come una stagione di cambiamenti, iniziati già lo scorso anno con il coinvolgimento di nuovi spazio teatrali (il Teatro Tor Bella Monaca che prima era gestito dall'ETI e l'apertura del Teatro Quarticciolo). Questa è la prima stagione, dopo ben sei anni, senza la direzione di Albertazzi di cui si manterrà la continuità soprattutto nelle scelte produttive e artistiche. Il primo vero spettacolo di questo cartellone è stato però proprio la conferenza stampa che ha visto uno triplo show ad opera di Gabriele Lavia, Pippo Dalbono e Massimo Popolizio. A tutto questo si è aggiunto il botta e risposta tra Marinelli/Proietti e Pietro Maccarinelli. Un'avventura da intraprendere, quella della direzione del Teatro di Roma, e un sogno nel cassetto: Gigi Proietti ad insegnare recitazione all'India o all'Argentina. Giovanna Marinelli lo ha spiegato nel corso della presentazione della stagione 2008-2009: "La mia grande aspirazione e' convincere Gigi Proietti a tenere qui, in forma stabile, la sua scuola di recitazione. Vorrei tanto che proietti tornasse al suo passato di grandioso docente, recuperando la sua famosa esperienza di laboratori che ha formato tanti bravi artisti, magari con un occhio di riguardo ai giovanissimi". La proposta non è stata accolta con favore dal regista Maccarinelli, il quale sostiene che ci sono già troppi attori da collocare provenienti dalle accademie e dalla scuola di cinema, e che non ha senso formarne di nuovi!

Tornando alla stagione, è comunque un cartellone che non ti aspetti. Se infatti da un lato sono molti i nomi riconfermati, dall'altro la prossima stagione del Teatro di Roma mira non solo ad un rinnovamento nelle strategie artistiche, ma soprattutto a rafforzare la propria immagine di fabbrica di cultura. Una nuova direzione, certo, ma anche "un nuovo percorso e una nuova tendenza", ha spiegato la Marinelli nel corso del suo intervento: " Per questo è necessario mostrare tutte le componenti di quello che è un lavoro complessivo. Questo è un progetto per la città di Roma e questo programma ne è la conferma perché dimostra la forte relazione con la città. In quanto direttore tecnico, propongo una linea editoriale innanzi tutto fondata sulla contemporaneità e la pluralità degli artisti e delle idee, perché il Teatro di Roma deve diventare il punto di incontro e di scambio tra i diversi aspetti del teatro tutto e poi fondata su una nuova immagine (anche grafica) che guiderà il prossimo triennio e che si avvarrà di nuove e migliori strumentazioni tecnologiche".

Non è un caso allora che il cartellone 2008-2009 si apra proprio all'insegna delle nuove produzioni: Filumena Marturano , il nuovo spettacolo di Luca De Filippo e Francesco Rosi, con Lina Sastri, in scena dal 9 ottobre al 16 novembre. A seguire, un'altra prima nazionale: Porcile, di Pier Paolo Pasolini, diretto da Massimo Castri dal 25 novembre al 21 dicembre. Con Molto rumore per nulla, Gabriele Lavia guiderà una compagnia di under 35 e inaugurerà la stagione del Teatro India, in scena dal 23 settembre al 19 ottobre, mentre il progetto Oggi verso domani aprirà le porte del teatro India a due giovani artiste romane, Marta Poggi e Lucia Calamaro, in scena dal 9 al 14 dicembre. Massimo Popolizio firma la la sua prima regia con Ploutos di Aristofane, uno spettacolo a cui partecipano insieme ad attori professionisti, i cittadini di Tor Bella Monaca. Un'importante novita', per il pubblico di ragazzi e famiglie, e' Pippi Calzelunghe, con la collaborazione artistica di Gigi Proietti, che da anni detiene i diritti italiani del personaggio tanto amato da grandi e piccini. Lo spettacolo debutterà in una prima nazionale assoluta dal 26 febbraio al Teatro Argentina, con la regia di Fabrizio Angelini. Ampio spazio e' dedicato a uno dei protagonisti della scena europea, Pippo Del Bono, che oltre a La Menzogna, una coproduzione del Teatro di Roma con l'Ert in programma all'Argentina, presenterà alcuni suoi film e realizzerà un laboratorio con Pepe Robledo.

Maria Antonietta Amenduni


25 Maggio 2008

Teatro Sistina, presentata la stagione 2008-2009 all’insegna delle riconferme.

“Hair Spray-Grasso… è bello”, “Gran Varietà Brachetti”, “Poveri ma belli”, Gigi Proietti, Flavio Insinna, Enrico Brignano, sono alcuni dei titoli e dei nomi in cartellone.

A distanza di quasi un anno dall’insolito colpo dei soliti noti, che ha visto Gigi Proietti espropriato della direzione artistica del Teatro Brancaccio, ci si aspettava da parte del teatro Sistina, un cartellone un po’ più incisivo che raccogliesse definitivamente il bacino d’utenza orfano del teatro di Via Merulana. Ma Gianmario Longoni, direttore artistico per la programmazione ed Enzo Garinei, direttore artistico per le produzioni, non se ne curano e per il 2008/09 propongono una stagione delle riconferme. Dopo un'annata che sta per concludersi con un incasso di circa 250 mila euro per 250 mila presenze (che lo riconfermano come il più frequentato d'Italia), il Teatro Sistina si prepara ad accogliere dal 30 settembre 2008 tanti spettacoli tra one man show, musical, commedie musicali e concerti. Molti anche i nomi che riconfermano la loro presenza da Arturo Brachetti a Massimo Ranieri, da Enrico Brignano a Raffaele Paganini solo per citarne alcuni. Tanti gli artisti presenti alla conferenza stampa.

A distanza di quasi un anno dall’insolito colpo dei soliti noti, che ha visto Gigi Proietti espropriato della direzione artistica del Teatro Brancaccio, ci si aspettava da parte del teatro Sistina, un cartellone un po’ più incisivo che raccogliesse definitivamente il bacino d’utenza orfano del teatro di Via Merulana. Ma Gianmario Longoni, direttore artistico per la programmazione ed Enzo Garinei, direttore artistico per le produzioni, non se ne curano e per il 2008/09 propongono una stagione delle riconferme. Dopo un'annata che sta per concludersi con un incasso di circa 250 mila euro per 250 mila presenze (che lo riconfermano come il più frequentato d'Italia), il Teatro Sistina si prepara ad accogliere dal 30 settembre 2008 tanti spettacoli tra one man show, musical, commedie musicali e concerti. Molti anche i nomi che riconfermano la loro presenza da Arturo Brachetti a Massimo Ranieri, da Enrico Brignano a Raffaele Paganini solo per citarne alcuni. Tanti gli artisti presenti alla conferenza stampa.

Il Teatro Sistina non poteva che inaugurare il cartellone 2008-2009 proprio con un musical: “Hair Spray-Grasso… è bello”. Con la regia di Massimo Romeo Riparo, saranno in scena Stefano Masciarelli e Giovanna D’Angi, l’esordiente protagonista femminile, ed al ballerino Simone Di Pasquale. Lo spettacolo debutterà il 30 settembre. Il ruolo di Masciarelli in travesty, come spiega Piparo, non sarà assolutamente una caricatura o una maschera. Staremo a vedere!
Dal 28 ottobre al 16 novembre debutta “Gran Varietà Brachetti”. A presentarlo lo stesso Brachetti, che batte sul fatto che non sarà solo in scena, ma sarà aiutato a rappresentare questa storia poetica e divertente sul mondo del varietà internazionale da una serie di artisti “pazzi e freaks” come li definisce lui: un trapezista, acrobati, rappers, ballerini, un mago folle. A coprire l’intero periodo delle festività natalizie, dal 25 novembre al 4 gennaio sarà “Poveri ma belli”, per la regia di Massimo Ranieri, che si dice “emozionato ed impaurito” per la sua prima regia e per il suo debutto in prosa e musica, nonché per l’eredità pesante di Dino Risi. Le musiche saranno di Gianni Togni, le coreografie di Franco Miseria. Protagonisti Bianca Guaccero, e Michele Carfora.

Dal 13 gennaio all’ 1 febbraio è la volta di “Senza Swing”, con la regia di Giampiero Solari e prodotto da Bibi Ballandi. Flavio Insinna, re dei pacchi di “Affari tuoi” presentando il suo lavoro, non resiste a chiamare accanto a sé Enrico Brignano suo compagno di studi alla scuola di Proietti. “Senza Swing” sarà una sorta di favola, ambientata in una caserma, con tanto di orchestra, sulla contrapposizione di chi fà le cose senza entusiasmo e chi invece ci mette l’anima. Dal 17 marzo al 5 aprile Gianluca Guidi e Lorenza Mario ed Enzo Garinei saranno i protagonisti di “Perché non facciamo l’amore?”. Lo spettacolo è tratto da un film del ’37, “On the Avenue”, da cui è stato ricavato il remake interpretato da Marilyn Monroe e Ives Montand, “Let’s make love” (1960). Appuntamento successivo, dal 14 aprile al 10 maggio con “Cenerentola” Un’altra regia di Massimo Romeo Piparo per un musical firmato nel 1957 dalla celebre coppia Rodgers e Hammerstein per la CBS, che vide come protagonista Julie Andrews. Di anni ne sono passati e al Sistina, la protagonista femminile sarà Roberta Lanfranchi. La stagione si chiude in bellezza, dal 14 maggio, con Gigi Proietti. Garinei lo presenta con una battuta: “dopo il pasticcio di Via Merulana… ” alludendo alla ormai tristemente nota vicenda del grande artista con il teatro Brancaccio di Roma. Lo spettacolo è lo stesso della scorsa stagione, andato in scena a “Tor di Quinto” quartiere romano che non gode di ottima fama e che ospita appunto il Gran Teatro. Intervento breve ma non privo di frecciatine quello di Proietti che conclude affermando “non so che altro dire, di conferenze stampa… stampe… stanche… ne ho fatte tante”, guadagnandosi ancora applausi e risate.

Tanti anche gli appuntamenti fuori abbonamento: dal 18 novembre al 23 novembre Paolo Conte in concerto, dall’8 gennaio all’11 gennaio “Ginger e Fred”, un omaggio di Raffaele Paganini a due colonne della danza e del cinema, dal 3 febbraio all’8 marzo ritorno di Enrico Brignano con “Le parole che non vi ho detto”, a marzo (data da definire) Renzo Arbore in concerto, dal 7 al 10 aprile Vinicio Capossela in concerto.

Maria Antonietta Amenduni


18 Maggio 2008

In Prima nazionale assoluta al Teatro India “E la notte canta” di Jon Fosse per la regia di Valerio Binasco.

C'è una luce particolare nelle opere di Fosse, che fa apparire chiaramente i contorni dei personaggi e delle cose.

Drammaturgo poeta e romanziere norvegese classe 1959, staziona nei piani alti del teatro contemporaneo e l’ascesa è stata rapidissima in patria, dove in dieci anni è diventato l’autore più rappresentato dopo Ibsen, e altrettanto veloce in Europa, Stati Uniti, Giappone, Australia. E’ Jon Fosse. In Italia ha trovato ampio consenso nei cartelloni di importanti rassegne teatrali, Nel 2004, il regista e attore Walter Malosti, con la messinscena di Inverno, uno dei testi più apprezzati dello scrittore scandinavo, ha ottenuto il Premio Ubu come migliore novità drammaturgia straniera.
In Prima nazionale assoluta ha debuttato martedì 13 maggio al Teatro India, dove resterà in scena fino all’8 giugno, lo spettacolo “E la notte canta” di Jon Fosse, per la regia di Valerio Binasco, che è anche interprete insieme a Frédérique Loliée, Milvia Marigliano, Aldo Ottobrino, Fabrizio Contri.

C'è una luce particolare nelle opere di Fosse. Una luce livida, come quella di un'eclissi di sole, che, nondimeno, fa apparire chiaramente i contorni dei personaggi e delle cose. Il numero dei personaggi non è mai elevato: due, tre, al più quattro persone insieme. La concentrazione così aumenta, la percezione è più acuta. Il tempo sembra rallentare nell’universo da lui costruito. Tutto questo fa vivere nelle sue pièces istanti di grandi emozioni, dove l'autore raggiunge la meta prefissata: "creare momenti in cui un angelo sta per passare in scena”.
E la notte canta è una storia d'amore, di perdita e di bisogno intenso di una coppia che sviluppa il proprio difficile rapporto nel tempo di un pomeriggio e una notte. Sono “scene da un matrimonio” calate in una struttura teatrale formidabile, che rende evidente come la convinzione di poter risolvere ogni problema attraverso una buona comunicazione sia una delle nostre principali illusioni.

Jon Fosse è il maggior drammaturgo norvegese vivente ed è tra le rivelazioni della scena europea degli ultimi anni. Le coordinate del suo scrivere per il teatro mirano a "intensificare il rapporto tra la scena e lo spettatore, creare qualche cosa di sconvolgente utilizzando il minimo di mezzi".
Valerio Binasco, come per Qualcuno arriverà, l’altro testo di Fosse da lui allestito la scorsa stagione a Genova, anche per E la notte canta prepara una messa in scena che punta dritto all’anima del testo e, senza soccombere alla seduzione di presunte letture psicologiche o puramente stilistiche, segue di pari passo la suspence con cui l’autore lega personaggi e accadimenti, in un movimento musicale lento e lacerante, per mettere in luce il progredire più nascosto delle vicissitudini umane.
La notte di cui parla il testo è quella definitiva per la coppia di sposi (Valerlo Binasco e Frédérique Loliée), quella, anche, che vede infrangersi il loro ultimo sogno di possibile felicità.
All’interpretazione concettuale, Binasco preferisce una lettura reale e umana della storia, non per scartare la dimensione più profonda del testo, quel qualcosa che sfugge e sempre sottostà alla trama e la rende teatro che ci riguarda, ma per farlo più efficacemente lievitare.

Secondo Valerio Binasco, come scrive nelle sue note di regia: “…la logica elementare e la trasparenza dei dialoghi di Fosse mi fanno venire in mente una cosa che Borges in un’intervista ha detto un giorno di Calvino, una cosa che diceva più o meno così: ‘attraverso la logica, apre la porta alla pazzia’. Ciò a cui i personaggi di Fosse si ribellano è la pazzia.Ciò a cui si arrendono è la pazzia. In Spettri di Ibsen, siamo minacciati dall’arrivo della pazzia perché il personaggio ha la sifilide. E ha la sifilide perché è un peccatore. Ed è un peccatore perché suo padre lo era. Siamo pieni di perché. Questo dannato Fosse ci mette solo la minaccia della pazzia, e nemmeno la nomina mai. La paura della pazzia, perché la pazzia è un incubo, fa parte di quel qualcosa che sta nascosto”.

Maria Antonietta Amenduni


16 Maggio 2008

Beijing People’s Art Theatre: I love peach blossoms di Zou Jimgzhi



Appuntamento il 24 e 25 maggio al Teatro Studio dell’ Auditorium Parco della Musica, alle ore 21 con Beijing People’s Art Theatre e lo spettacolo “I love peach blossoms” di Zou Jimgzhi.
Fondato nel 1952, il Beijing People’s Art Theatre ha allestito più di trecento opere in stili diversi, inclusi lavori di autori stranieri, acquistando fama crescente grazie alla rappresentazione di opere di giganti della letteratura cinese come Guo Moruo, Lao She, Cao Yu e Tian Han. Nel corso di più di mezzo secolo di esplorazioni artistiche, la compagnia ha dunque sviluppato un proprio stile caratteristico che combina e unifica il realismo con le peculiarità del teatro nazionale.
I love Peach Blossoms racconta una storia di amore e tradimento ambientata in epoca Tang (618-907 d.C.). Zhang Ying è un ufficiale dell’esercito, la cui moglie ha una relazione con un giovane di nome Feng Yan. Una notte Zhang Ying torna a casa ubriaco e la moglie nasconde Feng, senza accorgersi che il marito si è sdraiato sul copricapo dell’amante. Volendo scappare, Feng cerca di far capire a gesti alla donna di recuperare il suo copricapo, ma lei equivoca e pensa che l’amante voglia la spada del marito per ucciderlo. Estrae furtivamente la spada e la porge a Feng. “Io volevo solo il mio copricapo, e tu mi passi una spada”, pensa. “Che senso ha amare una donna simile?”. E con la spada uccide la donna.
La storia è un pretesto: il tema della relazione fra amanti diventa oggetto di dibattito tra attori e attrici in un teatro moderno.
Regia: Ren Ming
Aiuto regista Xu Ang
Personaggi e interpreti
Feng Yan: Xu Ang
Moglie di Zhang Ying: Bai Shanyuan
Zhang Ying: Yu Zhen
In lingua originale con sottotitoli in italiano
Biglietto unico 12 euro. Tel. 06-80241281. www.auditorium.com

Maria Antonietta Amenduni


16 Maggio 2008

“L’ultima radio”, one man-show radiofonico di Tullio Solenghi in scena al Piccolo Eliseo.




Maria Antonietta Amenduni


18 Maggio 2008

Casalinghi Disperati in scena al Teatro Testaccio.



Se non ci bastavano le casalinghe disperate, ora un po’ per vendetta e un po’ per allegria, I Picari, presentano “Casalinghi Disperati - Desperate househusbands” Di Cinzia Berni e Guido Polito; uno spettacolo di Roberto D’Alessandro, in scena con Gianni Cannavacciuolo, Nicola Padano, Mauro Serio, per la regia di Renato Giordano. Lo spettacolo sarà in cena al Teatro Testaccio dal 20 maggio al 1 giugno 2008. Alberto, Giulio e Luigi sono tre uomini intorno ai quarant’anni che vivono loro malgrado nello stesso appartamento messo a disposizione dal comune ad affitto agevolato. Alberto è separato e passa gli alimenti a moglie e due figli, Giulio non è separato ma ha un figlio adulto a cui pensare ed infine Luigi è mantenuto dalla sua ex moglie, tutti e tre non hanno abbastanza soldi per potersi permettersi un appartamento da soli. In questa “casa-famiglia” i tre hanno trovato un loro equilibrio, orari per il bagno, turni in cucina e per la pulizia, spesa..etc...a rompere questo equilibrio arriva una sera Attilio, loro vicino cacciato di casa dalla moglie. Chiede loro ospitalità i tre riluttanti accettano, questo sarà la fine del loro equilibrio e l’inizio di una serie di situazioni tragi-comiche.

“Lo spettacolo mira ad analizzare l’universo degli uomini separati (i cosiddetti padri invisibili) – afferma il regista Renato Giordano - spesso costretti a pagare gli alimenti ad ex moglie e figli non gli resta abbastanza per vivere, così i comuni sempre più spesso mettono a disposizione degli alloggi per questa nascente categoria sociale. Il ruolo della donna cambiando ha inevitabilmente cambiato anche il ruolo del maschio, che è sempre più confuso e disorientato. La paternità viene oggi vissuta con uno spirito nuovo e meno passivo, così gli uomini rivendicano il diritto di stare vicino ai loro figli, soffrono quando questo non accade e spesso sono vessati e prevaricati dal cosiddetto sesso debole. In quest’ottica viene letta la vicenda dei quattro protagonisti della commedia Casalinghi Disperati che cerca sempre in chiave comica, come si addice a I Picari, di affrontare un tema delicato e quanto mai attuale”.
Info: www.ilteatrodeipicari.com www.robertodalessandro.it

Maria Antonietta Amenduni


18 Maggio 2008

Al Manzoni, Martufello in scena con “I casi sono due”.



Si conclude in allegria la stagione del Teatro Manzoni, dal 20 maggio al 15 giugno, con la comicità romana di Martufello in “I casi sono due” di Armando Curcio, versione di Marina Curcio e Lello Vinello, per la regia di Silvio Giordani. In scena con Martufello, anche Sandra Caruso, Carlo Ettorre, Lucia Ricalzone, Enzo Casertano, Tito Manganelli, Antonio Fulfaro, Filippo Valastro, Anna Tognetti, Claudia Cirilli.
Divertente commedia sul desiderio di paternità e gli incidenti in cui può incorrere chi tenta di appagarlo.
E’ il capolavoro di Armando Curcio che fu portato al successo dal grande Peppino De Filippo.
Il personaggio centrale della commedia è quello del rozzo, furbo e bugiardo, Gaetano Esposito, cuoco del barone Ottavio del Duca. Gaetano improvvisamente viene elevato al rango di baronetto, quando si scopre che potrebbe essere il figlio segreto di un amore di gioventù del barone.
Il “burino” diventa barone per caso...Ma i casi sono due!
Ecco apparire all’orizzonte un altro pretendente al titolo, ed è più credibile di Gaetano stesso, che dopo questa nuova “rivelazione” torna a rivestire i panni di cuoco….
Ma chi sarà dei due il vero baronetto?
Una serie di indizi lo sveleranno, attraverso dialoghi e situazioni esilaranti, prima dell’immancabile finale a sorpresa.
Il personaggio di Gaetano è affidato ad un comico straordinario, amato e apprezzato da tutti: Martufello.
In scena al Teatro Manzoni (via Monte Zebio 14/c, tel. 06.3223634) dal 20 maggio al 15 giugno . Orario spettacoli: dal martedì al venerdì ore 21, sabato ore 17-21, domenica ore 17.30. (il giorno 5 giugno ore 17 e ore 21.). Biglietto intero euro 23,00 ridotto euro 20,00 prevendita euro 1,00.

Maria Antonietta Amenduni


14 Maggio 2008

Umberto Orsini e Giovanna Marini tornano in scena al Teatro Eliseo con “La ballata del carcere di Readin”, celebre componimento poetico di Oscar Wilde, scritto dopo la sua scarcerazione il 19 maggio 1897 dalla prigione di Reading.



E frattanto la calce ardente
Gli divora carne e ossa,
Divora le fragili ossa la notte,
E il giorno, la tenera carne,
Carne e ossa li divora a turno,
Ma il cuore lo divora senza sosta.

Tratto da “La ballata del carcere di Reading” di Oscar Wilde

La ballata del carcere di Reading è un celebre componimento poetico di Oscar Wilde, scritto dopo la sua scarcerazione il 19 maggio 1897 dalla prigione di Reading. Dopo il successoria riscosso, ritorna al Teatro Eliseo per il Progetto Teatro e Carcere, dal 13 al 18 maggio, lo spettacolo cult La ballata del carcere di Reading con gli acclamati protagonisti Umberto Orsini e Giovanna Marini diretti da Elio De Capitani.

Nel 1895, Oscar Wilde, in seguito a una causa per diffamazione da lui intentata al duca di Queensberry, fu a sua volta accusato di comportamento contrario alla morale pubblica a seguito della sua omosessualità, e condannato a due anni di lavori forzati, che scontò nella prigione di Reading nel Berkshire. Questa terribile esperienza, da cui non si riprese mai (morì pochi anni dopo), è all’origine della di questo bellissimo testo, una delle sue opere più autentiche, più sincere e commoventi.

Il tema chiave sul quale è incentrato il testo, è la pena di morte; a questo si unisce il senso di alienazione di ogni detenuto, costretto a compiere quotidianamente azioni ripetitive volte alla pura e semplice sopravvivenza. Fu anche testimone dell'impiccagione di Charles Thomas Wooldridge, uno tra i pochi uomini che conobbe durante la detenzione. L’uomo era stato incriminato per omicidio (aveva tagliato la gola alla moglie con un rasoio). Tutto ciò suscitò in Wilde una profonda riflessione sulla maniera in cui tutti possiamo considerarci malfattori, in cui tutti abbiamo bisogno di essere perdonati. In questa prospettiva, i crimini più gravi, necessitavano del più grande perdono. La sua profonda fede nella vita come un'opera d'arte (life as a work of art), che fino a quegli anni rappresentò la pura espressione dell'estetismo mondiale, divenne da quegli anni così tremendamente pessimistica che continuò a logorarlo anche dopo la sua scarcerazione, fino alla sua morte.

La Ballata apparve a Londra nel febbraio del 1898. Come pseudonimo Wilde scelse la sigla C.3.3., il suo numero di matricola da carcerato. Un lamento poetico, esistenziale: narra la storia dell’impiccagione di un giovane detenuto colpevole di omicidio e delle reazioni dei suoi compagni di pena. Nel testo si susseguono due parti: quella che descrive la convivenza con un condannato a morte ed evoca il rituale assurdo e feroce dell’esecuzione, e quella che contiene la meditazione, profondamente religiosa, sui mali del mondo e sulla redenzione, la presenza di Cristo accanto a tutti coloro che, pur colpevoli, sono passati dalla parte delle vittime nel momento in cui sono stati rinchiusi in una prigione. Il testo evoca entità metafisiche, i fantasmi che perseguitano i prigionieri la notte. L’esecuzione dell’indomani, il senso della tentazione: tutto si fonde a suscitare il rimpianto, a impedire il sonno.

Umberto Orsini e Giovanna Marini danno voce ai versi di uno dei grandi della letteratura, raccontando, con il ritmo di una ballata popolare, il dolore, il desiderio di amore e di bellezza, gli orrori della repressione. Una lettura/spettacolo, che grazie all’incisività dei suoi due protagonisti traduce teatralmente il testo, senza intaccarne la poesia. La voce e il carisma di Orsini, uniti all’esecuzione di brani in inglese da parte della Marini, esaltano ulteriormente la bellezza di un testo già ricco di ritmo e delicate strutture narrative. Stili musicali differenti impreziosiscono questo lavoro dalla giga irlandese a Schubert, sino ai Beatles. Elio De Capitani, all’interno di una scenografia essenziale, studia un percorso fatto di accurate geometrie, di spostamenti dei due protagonisti, alternati da luci, ombre e radenti bui improvvisi. Un percorso mentale ed intellettuale, che si insinua prima delicatamente e poi insistentemente anche nel cuore.

Maria Antonietta Amenduni


11 Maggio 2008

Christian De Sica nuovamente in scena al Sistina con “Parlami di me” un omaggio al teatro e, allo stesso tempo, un’occasione per De Sica per raccontarsi come artista e come figlio d’arte.



E’ un ritorno quello di Christian De Sica al Teatro Sistina di Roma, dal 13 al 25 maggio, con il musical “Parlami di me” scritto da Maurizio Costanzo ed Enrico Vaime, per la regia di Marco Mattolini. Dopo due stagioni, Christian De Sica torna al Sistina dove ha debuttato il 27 febbraio del 2007; da allora è andato in scena nei teatri di tutta Italia, incassando 5 milioni di euro e raccogliendo ben 155 mila spettatori. “Parlami di me” è un omaggio al teatro e, allo stesso tempo, un’occasione per De Sica per raccontarsi come artista e come figlio d’arte. Un’ora e quaranta minuti in cui è sempre in scena, accompagnato da un’orchestra di venti elementi, diretti dal Maestro Tiso, e da una compagnia di dodici artisti.

Il musical si snoda lungo il filo della memoria di Christian De Sica, tra i ricordi della sua infanzia, il rapporto con il padre protagonista di tante pellicole di successo, e la sua volontà di intraprendere la carriera artistica, superando anche l'ingombrante presenza di un genitore così importante. Le immagini del padre scorrono e Christian parla con lui, raccontando l'ambiente del teatro e del mondo dello spettacolo, con i suoi luoghi comuni, ma anche con la difficoltà di andare avanti in un lavoro non facile. Con Christian De Sica in scena Laura Di Mauro e Paolo Conticini e con Mara Ariani Mazzei, Stefania Caracciolo, Simone Tuttobene, Fabio De Filippis, Alex La Rosa, Davide Marrone, Chiara Monteforte, Zheren Pan, Laurence Patris, Gioia Vicari. Le scene sono di Mario Catalano, le coreografie di Franco Miseria, i costumi di Laura Costantini, il disegno luci di Gianni Mastropietro.

“Christian è sicuramente nel momento più alto della sua maturità artistica - scrive Maurizio Costanzo - e se al suo esordio qualcuno poteva affermare che in alcune cose si rifaceva al papà, adesso del grande Vittorio, Christian ha il carisma, la professionalità e un talento affinatosi sempre più. De Sica è in palcoscenico per la seconda volta, ma ora con un musical che attraversa alcune sue esperienze ma principalmente parla, sorride, ironizza sul teatro. Teatro: grande amore di Vittorio De Sica, di Christian, di Enrico Vaime, di Marco Mattolini e del sottoscritto. Il teatro che, via via che ci inoltriamo negli anni delle estreme tecnologie rilancia la sua sfida di sempre: “Tu, hai voglia di venire a sentire cosa ho da dirti salendo su alcune tavole mentre tu appena più in basso, mi guardi?”.

Gli autori hanno giocato, come diceva Vittorio Gassman, sull’idea che “Il teatro è una zona franca della vita, sulle tavole del palcoscenico la morte è lontana”; ecco infatti cosa ha scritto ancora Costanzo: ”Ci siamo appassionati De Sica, Vaime, Mattolini ed io nel comporre, nel realizzare questo spettacolo convinti che il palcoscenico è l’unica disciplina che accetta il passare degli anni (Arnoldo Foà, Giorgio Albertazzi, Mario Scaccia, solo per fare tre nomi) e consente quindi di vivere la maturità e non solo rimanendo sul palcoscenico. Nello spettacolo ricordiamo una frase che spesso ha mormorato Vittorio De Sica: “Eh, gli attori vanno capiti, perchè sono degli eterni bambini”. E così, proviamo a trasferire quello che è stato il nostro piacere, il nostro divertimento a quanti vorranno assistere allo strano esperimento rappresentato dalla nascita di uno spettacolo. Attenzione: soltanto una storia come un'altra ma con la differenza che qui si apre il sipario, si accendono le luci e ci si ritrova, finalmente, in un’altra dimensione.”

Il regista Marco Mattolini afferma: “Parlami di me” non è un recital anche se dispone di un’orchestra dal vivo di venti elementi e propone alcuni pezzi forti del repertorio di Christian De Sica. Non è un one man show, anche se il protagonista si cimenta con tutti i generi dello spettacolo dal vivo, e nemmeno lo stand up di un mattatore in vena di ricordi, ma un musical vero e proprio che, attraverso l’esperienza e i gusti di questo particolarissimo figlio d’arte, parla del teatro e degli attori, con affettuosa ironia e convinta partecipazione…Se, mi consentite un’alata metafora che presta pericolosamente il fianco ai commenti più maligni, direi che la ricetta di questo spettacolo può contare su ingredienti di prim’ordine: uova freschissime, latte appena munto, formaggio di prima qualità. Si punta ad un nobile souffle, speriamo che non esca fuori una semplice frittata, che è pur sempre buonissima”.

Maria Antonietta Amenduni


4 Maggio 2008

Chantecler, la favola di Edmond Rostand, per la regia di Armando Pugliese, in scena al Teatro Arnentina



Nel 2007 ha vinto il Premio ETI – Gli Olimpici del Teatro come Miglior musical o commedia musicale. Per quanto “Gli Olimpici” sino ad oggi molto criticati, perché da più parti giunge la lamentela che siano una lobby e che non rappresentino realisticamente quello che è il panorama teatrale italiano, bisogna riconoscere che Chantecler, per la regia di Armando Pugliese, questo premio se l’è meritato. Era da diversi anni che Armando Pugliese voleva mettere in scena questo testo di Edmond Rostand quasi mai rappresentato in Italia, e ora dopo il successo già riscosso, lo spettacolo torna in scena, a Roma, al Teatro Argentina in scena dal 6 al 18 maggio.

Nel serrato confronto fra l'istinto animale primario, che si struttura in una organizzazione sociale gerarchica e composita, ed i comportamenti umani che direttamente da quell'istinto derivano, risiede tutto il fascino di Chantecler: Rostand infatti, con questo testo, va oltre la favola apologo degli immortali Esopo o La Fontaine, per collocarsi in un dominio letterario, in un’esplosiva vitalità teatrale che offre possibilità più vaste: ampi squarci di grande poesia si intrecciano ad un tessuto drammaturgico avvincente, che suggerisce infinite possibilità di messa in scena.

Armando Pugliese racconta così il suo spettacolo: “La scenografia, che invade palcoscenico e parte della platea, per la composizione dei quattro climi di cui è composto il lavoro, è strutturata in base a costruzioni elementari ma significative: le immagini dovranno scaturire dall'utilizzo delle più svariate fonti di luci attualmente conosciute, non necessariamente di sola pertinenza della pratica teatrale. La colonna sonora, sia registrata che dal vivo, coniuga i risultati della moderna ricerca elettronica a suoni primordiali di strumenti arcaici ed evocativi. La realizzazione di costumi molto sofisticati vuole mantenere inalterato il fascino degli straordinari costumi concepiti per il debutto del 1910 a Parigi, trasformandoli peraltro con segni e connotazioni di una lettura attuale”.

Il regista ha parole lusinghiere (naturalmente!), anche per gli attori: “L’impegno degli oltre venticinque attori della compagnia si concentra non solo sul recitato, ma ancor di più su di una prova di voce ispirata ai suoni ed ai versi propri agli animali che ciascuno si trova ad interpretare. Le coreografie ricreano i ritmi, le espressività, i rapporti spaziali e comportamentali dei vari mondi animali che compongono il poderoso affresco”.

Uno degli aspetti accattivanti di questo spettacolo è l’assoluta libertà di fantasia, concessa dalla collocazione spazio-temporale: “In qualsiasi luogo lo spettacolo venga rappresentato – afferma il regista - tutto diventerà palcoscenico e così ciascun luogo di rappresentazione sarà di conseguenza cortile, palude, giardino, foresta, cielo, etc. per lo spettatore che, realisticamente coinvolto dall'insieme, si troverà trasportato in una serie di mondi, in cui sarà capitato per caso e che sarà meglio osservare senza farsi individuare...Nell'ininterrotto flusso dialettico che si va a sviluppare tra la ricettività del pubblico e l'effettivo, fisico concretizzarsi dei vari mondi animali risiede la magìa del percorso che lo spettatore si troverà ad intraprendere e la solare parabola dell'autore emergerà dai segni violenti ed intensi dell'interpretazione della Compagnia, guidati con grazia dalla finissima ironia che emana dai versi di Edmond Rostand”.

Lo spettacolo ha un impianto estremamente lineare. Nella piccola comunità animale, il galletto Chantecler è il leader naturale, poiché ogni mattina dà la sveglia al sole e alla vita del bosco. Tutti i membri della comunità lo rispettano,, ma il gallo non sa ancora che molti tramano contro di lui, per le solite motivazioni che sono una caratteristica anche del genere umano: gelosia e insofferenza alla sua autorità. A dimostrargli tutto il loro amore, in primis c’è la bella fagiana innamorata di lui, e la vecchia chioccia che l'ha covato. Informato della congiura imminente, Chantecler decide di affrontarla. Ciliegina sulla torta dello spettacolo è l'arrivo dei galletti combattivi liberati da un pollaio.

Un buon lavoro di Armando Pugliese. Si denota chiaramente l’affiatamento tra gli attori, ed è palese il fatto che in scena sono loro i primi a divertirsi; di conseguenza è facile contagiare il pubblico. Gli interpreti tutti giovani e piuttosto bravi, giocano bene e misuratamente tra ironia e malinconia. Molto belli e fantasiosi anche i costumi di Silvia Polidori, e le scenografie di Andrea Taddei. Ma è soprattutto il testo a divertire, brillante, scoppiettante, ironico e malinconico allo stesso tempo. Con Pietro Bontempo, Carla Cassola, Ernesto Lama, Imma Villa, Rossana Bonafede Giovanni Carta, Gilles Coullet, Daniele Gonciaruk, Olivia Spigarelli, Agostino Zumbo

Maria Antonietta Amenduni


28 Aprile 2008

Una inesorabile danza tra dolore, tormento e sofferenza, alla ricerca della speranza: “Battesimi – dell’acqua e del coraggio”, in scena al Teatro Eliseo



Sul finire di stagione, il Teatro Eliseo di Roma, propone lo spettacolo Battesimi – dell’acqua e del coraggio, titolo dell’ultima creazione della coreografa e danzatrice Michela Lucenti e del suo Balletto Civile, in scena dall’8 all’11 maggio. Uno spettacolo insolito, una proposta innovativa, che è un accurato percorso psicologico condotto mediante una danza che è una sorta di rituale collettivo, atto ad esplorare la propria interiorità.

Liberamente ispirato a Le Troiane di Euripide, Battesimi è uno spettacolo di teatro-danza in cui Michela Lucenti, qui coreografa, danzatrice e ideatrice dei canti, riconferma, dopo il successo di I sette a Tebe di Eschilo (2006), il suo impegno artistico nell’analisi e nell’attualizzazione dei temi della tragedia classica. Battesimi vede impegnati undici giovani danzatori-attori che si esibiscono in originali coreografie rese ancora più suggestive dall’irruzione dell’acqua, azionata da macchine progettate perché la scena venga progressivamente bagnata, tinta e spazzata via con i suoi interpreti.

Le Troiane sono una lamentazione,l’elaborazione di un lutto. Una tragedia senza azione, un’epopea rovesciata dove tutto è già avvenuto e non resta che un'elegia funebre ed ancestrale. La guerra è finita, restano le donne il cui destino verrà tirato a sorte. Protagonisti della nostra storia sono le seconde linee dei valorosi greci conquistatori e ciò che resta della famiglia reale troiana, Ecuba le sue figlie e Priamo redivivo. Un popolo che ha una sola possibilità per ricominciare: stare lì, rimanere dove nessuno vorrebbe essere, in un luogo di sospensione ben poco mitico, uno spazio tra la guerra e un nuovo equilibrio. il canto di una comunità di persone che non valgono più nulla di fronte alla storia che ritorna, ma sono solo sassi che ostacolano gli ingranaggi della macchina retorica che vorrebbe la guerra e poi subito la pace, la pace e poi subito la guerra.

Battesimi ridisegna questo luogo di confine, epifanico, dove ci si accorge che un cambiamento è ormai maturo, dove si dilata l’istante in cui si chiude un ciclo e si crea il raccordo, il legame, per ricominciare quello successivo. È l’ultima spiaggia di un accampamento dove non succede niente. Un grande tappeto d' erba finta, sintetica, dove non cresce e non si evolve più nulla se non la lenta resurrezione, l’improvvisa e imprevista rinascita di un popolo vivo e fiero, giovane e di nuovo bambino, pronto a far tremare le ceneri sotto le rovine. Un fazzoletto di finta convivenza e di finta ricostruzione dove un gruppo di donne spaurite danzano legate alle loro borsette, ostaggio di un esercito di uomini, di ragazzoni allampanati che non conoscono gli orrori della guerra che ha sterminato le loro famiglie, e una stirpe nobile che sta scomparendo traccia alla cieca gli ultimi segnali di fumo per salvarsi da marinai persi davanti al vuoto.

Azioni semplici e misteriose diventano il punto di partenza, il motore di tutto il movimento. La forza del corpo e i canti sono l’eco di qualcosa di troppo grande per essere compreso, un esodo che si spinge verso una linea sacra di demarcazione per buttarsi, immergersi senza pentimento nella gioia scivolosa della vita, grazie al coraggio di una scelta, al coraggio di un atto semplice come quello di lavarsi la faccia con l'acqua fresca,che irrompe sulla scena come elemento puro, spirituale e laico allo stesso tempo, ed è elemento presente, testimone del cambiamento, che alla fine spazzerà via e renderà fertile la scena e i suoi interpreti.

Uno spettacolo che sfida il dolore, sofferenza e tormento. Della gloriosa Troia è rimastas solo la cenere. In questo rituale di gruppo in cui gli attori ballerini sono i fantasmi di una civiltà caduta, bisogna trovare proprio il coraggio di risorgere da quelle ceneri. Con Francesco Gabrielli, Emanuele Braga, Maurizio Camilli, Emanuela Serra, Yuri Ferrero, Michela Lucenti, Ambra Chiarello, Alice Conti, Massimo Guglielmo Giordani, Damiano Madia,Lisa Pugliese

Maria Antonietta Amenduni


28 Aprile 2008

Liberata: una “santa” dei giorni nostri.

In scena all’ Argot Studio, la compagnia del Teatro dell'Argine di Bologna, con lo spettacolo “Liberata” scritto e diretto da Nicola Bonazzi. Con Micaela Casalboni, Andrea Gadda, Giulia Franzaresi e Frida Zerbinati.

Uno spettacolo intrigante e doloroso. E’ in scena al teatro Argot, “Liberata”, spettacolo scritto e diretto da Nicola Bonazzi. La scene è scarna, essenziale, desolante al punto giusto da immergere immediatamente lo spettatore nell’atmosfera dello spettacolo. Una nenia cantata da due bambine, un uomo disteso al suolo, forse morto o forse solo addormentato, una donna che prega sommessamente. All’inizio dello spettacolo, ci si sente quasi spettatori in punta di piedi, li appostati a “spiare” le vite di quattro personaggi quasi onirici. L’ambiente è quello di una provincia degradata e dai contorni sfumati; un tempo indefinibile, in bilico tra passato e presente; I personaggi hanno nomi insoliti, curiosi, quasi surreali come appaiono all’inizio i loro caratteri: Liberata, Italo, Primo, Fiorina. Poi ci si immerge nello spettacolo, nel racconto, e nelle vite di queste quattro anime, che di surreale, in definitiva hanno ben poco.

Un gioco a metà strada tra teatro e arte circense. I personaggi si affaccino alla ribalta uno alla volta, per raccontare la loro versione dei fatti, fino a ricostruire, un pezzo la volta, un puzzle terribile e doloroso. Si presentano al pubblico quando tutto è già finito, costretti a narrare in modo convulsivo la loro storia, e a scontare in tal modo ognuno la propria pena. Montano il loro spettacolino circense per un pubblico vorace, che, più che guardare, li spia con laida attenzione. Ogni tanto salgono le note di qualche motivetto popolare o le melodie celebri di qualche melodramma da salotto.

E intanto i personaggi raccontano... Raccontano della solitudine di Liberata, personaggio casa e chiesa, che gestisce una giostra in riva al mare, poco lontano dalla smagliante lucentezza delle località turistiche. Una vita fatta di poche soddisfazioni, del suo terreno di cui e proprietaria e che affitta agli altri giostrai. Lei, ormai convinta e rassegnata alla sua solitudine, non riesce a credere che un bell’uomo possa interessarsi a lei, togliendole di dosso l’etichetta di “zitella”. La sua vita infatti, viene stravolta dall'arrivo, dalla pianura fumosa di nebbia, di uno squattrinato perdigiorno che si chiama Italo, “come l'Italia”, e delle sue due figlie, angeli della disperazione, bambine costrette a diventare grandi anzitempo. Raccontano dell'amore tra Liberata e Italo, un amore che diventa presto sopraffazione, perché il benessere tanto sognato non arriva e bisogna pur sfogarsi in qualche modo.

Raccontano della leggenda medievale di Santa Liberata, una giovane donna che, per scampare alle nozze cui il padre la costringe, invoca un miracolo dal cielo. Dio, le dona una fluente barba. Il futuro sposo la ripudia; il padre, furioso, decreta una vendetta esemplare: la donna barbuta morirà inchiodata a una croce, ma sarà, finalmente e per sempre, Liberata. Raccontano di come la moderna Liberata, prima di soccombere sopraffatta dal martirio, compia il miracolo di salvare Italo dal degrado totale, e di come le due bambine, rimaste sole, possano ricominciare l'estenuante gioco di soprusi e umiliazioni. Così, la prossima volta, il racconto potrà riprendere dallo stesso punto. In eterno.

I quattro protagonisti Micaela Casalboni, (Liberata), Andrea Gadda(Italo), Giulia Franzaresi e Frida Zerbinati (Primo e Fiorina), risultano essere tutti molto incisivi espressivi e con una imponente presenza scenica. Uno spettacolo, bello e doloroso allo stesso tempo, intrigante, affascinante e sconvolgente, nonché una piacevolissima riscoperta teatrale. Dopo "Tiergartenstrasse 4. Un giardino per Ofelia" e i due spettacoli del progetto "Italiani ci'ncali", la Compagnia del Teatro dell'Argine di Bologna, è tornata proprio a Roma con “Liberata” scritta e diretta da Nicola Bonazzi. Giusta ed efficace la regia, a metà tra teatro e circo che propone idee e spunti interessanti, che avvalorano un testo dalla bellezza rara. Sul palco dell'Argot Studio, dal 22 aprile all'11 maggio. Da non perdere.

Santa Liberata, o Librada, è venerata come santa dalla Chiesa cattolica.
Secondo la tradizione agiografica era era figlia di Lucio Catelio Severo, console di Roma e governatore del nord-est della penisola iberica nel 122, e della moglie Celsia. La madre avrebbe partorito Liberata insieme ad altre otto gemelle, ma temendo di essere accusata di infedeltà coniugale, subito dopo il parto, avrebbe dato incarico alla levatrice Sila di annegare le figlie. La levatrice, di fede cristiana, non obbedì e battezzò le gemelle con i nomi di Ginevra, Vittoria, Eufemia, Germana, Marina, Marciana, Basilisa, Quiteria e Liberata. Tutte e nove, dopo innumerevoli peripezie, morirono come martiri sotto il regime dell'imperatore Adriano. La tradizione iconografica la raffigura inchiodata su una croce, supplizio con il quale probabilmente subì il martirio.

La leggenda
La leggenda narra di questa donna molto pia e devota, che era stata obbligata dal padre, che invece era pagano, a sposare il re di Sicilia anch'egli pagano. Naturalmente la sua devozione la spinse a rifiutare questo matrimonio e a chiedere l'aiuto a Dio per evitarlo. La notte prima del matrimonio pregò così intensamente che l'indomani si svegliò con una folta barba che fece scappare il promesso sposo. Il padre vedendo che la fede della figlia era così forte da disobbedire al suo volere la fece crocifiggere.

Venerazione
Il culto delle nove sante si diffuse a partire dal 1564, ad opera del vescovo di Tuy, Giovanni Sanmillàn. Nel 1688 il vescovo Ildefonso Galaz Torrero riconobbe, mediante un editto, la necessità di celebrare la ricorrenza della morte delle sorelle. Il corpo di santa Liberata è attualmente conservato nella cattedrale di Sigüenza, in Spagna. Alla santa è attribuito il potere di allontanare i pensieri tristi, e, per estensione, la capacità di liberare da ogni infermità o afflizione; la tradizione cattolica la considera una figura portatrice di pace e di serenità. L'emblema della santa è il giglio. La festa liturgica si celebra l'11 gennaio o il 20 luglio.

Maria Antonietta Amenduni


28 Aprile 2008

“Il Mondo deve sapere – romanzo tragicomico di una telefonista precaria”, in scena al Piccolo Eliseo.



Paolo Virzì, ha preso spunto da questo romanzo per il suo bellissimo film “Tutta la vita davanti”. Ora “Il Mondo deve sapere – romanzo tragicomico di una telefonista precaria” di Michela Murgia, dopo il cinema arriva anche a teatro e sarà in scena al Piccolo Eliseo Patroni Griffi dal 28 aprile al 4 maggio. Il progetto è stato voluto e adattato da Teresa Saponangelo con la collaborazione di Gianluca Greco e David Emmer, quest’ultimo anche regista dello spettacolo. In scena con la stessa Teresa Saponangelo Fortunato Cerlino e Carmine Borrino. Lo spettacolo fa parte del progetto Eliseo Lab – esplorazioni per un nuovo teatro, rassegna teatrale dedicata alla nuova drammaturgia.

E’ il diario di un mese in un call center. Per trenta interminabili giorni, l’autrice ha venduto aspirapolvere al telefono a migliaia di casalinghe per la Kirby, una multinazionale americana. Intanto annotava tecniche di persuasione e castighi aziendali, descrivendo un modello lavorativo a metà tra berlusconismo e scientology. Michela Murgia è nata a Cabras, Oristano, nel 1972. Dopo gli studi teologici è stata webmaster, manager, operatrice in un call center. Il mondo deve sapere è il suo primo romanzo.

C’è da sottolineare comunque che Michela Murgia ha avuto la “fortuna” di lavorare in un call center per solo un mese; l’aspetto veramente terribile della precarietà lavorativa di questa nostra società malata, è che moltissimi giovani e non solo, in un call center sono costretti a lavorarci per molto più tempo…e qui altro che diario, ci si potrebbe scrivere una vera e propria enciclopedia universale.

Prima del successo riscosso in forma di romanzo, “Il mondo deve sapere”, è nato come blog tematico sul lavoro, in cui giorno dopo giorno l’autrice ha raccontato la “tragicommedia quotidiana del lavoro precario”, ottenendo così un diario in presa diretta di un mese vissuto nell’inferno del telemarketing raccontato in modo ironico. Partendo dall’esperienza privata in un call center, si arriva a parlare più in generale di un modello lavorativo che, soltanto in Italia, impiega quasi 200.000 persone. Per lo più donne, vincolate da un contratto capestro. Donne di tutti i tipi, che spesso si vergognano di dire agli amici e conoscenti che tipo di lavoro fanno, che si danno da fare nell’ombra di un ufficio piccolissimo, suddiviso in postazioni piccolissime, all’incirca la metà di un banco di scuola, dove c’è spazio solo per un pc e un telefono, con la faccia rivolta-schiacciata-ad un muro, messe tra loro in competizione, divise solo da un sottile pezzo di compensato. Un ambiente claustrofobico, che tanto ricorda le batterie dei polli di allevamento, dove le operatrici offrono buoni omaggio alle casalinghe, sperando che poi i venditori (squali!) riescano ad appioppare alle sventurate signore un elettrodomestico. La parola è lo strumento e la chiave di volta delle ‘lavoratrici precarie’ ma è la violenza delle parole a essere messa in scena. Violenza tra azienda e venditori, violenza tra venditori e possibili acquirenti. Le parole si gonfiano e si sgonfiano a seconda del peso specifico e del contenuto.

Dunque ancora un call center, uno dei tanti, tantissimi che danno l’illusione che in Italia il tasso di occupazione sia cresciuto, come qualcuno vuole far credere, cercando di prenderci tutti per i fondelli, quando invece così non è. E mentre il politico di turno, per risolvere il problema occupazione propone come soluzione, matrimoni illustri, pensando con una battuta di potersi fare beffa dell’intelligenza umana, aumenta la consapevolezza che ci troviamo di fronte ad una società marcia che oltre offrirci solo lavoro precario, ci costringe anche a vivere vite precarie. Basta fare un giro nei blog dei lavoratori precari, parlargli, conoscerli,o farne parte, per rendersi sempre più conto che quando si è precari nel lavoro, ci si sente precari anche nell’anima. E’ chiaro che il lavoro è una delle tante attività dell’individuo, ma è altrettanto chiaro che è lo strumento per garantire l’autonomia economica, per progettare la propria vita e il proprio futuro a livello individuale e famigliare, e per esplicare la propria creatività. E’ proprio per questo che quando il lavoro viene a mancare o precario, sottopagato, umiliante, degradante rispetto alla preparazione, competenza e professionalità dell’individuo, la vita e la dignità ne risultano gravemente compromesse. Lo spettacolo in scena al Piccolo Eliseo, è un ulteriore modo per conoscere e riflettere, per far si che certe situazioni non continuino a scivolarci addosso indifferenti.

TEATRO ELISEO
Via Nazionale, 183 - 00184 Roma
tel. botteghino: 06 4882114 | 06 48872222
info@teatroeliseo.it www.teatroeliseo.it teatroeliseo.blogspot.it
orario spettacoli -- da lunedì a sabato ore 20,45 – domenica ore 17 -- giovedì 1 maggio riposo
costo dei biglietti -- posto unico : euro 15 intero – euro 10 ridotto

Maria Antonietta Amenduni


23 Aprile 2008

100 anni di magia Disney.

In scena al Palalottomatica di Roma, i cento anni della sua fantastica storia, in un unico, grande spettacolo sul ghiaccio; ultima tappa del tour italiano.

Uno spettacolo per tutte le età. A chi pensa che si tratti di uno spettacolo per bambini, basteranno i primi 10 minuti dello spettacolo per accorgersi che si tratta di una vera e propria cura per il buon umore, adatta per tutte le età. Il tutto grazie a Topolino e Minnie, Re Leone e Mulan, Biancaneve e Cenerentola, Toy Story e Nemo, La Bella e la Bestia, Pinocchio e il Grillo Parlante, Paperino e tutti gli altri magici personaggi del Mondo Disney in un’imperdibile festa!!!

La grande tradizione Disney celebra con “Disney On Ice“, i 100 anni dalla nascita del fondatore Walt Elias Disney, con un tour che sta girando il mondo dal 30 agosto 1999 (data di debutto a Lakeland, in Florida). Un spettacolo sul ghiaccio, che sarà in scena al Palalottomatica di Roma dal 23 al 27 aprile -prodotto per il divertimento di tutta la famiglia. Dopo i successi di “Winnie The Pooh” e “Disney’s High School Musical:The Ice Tour”, quindi, arrivano Topolino e Minnie per scendere sulla pista di ghiaccio insieme ai loro amici, i fantastici personaggi tratti da Disney e Disney/Pixar's. Sono tantissimi, da Mulan al Re Leone, da “Toy Story” a “La Bella e la Bestia”, dalle Principesse a Pinocchio; per non dimenticare “Gli Incredibili” e “Alla Ricerca di Nemo”. La grande tradizione Disney celebra con “Disney On Ice” i “100 Anni di Magia Disney”.
Prodotto da Feld Entertainment, e presentato in Italia da Applauso Spettacoli, e a Roma dalla The Base, questo grandioso spettacolo rappresenta un'antologia unica dei più celebri brani Disney, esaltata da una coreografia suggestiva, da scenari e ambientazioni elaborate e meravigliose e da splendidi costumi. Lo show è stato visto da oltre 15 milioni di spettatori: per la prima volta, è in scena in Italia e domani arriverà al Palalottomatica di Roma (fino al 27 aprile), nell’ambito del tour di queste settimane in tutta Europa che sta entusiasmando piccoli e grandi.

Si assiste a numeri di pattinaggio in coppia (da restare senza fiato), assoli toccanti e pezzi coreografici travolgenti realizzati dal coreografo Sarah Kawahara, vincitore dell'Emmy® Award. Kawahara ha lavorato in passato con Michelle Kwan e ha curato la coreografia dei numeri di pattinaggio della cerimonia di apertura dei “Giochi Olimpici” del 2002. A fare da cornice alle coinvolgenti sequenze di Kawahara, le musiche memorabili di maestri come Art Kempel e Stan Beard portano alla luce, sulla pista, ricordi indelebili della storia “Disney”. Il responsabile della scenografia, David Potts, e il curatore del progetto di illuminazione dello spettacolo, LeRoy Bennett, creano l’illusione prodotta dai momenti magici della “Disney”, come nei parchi a tema (“it's a small world”, ad esempio) e nei cartoni animati come Il Re Leone, Mulan, Pinocchio e Aladin. Costumi e scenografia per un cast di 60 personaggi davvero speciali.

Il cast di oltre 60 personaggi ha rappresentano una vera e propria sfida per Scott Lane, che ha curato la realizzazione dei costumi. Le forme bellissime dalla Banda di Topolino alle bambole di “it’s a small world”, fino alle stelle di Mulan e Disney/Pixar’s Alla Ricerca di Nemo. I colori brillanti e la linea leggera dei costumi di Nemo permettono agli artisti di muoversi liberamente per imitare il movimento naturale nell'acqua. In quella che potrebbe essere definita come un'apparizione in costume di personaggi speciali, Bob Mackie presta il suo talento ad un abito da sera rosso in paillettes indossato da Minnie. Il tutto, naturalmente, comprende il tipico fiocchetto.
Lo scenografo David Potts, che ha collaborato in diverse produzioni di Broadway, riesce a creare un’atmosfera da teatro su ghiaccio. Gli artisti si muovono e ravvivano la sequenza di “it's a small world” in mezzo a galleggianti luccicanti che si trasformano in una parata di luci splendenti; suggestive poi la neve e la valanga che travolge la scena della battaglia di Mulan contro i barbari, mentre divertente è il regalo gigante dal quale fuoriesce Buzz Lightyear la prima volta che viene presentato al simpatico cowboy Woody ed al suo amico Jessie.

Roma: Palalottomatica
dal 23 al 27 aprile
mercoledì 23 aprile ore 19.30
giovedì 24 aprile ore 19.30
venerdì 25 aprile ore 11.30, 17.00 e 20.45
sabato 26 aprile ore 11.30, 17.00 e 20.45
domenica 27 aprile ore 11.00, 15.30 e 19.30
Prevendite Roma: www.vivaticket.it ; www.greenticket.it; www.ticketone.it; www.ticket.it; www.biglietto.it; www.etes.it
Per informazioni: Tel. 06 45496305

Maria Antonietta Amenduni


19 Aprile 2008

Il Giardino dei Ciliegi, …in tutta la sua leggerezza!

In scena al Teatro Quirino, l’ultimo testo scritto da Cechov. L’avvicendarsi di vite che si chiudono dopo aver attraversato secoli, e di vite che si aprono al futuro piene di speranza. Regia di Ferdinando Bruni, con Ida Marinelli, Elio De Capitani.

Classico della drammaturgia teatrale, è l’ultimo testo scritto da Cechov. Chiaro e rigoroso, metafora e simbolo di rimpianti, speranze e sogni in una società che si avvia alla trasformazione, evidenzia fortemente la cifra letteraria dell’autore e quel particolare valore sociale che caratterizza le sue opere. Nella messinscena, un’antica stanza di bambini – luogo, ritrovo ed incrocio di vite ancora da sviluppare - diventa lo scenario migliore per ritrovare le partiture precise dei personaggi, e lo sfondo di un naturalismo consapevole e ricercato che si allea allo scorrere di un tempo teatrale lento e dilatato. Un lavoro per sottrazione che tralascia sentimentalismi e lirismo simbolico, ideologie ed intellettualismi e permette alla voce di Cechov di trovare nuovo vigore, attraverso la misura, il suono, le passioni dei suoi personaggi, capaci di guidare il passaggio dal piano della realtà a quello della verità, affrancati dal coinvolgimento emotivo del passato ed aperti invece alla comicità del puro gioco del teatro.

Questo nuovo allestimento dello spettacolo in scena al Teatro Quirino Vittorio Gassman, dal 22 aprile al 4 maggio, vede protagonista la compagnia del Teatro dell’Elfo, con Ida Marinelli, Elio De Capitani, Ferdinando Bruni, adattamento, regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni. Nel 1986 la compagnia dell’Elfo aveva dedicato all’intera opera di Cechov un lungo laboratorio. Ne era nato Il Lago, spettacolo che vedeva in scena il nucleo storico della compagnia: Ida Marinelli, Corinna Agustoni, Cristina Crippa, Ferdinando Bruni, Luca Toracca ed Elio De Capitani; è lo stesso gruppo (con Bruni alla regia) che ritroviamo in questo Giardino dei ciliegi, ma affiatato e maturato da vent’anni di lavoro comune.

Ferdinando Bruni racconta il lavoro sullo spettacolo, che ha previsto un primo allestimento a Osimo nel marzo 2006 e un riallestimento per il debutto milanese: «Lontane ormai tutte le possibili nostalgie per un mondo tramontato circa un secolo fa, messe da parte quindi queste madeleines che non evocano più nulla, tramontato il tetro impero oltre la cortina di ferro, che qualcuno poteva scambiare per il futuro luminoso annunciato dallo studente utopista Trofimov, siamo finalmente liberi di leggere questa pièce leggendaria senza le lenti deformanti della nostalgia o dell’ideologia. Così Il giardino dei ciliegi torna a essere quello che è: un’enorme tenuta che va alla malora, un tempo principale fonte di reddito della svagata famiglia di aristocratici decaduti. Un frutteto che una volta all’anno, nel mese di maggio, si copre di fiori bianchi e diventa “giardino”, metafora e simbolo di purezza, rimpianti, speranze e sogni. Ogni anno il ciclo delle stagioni si compie, e ogni anno il giardino ritorna giovane, ricomincia la sua vita. A contemplare questo miracolo per l’ultima volta, riuniti nella grande casa dell’infanzia, i personaggi della commedia non possono che scorgere su di sé, ognuno nell’altro, i segni del tempo che passa, il miracolo che su di loro non si compie, l’approssimarsi di una resa dei conti col proprio destino, che ormai non concede più dilazioni. Così nell’arco di un’ultima estate, si compie una vicenda fatta di nulla, ma che attraverso il chiacchiericcio inconsistente che copre la disperazione, attraverso pause di silenzio da riempire subito di risate o di lacrime, lascia intrasentire “il ridacchiare del tempo, quel galoppo da padrone”, lascia intravedere la ferite della vita che se ne va “senza averla vissuta”.

Tutto lo spettacolo si svolge nella stanza dei giochi: “Il giardino dei ciliegi racconta anche dell’avvicendarsi delle generazioni, di vite che si chiudono dopo aver attraversato secoli, e di vite che si aprono al futuro piene di speranza. È il tempo il protagonista di questa commedia rarefatta, buffa e disperata, il trascorrere delle stagioni nella vita degli individui e nella vita del mondo, la necessità di afferrare quel poco o quel tanto di vita che ci è concessa, prima che la scure abbatta gli alberi e le speranze si trasformino in rimpianti. Per noi, che viviamo questo ciclo legandolo al nascere e al morire di storie, di personaggi, di continue proiezioni nel futuro e di dialoghi privilegiati con i morti, questa messa in scena segna un ritorno a Cechov: l’idea è quella di ritrovare una possibile semplicità nella comunicazione teatrale (questo cerchiamo noi) attraverso la chiarezza e l’umiltà del naturalismo. Siamo entrati nel Giardino in punta di piedi, cercando di coglierne la grande bellezza poetica, ma anche la grande concretezza di specchio della vita reale. Cercando di nasconderci dietro la storia, i personaggi, le loro relazioni, così come anche Cechov si nasconde dietro la sua creazione, senza imporci una tesi o una visione, lasciandoci liberi di ascoltarne le risonanze, di leggervi quello che ciascuno sente importante per sé. Il resto non conta”.

Ferdinando Bruni, fa ruotare lo spettacolo all’insegna della leggerezza. Bella è l’intuizione di ambientare tutto Il giardino dei ciliegi nella stanza dei giochi del primo atto, «congelando» i personaggi e l’atto scenico nel limbo dell’infanzia, quell’infanzia che si rivela essere anche lo stato emotivo ed esistenziale che condanna i protagonisti a una perenne inadeguatezza. Bruni, a suo rischio e pericolo, pulisce in modo insolito, il testo da dal suo lirismo simbolico e dal sentimentalismo che lo pervade. Buona l’interpretazione di Ida Marinelli, che fa della protagonista Ljubov’ una fallita e tuttavia vera luminosa, accanto al maniacale fratello interpretato da Elio De Capitani, che incarna perfettamente l’idea di un bambinone mai cresciuto. Molta bella nel compleso tutta la caratterizzazione dei personaggi da Lopachin (Paolo Pierobon), Varja (la intensa Elena Russo Arman), Anja, (la leggiadra Angelica Leo) e Trofimov (Vittorio Attene).

Maria Antonietta Amenduni


19 Aprile 2008

“Il Vicario” del tedesco Rolf Hochhuth, in scena al Piccolo Eliseo.

Il testo si interroga sull’atteggiamento tenuto da Pio XII di fronte ai crimini nazisti e alla deportazione degli ebrei nei campi di concentramento e viene ora riproposto, sotto forma di lettura scenica.

Rappresentato nel 1965 a Roma da Carlo Cecchi e Gian Maria Volonté ma subito ritirato per evitare noie con la censura e poi andato disperso, torna nella capitale dopo 43 anni, Il vicario, del tedesco Rolf Hochhuth, sul palcoscenico del Piccolo Eliseo Patroni Griffi dal 25 al 27 aprile. In scena attori molto bravi quali Matteo Caccia, Marco Foschi (in questi giorni nelle sale cinematografiche con “Riprendimi” di Anna Negri), Enrico Roccaforte, Cinzia Spanò, Nicola Stravalaci, Rosario Tedesco. L’adattamento e la regia sono di Rosario Tedesco.
Il testo si interroga sull’atteggiamento tenuto da Pio XII di fronte ai crimini nazisti e alla deportazione degli ebrei nei campi di concentramento e viene ora riproposto, sotto forma di lettura scenica, da un gruppo di attori che si sono conosciuti lavorando insieme con Antonio Latella: Matteo Caccia, Marco Foschi, Enrico Roccaforte, Cinzia Spanò, Nicola Stravalaci, Rosario Tedeschi, quest’ultimo anche regista e adattatore del testo.
Quello che oggi sembra essere diventato un argomento tristemente “di moda”, da trattare, era all’epoca, invece un tabù, e l’autore Hochhuth Tirando fuori per primo lo scheletro dell’Olocausto dagli armadi pontifici, scatenò all’epoca e ancora oggi, anni di polemiche e studi.

Pubblicato e rappresentato in trentotto nazioni. Solo in Germania – dov’è messo in scena annualmente al Berliner Ensemble, Il Vicario, ha venduto più di un milione di copie. In Italia, Il Vicario di Rolf Hochhuth è un testo pressoché sconosciuto. È un dramma storico in cui l’autore s’interroga sul silenzio della Chiesa, ed in particolare di Pio XII, di fronte agli orrori nazisti e alle deportazioni degli ebrei. Una riflessione sulla nostra storia recente, certo. Ma anche su temi universali quali: la posizione dell’uomo di fronte alla storia, il silenzio, il coraggio, il sacrificio, quello che è giusto e quello che è conveniente. Nonostante nel resto d’Europa Il Vicario sia un testo conosciuto e frequentemente rappresentato sin dalla sua prima pubblicazione, avvenuta in Germania nel 1963, qui da noi ha avuto una sorte singolare.

Sullo sfondo degli orrori della seconda guerra mondiale e delle deportazioni ebraiche si muovono i personaggi di questo dramma: Kurt Gerstein, ufficiale delle SS che in segreto tenta di minare il regime nazista, Padre Riccardo Fontana, giovane sacerdote della segreteria di Stato vaticana che si schiera a favore dei perseguitati, il Dottore, incarnazione del male che ad Auschwitz conduce macabri esperimenti sui prigionieri, e soprattutto lui, IL VICARIO di Cristo, Papa Pio XII, il cui Silenzio è il vero protagonista di questa storia. Tra l’incapacità di comprendere questo Silenzio e i tentativi di indurre il Papa a condannare esplicitamente le deportazioni ebraiche, le storie dei personaggi si intrecciano fino a giungere ad un tragico epilogo.
Gli attori affronteranno le scene più significative del testo, riprendendo l’evento che avevano provato a fare Cecchi e Volonté. Perché parlare ancora di quest’argomento significa non solo guardare in faccia la nostra storia, ma anche partecipare alla costruzione del nostro futuro, per una costante affermazione della vita.
Le parole verranno offerte per una condivisione che ha come scopo la riflessione. Una riflessione sulla posizione del Vaticano durante l’eccidio ebraico. Una riflessione sul silenzio. Una riflessione sulla necessità di compiere una scelta che ogni giorno l’uomo si trova a fronteggiare: silenzio o grido.

Così il regista Rosario Tedesco, racconta lo spettacolo: “2 divise, 2 uomini. La storia, i suoi orrori. Il silenzio, la fede e la responsabilità.I 2 protagonisti del testo: Un soldato tedesco, un prete italiano, s’incontrano nel teatro della storia. Di fronte alle atrocità del lager, scoprono tutta l’ipocrisia delle loro esistenze, la follia del mondo. Così intraprendono la missione di portare al Papa la notizia dell’Olocausto. In un comune percorso di spoliazione dalle loro divise, scoprono che è ancora possibile essere uomini, soltanto accettando le proprie responsabilità. Nonostante questa dolorosa acquisizione, la Chiesa rimane muta davanti al sacrificio degli innocenti. Nell’adattare questo testo mi hanno guidato le didascalie che descrivevano gli ambienti entro cui la vicenda si svolgeva. Queste indicazioni danno il senso del mutamento del concetto stesso dell’abitare, durante la guerra. Si inizia con Berlino durante i bombardamenti, nella casa del soldato tedesco Kurt Gertstein. Una casa-maceria, parzialmente distrutta, centro di bombardamenti. Questa abitazione ci dà il senso di una realtà in frantumi. Per quanto la propaganda tedesca gridi che la Germania conquisterà il mondo, per ora si marcia sui propri vetri in frantumi. [noi continueremo a marciare anche se tutto non è che vetro in frantumi!-Morgen die ganze Welt] il concetto di casa come focolare domestico qui è distrutto, e con esso anche la tradizionale idea di famiglia. Ma questa casa, la casa di K. G, è però ancora un luogo dove è possibile nascondersi, e da dove è possibile organizzare la fuga… Questo modo di trattare in maniera del tutto inedita, con ricchezza di situazioni e complessità di caratteri, il tema della responsabilità dell’uomo di fronte alla storia, alla vita e alla propria coscienza, partendo dall’incontro tra un prete italiano e un soldato tedesco, per arrivare alla nascita di due uomini, è ciò che di più mi ha colpito e spinto immediatamente a tentare una messa in scena del testo in tutti i modi, sia pure attraverso una semplice lettura.”

Informazioni e prenotazioni: Piccolo Eliseo Patroni Griffi, Via Nazionale, 183 - 00184 Roma
tel. botteghino: 06 4882114 | 06 48872222
info@teatroeliseo.it
www.teatroeliseo.it
teatroeliseo.blogspot.it

Maria Antonietta Amenduni


11 Aprile 2008

“Pensaci, Giacomino”, in scena al Teatro Valle.

Enzo Vetrano e Stefano Randisi, interpretano e firmano a quattro mani, la regia di uno dei testi più attuali di Luigi Pirandello.

La grandezza di autori come Pirandello, sta anche nella capacità di riuscre ad essere sempre attuali anche dopo così tanti anni, dal periodo in cui i testi venivano scritti. “Pensaci, Giacomino”, è proprio uno di quei testi attuali e commoventi, con il quale Enzo Vetrano e Stefano Randisi si confrontano, interpretando e firmando una regia a quattro mani. “Pensaci, Giacomino”, sarà in scena al Teatro Valle dal 15 al 27 aprile con Enzo Vetrano e con Giuliano Brunazzi, Ester Cucinotti, Eleonora Giua, Antonio Lo Presti, Giovanni Moschella, Francesco Pennacchia, Stefano Randisi, Margherita Smedile.

Morale ed umoristica, intrisa di grottesca comicità, la commedia è ritagliata su un personaggio che affronta l’ipocrisia del mondo senza la maschera del ruolo sociale ma che, fatalmente, vede intrappolata la sua “non famiglia” negli stessi meccanismi contro i quali combatte. Ironico ed irriverente, il testo innesca una riflessione sul valore sociale della famiglia. Al protagonista, un anziano professore anticonformista, è affidato un messaggio tanto profondo da renderlo una delle figure più riuscite del repertorio pirandelliano. Il suo matrimonio con la giovanissima Lillina, figlia del bidello della scuola e incinta di un suo ex alunno, Giacomino Delisi, diventa lo strumento di una battaglia morale contro l’ipocrisia. La “famiglia aperta” che, incurante delle voci della gente, il professore crea, protegge e difende, rimanda a un’etica concreta, emotiva, che punta il dito contro le consuetudini vigliacche di una società votata più all’apparenza che alla sostanza.

La trama è nota: Il professor Toti è un insegnante ginnasiale di paese ormai vecchio e privo di autorità. In conflitto con tutti ed incapace di continuare ad insegnare garantendo un minimo di disciplina in classe, Toti, è per di più profondamente amareggiato nei confronti della società. Per vendicarsi dello stato, causa di disordini ed ingiustizie, sposa la giovanissima Lillina: potrà così assicurarle, alla sua morte, la propria pensione. Il fatto che Lillina sia incinta di Giacomino (un giovane del paese) non sembra disturbare Toti: secondo i suoi piani, il ragazzo continuerà ad adempire ai doveri matrimoniali, mentre il ruolo giuridico di capofamiglia resterà a lui.Tra Toti e Giacomino non c'è un cattivo rapporto, anche perché quest'ultimo è stato in passato allievo del professore. Toti riesce a superare lo scetticismo della famiglia di Lillina nei confronti di questo ménage à trois: secondo lui, l'importanza degli scopi che ci si prefissa è in primo piano rispetto alla stupidità della gente (che sicuramente si accorgerà di qualche stranezza e si metterà a parlare).

Dopo la nascita del piccolo Ninì, ad intorbidire la vicenda intervengono le rimostranze del sacerdote, della sorella maggiore di Giacomino (Rosaria) e del signor Diana, superiore di Toti. Queste figure fanno da portavoce del giudizio popolare espresso su questa grottesca vicenda. Toti, Lillina e Giacomino vengono messi sotto pressione anche dai genitori di lei, che date le circostanze non possono assolutamente più farsi vedere in giro. In questa situazione comicamente patetica, Giacomino è sul punto di gettare la spugna e di fidanzarsi con un'altra persona per rifarsi una vita come vorrebbe sua sorella. Alla fine, comunque, Toti si reca da Giacomino tenendo il piccolo Ninì per mano. Gli spiega con la dovuta fermezza che deve prendersi le sue responsibilità: oramai è troppo tardi per tornare indietro.

Maria Antonietta Amenduni


11 Aprile 2008

Troia’s discount, in scena al Piccolo Eliseo Patroni Griffi.

Stefano Ricci e Gianni Forte, propongono il loro testo che partendo dal passato, vuole raccontare il presente.

Una rivisitazione in chiave contemporanea di un episodio dell’Eneide. E’ Troia’s discount scritta da Stefano Ricci e Gianni Forte, in scena al Teatro Piccolo Eliseo Patroni Griffi, dal 15 al 20 aprile. È una sfida linguistica quella con cui hanno voluto cimentarsi ricci/forte, già noti come sceneggiatori di fortunate serie televisive come I Cesaroni e Hot, ma anche drammaturghi capaci di scelte difficili e provocatorie. I due autori, immagino la città di Troia come una periferia urbana, dove Eurialo e Niso diventano due teppisti, due “ragazzi di vita” che hanno mancato l’appuntamento con il destino. Troia’s discount è una ballata sui fantasmi dell’oggi, un corto circuito tra Mito e Presente, dove la violenza, il sesso, il sudore e le ferite, sono una discesa agli inferi ispirata ai miti classici, ma anche a Pasolini. È un atto d’accusa e un urlo blasfemo, che parla di eros e omosessualità senza reticenze né ipocrisie.

Le vicende raccontate da Virgilio nell’Eneide offrono agli autori lo spunto per dipingere un desolante paesaggio contemporaneo. Come due casseurs parigini, Eurialo e Niso, ma potrebbero chiamarsi Tommaso e il Zucabbo o il Riccetto e Marcello di pasoliniana memoria. Ragazzi di borgata, di una qualsiasi periferia del mondo di oggi, che assaltano un centro commerciale illuminando con i bagliori di un incendio la notte metropolitana. La loro fine sarà tragica, cadranno in battaglia seguendo la sorte degli eroi virgiliani. Mentre un coro di tre figure femminili, Creusa, Lavinia e una Didone en travesti, fa da contrappunto e da commento alla storia. Sono le tre donne di Enea, clienti come noi di questo centro commerciale dove i ricordi di quello che eravamo, di quello a cui abbiamo rinunciato, vengono sepolti sotto tonnellate di beni di consumo.

Partendo dunque dal passato, i due autori si cimentano in questa sfida per raccontare il presente; ecco cosa afferma in proposito, uno dei due autorim Stefano Ricci: “Sempre più difficile raccontare il presente: vorrebbe dire sfidare i media sul loro stesso terreno. Cercare di capire il qui e ora resta l’intento; testimoniarlo attraverso forme oblique, trasversali… per restituire l’alone tragico che un testo contemporaneo dovrebbe sprigionare. L’Oggi, quindi, lo si può riferire ad una sola condizione: trattandolo come se fosse defunto. E facendogli l’autopsia. Personaggi principali di troia’s discount sono i ricordi, le immagini di fatti e cose, di esseri corporei e spirituali che già furono e che noi vediamo ripetersi, riapparire, per ricondurre in noi quel tanto di bene e male che già dispensarono in passato. Quante volte avremmo voluto dimenticare magicamente un odore, una persona, un’emozione, un’esistenza intera per cancellarli dalla nostra vita? Ma la memoria è il cane più stupido che esista. Le lanci un bastoncino e ti riporta indietro tutto”.

Maria Antonietta Amenduni


7 Aprile 2008

L’odio stemperato da un trucco teatrale: Il Mercante di Venezia in scena al Teatro Argentina



Una commedia che vede protagonista l'odio profondo tra "gentili" e "giudei", sebbene raccontato col garbo, la profondità e la suprema genialità del bardo. E’ il Mercante di Venezia, in scena al Teatro Argentina dall’8 al 20 Aprile, adattamento e regia Luca De Fusco, con Eros Pagni, Gaia Aprea, Max Malatesta, Sebastiano Tringali, e con Giovanni Calò, Cosimo Coltraro, Piergiorgio Fasolo, Daniele Gonciaruk, Nunzia Greco, Giuseppe Infarinato, Giovanna Mangiù, Stefano Scandaletti, Enzo Turrin. Scritto da Shakespeare tra il 1594 e il 1596, il dramma prende il titolo dal personaggio di Antonio, facoltoso mercante veneziano, ma uomo dominato dalla malinconia che vive rispecchiandosi nella felicità dell’amico Bassanio.

Bassanio (Max Malatesta), giovane gentiluomo veneziano vorrebbe la mano di Porzia (Gaia Aprea), ricca ereditiera di Belmonte. Per corteggiare degnamente Porzia chiede al suo carissimo amico Antonio (il mercante di Venezia) 3.000 ducati in prestito. Antonio (Sebastiano Tringali) pur essendo affezionatissimo a Bassanio, non può procurargli il denaro ma garantirà per lui presso Shylock (Eros Pagni), ricco usuraio ebreo. Quest’ultimo è disprezzato dai cristiani e a sua volta non li sopporta, soprattutto Antonio, che presta denaro gratuitamente facendo abbassare il tasso dell'interesse nella città e lo umilia coi i suoi insulti.

Shylock, in cerca della sua vendetta, accorda il prestito a Bassanio con Antonio come garante. L'ebreo però in caso di mancato pagamento vuole una libbra della carne di Antonio. Bassanio cerca di far desistere il mercante di Venezia dal fargli da garante ma egli è sicuro di poter saldare il debito dato che tre navi sono in viaggio per riportare a Venezia ricchezze tre volte più grandi. Il tempo concesso per il saldo del prestito è di tre mesi. Le navi arriveranno tra due.

Bassanio si reca a Belmonte, i pretendenti di Porzia però per ottenere la sua mano devono risolvere un indovinello posto su tre scrigni e Bassanio ci riesce. Intanto la sfortuna si accanisce su Shylock: sua figlia infatti fugge di casa sposando un cristiano, Lorenzo. La ragazza è fuggita portando con sé 2000 ducati e soprattutto lo scrigno contenente l’anello donato a Shylock dalla moglie. L'unica consolazione di Shylock deriva dalla pari sfortuna di Antonio, infatti una tempesta improvvisa, e Antonio perde tutte le sue navi, non potendo più onorare il suo debito. Una storia di amicizia maschile minaccia così di trasformarsi in tragedia. Shylock porta Antonio di fronte al Doge e alla corte e chiede di far valere i suoi diritti. Nonostante la crudeltà della proposta, il Doge non può rifiutare di applicare la legge, se non che, facendo ricorso a cavilli insidiosi, un misterioso avvocato riesce a rovesciare le sue pretese e riportare la vicenda verso un happy end dal sapore un pò amaro: in fin dei conti, anche nella civilissima Venezia la giustizia può essere ottenuta solo con un trucco da teatro.

“La prima decisione – scrive il regista Luca De Fusco - è stata quella di ricontestualizzare il Mercante, togliergli la sua tradizionale ambientazione seicentesca e situarlo in una astratta Venezia degli anni `30, che fa pensare a Casablanca, Tangeri o Istanbul. Venezia è infatti, per il poeta inglese, una città esotica e di confine, cinica e mercantile, quasi l’equivalente di alcune città orientali nella cinematografia del secolo scorso. Rappresenta infatti il versante cinico-realistico della trama, mentre quello più creativo e fantastico è simboleggiato dal regno di Porzia: Belmonte. Ci è sembrato quindi che avvolgere la messa in scena in sapori esotici e cinematografici (da Marocco a La signora di Shanghai o a Casablanca) fosse la via per pensare in modo nuovo Venezia e insieme di immergere la trama in quell`atmosfera cinica e malinconica, ma soprattutto misteriosa, che è tipica di quei film”.

E’ un allestimento molto cinematografico quello di Luca De Fusco, che pochissimo ha a che fare con l’originaria natura del testo. La scenografia di Antonio Fiorentino evidenzia il gioco delle apparenze: gli specchi, che ruotano e cambiano le prospettive alle scene, moltiplicano anche i volti e le movenze dei personaggi, facendoli giocare alla ricerca l’uno dell’altro. E poi c’è l’immagine in video che dialoga con gli attori, creando un’atmosfera rarefatta, a volte sognante! Piacevole la musica, con il pianoforte suonato dal vivo da Giuseppe Infarinato. Senza dubbio giusta, la scelta dei quattro protagonisti, da Max Malatesta a Sebastiano Tringali, fino al superbo Eros Pagni e alla fascinosa Gaia Aprea.


Maria Antonietta Amenduni


7 Aprile 2008

In the food for love - Spettacolo di cucina, musica e circo contemporaneo

In scena al Teatro Eliseo, lo spettacolo ideato e diretto dall’eclettico ed originale artista Donpasta.selecter.

Idea originale ed insolita, che alla serata di teatro unisce la musica, il circo e la cucina! Non si tratta di uno scherzo, ma dello spettacolo In the food for love - Spettacolo di cucina, musica e circo contemporaneo, che debutta in prima nazionale, al Teatro Eliseo, il 10 aprile, ideato e diretto dall’eclettico ed originale artista Donpasta.selecter.

Donpasta.selecter è un dj-economista, appassionato di gastronomia. Il suo primo progetto, “Food sound system” è divenuto un libro, edito da Kowalski, e uno spettacolo multimediale, ancora in tournée in Italia, Francia e Spagna. Attualmente vive a Toulouse, dove lavora sul progetto “In The Food For Love”, spettacolo di cucina e circo contemporaneo ed alla registrazione del disco “The Dark Side of Food”.

Uno proposta interessante che fa parte del progetto Eliseo Lab – esplorazioni per un nuovo teatro, rassegna teatrale dedicata alla nuova drammaturgia nata con il contributo del Comune di Roma.Da sempre nella lunga storia dello spettacolo c’è stato un forte connubio tra cibo e teatro. Infatti già durante l’epoca romana le manifestazioni teatrali avvenivano di continuo durante particolari feste, fino a giungere all’era umanistica-rinascimentale. Lo spettacolo fin dalla notte dei tempi è stato affiancato a ricchi e abbondanti banchetti. Qui gli elementi del banchetto e quelli teatrali, musicali e circensi si fondano, dando vita ad un inedito ed organico connubio.

In the food for love non è uno spettacolo di cucina, ma uno spettacolo che ruota attorno ad essa, come luogo sociale, punto di incontro di storie e persone, in quella porta sempre aperta per ricevere ospiti ed amici, tra grandi tavole imbandite per tanta gente. Sotto un tetto di stelle, un narratore, quasi un griot, parla di gastronomia per raccontare la storia del Mediterraneo, tra il Salento, la Spagna e Toulouse. Un gruppo di musicisti lo accompagna mentre giocolieri e acrobati preparano la tavola. Nel suo mondo la cucina è il momento degli affetti, del cucinare per se stessi e per gli altri. E’ il tempo dei pensieri solitari che si nascondono dietro gesti pazienti e profumi intensi.

Quattro storie si intrecciano attorno ad un fuoco ed una grande tavola imbandita mangiando una ratatouille cucinata in scena, piatto simbolo del Mediterraneo, semplice e saporito, presente con nomi diversi in tutte le gastronomie nazionali. Un amante di Picasso alla ricerca di Guernika assieme ad un esule spagnolo, due amanti tra Parigi ed infiniti treni per incontrarsi a metà strada, un viaggiatore solitario che parte dall'Italia per andare in giro per il mondo con la sua auto piena di conserve, un africano che abbandona la sua terra tra speranze e tristezza.

Il circo diviene strumento di sovversione provocatoria e poetica dei luoghi di cucina, in una trasformazione della realtà, che rinasce sotto altre forme, attraverso un movimento di immagini, suoni e parole. Una patata ed una cipolla come strumenti di giocoleria. Una tavola imbandita come tappeto per acrobazie gastronomiche. La cucina diventa così un mondo apparentemente senza funzione e senso in una formula matematica che non ne rispetta le regole, dove l’insieme degli elementi disaltera la legge, e uno più uno fa più di due e dove immaginazione e fantasia costituiscono la scansione del tempo. In the food for love è una elegia alla assoluta perdita di tempo, in una rivoluzione disutile, che non produce niente ma crea, in una commistione di circo, cucina, musica e cinema.“In The Food For Love” va lasciato cuocere per giorni e notti e poi servito caldo, accompagnato con un buon vino rosso.

Maria Antonietta Amenduni


7 Aprile 2008

“Merci Beaucoup, thank You, grazie tante, gorni kramer”, in scena al Teatro dell’Orologio



Un luogo indefinito, dove le barriere spazio tempo si annullano, dando vita ad una particolare, romantica, atmosfera rarefatta, dove parole e musica si fondono. E’ “Merci Beaucoup, thank You, grazie tante, gorni kramer”, di Olga Garavelli e di Paolo Modugno, con Michetta Farinelli, Antonio Angrisano, Daniela Barra (voce), Daniele Adornetto (pianoforte). Lo spettacolo diretto da Paolo Modugno, sarà in scena al Teatro dell’Orologio dal 15 aprile al 4 maggio. La sala teatrale si destruttura, il palcoscenico e la platea si fondono trasformandosi in un locale dove un pianista ed una cantante, a volte scanzonati e sempre eleganti, creano con la musica e le canzoni il filo della memoria sul quale si dipanerà lo spettacolo. Un locale esclusivo dove il pubblico, accolto dalle note dolci e sognanti di “Un paio d’ali”, seduto ai tavolini, con un bicchiere in mano, potrà brindare al tramonto di un novecento raffinato, originale e, soprattutto, intelligente.

In questo spazio senza tempo, s’introducono due attori, un uomo e una donna che, conversando tra il pubblico, rivivranno attraverso un compositore celebre ed amatissimo, Gorni Kramer, i momenti ed i personaggi significativi della sua vita e della vita musicale e televisiva italiana del secolo ormai trascorso. La sua musica crea immagini nella nostra mente e, accompagnati dalle note di canzoni come “Non ti fidar di un bacio a mezzanotte” o “Non so dir ti voglio bene”, sarà facile per i due attori e per gli spettatori lasciarsi andare, farsi sedurre da questo personaggio particolare, fortemente legato alla sua terra, che aveva un talento innato ed una solida, colta, invidiabile preparazione musicale unita ad un entusiasmo, una vitalità che gli hanno permesso di cavalcare in prima linea l’onda di un’epoca che ha visto nascere nel nostro Paese il jazz, la radio, la commedia musicale e la televisione.

Protagonista esemplare, Gorni Kramer si fa notare giovanissimo, negli anni trenta, con il jazz spericolato della sua fisarmonica, dedicato ad un pubblico selezionato, quello delle piccole boîtes milanesi dove si suonava, quasi di nascosto, “la musica del diavolo” invisa al regime fascista. Il suo pubblico si allarga con il varietà (il Quartetto Cetra, Wanda Osiris Alberto Sordi…), poi con Garinei e Giovannini e la commedia musicale (Dapporto, Delia Scala, Walter Chiari, Renato Rascel…) per raggiungere infine il massimo della popolarità con la televisione (Il Musichiere, Canzonissima, Studio Uno…). La televisione raggiunge migliaia di case, entra nelle famiglie. Non basta più essere bravi, è importante essere simpatici, accattivanti. Nasce la cultura dell’immagine. Gorni Kramer è perfetto: una bellissima musica, due baffi e un sorriso simpatico, “un certo non so che ti va dritto al cuore”. La sua, la televisione di allora, è una televisione popolare, ma non di massa: allegra, divertente, non volgare e grossolana, intelligente, colta, senza disprezzo per il pubblico, sensuale ed elegante, non scolacciata e dozzinale. In certi casi vale la pena ricordare, può essere utile, può aiutare.

Per una sera, almeno una, ci si potrà gettare alle spalle la paccottiglia generale e, grazie a Gorni Kramer, citando una battuta, accennando ad un passo di danza, una canzone, si potrà evocare quella magica atmosfera, l’incantamento allegro di un periodo pieno di fermenti e di grandi protagonisti.

Maria Antonietta Amenduni


31 Marzo 2008

“Il Re Muore”, tra la spazzatura!!!

In scena al Teatro Eliseo, il testo di Eugène Ionesco, che vedo protagonista un Nello Mascia nei panni del re morente; con lui in scena, Alvia Reale. Regia di Pietro Cartiglio.

Uno dei capolavori della letteratura drammatica moderna. Il re muore è definita dallo stesso autore un “apprendistato della morte”. Ionesco vi affronta uno dei temi più inquietanti per ogni essere umano, ossia la propria morte. Un evento ineluttabile che ognuno di noi tende a non prendere in considerazione, quasi che il non pensarci possa costituire una sorta di garanzia di vita eterna. Così, afferma Ionesco, l’individuo arriva alla morte inevitabilmente impreparato e anche un Re, in quanto uomo, può sperimentare questa angoscia.
Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Eliseo dal 25 marzo al 6 aprile, traduzione di Edoardo Sanguineti, interpretato da Nello Macia e Alvia Reale, con Sergio Basile, Fiorenza Brogi, Eva Drammis, Aldo Ralli. Regia di Pietro Carriglio, scene e costumi di Maurizio Balò, musiche di Matteo d’Amico.

Un classico del Novecento per la capacità dell’autore di affrontare, con un linguaggio universale e immediato, i grandi temi della vita e della morte. Scritta di getto, in soli dieci giorni, tra l’ottobre e il novembre 1962, dopo avere subito una grave operazione chirurgica, Il re muore è dunque, per ammissione dello stesso autore, un modo per esorcizzare la paura della morte. E per farlo, Ionesco sceglie l’arma dell’ironia e del grottesco, trasformando una situazione di per sé tragica in comica. Messo al corrente dalla moglie e dal medico, nonché astrologo di corte, della propria morte imminente, Re Berénger rifiuta di ammettere la propria agonia, poi cerca di ribellarsi, non solo contro l’ineluttabilità della propria fine, ma anche contro se stesso, che non ha mai riflettuto sulla propria condizione. Infine giunge l’accettazione, l’unica arma che l’uomo possiede per sconfiggere realmente la morte.

Tre i momenti principali dello spettacolo: il primo si svolge in assenza del Re, mentre le sue due mogli, la cameriera e una guardia ricevono la conferma della prossima ed inevitabile sua morte; nel secondo, è lo stesso Sovrano dell’Universo, Bérenger I, a ricevere la notizia della propria morte imminente; il terzo ci introduce nel cuore del dramma attraverso le tappe dell’agonia regale, quando i diversi personaggi cercano di far abdicare di propria volontà il sovrano, che si rifiuta di morire, che non vuole rendersi conto che il suo regno è agonizzante, che si crede eterno tanto da affermare: “Lo stato sono io”, come se senza di lui nessuno potesse vivere. Questo mostro umano, che conserva una perfida innocenza fanciullesca nel suo delirio di potenza, non è soltanto un individuo che muore, ma la stessa umanità che si è fatta indegna e si ostina, anche a costo della distruzione del mondo, a sopravvivere insensatamente. Alla fine, il mondo – la scena – scompare nello stesso momento in cui il Re muore.
Nello Mascia è il protagonista di questa nuova edizione del dramma di Ionesco, che il regista Pietro Carriglio immagina come metafora del teatro, scenario privilegiato per raccontare la crisi della modernità, innestata sulle macerie del teatro beckettiano.

Un allestimento che vede una scenografia fatta di spazzatura, argomento di estrema attualità per le cronache di questo periodo a Napoli. Un allestimento che sembra voler dire che dopo la morte del re, resta solo la spazzatura. Pietro Cartiglio, affronta il capolavoro di Ionesco senza distanziarsi dai canoni della tradizione. La traduzione di Edoardo Sanguineti, rende sicuramente il testo molto scorrevole, ma nel totale l’allestimento è poso suggestivo. Molto belli risultano essere costumi e scene di Maurizio Balò. Interessanti sono i richiami sonori che scandiscono il tempo e che separano dalla fine imminente. Accattivante è l’atmosfera in cui lo spettacolo è immerso e a questo contribuiscono le ragnatele, la polvere e immondizia accatastata sotto. Tre i momenti principali dello spettacolo: il primo si svolge in assenza del Re, mentre le sue due mogli, la cameriera e una guardia ricevono la conferma della prossima ed inevitabile sua morte; nel secondo, è lo stesso Sovrano dell’Universo, Bérenger I, a ricevere la notizia della propria morte imminente; il terzo ci introduce nel cuore del dramma attraverso le tappe dell’agonia regale, quando i diversi personaggi cercano di far abdicare di propria volontà il sovrano, che si rifiuta di morire, che non vuole rendersi conto che il suo regno è agonizzante, che si crede eterno tanto da affermare: “Lo stato sono io”, come se senza di lui nessuno potesse vivere. Questo mostro umano, che conserva una perfida innocenza fanciullesca nel suo delirio di potenza, non è soltanto un individuo che muore, ma la stessa umanità che si è fatta indegna e si ostina, anche a costo della distruzione del mondo, a sopravvivere insensatamente. Alla fine, il mondo – la scena – scompare nello stesso momento in cui il Re muore.
Nello Mascia è il protagonista di questa nuova edizione del dramma di Ionesco, che il regista Pietro Carriglio immagina come metafora del teatro, scenario privilegiato per raccontare la crisi della modernità, innestata sulle macerie del teatro beckettiano.

Un allestimento che vede una scenografia fatta di spazzatura, argomento di estrema attualità per le cronache di questo periodo a Napoli. Un allestimento che sembra voler dire che dopo la morte del re, resta solo la spazzatura. Pietro Cartiglio, affronta il capolavoro di Ionesco senza distanziarsi dai canoni della tradizione. La traduzione di Edoardo Sanguineti, rende sicuramente il testo molto scorrevole, ma nel totale l’allestimento è poso suggestivo. Molto belli risultano essere costumi e scene di Maurizio Balò. Interessanti sono i richiami sonori che scandiscono il tempo e che separano dalla fine imminente. Accattivante è l’atmosfera in cui lo spettacolo è immerso e a questo contribuiscono le ragnatele, la polvere e immondizi il proscenio. Ai lati, due cassonetti della spazzatura, da cui emergono le teste di due figuranti, anche questo un evidente richiamo beckettiano. Nonostante questo, lo spettacolo emoziona poco, i cali di energia durante tutta l’ora e mezza di messa in scena sono evidenti e si ha la sensazione che l’assurdo e il grottesco perdano di mordente. La cosa spiazzante di questo testo rimane comunque la sua sconcertante attualità, concentrata nella smanie del re di voler tenere il potere fino all’ultimo.

Maria Antonietta Amenduni


31 Marzo 2008

Due appuntamenti per il teatro di Roma: “Danza di Morte” al Teatro Argentina e “Hedda Gabler” al Teatro India.



Doppio appuntamento questa settimana per il Teatro di Roma, con due interessanti proposte, tra Teatro Argentina e Teatro India. Il Teatro di Largo Argentina, vede in scena dal 1 al 6 Aprile, “Danza di Morte” di August Strindberg, per la regia di Marco Bernardi, con Paolo Bonacelli, Patrizia Milani, Carlo Simoni e con Liliana Casartelli, Iolanda Piazza.

Scritto nel 1900 “Danza di morte” è un testo cardine del teatro del Novecento, che influenzerà gran parte della letteratura del nostro secolo: da Sartre ad Albee, da O’Neal a Dürrenmatt, da Benhard al cinema di Bergman, tutto ha inizio nell’algida circolarità della torre dove il capitano di artiglieria Edgard e sua moglie Alice consumano la loro crisi matrimoniale. Oltre ad essere una riflessione sulla morte, il capolavoro del maestro svedese focalizza la sua attenzione soprattutto sulla vita, sul matrimonio, sullo scontro titanico tra i sessi, su ateismo e religiosità, con un orizzonte che supera i confini angusti del naturalismo e della rappresentazione emblematica della vita per aprirsi ad una prospettiva fondamentale per lo Strindberg di quei mesi: quella metafisica, mistica, rivolta ad interrogarsi sul senso ultimo della vita e della morte con un presentimento di sublime, circolare rassegnazione.

La storia è quella di una coppia matura che vomita ripicche e antichi rancori in forma di parole mediante sotterfugi, crudeltà reciproche, finte malattie e sensi di colpa, portando avanti un’esistenza costellata di illusioni e delusioni. Ma poi a rompere la monotonia e la noia profonda venata di sottile ipocrisia dei due coniugi di mezza età, arriva una terza persona, un estraneo, ed allora l’inferno coniugale esplode con pensieri subdoli e disperati. Gli elementi del plot, dunque, sono quelli del più classico dei triangoli: lui, lei, l’altro. Ma Strindberg fa deflagrare fin dalle prime battute la dimensione banale del vaudeville pur conservandone frammenti di sarcastica ironia. In questa edizione il regista Marco Bernardi, che si avvale della nuova traduzione del testo di Franco Perrelli, uno dei maggiori esperti di letteratura scandinava, ha voluto riunire i tre primi attori dello Stabile di Bolzano: Paolo Bonacelli, Patrizia Milani e Carlo Simoni, con la collaborazione di Gisbert Jaekel per le scenografie, Roberto Banci per i costumi, Franco Maurina per l’ambientazione sonora e Lorenzo Carlucci per le luci.

Altro appuntamento al Teatro India, dal 2 al 6 Aprile, con “Hedda Gabler”, di Henrik Ibsen, progetto, elaborazione drammaturgica e regia di Elena Bucci e marco Sgrosso, con Elena Bucci, Maurizio Cardillo, Roberto Marinelli, Salvatore Ragusa, Giovanna Randi, Marco Sgrosso, Elisabetta Vergani.

nunciato al coraggio. Il grande ritratto del Padre diventa così uno specchio dove vediamo l’origine dell’inferno nel quale ci troviamo a vivere, quanto di più lontano vorrebbe un genitore per i suoi figli.

Siamo in un mondo adulto che agisce da adolescente e che tutto sacrifica alle ‘prove di forza’, senza avere la speranza di trasformarle in un atto generoso, nel dono di sè che potrebbe significare anche amore. L’inferno è tale che, quando arriva la coscienza, non c’è altra via d’uscita che la morte, proprio quella che si voleva eludere: il suicidio di Hedda denuncia l’insopportabilità di regole di vita basate sul profitto e sullo sfruttamento reciproco ma accuratamente costruite, ideologicamente difese, criminalmente perseguite, abbellite, nobilitate. Ma in questa grande casa in cui non c’è posto né per la vita né per la morte, anche il suicidio è quasi impossibile: tutti intorno lo impediscono, immobilizzano Hedda, la imbavagliano, l’abbelliscono, per farne un immortale, ridicolo monumento alla mediocrità. Il ritratto del Padre diventerà il suo e, alla fine, quello del figlio che non avrà.

Maria Antonietta Amenduni


22 Marzo 2008

Il sottosuolo che rivela l’altra faccia dell’uomo.

In scena al Teatro Argentina, Memorie dal Sottosuolo, Fedor Dostoevskij, per la regia l’ adattamento di Gabriele Lavia, che è anche protagonista dello spettacolo

Torna a Roma, e al Teatro Argentina, dal 25 al 30 marzo, Memorie dal Sottosuolo da Fedor Dostoevskij, per la regia e l’ adattamento di Gabriele Lavia, con Gabriele Lavia, Alice Torriani e Pietro Biondi. È sempre stato difficile, per i critici, capire il senso profondo di quest'opera di Dostoevskij, in cui il male sembra trionfare su ogni buona intenzione e su ogni ingenua speranza. Lavia ha isolato il punto focale del testo e lo ha portato a dimensione d’uomo, riuscendo nel miracolo di innalzare l’uomo stesso al livello di creazione artistica.

Scritto nel 1865, il romanzo di Dostooevskij (sorta di confessione, resoconto scritto in prima persona) indaga la psiche tormentata e i meccanismi perversi della mente dell’’”Uomo del sottosuolo”, un giovane impiegato inconcludente, a disagio con se stesso e in collisione con la società, isolato, con una vita di relazione inconsistente; un “…uomo malato, un uomo cattivo, un uomo che non ha nulla di attraente, ripugnante in sommo grado…” come si autodefinisce il protagonista nell’incipit del romanzo.

Un uomo va incontro alla sua vita, una vita che lo mortifica e gli procura umiliazioni, con la rassegnazione, il dolore e la rabbia di un ubriaco allergico al vino. Una creatura incapace di reagire che si nasconde nelle profondità del sottosuolo della sua mente per trarre il respiro devastante della consapevolezza della sua condizione. Negando a se stesso ogni possibilità di gratificazione non sa tuttavia rinunciare, almeno finché la sua inanità glielo concede, a indicare la via suprema della redenzione, l’amore, a una giovane prostituta che, per caso, appare sulla sua strada. Questa apparizione scuoterà le sue fragili facoltà dell’intelletto fino a dargli l’illusione, alla fine atroce, della felicità.

Rileggere significa per Lavia leggere in un testo ciò che finora non è stato letto. La sua lettura assume dunque le fattezze proprie della critica letteraria. Il suo allestimento non può dunque non risentire di questo punto di vista. Memorie dal sottosuolo non viene riportato fedelmente, dalla prima all’ultima pagina; si parte dalla conclusione, dall’incontro fra il protagonista e una giovane prostituta, per ricostruire un vicenda esistenziale complessa ed articolata.

Così Gabriele lavia racconta il suo spettacolo: “Per Sottosuolo, Dostoevskij intende una particolare condizione umana: la condizione dell’uomo solo, escluso dal consorzio umano e ripiegato su se stesso. La solitudine è la sua malattia ed essa porta con sé l’indifferenza, l’astio, il livore, l’odio nei confronti di tutti gli altri. Sono questi sentimenti che fanno del “Sottosuolo” il vero inferno sulla terra, inferno alle cui pene i dannati si sottomettono come per una oscena fatalità e con un senso chiaro e vivissimo della propria Colpa, trascinati da una assurda esaltazione. Questo mio “adattamento” per il palcoscenico si fonda sull’ultimo episodio con cui si chiudono le Memorie dal sottosuolo. E’ un episodio emblematico, una specie di metamorfosi dello stato in cui versa il protagonista che va incontro a un avvenimento di fondamentale importanza: l’appuntamento con una donna. Non una donna qualunque: la donna di tutti…la prostituta. In questa “ultima scena” ho cercato di introdurre le confessioni che fanno impietosamente luce sugli angoli più bui e sudici del “sottosuolo” del protagonista e che occupano la prima parte nel racconto di Dostoevskij. L’angosciosa ammissione del suo fallimento, col potente, oscuro senso di colpa, è il tema che fa da sfondo all’ultimo incontro, o forse il primo di una nuova fase della vita di quest’uomo: l’incontro con una creatura femminile, una giovanissima prostituta: personaggio che è spesso di scena nella invenzione letteraria di Dostoevskij. L’incontro fra l’uomo e questa giovane donna è fallito in partenza per il muro di disprezzo che egli mette tra sé e la “donnaccia”…Dall’immaginario dell’uomo emerge infatti una fantasia distruttrice e vendicativa che fa della creatura che gli sta davanti il capro espiatorio delle proprie umiliazioni: diventa l’oggetto su cui scagliarsi con tale crudeltà da ferirla profondamente e macchiarsi di una colpa insanabile. “Mi avevano umiliato per tutta la vita, e anch’io ho voluto umiliare”.

L’Uomo dal sottosuolo spalanca gli abissi chiusi dell’animo e anticipa in pieno XIX secolo quanto sulla condizione umana si capirà profondamente solo un secolo dopo: il personaggio di Dostoevskij desidera quello schiaffo che Zeno Cosini cercherà per tutta la vita di dimenticare; il personaggio di Dostoevskij si sforza con tutta l’anima di assumere le fattezze di scarafaggio, fattezze nelle quali Gregor Samsa si ritrova una mattina quasi senza accorgersene. Il mondo del sottosuolo è dunque un mondo di inetti, un mondo di uomini di fumo, un mondo di uomini senza qualità, il cui dramma è proprio non riuscire a comprendere la propria condizione. Prima dell’accettazione o della rinuncia ci vuole la consapevolezza. Il sottosuolo si rivela così l’altra faccia del mondo, il lato buio dell’uomo.

Maria Antonietta Amenduni


15 Marzo 2008

“Va tutto storto” in scena al Teatro della Cometa



Chiamiamoli piccoli imprevisti o se preferite vere e proprie catastrofi! Cosa fareste se il giorno del vostro matrimonio vi arrivasse, dopo qualche minuto del fatidico sì, un uomo con in mano un’urna e vi dicesse che in quel contenitore ci sono le ceneri della vostra amante, la quale poco prima di morire ha espresso come ultimo desiderio che vengano cosparse sul vostro letto nuziale? E dopo questo arrivasse il vostro datore di lavoro a licenziarvi su due piedi? E se mentre succede tutto questo la vostra neo sposa continua a richiedervi per brindare con gli ospiti e sorridere a tutti, malgrado non ne abbiate alcuna voglia?

Tutto questo e molto altro ancora sarà in scena da martedì 25 marzo, fino al 20 aprile, con “Va tutto storto” divertente successo dell’autrice e regista francese Olivier Lejeune, che da ben due stagioni riscuote applausi in moltissime località italiane,ospite in questa stagione del Teatro della Cometa con un cast che ripropone la coppia composta da Fabio Ferrari e Gianluca Ramazzotti protagonisti sul palco assieme a Cinzia Mascoli, Anna Casalino, Gianni Franco, Roberto Mantovani e la partecipazione di Vania Della Bidia. “Cosa puo’ spingere un uomo, a divorziare due ore dopo essersi sposato?” In questo spettacolo, nulla è quello che appare e le risate sono garantite in una commedia il cui finale non si può certamente raccontare.

La commedia, nata nell’agosto del 2002 dalla creativa penna di Olivier Lejeune e immediato campione d’incassi a Parigi, ha visto il successo sin dalla prima delle 180 citta’ francesi dove e’ stato rappresentato, cioè ben prima di approdare per due stagioni al theatre de la michodoire 2002/2003 e 2003/2004 e essere poi ripresa nell’attuale stagione teatrale 2005/2006 al theatre bobino dove e’ tutt’ora in scena, arrivando a totalizzzare quota 700 repliche. Il matrimonio più corto della storia... Jacques, noto pubblicitario e seduttore impenitente, si rassegna a sposare la dolce Corinne. All’uscita dalla chiesa la sorella di Jacques, la matura Lucia, gli lancia inavvertitamente un granello di riso nell’occhio! È l’inizio di una serie di catastrofi e di fraintendimenti funambolici che si abbattono sul suo banchetto di nozze.

“Il mio scopo è quello di far ridere, sempre e comunque - afferma la regista Olivier Lejeune -. Per questo sono partito da una situazione d’urgenza... Ho rispettato le tre regole d’unità (azione, luogo e tempo), e nelle due ore in cui si svolge la vicenda, ho fatto di tutto affinché questa situazione si evolvesse in un crescendo sempre maggiore fino ad arrivare all’esplosione finale. Non ho risparmiato le sorprese allo spettatore: situazioni inestricabili, dialoghi comici e gags visive... Ho voluto che i miei personaggi non raccontassero la storia ma che la vivessero sulla scena in quel preciso momento“.

Maria Antonietta Amenduni


22 Marzo 2008

Sior Todero Brontolon in scena al Teatro Quirino

Giulio Borsetti è il protagonista del testo di Goldoni, è riveste i panni del vecchio avaro e superbo che vuole tutti al proprio servizio, padrone indiscusso di tutta la famiglia e di coloro che, a vario titolo, gravitano intorno ad essa.

Rappresentata per la prima volta nel gennaio del 1762 al Teatro San Luca di Venezia, Sior Todero Brontolon ha riscosso nei secoli successo e consenso del pubblico, divertito dalla messa in scena dei lati peggiori dell'essere umano che si assommano nel carattere del protagonista. In occasione dei trecento anni dalla nascita di Carlo Goldoni, lo spettacolo è uno degli appuntamenti programmati per le celebrazioni tributate, nel corso dell’anno, al celebre commediografo, ed è ora in scena al Teatro Quirino Vittorio Gassman dal 27 marzo al 20 aprile, con uno straordinario protagonista quale Giulio Borsetti, con la partecipazione di Marina Bonfigli.

Al centro della pièce vi è Sior Todero, un vecchio avaro e superbo che vuole tutti al proprio servizio, padrone indiscusso di tutta la famiglia e di coloro che, a vario titolo, gravitano intorno ad essa e ai suoi affari. Quel carattere da Brontolone diventerà in seguito il personaggio del Vecchio goldoniano per eccellenza, capace di muovere e decidere gli eventi.

Personaggio drammaticamente complesso nella sua umanità, nonostante il suo apparire odioso, ha sempre trovato il consenso e la simpatia del pubblico. Cerca in ogni modo di impedire le nozze fra la giovane nipote Zanetta e il ricco e intraprendente Meneghetto, impegnandosi invece a favorire l’unione di lei con il figlio sciocco del suo servile amico, un modo astuto per esser certo che la dote della sposa rimanga sotto il suo vigile controllo.

Giulio Bosetti col trascorrere degli anni e dell’esperienza teatrale affronta il ruolo di Todero come una conquista: “ Non fa piacere a nessuno invecchiare, non essere più padrone del proprio corpo. Ma all’attore che è condizionato dall’età e dal corpo, talvolta, questo passare del tempo può risultare meno gravoso: ha dovuto aspettare e può finalmente interpretare un ruolo che da giovane non avrebbe assolutamente potuto sostenere. E’ il caso del Todero goldoniano, un personaggio annunciato dal suo autore come “odioso”, ma che invece alla rappresentazione ha sempre trovato il consenso del pubblico e, nella follia del suo agire, può diventare addirittura simpatico. Ecco allora che immergermi nei suoi panni sarà per me una grande conquista. Spero con Todero di portare, nel mio avvenire di uomo, un po’ del suo ottimismo, la quasi certezza di arrivare ai cento e quindese, ai cento e vinti, e forse addirittura all’immortalità”.

Goldoni disegna un personaggio tanto antipatico quanto sincero, deprecabile per il suo attaccamento al denaro, ma invidiabile per l’innocenza con la quale muove ogni passo nella sua direzione. Bosetti entra nei panni del despota, in modo deciso e ne fa un personaggio cupo e torvo e appare all’interno di uno studio legnoso che lo rivela grazie alla meccanica apertura della scena che gli riserva il centro del palcoscenico. Egli c’è anche quando il palco si richiude per dar vita a tutto ciò che ruota intorno alla sua possente figura di padre padrone. La regia di Emiliani non aggiunge nulla alla leggerezza della scrittura, e tutto sommato lo spettacolo non sorprende e non sembra mai decollare realmente.

Maria Antonietta Amenduni


15 Marzo 2008

Misterioso Concerto: tra musica e spettacolo, in scena al Teatro India.

Uno spettacolo insolito, che vede protagonisti Mariangela Gualtieri, Dario Giovannini, e Muna Mussie, per la regia di Cesare Ronconi.

Musica parole e spettacolo si fondono in un momento. E’ tutto un susseguirsi di sensazione che coinvolgo e avvolgo il pubblico. E’ “Misterioso concerto” in scena al Teatro India dal 18 al 20 Marzo 2008. E’ un concerto classico ed elegante, che ha incontrato anche il pubblico meno abituato alla ricerca, con un esito sempre alto, fra stupore e commozione, riflessione e pathos, esortazione e pietà. Protagonista Mariangela Gualtieri, poeta e interprete dei propri versi: all’emozione che si prova davanti ad un autore recitante, si aggiunge, nel suo caso, una sapienza interpretativa appresa in anni di lavoro teatrale. I testi scelti per questo concerto sono tratti da Senza polvere senza peso, la seconda antologia dell’autrice pubblicata da Giulio Einaudi Editore, da Paesaggio con fratello rotto e dallo struggente Sermone ai cuccioli della mia specie (l’Arboreto Edizioni, Mondaino 2006).

Sono versi scritti per la scena, ma anche versi in cui si può riscontrare un ritmo più calmo rispetto alla produzione precedente, una pronuncia più interiorizzata: c’è una tensione positiva, tenuta insieme da un filo rosso di gioia, che si concretizza anche nei versi d’amore per figure familiari.
Misterioso Concerto è diretto da Cesare Ronconi, la cui regia, per l’occasione, appare quieta e composta, capace di intrecciare in modo raffinato il pianoforte dal vivo, la danza e la voce.
In scena con Mariangela Gualtieri, Dario Giovannini, e Muna Mussie. Parole, musica dal vivo, danza e immagini, tutto si fonde in una tensione d’ascolto molto coinvolgente.
Muna Mussie entra in scena, quasi nuda, accompagnata al pianoforte da Dario Giovannini, e inizia la sua performance Interpretativo-vocale, evocando lontane suggestioni, e introducendo energicamente Mariangela Gualtieri, protagonista struggente, incisiva ed intimista, ma senza determinata. Misterioso Concerto Trio, non un concerto o tanto meno un “semplice” spettacolo teatrale, ma un concerto per parole, per musica e silenzi, tutto da ascoltare e sognare, da capire e immaginare, sulle scene del video di Simona Diacci, sulla ricerca del suono di Luca Fusconi e Dario Giovannini nonché di Cesare Ronconi vero e instancabile direttore d'orchestra, fondatore storico insieme a Mariangela del Teatro Valdoca, che produce lo spettacolo; Compagnia nata già non ufficialmente nel 1979 a Cesena, nella Romagna, futura fucina di talenti performativi della post-avanguardia, oggi punto di riferimento del nuovo teatro sperimentale, “toccando con mano” il lavoro di Kantor , Grotowski e del Bread and Puppet Theatre.

Scrive Mariangela Gualtieri nelle note dello spettacolo: “Vorrei entrare nella musica dei miei versi e tenere le parole nel loro stato di nascita. Impresa che pare semplice ed è invece immensa. Vorrei entrare negli abissi della voce, nei miei otto anni, nei secoli della mia voce, entrare in quell’antico respiro, nell’antica fiamma che ha tenuto vivi altri. E non per virtuosismo (la mia voce è davvero piccola), quanto piuttosto per caduta, per visitazione, per sprofondamento. Siamo nel reame della sottigliezza, cioè su scala astronomica, lì dove uno spostamento di millimetri cambia l’orbita di una cometa. Abbiamo sostato a lungo sull’ascolto, sul sodalizio fra parola e musica, fra parola e silenzio, in un’attenzione plenaria a ciò che portava Clemente Rebora a scrivere: “e non sapendo ero certo/ del misterioso concerto”. Abbiamo attraversato una miriade di suoni e poi lasciato quasi tutto. Ancora devozione per la parola. Con la certezza che sia così necessario pronunciare, rifondare la lingua, far vibrare particelle sensibili in quel misterioso contagio che è la commozione: non per visione esibita di un pezzo guerreggiato di mondo, ma per un pugno di parole, comuni parole che dicono di noi, vivi adesso, in questo presente, in questo comune destino. Il concerto, nato come duo, è qui nella versione a trio, con Muna Mussie, attrice presente in tutti gli ultimi lavori della Valdoca. Il suo corpo ha un sigillo antico, coniuga infanzia e vecchiaia in una bellezza forte e armonica. La sua voce che si leva in un’unica nota ripetuta, pare il calco esatto di quel corpo: è canto e lamento, grido e richiamo, proviene anch’essa da lontananze mitiche e del mito conserva tutto il mistero. Cesare Ronconi ha guidato noi tutti come direttore d’orchestra, come maestro di canto interiore, lasciando da parte l’esuberanza dei corpi in movimento. Ci ha richiamati spessissimo ad una presenza piena, alla dedizione, alla libertà (stati difficili da tenere insieme).Tutto per ‘fare cuore’ con chi ascolta, farsi suo talismano.”

Uno spettacolo/capace di affascinare e stupire, non resta che scoprirlo e lasciarsi sorprendere.

Maria Antonietta Amenduni


12 Marzo 2008

La furia oppressiva de “Il Calapranzi” di Pinter, in scena al Teatro Politecnico.

Uno dei testi più accattivanti di Harold Pinter, diretto ed interpretato da Marco Belocchi. Paolo Ricchi, nel ruolo di Gus

Uno degli appuntamenti teatrali da non perdere nella capitale. Due attori di grande bravura, Marco Belocchi e Paolo Ricchi, sono i protagonisti de “Il Calapranzi” di Harold Pinter, in scena al Teatro Politecnico dal 26 marzo al 6 aprile 2008. Alla regia troviamo lo stesso Marco Belocchi. Oltre i due protagonisti, altra caratteristica accattivante da non sottovalutare è la colonna sonora dei Beatles. Un testo molto bello per due interpreti di di grande livello.

Il Calapranzi fa parte della prima stagione drammaturgia di Pinter, dove quasi tutte le opere sono metafora di un solo meccanismo, quello della Violenza, che insidia e minaccia l’individuo. È una Violenza che non si esprime nella sua brutalità, ma, al contrario, si manifesta sotto la parvenza di una calma impassibile, scatenando, lo stesso, tutta la sua furia oppressiva. Scritta nel 1957, è ambientata a Londra negli anni cinquanta. Sebbene non si sviluppi propriamente come una commedia, ossia con l'utilizzo del momento comico come movente e fine dell'azione scenica, è considerata tale.

L'azione si sviluppa in un seminterrato spoglio e desolato, sotto un vecchio ristorante, dove due uomini, Ben e Gus sono in attesa di qualcosa. Ben è il più autoritario e trascorre il tempo leggendo il giornale, Gus invece è passivo ma è l'unico che utilizza la parola in modo positivo, facendo domande, le quali però non trovano mai risposta. Ne derivano dialoghi vuoti, illogici, irrazionali. Nel corso delle battute si scopre che essi sono due killer professionisti che attendono istruzioni da un misterioso capo, che sembra comunicare con loro tramite un calapranzi, dal quale vengono fatti scendere oggetti e messaggi. Non conoscono la loro vittima, sanno solo che prima o poi entrerà dalla porta dello scantinato dove sono chiusi e loro dovranno ucciderla. L'attesa è snervante ed i due riempiono il loro tempo parlando di cose futili, in un crescente stato ansioso che li porta allo scontro verbale, sebbene non acceso, fino ad arrivare al sorprendente finale.

Interessante è l’impostazione che il regista Marco Belocchi da allo spettacolo. Ecco come lui stesso lo racconta: “La storia è nota: due killer, Ben e Gus, sono rinchiusi in una stanza in attesa di istruzioni sulla nuova missione, ma strani e, questi sì, astrusi messaggi arrivano calati attraverso un portavivande, un calapranzi appunto, creando una logica, parossistica tensione fra i due, fatta di accensioni improvvise al limite anche dell’humour (stupendi depistaggi che l’autore dissemina sul percorso) finché Ben, il capo, non decritta e comprende quale tragica prova li attende. La nostra personale lettura tende a spogliare il testo di tutte le stratificazioni che il tempo vi ha impresso e a riportarlo in una più giusta dimensione attraverso un’analisi interpretativa basata esclusivamente sul gioco che le parole propongono (che in sé non hanno nulla di astruso); vanno però decrittate, come fa Ben, solo allora si arriva a comprendere la perfetta costruzione a chiave che Pinter ci offre. La messinscena infine si avvale di due attori d’eccezione che, lavorando insieme da quasi un trentennio, quasi sovrappongono il loro rapporto professionale, fatto di dinamiche interne consolidate, ma anche di una conoscenza ai limiti della sopportabilità, prestando così ai due personaggi un affiatamento e uno spessore palpabili che il testo sottace, e un background di vissuto che rendono lo spettacolo di una tragica malinconica crudezza, portandolo non verso significati simbolici o “assurdi”, ma infinitamente più umani”.

Il Calapranzi è senza dubbio uno dei testi più interessanti di Pinter. Eccone pensa il regista Marco Belocchi: “Il calapranzi è uno dei primi testi che Pinter, non ancora trentenne, scrisse per il teatro e in cui già si delineava quella sua ricerca linguistica, fatta di frasi brevi e spezzate, improvvise impennate, lunghi silenzi carichi di tensione e sensi sottaciuti, che ne hanno poi caratterizzato l’opera successiva, densa di capolavori, fino al recente riconoscimento del Nobel. Un grande autore, insomma, che in Italia ha avuto fortunate e note messe in scena da parte di registi e attori di prima grandezza”.

Un testo, come afferma lo setsso regista, sempre apprezzato nei teatri italiani: “Ma è soprattutto Il calapranzi (in originale The dumb waiter) ad aver incontrato spesso il favore dei teatranti, vuoi per la semplicità che richiede l’allestimento, vuoi per le possibilità recitative che offre ai due protagonisti. Troppo spesso però, in una lettura che congetturava l’appartenenza di Pinter al cosiddetto “teatro dell’assurdo”, si è scambiato questo atto unico per un opera simbolica densa di significati altri, che sicuramente sono presenti, ma non possono prescindere da un plot tutto sommato lineare, dando così l’impressione di qualcosa di francamente poco comprensibile e astruso. Non credo che questo fosse nelle intenzioni dell’autore, che invece scrive una pièce in puro stile anglosassone, strizzando non poco l’occhio alla solidissima tradizione del mistery”.

Teatro Politecnico
(Via Giovanni Battista Tiepolo 13/a)
dal mercoledì 26 marzo al 6 domenica Aprile
Orario spettacoli da martedì a sabato ore 21 – domenica ore 17,30
Durata dello spettacolo: 1 ora
Biglietti: intero 15€ - ridotto 10euro – scuole 7euro
Tel.06.3219891

Maria Antonietta Amenduni


9 Marzo 2008

“Le braci e altri racconti”, in scena al Teatro dell’Orologio

Riccardo Cavallo dirige uno spettacolo in omaggio ad un autore ammaliante quale Sandor Màrai, Sostenitore del concetto di vita come "dovere e vanità. In scena Claudia Balboni, Alessio Caruso, Nicola d’Eremo e Cristina Noci.

Un caso letterario, un autore affascinante: Sandor Màrai. E’ proprio in omaggio a lui che nasce lo spettacolo “Le braci e altri racconti”, in scena al Teatro dell’Orologio (Sala Grande), dal 3 al 21 marzo ’08, il tutto per la regia di Riccardo Cavallo. In scena Claudia Balboni, Alessio Caruso, Nicola d’Eremo e Cristina Noci.

Siamo in un vecchio castello ai piedi dei Carpazi. Henrik, un vecchio generale in pensione, riceve una lettera che gli annuncia la visita del suo migliore amico Konrad. Henrik, con l’aiuto della vecchia balia Nini, prepara la scena come per uno spettacolo. Tutto deve essere come il loro ultimo incontro di quarantuno anni prima: stesso menù, stesse candele azzurre, le stesse poltrone accanto al camino. Tutto è pronto. Il vecchio generale apre un cassetto della scrivania, ne estrae una pistola e controlla che sia carica, poi la ripone nel cassetto. Il generale, attende il ritorno dai Tropici di Konrad, con il quale aveva condiviso fin dall'infanzia un'amicizia "seria e silenziosa" che sembrava destinata a durare e che invece si era bruscamente interrotta. Konrad è infatti improvvisamente partito per i Tropici quarantuno anni prima senza più dare notizie di sé. Perché? Quale grave motivo può averlo spinto a lasciare l’esercito e troncare un’amicizia che durava dall’infanzia? Che ruolo ha avuto Kristina, la moglie del generale, nella sua decisione? E perché quando lei sa della partenza di Konrad dice: ”E’ un vigliacco?” E Kristina sa che il giorno prima, durante una battuta di caccia, Konrad ha alzato il fucile puntandolo contro il suo amico, per ucciderlo? Queste domande affollano la mente di Henrik. Da quarantuno anni, il generale vive nell’attesa di una risposta e finalmente il momento è arrivato. Kristina è ormai morta da tempo, Henrik ha di fronte a sé Konrad: finalmente saprà.Un percorso della memoria portato avanti come una partita a scacchi attraverso il ricordo di una magica Vienna, di una grande amicizia e di una passione che si è spenta trasformandosi in"braci luride e nere". Il generale, per tutta la vita si è preparato a quel momento e si è reso invisibile al mondo per poter ricomparire davanti all'amico-rivale e conoscere la verità. Sebbene Konrad sia fuggito ai Tropici, i due protagonisti sono rimasti nello stesso posto, nel castello-mausoleo, incatenati da quel tradimento che ha cambiato irrimediabilmente le loro vite. Dietro la maschera dell'affinità elettiva si era celato per lungo tempo l'odio dell'amico-rivale per il generale: quest'odio, scaturito dall'invidia sociale (l'amico è un parvenu) e da un senso di superiorità intellettuale (la spiccata inclinazione per la musica di Konrad), con il tempo era diventato desiderio di vendetta che si era trasformato nella passione del tradimento, quale estrema ribellione dell'amico-rivale.

Uno modo per riscoprire un autore ammaliante come Márai e per far riemergere dall'oblio uno scrittore che può essere collocato nell'ambito di quel Novecento mitteleuropeo (Mann, Musil, Kundera, Bernhard) che ha saputo esprimere in maniera magistrale la "saggezza del romanzo": tale saggezza disfa e contraddice le trame intessute da quello che lo scrittore ungherese ha definito "il tempo sospetto della rivalutazione dei valori, la moda degli slogan". Alla superficialità e alla stupidità del Novecento, la "saggezza del romanzo" contrappone una sorta di filosofia del fundus animae che riflette senza illusioni sugli aspetti più reconditi dell'esistenza.

Caratteristica ricorrente nei romanzi e nei racconti di Márai è il concetto di vita come "dovere e vanità": la vanità, invece, attesta la non recuperabilità dell'esistenza che versa nella precarietà e in un perenne stato di pericolo, perché è continuamente minacciata dalla distruzione. La vertigine della vanità si rivela nella dissennatezza delle passioni, alla quale nessuna educazione sentimentale può resistere e che appartiene alla "notte dell'uomo", a quell'abisso segreto che si ha paura di sondare. Il dovere è il compimento del proprio destino, inteso sia come processo di autoformazione, sia come l'insieme di quelle perdite gravi che nel corso della vita l'uomo di carattere deve saper sopportare, fino alla perdita di sé nella morte. Dietro l'apparente ordine rigoroso e razionale della cosiddetta realtà si nasconde e agisce tormentosamente una forza che brucia, una "radiazione maligna" che annichilisce la vita, ma che, nel contempo, la tiene in tensione. Questa forza sotterranea può rimanere pietrificata per lungo tempo nell'attesa di palesarsi, ma alla fine è destinata a straripare in un profluvio di "energia senza scopo".

Maria Antonietta Amenduni


9 Marzo 2008

Quattro storie di donne in scena al Piccolo Eliseo.

A piedi nudi di Dacia Maraini, è lo spettacolo diretto da Pietro Cartiglio, che vede protagoniste Liliana Pagani e Aurora Falcone. Quattro donne differenti, intense, ironiche ed incisive.

C’è una graffiante ironia, ma anche il dramma dell’anima, in scena al Piccolo Eliseo Patroni Griffi, dal 5 al 16 marzo con A piedi nudi di Dacia Maraini. Celia Carli, ornitologa; Giulia; Figlio, figlio amato sono i tre monologhi interpretati da Liliana Paganini, tre storie di donne mature alle prese con le difficoltà dei rapporti familiari, e il breve Trasloco interpretato da Aurora Falcone, una giovane laureata in filosofia che si affaccia nel mondo del lavoro in una ditta di trasporti. La regia e le scene dello spettacolo sono di Pietro Carriglio, le musiche di Mario Modestini. Giuliana Lojodice presta la sua voce fuori campo ad Amelia Virgili.

Quattro donne differenti, quattro vite in diverse situazioni e nella loro quotidianità. Due attrici per quattro donne; Aurora Falcone è la simpaticissima protagonista di Trasloco,storia di una giovane donna che per sbarcare il lunario si adatta a fare traslochi, un lavoro direbbero i tradizionalisti "da uomini".

Le altre tre donne vedono, anima e cuore, una protagonista importante del nostro teatro: Liliana Pagani, che grazie alla sua notevole forza espressiva, da vita a tre donne completamente diverse tra loro. C’è Celia Carli, ornitologa, la storia di un intreccio amoroso: un uomo traditore, la sua indulgente moglie (la voce di lei al telefono è di Giuliana Lojodice), e ancora una donna brillante che ama il classico mascalzone. E’ poi la volta di Giulia, anche se in scena c'è la presenza muta della figlia della protagonista, è un altro monologo, che porta lentamente alla scoperta sconvolgente del fatto che la figlia, aspetta un figlio dal compagno della madre.

A concludere il quadro delle quattro donne c’è la madre siciliana di Figlio, figlio amato. Qui la madre di un mafioso pentito e poi ucciso, vaga nei meandri della sua mente e della sua follia, seguendo un suo preciso percorso legato ad un paio di scarpe, appartenenti al figlio stesso, scarpe da lasciare sulla tomba perché il figlio morto possa andare lontano, fuggire via dal sonno eterno, andare incontro alla sua nuova vita. Emozionante, ironica, ingenua e drammatica, Liliana Pagani riesce ad essere tutto questo e molto altro ancora, in un solo spettacolo.

Così Dacia Maraini, racconta le quattro protagoniste nate dalla sua penna: “Tre donne molto diverse fra di loro: Carmelina, Giulia, Celia. Una siciliana semianalfabeta madre di una pentito; una madre italiana che parla con la figlia incinta mentre prepara il pane in cucina, una donna sposata che parla con la innamorata del marito Tre storie lontane nel tempo e nello spazio, tre vicende che non hanno niente in comune. Eppure qualcosa le unisce ed è il complicato legame che allaccia i membri di una famiglia, che sia italiana o straniera, che sia piccola o grande. Cosa sappiamo di ciò che accade nella profondità di un interno famigliare, salvo quella che noi stessi abbiamo sperimentato e sperimentiamo? Di tutti i misteri il meno indagato, il più taciuto, riguarda proprio l’insondabile complicazione della vita quotidiana fra consanguinei. Non a caso le tragedie greche, che hanno come centro e tema i difficili intrecci familiari ci appaiono sempre attuali e vicine. Cambia la società e la famiglia con lei, ma qualcosa nel viluppo originario rimane a fermare ogni apparenza di rivolgimento. Il rapporto madre-figlio, madre-figlia, su cui sono centrate le due storie di Carmelina e di Giulia, il marito- moglie-amante su cui è costruito il pezzo di Celia, mettono in evidenza da una parte la solidarietà, la generosità, l’amore, la voglia di proteggere, di donare, dall’altra la cecità, il dolore, la paura, l’inimicizia, la gelosia, sentimenti non sempre visibili e dichiarati che nascondo subdoli fra i membri di famiglie toccate da un destino di privilegiata normalità. Carmelina si sottopone alle regole sociali che la costringono a rinnegare il figlio che “ha parlato”, ma ciò non le impedisce di andare a trovare il ragazzo morto e parlargli d’amore. Giulia racconta alla figlia gravida, che non vuole rivelare il nome del responsabile, le sue idee sulla famiglia, i suoi progetti per il futuro comune. Solo alla fine scoprirà la verità amara che le farà capire quanto le sia estranea e nemica la figlia che credeva di amare e proteggere. Celia cerca di conoscere, attraverso la donna che è stata sua moglie, l’uomo con cui sta per mettere su casa. La tragedia familiare cammina nuda e coi piedi scalzi, ovvero non porta vestiti che possano mettere una data al suo percorso. Anche le scarpe sono abolite. I piedi nudi sono sempre gli stessi, resi callosi dal gran camminare, esposti a tutti i pericoli. I piedi nudi di Celia, di Carmelina, di Giulia ci rivelano che percorrere sentieri nascosti dentro una stretta rete di parentele significa perdere ogni difesa, arrendersi all’impudicizia di un tempo che non matura e non muta, ma rimane arcanamente uguale a se stesso nonostante le grandi trasformazioni sociali ed economiche. Le leggi etiche, le necessità collettive risultano così fragili di fronte alla gigantesca trama preistorica dei primi sentimenti legati alla riproduzione: un padre, una madre, un figlio. Le generazioni si susseguono nella gioia della scoperta di essere uguali e nel dolore della scoperta di essere perversamente disuguali”.

Maria Antonietta Amenduni


9 Marzo 2008

“Nnord” di scritto e diretto da Roberto Latini, in scena al Teatro India.



Dall’11 al 16 marzo in scena al Teatro India “Nnord” di scritto e diretto da Roberto Latini. Uno spettacolo che porta in scena un concetto, una condizione: l'essere la parte a nord del mondo. Nnord vuole essere anche un omaggio ad uno spettacolo di Leo de Berardinis e Perla Peragallo che nel 1974 intitolavano una delle tappe del loro percorso, Sudd. L’allestimento vede in scena: Sebastian Barbalan, Guido Feruglio, Fabiana Gabanini, Roberto Latini, Vinicio Marchioni, Alessandro Riceci, Marco Vergani.

Pensato in scene separate, indipendenti, in successione, come dentro a una sequenza, lo spettacolo affronta in moduli diversi la medesima comune “condizione”, non intorno ad una sensazione o dentro un pensiero, ma attraverso qualcosa che ci appartiene, ci detiene, e alla quale contribuiamo tutti: quello che abbiamo; quelli che siamo. Scene prese dalla strada: una fila per il permesso di soggiorno, un incontro andato a male, una fuga. Ritratti di vita quotidiana, della vita al nord del mondo. Gli attori recitano il trascorrere del tempo nei gesti di tutti i giorni e mostrano i cattivi segni della normalità pronunciando la sofferenza lì dove sembra più muta.

Nnord è dove viviamo e come viviamo. Come siamo e come cambiamo. Per piacere o per dispetto, per necessità o per scelta quasi senza rendercene conto. Nnord muove dallo stato delle cose. Apparente o reale. Dalla coscienza e dalla non-curanza. Da un sentire che ne è testimonianza, pagine di un diario collettivo dove il testo è una partitura di scene e azioni fisiche.

Maria Antonietta Amenduni


9 Marzo 2008

Carlo Buccirosso, al Teatro Sala Uno, con “Vogliamoci tanto bene”



Carlo Buccirosso è autore, regista e interprete di 'Vogliamoci tanto bene', spettacolo in scena al Teatro Sala Umberto di Roma dall'11 al 30 marzo. Il protagonista della commedia è Mario Buonocore, un impiegato alle poste. In malattia da un mese per una grave crisi depressiva, separato, con due figli, Buonocore decide di tornare nella casa che fu dei suoi genitori - che ora ospita le sue due sorelle - per ritrovare il calore della famiglia. Il legame famigliare. Secondo il protagonista, deve servire per superare tutte le difficoltà che si presentano nella vita. Titina è una vedova benestante con figli brillanti e realizzati, Teresa è una insegnante sposata a un maresciallo. Le tre famiglie sembrerebbero affiatate, ma la competitività rende qualcuno, tra zii e cugini, un po’ meno leale di quanto il povero Buonocore potesse immaginare! Il rapporto morboso che lo aveva sempre legato alle sorelle e la fede indissolubile verso l'istituzione della famiglia renderà difficile la permanenza nella casa. Interpretato da Carlo Buccirosso, con Maria del Monte e Graziella Marina, Gianni Parisi, lo spettacolo propone una situazione, in cui la furberia e l’arrivismo corrodono anche persone dai sani principi, creando intrecci paradossali e facendo divertirei il pubblico.

Maria Antonietta Amenduni


9 Marzo 2008

Come ammazzare la moglie e perché, come ammazzare il marito senza tanti perché



Un titolo che è tutto un programma: Come ammazzare la moglie e perché, come ammazzare il marito senza tanti perché. Il marchio di fabbrica è quello dei Picari, che portano in scena al Teatro dei Satiri, 4 al 30 marzo 2008, questo testo di Antonio Amurri, con testi aggiuntivi di Roberto D’Alessandro, Pino Cormani, Enrico Dechner, Mimmo D’Angelo, Cinzia Berni , Maria Pagnotta. In scena quattro divertentissimi interpreti: Pino Cormani, Roberto D’Alessandro, Maria Lauria, Carola Silvestrelli.

A raccontare la piace è l’attore e regista della spettacolo Roberto D’Alessandro: “Questo spettacolo parte da una considerazione: i matrimoni finiscono! Ormai lo sanno anche gli Italiani che, pur credendo fermamente in questa sacra istituzione, si sposano in media tre volte nella vita. L’amore segue un copione preciso: innamoramento, delusione, calvario, separazione. Dalla seconda fase in poi cominciano i dispetti, le gelosie e il desiderio di evasione, fino alla fatidica frase: “Io questa l’ammazzo!”, oppure: “Quest’uomo non merita di vivere”. Che succederebbe se ogni fantasia omicida avesse un seguito? Ce lo racconta questo spettacolo esilarante che suggerisce quaranta modi di uccidere il proprio coniuge senza lasciare tracce. Farla franca è possibile, basta seguire alla lettera queste preziose indicazioni! Ma perché si arriva a questa esasperazione? Quali sono le logiche e i perché dei rapporti di coppia all’interno del matrimonio? Un tradimento, il marito che russa, l’ennesimo arrosto andato in fumo diventano la cartina al tornasole che rivela l’insoddisfazione coniugale, qui messa in scena seguendo tutte le possibili tracce che conducono alla soluzione estrema. C’è chi usa il coltello e chi il phon nella vasca da bagno, chi è abile con i veleni e chi sa manomettere i freni dell’auto: in pieno stile picaresco ecco una riflessione sulle “unioni per la vita” quanto mai attuale. Scanzonato e caustico, ricorda a tutti che il fallimento di un matrimonio non è un dramma individuale bensì una realtà sociale, ma che c’è sempre una via d’uscita”!

Nei giorni di martedì e mercoledì portando al botteghino del teatro una foto del matrimonio o della vostra coppia, si avrà diritto ad un biglietto ridotto di platea e galleria.

Maria Antonietta Amenduni


1 Marzo 2008

Il Malinteso: il rito solenne della solitudine dell’anima

In scena al Teatro Eliseo, Giuliana Lojodice, Galatea Ranzi, Luca Lazzareschi, Valentina Bardi, sono i protagonisti dell’opera di Camus; la regia, le scene e i costumi, sono di Pietro Cartiglio.

“Anch’io credevo di avere una casa, pensavo al delitto come a un focolare che unisse mia madre a me per sempre. A chi avrei dovuto rivolgermi su questa terra se non a lei, che aveva ucciso insieme a me? Ma mi sono ingannata. Il delitto è solitudine, anche se siamo in mille a commetterlo”. Albert Camus, Il malinteso

Un dramma che si dipana nell’arco di una sola giornata. Le Malentendu (Il malinteso), è l’esordio teatrale di Albert Camus, andato in scena per la prima volta a Parigi nel 1944. Un testo dalla bellezza prepotente, che torna in scena a Roma, al Teatro Eliseo, dal 4 al 16 marzo, con un cast di tutto rispetto, che vede protagonisti quattro importanti interpreti del nostro teatro; Giuliana Lojodice, Galatea Ranzi, Luca Lazzareschi, Valentina Bardi, per la regia, scene e costumi di Pietro Cartiglio.

Rifacendosi all’essenzialità strutturale della tragedia greca, Camus propone quattro personaggi in tutto, oltre a un coro pressoché muto, chiusi nello spazio angusto di un solo luogo: il soggiorno e la camera di una locanda, in una piccola città della Boemia. Il Malinteso di Albert Camus esprime uno psicodramma possibile della castrazione femminile. Rispettando lo schema corporeo della donna e l'investimento affettivo sulla sua fecondità, propongo un modello di castrazione come sterilizzazione. Una parabola laica sull’insensatezza e l’inspiegabilità del male, oltre ogni logica della ragione.

Le protagoniste di questa sanguinosa vicenda sono una vecchia signora di sessanta anni e sua figlia, Marta, poco più che trentenne. Le due gestiscono una antica locanda in una piccola città della Boemia ma Marta desidera in maniera ossessiva di fuggire da quei luoghi dove è nata e non riesce a vivere. E’ un chiodo fisso, ogni giorno della sua vita, il pensiero va sempre lo, all’immagine disegnata nella mente di un luogo nuovo, diverso, radioso, una casa vicino al mare, dove il sole riscalda la pelle e soprattutto il cuore. Ma per realizzare questo sogno, le occorre denaro e pensa di procacciarselo uccidendo e derubando i clienti più facoltosi della locanda. Marta sfoga così le proprie frustrazioni punendo chiunque abbia la colpa di non essere altrettanto disgraziato di lei, una donna che non ha mai conosciuto un attimo di felicità, lei che non ha mai dato e ricevuto “un bacio in tutta la vita”. Complice di questa efferata serie di delitti è la madre, alla quale stanca di una vita di miseria e solitudine non resta che assecondare il folle disegno omicida della figlia. Il destino però porterà Marta e la madre al tragico malinteso. Un mattina infatti giunge alla locanda un giovane e ricco trentenne chiedendo ospitalità per un paio di notti: la vittima perfetta; se non fosse che quel giovane è il figlio di cui la madre non aveva più notizie, da che lui era poco più che adolescente. Jan (il nome del figlio) nel frattempo era cresciuto, era diventato ricco e oggi tornava a condividere la sua ricchezza con la madre e la sorella. Molto ingenuamente decide di non rivelarsi subito, vuole conoscere le esigenze della sua famiglia e soddisfarle. Questa decisione gli sarà fatale e si innesta il meccanismo tragico che condurrà tutti verso un irreparabile epilogo.

Il Teatro Biondo Stabile di Palermo, che produce lo spettacolo, recupera, ancora una volta, un testo ingiustamente trascurato del repertorio novecentesco. Il regista Pietro Cartiglio. Racconta così lo spettacolo: “Ci sono libri che accompagnano le nostre giornate, insensatamente, come motivi musicali: Pensieri di Pascal; altri libri ci accompagnano in silenzio, nel vuoto. Come sappiamo, l’opera di uno scrittore va letta al di là delle sue intenzioni. È possibile, allora, fare di Camus, come a me succede in cinquanta anni di letture, uno stupefacente autore di teologia negativa? Dio non è; per essere non può che non essere. Tutta la nostra vita è segnata da un Malinteso. È il dramma della modernità, l’assenza di Dio. Camus, da qui il mio interesse per il testo, si è caricato sulle spalle il dolore dell’uomo moderno che ha perso Dio. Dice Camus contro il suo, e nostro, amatissimo Dostoevskij: anche se Dio non esistesse, non per questo tutto sarebbe permesso”.

Una scrittura grave e solenne, un testo che comunica tutta l’angoscia delle protagoniste: Tutti questi sentimenti vengono resi dalla regia e dagli stessi interpreti che snocciolano le battute con una limpidezza inflessibile, che porta lo spettatore sistematicamente a restare con lo sguardo fisso su quell’abisso in cui fluttuano i protagonisti, fino alla inevitabile perdita di gravità, che li porta inesorabilmente a precipitare nel buio più profondo e scuro. Più che ad uno spettacolo, sembra di assistere ad un rito, con le sue regole e le sue litanie. Due ore e dieci di spettacolo, impreziosite da una scenografia sofisticata con richiami a opere d’arte ed elementi di carattere talismatico, pregevolmente valorizzate dal bel gioco di luci, e dal cast capitanato da una straordinaria e maestosa Giuliana Lojodice, insieme Galatea Ranzi, Luca Lazzareschi, e Valentina Bardi, più lo stesso Cartiglio, che ritaglia per se il ruolo del servitore silenzioso.

Maria Antonietta Amenduni


1 Marzo 2008

Un linguaggio inestricabilmente legato alla società in cui viviamo

Un mondo virtuale, che mette a rischio un teatro che potrebbe diventare marginale. E’ questo il senso dello spettacolo “Storie del signor Keuner” di Bertolt Brecht, per la regia di Roberto Andò e Moni Ovadia.

Uno spettacolo sull’oggi e sul senso del teatro oggi. E’ Il Brecht “inedito” delle Storie del signor Keuner di Bertolt Brecht, lo spettacolo di Roberto Andò e Moni Ovaia, in scena all’Auditorium Parco della Musica,dal 4 al 6 marzo, in Sala Petrassi, con Moni Ovadia, Lee Colbert, Roman Siwulak, Maxim Shamkov, Ivo Bucciarelli e con la Moni Ovadia Stage Orchestra.
Le storie del signor Keuner, è una raccolta di parabole, di racconti, in parte ancora inediti in Italia, che per l’occasione è stata tradotta da Roberto Menin. Il signor Keuner è l’alter ego del Brecht due volte esule: esiliato perché oppositore eccellente del regime nazista e poi esule presso di sé al rientro a Berlino, nel constatare che il comunismo – da lui tanto auspicato – in cui ora si trovava a vivere era un sistema di potere ottuso e auto-referenziale.

Questa particolare scelta da parte di Moni Ovaia e Roberto Andò, è dettata dal fatto che nel 2006, anno del cinquantesimo anniversario della morte di Brecht, l’attenzione nei confronti dell’opera del grande drammaturgo tedesco si è essenzialmente concentrata sui testi del teatro epico la cui diffusione in Italia è passata attraverso la lezione di Strehler al Piccolo Teatro di Milano. Così Ovaia e Andò, anno deciso di rendere omaggio a Brecht, in un modo diverso e originale rispotto al solito, regalando uno spaccato di un personaggio, poco noto al pubblico.
Lo spettacolo è una fuga visionaria sul caos del novecento. La messinscena è immaginata come un’istallazione, «una mise en scene in forma di esposizione – dichiara Moni Ovadia - di reperti “d’arte”, alla maniera scomposta di certe esposizioni del nostro tempo dominato dalla virtualità, in cui i frammenti di realtà sono confinati in un esilio senza speranza… Il sottotitolo “un’esposizione post-morale”, indica un catalogo di citazioni e di pensieri più che di comportamenti e di gesti, di musiche, di danze, di intellighenzie». Rendere citabili i gesti – come ha scritto Bejamin – è l’assunto del teatro di Brecht. Il repertorio musicale scelto da Moni Ovadia è composto da «frammenti di memoria musicale del novecento».

Tutto in Keuner – un personaggio che costella l’intera opera di Brecht - ha una forma dialettica, elastica, dubitativa. Brecht esce dai temi dalla lotta di classe per entrare in un’altra dimensione, sposta il piano della centralità politica a quello della centralità umana, rappresenta il punto zero dell’uomo nel caos, spaesato, esule in un’epoca in cui avanza la perdita del senso e dei valori.

Quello di Keuner è infatti un Brecht della domanda e non della risposta, un Brecht dello smarrimento. Per questo qualche critico ha notato uno sconfinamento del K di Bertolt Brecht nei territori del K di Franz Kafka. A differenza del Brecht epico, didascalico che ci è stato consegnato – contrassegnato dalla sua lettura ideologicamente precisa - quello di Keuner è un Brecht che traccia, come ha scritto Roland Barthes, una poetica della lucidità, della problematicità, a noi più vicino e interamente da scoprire perché del tutto inedito. I racconti di Keuner illuminano infatti la condizione dell’uomo di oggi. Andò e Ovadia hanno esaltato nel testo i nodi politici attuali: Brecht mima una serie di comportamenti possibili che hanno a che fare con situazioni che oggi come ieri possono diventare esplosive. Fra questi racconti brevi, ad esempio, ce n’è uno sulla costituzione che sembra scritto apposta per un paese come il nostro dove si sta consumando un feroce conflitto sulla possibilità di una sua modifica; ce ne sono altri che riguardano lo stato di polizia, il rapporto tra il cittadino e la guerra, il patriottismo, la xenofobia, il nazionalismo, c’è n’è anche uno sul minimo sindacale, sul lavoro, cioè su ciò che misura la dignità umana in ogni epoca.

«Il nostro Keuner - dice Roberto Andò - non è narrativo in senso tradizionale. Non ci sono fatti narrati: è un transitare lungo paesaggi della storia attraverso delle voci e attraverso un percorso che Moni in scena evoca a partire dalla lezione di Brecht».
«Frammenti, citazioni, irruzioni, iridescenze, spostamenti - continua Ovadia - e un linguaggio inestricabilmente legato alla società in cui viviamo: l’idea della lettura, della dichiarazione, dell’intervista, questa è stata l’idea cruciale; la chiave di volta per entrare in un teatro politico civile dell’oggi».
I testi del Keuner sono infatti letti in video da personalità scelte perché devono creare un corto circuito con quanto avviene oggi e portarci subito in un dimensione attuale: Alessandro Bergonzoni, Massimo Cacciari, Gherardo Colombo, Philippe Daverio, Daniele Del Giudice, Oliviero Diliberto, Dario Fo, Arnoldo Foà, Don Gallo, Claudio Magris, Michele Michelino, Milva, Eva Robins, Carlo e Sabina Rivetti, Sergio Romano, Roberto Scarpinato, Gino Strada. «Questi personaggi leggono le storie di Keuner come fosse la lettura di un comunicato – dice ancora Ovadia -, un linguaggio consono alla virtualizzazione del mondo come è la comunicazione televisiva. Sono solo dei portavoce di questa comunicazione, con il risultato di creare una sorta di straniamento».

Andò descrive la scena: «La scenografia è labirintica, piena di porte. Cita attraverso quelle porte il grande teatro delle avanguardie del novecento. I personaggi sono dei reperti: la cantate brechtiana, il custode del museo, l’attore manichino kantoriano, il mafioso russo appassionato d’arte, i musicisti clandestini vestiti da donna, come in Billy Wilder in fuga da possibili persecutori». In scena Moni Ovadia è un curatore di mostre artistoide e intellettualoide, cultore dell’ebraismo kafkiano che cerca di conferire un senso impossibile all’esposizione che è chiamato a organizzare e il cui «unico esito è inesorabilmente post-morale».
Lo spettacolo non è solo sulla società di oggi ma anche sulla funzione del teatro oggi: è una riflessione sul teatro di Brecht che coinvolge il senso che oggi può avere il teatro. Ed è uno spettacolo politico poiché attraverso il catalogo, lo sberleffo teatrale nella citazione, il paradosso, mostra le macerie della situazione politica di oggi.
«Con la virtualizzazione del mondo – afferma Andò – il teatro rischia di divenire sempre più marginale. L’unico rimedio è fare del teatro il luogo di un pensiero e di un atto politico: il nostro spettacolo racconta la riflessione teorica di uno dei grandi drammaturghi del novecento rinnovando le emozioni politiche dei suoi testi per gli spettatori di oggi. Nessuno meglio di Brecht ha saputo rispondere alle domande della società con la forza della poesia e del teatro».

Maria Antonietta Amenduni


1 Marzo 2008

“Anna Karenina”, secondo Eimuntas Nekrosius

In scena al Teatro argentina, l’ennesimo capolavoro del regista lituano. Uno spettacolo, semplice, diretto e vero, fatto di gestualità e corpi “eloquenti”. Nei panni della protagonista, Mascia Musy.

Uno spettacolo visionario, intrigante, prezioso. E’ “Anna Karenina”, diretto da uno dei più grandi registi teatrali al mondo, il lituano Eimuntas Nekrosius. Il regista torna in Italia (Teatro Argentina di Roma dal 4 al 16 marzo 2008) con uno spettacolo, che a differenza dei precedenti (il Gabbiano, il Giardino dei ciliegi ecc.), questa volta è recitato in italiano. La durata (5 ore, con due intervalli) e la monumentalità dell’opera non scoraggiato gli spettatori, amanti del teatro che lascia il segno e che di porti dentro per tutta la vita. Era stato annunciato come uno ’spettacolo selvaggio’, e le promesse sono state mantenute. La storia è articolata in 29 scene in 3 tre atti. La protagonista è interpretata da una delle nostre attrici migliori: Mascia Musy; Vronsky ha il volto di Paolo Mazzarelli.

Anna Karenina – riletta alla luce dei Diari dell’autore, così come di altre sue opere affini da La storia di un cavallo alla Morte di Ivan Il´ic – è tradotta da Nekrošius in uno spettacolo di attori, prima ancor che di regia, tutto teso, in linea con la più schietta vocazione estetica del grande maestro lituano, all’esplorazione del profondo a dispetto di ogni facile fuga nella teatralità illustrativa. Epicentro del grande sisma drammaturgico l’incontenibile forza della lettura: una lettura contagiosa, che si trasmette per contatto agli altri con incontenibile urgenza e necessità.

Nella messa in scena di Nekrošius i temi principali della Karenina (il destino, l’amore, la ricerca della felicità, il dolore, il lavoro, l’inesorabile trascorrere del tempo, la morte...) si intrecciano al linguaggio non verbale fatto di azioni e suoni capaci di dilatare il tempo. In un sofisticato contrappunto teatrale le ‘scene’ più celebri del romanzo (il ballo, il viaggio in treno, le corse, la serata a teatro, la morte di Nikolaj, il suicidio di Anna...), alternandosi ai passi meno noti, vengono componendosi in un cangiante collage drammaturgico ‘in costume’ in cui la ricerca dell’ordine e il nitore cedono volentieri il passo al calore e alla semplicità della giovinezza.

Questo spettacolo delicato, fatto tutto di dettagli, di struggente evocazione di atmosfere (a partire dallo spirito della casa così caro a Tolstoj), ritmato sul pulsare degli sguardi e sull’intreccio delle mani, modulato sulla ricerca dei timbri di voce (nella memoria quella così strana dell’autore, affidata alla posterità dalla malcerta traccia di una pionieristica incisione), pervaso di luce e calore, ma anche ossessionato dal ferro e dal sangue pur senza mai diventare crudele, danzato sul tempo lungo e sospeso dell’attesa, diventa per Nekrošius anche l’occasione di riflettere su cosa significhi essere russi, stando lontano dalla Russia, cercando un’identità culturale nell’incrocio tra culture.

Come sempre, Nekrosius segue scrupolosamente l'andamento del racconto, e al tempo stesso se ne discosta per osservarlo come da lontano. "Anna Karenina" arriva dritta al cuore. Nekrosius fa di questo spettacolo un racconto diretto, semplice nella sua ossatura, vero nella sua essenza e umanità. Uno spettacolo altamente fisico, fatto di gesti e corpi “eloquenti”. E "parlano" anche gli oggetti, i fogli di carta ora appallottolati ora strappati, gli orologi che appaiono ogni tanto, la grande scala di pietra. Bellissima è l’idea della cornice di uno specchio in cui Anna entra ed esce. Niente è eccessivo, forzato, o puramente visionario; tutto quanto è perfettamente funzionale al testo e allo spettacolo. Non c’è nulla lasciato al caso. Tutto è allo stesso tempo chiaro e palese, ma fatto di una chiarezza che lascia comunque spazio all’immaginazione. Così lo spettatore, è in viaggio sul treno con Anna Karenina, con lei al ballo, negli abiti più belli...è come se si stesse vivendo un solo unico grande sogno collettivo.

In scena con Mascia Musy e Paolo Mazzarelli, troviamo Annalisa Amodio, Vanessa Compagnucci, Alessandro Lombardo, Paolo Musio, Corinne Castelli, Nicola Cavallari, Gilberto Colla, Alessandro Lombardo, Renata Palminiello, Paolo Pierobon, Alfonso Postiglione, Nicola Russo, Stefano Vercelli, Gaia Zoppi.


Maria Antonietta Amenduni


1 Marzo 2008

Gianfranco D’angelo e Ivana Monti in: Indovina chi viene a cena?

Un grande classico del cinema, in versione teatrale. Un sempre verde che, mai come oggi, aiuta ancora a riflettere sulle necessità della convivenza tra culture, nel rispetto delle stesse.

Un grande classico cinematografico, adattato per il palcoscenico. E’ in scena al Teatro manzoni, la commedia “Indovina chi viene a cena?” Chi non ha mai visto l’indimenticabile film che premiò Spencer Tracy e Katharine Hepburn pressoché al termine delle loro carriere! In un’Italia multietnica tesa a riempire i vuoti di comprensione tra le differenti culture oramai a stretto confronto, dove la convivenza e il rispetto tra culture diventa un’esigenza prepotente, Gianfranco D’angelo e Ivana Monti, diretti da Patrick Rossi Gastaldi, portano in scena la commedia che sviscera e analizza le problematiche di un matrimonio misto, seppur tra inaspettate gag e inevitabili discussioni. Patrick Rossi Gastaldi, ritorna con questo spettacolo, alla regia di un testo teatrale autentico, assolutamente lontano dalle performance coreografiche dei musicals degli ultimi anni, e che si avvale della vicinanza professionale di Alessandro Chiti, per la scenografia, e di Grazia Pera, per i costumi.

Un testo di quasi mezzo secolo questo “Indovina chi viene a cena?” di William Arthur Rose che però per nulla ha messo in difficoltà il suo adattatore Mario Scaletta il quale lasciando intatte le tematiche, ha semplicemente “spolverato” il lessico adattandolo a tempi più moderni. Un grande classico del cinema, in versione teatrale. Un sempre verde che, mai come oggi, aiuta ancora a riflettere sulle necessità della convivenza tra culture, nel rispetto delle stesse.

Tutti conoscono la commedia, divertente fiore all’occhiello della bravissima coppia Katharine Hepburn e Spencer Tracy, il cui dichiarato progressismo veniva messo a dura prova dall’annuncio del fidanzamento della loro unica figlia con un medico di colore, allora interpretato da Sidney Poitier: mentre il padre si oppone decisamente al matrimonio e la madre si sforza di accettare la situazione, anche i genitori del medico non approvano l’unione del figlio con una “bianca”. Per volere della ragazza si ritroveranno tutti riuniti in una cena che non inizia sotto i migliori auspici. Tra battute brillanti e qualche contrasto, vi saranno lacerazioni e scontri prima dell’inevitabile consenso alle nozze.

Gianfranco D’angelo e Ivana Monti affrontano i personaggi di “Indovina chi viene a cena” col peso ed al contempo con la leggerezza che il testo impone, mostrandosi una coppia perfetta per giocare coi sentimenti e le ironie, in una delle più riuscite “commedie” sul tema del razzismo. Al loro fianco Howard Ray e Mari Hubert interpretano la coppia di consuoceri mentre Fatimata Dembele è l’invadente cameriera di colore, governante di “casa D’angelo”. Moderatore delle discussioni, complice della razionalità ma anche dell’amore Mario Scaletta, nel ruolo di Padre Ryan.

Maria Antonietta Amenduni


27 Febbraio 2008

Cinque domande per una risposta al di la di ogni ragionevole dubbio.

In scena al Teatro Valle, l’intensa Ottavia Piccolo, coadiuvata da un ottimo cast è la protagonista di “Processo a Dio” di Stefano Massini. La regia, incisiva e impeccabile e di Sergio Fantoni.

Siamo nel padiglione 41 del campo di sterminio nazista di Maidanek, nella primavera del 1945. E’ in corso un processo, è l’imputato è Dio. Ottavia Piccolo è la protagonista dello spettacolo “Processo a Dio”, del trentenne autore fiorentino Stefano Massini, per la sensibile e incisiva regia di Sergio Fantoni. Un’intensa Ottavia Piccolo, interpreta il ruolo di Elga, ed è la fautrice di una incalzante un'istruttoria che attraverso la denuncia, vuole sospingere l'inchiesta fino alla fonte della spiritualità. Un testo profondo con un titolo spiazzante, che si traduce in uno spettacolo di forte impatto, dove è di scena la Shoah. Processo a Dio, si riferisce, volutamente, ai tanti processi che gli ebrei, soprattutto del ramo askenazita, facevano al loro Dio, affinché gli desse anche solo una pur minima ragione, plausibile, di come avesse potuto permettere un orrore così grande come l’Olocausto e i campi di sterminio.

La persecuzione degli ebrei, la follia di un regime e del suo capo Hitler, sono sempre un tema di impatto, ma proprio perché tale, è difficile e sempre rischioso trattare l’argomento, perché il rischio di finire nella banalità e nella retorica è molto elevato. E con tutto il rispetto per l’argomento, di banalità in merito, negli ultimi anni se ne sono viste troppe. Altro problema, non meno importante sta nel fatto che la brutalità della Shoa, sono talmente inconcepibili, talmente inaccettabili che la gente preferisce dimenticare, vivere la propria vita con la solo vaga consapevolezza di ciò che è avvenuto. E allora si preferisce evitare di farsi domande senza risposta? …tanto sappiamo tutti cosa è successo. Ma è proprio questo uno dei motivi che rende insopportabile la persecuzione degli ebrei: il silenzio e l’indifferenza in cui rischiano di cadere le nuove generazioni.

“Processo a Dio”, rifugge perfettamente ogni rischio di banalità e retorica, e offre un angolazione nuova ed interessante dalla quale osservare e riflettere su quanto è successo. La scene e i costumi di Gianfranco Padovani, aiutano subito il pubblico ad immergersi nel climax dello spettacolo. Determinante il contributo dei costumi che vanno oltre il solito cliché della divisa a righe. Un campo di sterminio: una stanza-magazzino, un luogo spoglio, essenziale, gelido e rivestito di legno scuro, chiuso da una pesante porta in lamiera ondulata qui un'umanità che ha vissuto l'orrore della Shoah ed è riuscita a sopravvivere, cerca di dare e di darsi delle risposte sull'orrore che ha attraversato. Una famosa ex attrice ebrea, Elga Frish che lì è stata internata, con il contributo di alcuni vecchi saggi di Francoforte, si fa fautrice di un processo contro il sanguinario capo del campo.

I capi di accusa sono cinque: perché, Dio, hai tolto al tuo popolo la libertà? Perché, Dio, lo hai tenuto all’oscuro di quello che stava realmente accadendo? Perché lo hai tradito? Perché lo hai venduto? E infine perché lo hai disumanizzato?Le prove di colpevolezza sono portate da Elga Firsch. La difesa dell’imputato è affidata ad un rabbino (Vittorio Viviani) che con calore si impegna nella disperata impresa di convincere i presenti come Dio sia sempre presente, nei salotti confortevoli di Francoforte come nel fango del lager di Maidanek. Giudici del processo sono due reduci del lager (Olek Mincer e Silvano Piccardi) e il figlio del rabbino (Francesco Zecca). Mentre i primi due cercano trepidanti, delle risposte dolorose o consolatorie che siano, l’ultimo ha sete di vendetta. Al centro della scena e dell’ipotetico processo siede il gerarca tedesco, perennemente immobile, il volto scolpito dal pittorico gioco di luci e ombre; egli rappresenta colui che si è ritenuto pari a Dio, e che ora è costretto a difendersi, con la spocchia fastidiosa di chi è conscio di essere superiore.

Durante tutto lo spettacolo si vive in immersione totale, in una dimensione temporale che da la piena sensazione che tutto si stia svolgendo esattamente qui e ora, come se gli anni non fossero mai passati. Il testo offre dialoghi fluidi e un linguaggio misurato; il tutto viene reso, come un perfetto meccanismo ad orologeria, dall’ottimo cast. Ottavia Piccolo, attrice che ha fatto della realtà - anche la più crudele e la più difficile - la sua bandiera, offre un’interpretazione intensa e prepotente; arriva al cuore e alla mente, alle coscienze degli spettatori. Coinvolgente è l’interpretazione di Vittorio Viviani. Convincente e sempre energia è l’interpretazione di Olek Mincer, Silvano Piccardi e Francesco Zecca. Ottima l’interpretazione di Enzo Curcurù, ambiguo, sempre in bilico tra il ripensamento e il delirio di onnipotenza.L’incisiva regia di Sergio Fantoni comunica chiaramente l’urgenza, da parte dei sopravvissuti, di conoscere il perché. Funzionali ed emozionanti le musiche composte da Cesare Picco.

Maria Antonietta Amenduni


23 Febbraio 2008

Una viscerale Isa Danieli, è “Madre Coraggio”

In scena al Teatro Quirino, l’attrice partenopea, interpreta uno dei testi più famosi di Bertolt Brecht, per la regia di Cristina Pezzoli. La drammaturgia è stata attualizzata per l’occasione da Antonio Tarantino.

…”Non c’è nulla che faccia prevedere la fine dello spreco e dell’ assassinio ? No, finché le donne non rifiuteranno di cedere i propri figli per carne da cannone; no, finché gli uomini non cesseranno di fabbricare le armi per uccidere i propri figli; sul lontano orizzonte del dramma di Brecht c’è un raggio di luce: nella dialettica degli eventi verrà un tempo in cui le nazioni deporranno le armi. Ma Madre Coraggio ostacola l’ avvento di quel tempo. Brecht vorrebbe che la vecchia venisse ingiuriata per la sua stupida ingordigia. Vorrebbe farci comprendere che lo sciupìo non è né nobile né tragico, ma semplicemente e orribilmente inutile.Questa è la tesi del dramma: Madre Coraggio non ha imparato nulla, affinché il pubblico impari qualcosa. Fine della lezione”. (G. Steiner- Morte della tragedia-Garzanti)

Istintiva, viscerale, prepotente e prorompente. E’ la forza interpretativa di Isa Danieli, protagonista di “Madre Coraggio”, su testo di Bertolt Brecht. Regia di Cristina Pezzoli. Drammaturgia di Antonio Tarantino. Traduzione di Roberto Menin. La voglia di mettersi continuamente in discussione e di tentare nuove strade è il carattere distintivo di Isa Danieli, attrice profondamente radicata nella tradizione, ma, nello stesso tempo, musa ispiratrice della nuova drammaturgia napoletana. Sotto la guida di Cristina Pezzoli, che l’ ha già diretta in passato, la Danieli si misura con uno dei capolavori brechtiani più rappresentati e discussi.

L’opera teatrale porta in scena le vicende verificatesi tra il 1624 e il 1636 nel corso della Guerra dei Trent’anni. La vivandiera Anna Fierling, nota ai soldati come “Madre Coraggio”, accompagnata nei suoi “viaggi di lavoro” dai tre figli, si sposta per l’Europa seguendo l’estendersi dei conflitti, e tenta di approfittare del conflitto per incrementare i propri affari, convinta che la fine della guerra possa provocare un crollo del suo commercio. Madre Coraggio, trascina il suo carro di cianfrusaglie da un campo all’ altro, alla ricerca di piccoli guadagni. Arriva il giorno che non le resta più niente da vendere e nessuno ha soldi per comprare ma Anna continua il suo viaggio con l’ ostinazione della povertà. La forza d’ animo e il coraggio non l’ abbandonano mai e trova così una ragione di vita, nonostante la perdita dei figli e lo sfacelo della guerra. Questo dramma ha rappresentato, fin dalle sue prime rappresentazioni, un campo d’indagine e di proiezioni spesso contrastanti sul valore simbolico della protagonista e del testo. Un’opera di grande attualità, in un momento come quello presente, in cui la maggior parte delle guerre si combattono per motivi economici.

Una ballata, una canzone, interrompono a volte l’ azione o la spostano su un piano diverso per farci meglio riflettere. Lo spettatore è spinto a giudicare il mondo, le atmosfere, le distruzioni che sono conseguenze della guerra. Ma madre Coraggio, pur nella sua follia, nella sua incapacità di imparare dall’ esperienza, attira, in parte, le simpatie del pubblico e del lettore. Per ovviare a ciò, l’ autore fornisce numerose indicazioni per rendere possibile la recitazione straniata, lo straniamento dell’ attrice che interpreta il personaggio di madre Coraggio. Una nota di Brecht precisa che madre Coraggio “ riconosce, non diversamente dagli amici e dagli ospiti suoi e da quasi ogni altro personaggio, il carattere puramente mercantile della guerra; ed è proprio questo ad attirarla. Crede nella guerra sino alla fine. Non le passa nemmeno per la testa che ci vuole un coltello molto lungo, al tavolo della guerra, per potersi tagliare la propria fetta di torta. Chi contempla le catastrofi si aspetta sempre, a torto, che le vittime imparino qualcosa. Finchè è oggetto della politica, ciò che di essa avviene, la massa non può considerarlo un esperimento, ma solo un destino; la lezione della catastrofe non le insegnerà più di quanto la cavia impari di biologia.”

La necessità della regista, era prioritariamente quella di fare in modo che il testo di Brecht potesse parlare con la stessa energia di allora agli spettatori di oggi. Per l'occasione, la Pezzoli ha chiesto un intervento di parziale riscrittura del testo a un autore di oggi, Antonio Tarantino: pur mantenendo inalterato lo sfondo storico in cui Brecht colloca la vicenda originaria, la Guerra dei Trent'Anni. Tarantino reinventa e attualizza il linguaggio del testo, diversificandolo in una serie di accenti dialettali italiani, come se ci si trovasse in una grande babele, per far riflettere sulle spaccature sociali e culturali dell'Italia attuale.

Ma di tagli e cambiamenti questo lavoro ne propone tanti. A partire dal titolo, che non suona più «Madre coraggio e i suoi figli» bensì «Madre coraggio» e basta, come a voler dare maggiore risalto alla protagonista. Inoltre, le musiche sono in parte nuove (le firma Pasquale Scialò), anche queste adattate ai nostri tempi: presenta quindi una musica a volte rock, altre volte più dolce e melodica, spesso molto ritmata grazie anche all’uso dei più bizzarri strumenti a percussione. Per quanto riguarda invece la scenografia, lo spettacolo resta assai fedele agli allestimenti del Berliner Ensemble, documentati dalla grande quantità di fotografie (fino a 800) scattate da Brecht in occasione di ogni spettacolo. Troviamo quindi il classico carro di Madre Courage e addirittura la stessa disposizione dei personaggi in molte scene celebri dell’opera. Intensa e travolgente, Isa danieli, regala un ritratto del personaggio degno della sua fama. In un cast nutritissimo, spiccano: Alarico Salaroli (il Cappellano) e Marco Zannoni (il Cuoco) e la straordinaria Xenia Bevitori che interpreta Kattrin (la figlia muta). Dal 26 Febbraio al 16 Marzo

Maria Antonietta Amenduni


20 Febbraio 2008

“Ora Daria”: l’identità non riconosciuta di un trans in un carcere maschile.

Vladimir Luxuria, interpreta intensamente “Daria”. La protagonista vive la sua tormentata esperienza in un carcere che diventa contesto e contenitore di tormenti e ricordi.

Uno spettacolo che scuote l’anima e le emozioni. Ma solo per testo e contenuti. Si, perché fatta salvo l’interpretazione della protagonista, lo spettacolo non colpisce. Vladimir Luxuria nei panni di Daria, è una carcerata transessuale, che vive l’ora d’aria della sua identità non riconosciuta dalle istituzioni, in una realtà cruda e degradante come quella del penitenziario maschile, contesto e contenitore di tormenti, ricordi. Un titolo che gioca sul doppio senso della sua interpretazione; “Ora Daria” di Giordano Raggi, è in scena al Teatro Piccolo Eliseo Patroni Griffi, dal 19 marzo al 2 Febbraio 2008, e vede in scena oltre una intensa e vivida interpretazione di Vladimir Luxuria, anche Simone Gandolfo e Pino L’Abate, per la regia di Enrico Maria La manna.

Tra le sbarre del carcere e quell’unico momento all’aperto che è l’ora d’aria, si dipanano i ricordi della protagonista Daria, che si ritrova ad affrontare in modo brutale e diretto la brutalità del carcere che non le da modo di sfuggire ai fantasmi che si annidano dentro di lei e che non le danno pace, perché ci sono colpe da espiare e violenze subite che non si possono rimuovere.

Così il regista Enrico Maria La manna, racconta lo spettacolo: “Tra lamiere, griglie di ferro, pareti che stringono, lame e inferriate si muove un essere nudo, quasi animalesco. E’ li in un angolo, acquattato… forse piange, forse pensa. Vicino a lui un mangiadischi, di quelli ormai vecchi. Comincia una canzone e il disco ben presto si incanta: Patty Pravo intona note demodè… In quel budello angusto i ricordi si affastellano, le lamiere si aprono e la luce inonda finalmente la scena. L’essere – creatura si solleva, ha un volto, un corpo… è un uomo. E’ Daria… Indietro…indietro nel tempo , dove tutto si sistema. Lo spazio ora è chiaro, definito: è una cella. Daria sta ricordando, siamo nella sua testa. Il buio ora è solo lì dentro. E’ lì che le parole vanno a scavare, mentre su quella melodia infelice (...) La voglia di tenerezza di un personaggio che naufraga verso la solitudine. L’ingresso di un compagno ambiguo. Un serrato gioco di specchi, la tensione che sale. Un amore bruciante e impossibile, la commozione. Daria sta solo aspettando di poter parlare. E’ quasi pronta a farlo…”

Uno spettacolo che è una sorta di esperienza umanitaria, ma anche una verifica di ipotesi culturali e pedagogiche. La Costituzione parla di rieducazione dei detenuti, ma nessuno pone il problema in modo diretto: “Che cosa dobbiamo fare nel mondo? Qual è il nostro compito?”. Ma soprattutto, problema altrettanto grave, come è possibile che l’identità transessuale non debba essere riconosciuta!?

E’ vero la psicologia ci insegna che dentro o fuori puoi sempre lavorare su te stesso, che abbiamo a disposizione uno spazio sempre aperto, un luogo di gioia sottile ma vera, dove è possibile in larga misura prescindere dalle condizioni personali, lavorare sulla nostra mente, prendersi cura e coltivare noi stessi, prima di pretendere di cambiare il mondo; la convinzione che il lavoro su di sé non è in contrasto con l’intervento sulle istituzioni, anzi protegge dal riversare su di esse quell’odio e astio che impediscono di vedere le cose nella maniera giusta, che rendono ciechi al disagio e alla frustrazione degli altri, compresi gli agenti di polizia penitenziaria: anche loro vorrebbero essere fuori di lì, fare altro, anche loro hanno bisogno di essere sostenuti. Ma i conti ancora non tornano e forse una risposta non c’è!

Nel caso specifico la protagonista si trova ad affrontare personaggi che crede di avere in pugno, persone che crede di capire perché le basta guardargli negli occhi, basta leggere i tarocchi, basta dire sempre la verità, perché questa vince sempre, su tutto e tutti…e invece il tradimento e li, nascosto dietro quegli occhi in apparenza sinceri, occhi che non ci sono più; non c’è più scampo per i fantasmi che si annidano dentro, non c’è più pace per quel tormento e per tutto quel dolore, causato dall’incomprensione di chi non vuole vedere che il “diverso” (???), altro non è che un essere umano in carne ed ossa, con cuore, sentimenti, in tutto e per tutto identico a chi si sente superiore!

Ma fino ad ora ci si è soffermati volontariamente sulla valenza sociale e psicologica dello spettacolo, perché per il resto c’è ben poco da dire. Fatta eccezione per il bel testo e per la bella ed intensa prova di Vladimir Luxuria, che rende sfumature e profondità di un personaggio bello e complesso da interpretare, il resto degli aspetti dello spettacolo non sono particolarmente degni di nota, ed una regia per nulla incisiva non aiuta affatto a migliorare le cose; già verso la fine del primo atto, lo spettacolo diventa pesante e lento da seguire e la seconda parte accentua questo aspetto. Simone Gandolfo e Pino L’Abate, non brillano particolarmente, ma si fanno ben guidare dalla maestria di Luxuria. Lo spettacolo però raggiunge a pieno l’obbiettivo di far riflettere su argomenti che fanno parte della vita di tutti noi, ogni giorno, perché chiudere gli occhi di fronte a certi problemi, e far finta che non esistano, non è un comportamento degno di una cultura civile.

Maria Antonietta Amenduni


17 Febbraio 2008

Sonia Bergamasco legge Sandro Penna e Amelia Rosselli.

Letture e concerti: un viaggio unico nel mondo poetico tra 800 e 900, in scena all’Auditorium parco della Musica

Il talento e il fascino interpretativo di una delle migliori attrici italiane per una serata unica all’ Auditorium Parco della Musica. E’ una antologia della poesia italiana del Novecento quella che la Fondazione Musica per Roma e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia presentano all’Auditorium in una serie di appuntamenti che arriveranno fino a maggio. Il 21 febbraio Sonia Bergamasco recita brani tratti da opere di Sandro Penna e Amelia Rosselli, due autori molto diversi, ma accomunati da un profondo tormento nell’affrontare le vicende della vita, sfociata, nel primo caso, nella emarginazione e nella lontananza dal “mondo”; nel secondo, in una angoscia crescente che la condusse al suicidio.

Scoperti e sostenuti nella loro attività da altri grandi poeti, come Saba e elanine, Penna e Rosselli trasmettono però con i loro versi sentimenti differenti. Leggerezza, trasparenza, semplicità e amore, anche carnale, sono le caratteristiche di fondo della poetica dello scrittore perugino, mentre la Rosselli, in un linguaggio definito “labirintico”, elabora una poesia in cui l’eco di una infanzia dolorosa si trasforma in sofferenza, solitudine, fatica di vivere.

Sonia Bergamasco, attrice colta e versatile, interprete teatrale con registi come Strehler e Carmelo Bene, celebre presso il grande pubblico soprattutto per il film di Marco Tullio Giordana, La Meglio Gioventù, propone con l’abituale sensibilità, non disgiunta da un grande virtuosismo tecnico, e accompagnandosi al pianoforte, questi due maestri della lirica del ventesimo secolo.

Il ciclo proseguirà a marzo con Maddalena Crippa che si dedicherà ai testi di Pier Paolo elanine ed Elsa Morante (18 marzo). Per la poesia tedesca Neri Marcoré si esibirà con le poesie di Trakl e Rilke messe in musica da Webern, Widmann, Manzoni, soprano elanine Walz (27 marzo). Gabriele Lavia leggerà Gabriele D’Annunzio e Giuseppe Ungaretti (7 aprile), mentre l’ultimo appuntamento sarà in compagnia di Massimo Popolizio con i versi di Cesare Pavese e Dino Campana.

Le serate di lettura e i concerti si tengono sempre nel Teatro Studio alle 21. Biglietto unico 10 euro – Tre appuntamenti a scelta 21 euroInfo 06-80241281 – 06 8082058
Maria Antonietta Amenduni


17 Febbraio 2008

Un testo spregiudicato, per una regia che è un perfetto connubio tra delicatezza e misura.

In scena al Teatro Valle, “Inventato di sana pianta” di Hermann Broch, per la regia di Luca Ronconi. In scena Massimo Popolizio, Pia Panciotti, Massimo De Francovich, Giovanni Crippa, e Anna Bonaiuto.

Uno spettacolo particolarmente atteso dagli appassionati di teatro, è ora in scena a Roma. E’ “Inventato di sana pianta ovvero gli affari del barone La borde”, la commedia tratta dal testo omonimo che il romanziere austriaco Hermann Broch, uno dei grandi della letteratura mitteleuropea, scrisse nel 1934. Lo mette in scena Luca Ronconi con una produzione del Piccolo Teatro di Milano, in collaborazione col Teatro d'Europa. Lo spettacolo è in scena al Teatro Valle dall’11 al 24 Febbraio 2008, vede protagonisti Massimo Popolizio, Pia Panciotti, Massimo De Francovich, Giovanni Crippa, e Anna Bonaiuto.

Nel titolo dello spettacolo troviamo il nome del protagonista, il Barone La borde, un nobile arguto e bugiardo che mette alla berlina la vacuità economica e morale della Vienna anni '30, dove a legare gli individui sono esclusivamente una serie di imbrogli e truffe. Commedia divertente, con tratti da vaudeville, è stata scritta nel 1934, rappresentata per la prima volta nel 1981, ma sembra a tutti gli effetti perfettamente calata nella nostra quotidianità. Vi si racconta la carriera di un affascinante imbroglione, millantatore e mitomane, che facendo leva sul proprio fascino personale e sull’abilità nel raccontare bugie, riesce a muoversi abilmente tra i membri del jet-set industriale. Dall'inganno prende via un gioco anche comico di ulteriori inganni, vani tentativi di suicidio, rapporti d'interesse e di letto; breve, un carosello di azioni subdole costruite su un castello di vanità e vacuità. Contemporaneo di Arthur Schnitzler, come lui viennese e come lui di origine ebraica, Broch fuggì negli Stati Uniti per sottrarsi alle persecuzioni antisemite.

Siamo di fronte ad uno di quei classici testi che riesce ad anticipare in modo straordinario il tempo presente. Eppure in occasione della presentazione milanese dello spettacolo, Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro, ha sentito di dover smontare la categoria dell'«anticipazione»: «Credo sia nefasta, perché è un modo per giustificare il presente e farlo apparire come inevitabile. Però è innegabile che questo testo ci aiuta a capirlo, questo presente. Un tempo in cui pare che ogni competenza non conti più, e che importi solo la capacità di creare relazioni su relazioni per arrivare al potere».

Per Ronconi, il suo testo rappresenta «lo specchio rovesciato di Professor Bernhardi di Schnitzler. Broch scatta la fotografia di un secolo in crisi, in cui la morale si è definitivamente sfaldata». Il tema della “bolla” speculativa, di un’economia intesa come esclusiva ricerca dell’utile personale, spesso a discapito del benessere sociale, rimanda alla riflessione che Giorgio Ruffolo proponeva con Lo specchio del diavolo. Il tratto saliente del testo di Broch è, spiega ancora Ronconi, «la leggerezza, che fa pensare al cinema di Ernst Lubitsch e delle sue commedie brillanti e intelligentemente divertenti”.

“Nell'originale tedesco il titolo era “Aggrappati all'aria” – aveva affermato, sempre in quella stessa occasione, il regista Luca Ronconi – “mentre in francese è stato tradotto “Scritto nel vento”, che francamente mi sembra un film romantico anni Cinquanta”. E nel testo proprio la parola aria è usata spesso, come afferma lo stesso Ronconi: “ Usata come sinonimo di vuoto” - prosegue – “Rendere quest'idea è stato il lavoro più duro, anche per il tipo di scrittura che l'autore ha adottato, con decine e decine di frasi sospese sui puntini come discorsi lasciati a metà».

Il testo, in apparenza lieve, è invece capace di smascherare complesse stratificazioni e intrecci per interesse, il cui fondo di amaro pessimismo va tutto letto fra le righe. Un cast di grido, vede Popolizio che regala il ritratto di un protagonista sfacciato ed esuberante, contrapposto al remissivo e stordito banchiere abilmente disegnato da De Francovich. Completano il quadro altri tre esuberanti interpretazioni, quali quelle di Giovanni Crippa, Pia Lanciotti e Anna Bonaiuto.

Un instancabile Ronconi, che anche questa volta mette alla prova la sua curiosità drammaturgia, realizza una bella regia che è un perfetto connubio tra delicatezza e misura del testo, senza volerne ricavare forzature e profondità nel copione. Il regista, però suggerisce abilmente una sua chiave di lettura, che stuzzica la mente dello spettatore, facendo si che questo arrivi spontaneamente a porsi delle domande. Molto bella la scenografia dell’hotel a due piani, realizzata da Marco Rossi. Perfette le luci dalle tonalità pastello.

Maria Antonietta Amenduni


9 Febbraio 2008

Visionario o “veggente”? Fahrenheit 451, un monito alla "necessità della memoria".

Luca Ronconi dirige uno spettacolo insolito e poco “ronconiano”. Uno spettacolo voluto e sostenuto in primis dall’attrice Elisabetta Pozzi, in scena al teatro Argentina.

Un testo straordinario e visionario, ma anche terribilmente veggente sotto certi punti. Luca Ronconi affronta uno dei testi più affascinanti della letteratura fantastica, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, per un progetto che nasce da un’idea di Elisabetta Pozzi. Lo spettacolo in scena al Teatro Argentina dal 15 febbraio al 2 marzo esplora, con grande maestria, il terreno dell’utopia negativa, cioè il genere nel quale l’autore non dipinge uno stato perfetto ma anzi un regno d’incubo e terrore, come avveniva in Cronache Marziane che precedente di un solo anno Fahrenheit 451, concepito nel 1951 con il titolo The Fireman e pubblicato nel 1953. In quest’opera - il cui titolo indica la temperatura alla quale brucia la carta, secondo la scala in uso nei paesi anglosassoni - si racconta di uno stato talmente autoritario, che sente il bisogno di mettere i libri al rogo. In un futuro ipertecnologico, in cui leggere è reato e la popolazione, inebetita dall'abuso di psicofarmaci, si lascia dominare attraverso programmi televisivi idioti, i pompieri non sono più addetti a spegnere gli incendi, ma hanno il compito di scovare e bruciare i libri. Nella società futuribile immaginata da Bradbury, infatti, è reato leggere e possedere qualsiasi tipo di volume: in questo mondo fatto di solitudini e di paura, l’informazione è garantita da una onnipresente televisione, gestita dal governo. Montag (Fausto Russo Alesi), giovane "milite del fuoco" inizialmente fedele al regime, è avvicinato da una donna, Clarisse (Elisabetta Pozzi), che lo inizia alla lettura: vedrà schiudersi di fronte a sé un mondo nuovo. Fuggirà dalla città in una foresta dove si sono raccolti gli uomini liberi (ovvero gli uomini-libri), una sorta di "partigiani" della cultura, che imparano a memoria i grandi classici per salvaguardarli dalla sparizione. A nulla varranno i discorsi del suo comandante, Beatty (Alessandro Benvenuti), lettore pentito che nei libri non ha trovato le risposte alle proprie domande, né i timori della moglie impasticcata e videodipendente (Melania Giglio): Montag è libero, libero di leggere. Aldous Huxley, il celebre autore de Il mondo nuovo, commentò che si trattava di una delle opere più visionarie che avesse mai letto, ma da allora, purtroppo, la profezia di Bradbury sembra essersi avverata in più parti del mondo. Dal romanzo è stato tratto il film diretto da François Truffaut, la migliore trasposizione cinematografica di un’opera di Bradbury: film entrato nell’immaginario collettivo, realizzato - tra mille fatiche, litigi, scontri, tagli e delusioni - nel 1967. Scrittore prolifico, romanziere, sceneggiatore premio Oscar (per il “Moby Dick” di John Houston), Ray Bradbury firmò anche un adattamento teatrale del suo celebre romanzo: adattamento teatrale che ora Luca Ronconi ed Elisabetta Pozzi portano in scena Per Ronconi, Fahrenheit 451 è «una metafora, una sollecitazione, o ancora un monito alla "necessità della memoria". In questo senso, non è più necessario pensare al "futuro". La perdita di memoria è qualcosa che, da quando il romanzo ha visto la luce ad oggi, ha subito un'accelerazione esponenziale. Chiedersi il mondo dov'è, com’è l'informazione, affrontare il problema della non-conoscenza. Insomma il tema della utilità della non-perdita di memoria mi sembra qualcosa tutto sommato ovvio, ma sensato, di cui parlare». Una cosa è chiara, questo non è uno spettacolo "di" Ronconi, una di quelle occasioni in cui il regista sceglie dei materiali drammaturgici insoliti e riesce a piegarli mirabilmente alle necessità dei suoi codici teatrali, ma è uno spettacolo voluto e sostenuto in primis dall’attrice Elisabetta Pozzi che già da sei anni aveva in mente questo testo. Poi c’è stato l’incontro con Ronconi, ed il resto è quello che si può vedere in questi giorni in scena all’Argentina. E’ un allestimento che Ronconi ha realizzato nel miglior modo possibile, al di là delle evidenti difficoltà comportate dalla riduzione teatrale dello stesso Ray Bradbury: è importante delineare questo aspetto, altrimenti si rischia di non riuscire a valutare correttamente gli esiti dell’operazione. Quando nel 1966 Truffaut, realizzò l’allestimento cinematografico di questo visionario affresco di una società futura dominata da un potere a tal punto dispotico che, allo scopo di impedire drasticamente alla gente di sapere e di pensare, mette al bando la lettura e i libri stessi, l’idea che ciò potesse essere fattibile, metteva i brividi. Se si pensa all’inesorabile potere che la tv ha oggi, a alle continue indagini di mercato che ci dicono quanto sempre più poche siano le persone che oggi leggono libro, l’anima del libro di Bradbury, più che visionaria, sembra essere stata veggente. Certo, non siamo al punto in cui i libri sono messi al bando, anzi! Ma fa specie pensare come realmente la gente oggi riesca a farsi “lobotomizzare” dalla televisione. Complessivamente, Fahrenheit 451 è una proposta per nulla esaltante, macchinosa e faticosa. Solo un paio sono i momenti veramente importanti dello spettacolo: la prefigurazione del nostro tempo e il finale con gli “uomini libri”. Particolarmente coinvolgenti sono le interpretazioni di Fausto Russo Alesi, il pompiere in crisi, e Melania Giglio, la moglie svuotata dai sedativi. Entrambi sono sicuramente più vicini alla recitazione di stile ronconiano, al contrario di Elisabetta Pozzi e Alessandro Benvenuti, che allo stile del regista sembrano estranei. La Pozzi, nonostante tutto riesce ad essere convincente, ma Benvenuti non è propriamente adatto al ruolo. 15 febbraio 2 marzo .08
Teatrop Argentina
Fahrenheit 451
di Ray Bradbury
Versione teatrale tradotta da Monica Capuani e Daniele D’Angelo
Progetto di Luca Ronconi ed Elisabetta Pozzi
Regia Luca Ronconi
con: Elisabetta Pozzi, Alessandro Benvenuti, Fausto Russo Alesi, Melania Giglio, Maria Grazia Mandruzzato e con: Stefano Alessandroni, Fortunato Cerlino, Mariangela Granelli, Michele Maccagno Andrea Simonetti, Carlotta Viscovo
orari spettacolo
martedì, mercoledì, venerdì, sabato ore 21.00
giovedì, domenica ore 17.00
lunedì riposo

Maria Antonietta Amenduni


9 Febbraio 2008

L’Otello che non ti aspetti, interpretato da Andrea Giordana.

In scena al Teatro Eliseo, un ’Otello spiazzante e poco convenzionale, per la regia di Giancarlo Sepe.

L’immortale e conosciutissima opera del moro di Venezia di Shakespeare, da cui Giuseppe Verdi trasse il melodramma lirico e per cui molti registi si sono impegnati in produzioni sia teatrali che cinematografiche, la si può gustare in un nuovo allestimento non tradizionale, come una ventata di freschezza. In scena al Teatro Eliseo, dal 12 febbraio, una delle più belle e rappresentate tragedie di Shakespeare: Otello, una grande storia di amore e di morte con la regia di Giancarlo Sepe, che ne ha curato anche l’adattamento, e con Andrea Giordana protagonista del capolavoro shakespeariano.

“…Un luogo per Otello, un sognatore romantico che scappa dalla realtà cruda, quella dei dolori del cuore, perché ha paura di soffrire”, così il regista Giancarlo Sepe descrive il suo spettacolo”: Il regista si lascia andare anche a paragoni insoliti: “Come succede ai pazzi deliranti dei racconti di Poe, che per le loro brutture o torture psicologiche, usano le cantine, le torri, e i giovani i garage o i lavatoii, o le zone dove alloggiano i condizionatori, le lavanderie e cosi via. …Otello una sorta di capitan Nemo che comincia a odiare gli uomini, perchè questi lo hanno tradito, deriso blandito, hanno fatto finta di accettarlo, per poi distruggerlo per una vile storia di letto, solo perché la sua donna, bella e giovane, ha scelto lui, nero e avanti con gli anni. Nessuno ama Desdemona come l’ama lui, questo tutti lo sanno, eppure, per una storia di forma e di facciata, devono dimostrare che l’amore della giovane è solo un errore dovuto alla gioventù e nient’altro, e a questo s’impegnano di porre rimedio gli uomini bianchi come coalizzati in una vendetta da postribolo, preparata senza amore ai danni di chi invece l’amore lo sente: forte, tumultuoso nel petto, un amore che sembra un dono che Otello crede di non meritare completamente. Quasi è lui il primo a non capacitarsi di come una donna bella e giovane e bianca possa davvero innamorarsi di lui, senza che quest’atto di giustizia, d’equità nei confronti di un nero, non debba nascondere una trappola, un trabocchetto”.

Caratteristica dello spettacolo è l’isolamento di cui il personaggio ha bisogno; così lo spiega il regista: “Solo lì, al sicuro da sguardi indiscreti, riesce a malapena a dipanare gli avvenimenti che scoppiano in lui e non trovano una loro plausibilità cronologica, come se il tempo degli accadimenti fosse impazzito, oppure come se fosse accaduto gia tutto e noi vedessimo solo i fantasmi di un’angoscia che non riesce a placarsi. Jago chiede ad Otello cosa voglia dire un bacio dato di nascosto… ecco per il Moro prendere forma la paura, l’abbandono, la solitudine, la perdita di qualcosa che nessuno potrà più restituirti una volta persa. Perdere Desdemona è come dire addio all’illusione di una vita fatta di passioni, a cui sembrava aver rinunciato da tempo. Otello è innamorato della vita fatta d’amore, che è l’unica vita che ti da l’illusione della giovinezza. L’amore cancella la differenza e fa assomigliare tutti quelli che amano a degli Dei immortali, proprio perchè innamorati. L’Otello è romantico perchè finché si commuoverà sarà vivo”.

Un’inversione di fronte caratterizza la messa in scena. La fragilità di un uomo sul declinare degli anni, vista dalla sua fine. Un uomo vaga da solo con un dolore dentro e si aggira tra personaggi che non conosce, incuriositi, si accostano e attraverso loro riesce ad evocare avvenimenti passati. La tragedia che parte dalla fine! Un allestimento essenziale, privo di ogni caratterizzazione scenica tradizionale, grandi fondali luminosi e pannelli riflettenti che delimitano un ampio spazio dall’atmosfera surreale, inquietante.

Andrea Giordana è strepitoso, avvolgente, prepotente e ben sostenuto da bravi e giovani attori. E’ un Otello maturo il suo, per una lettura che al di la delle attualizzazioni e delle ambientazioni d’epoca. Desdemona è interpretata da una interessante ed emozionante Ivana Lotito, che in questi giorni è anche nelle sale cinematografiche come interprete del film Hotel Meina, pellicola sulla prima strage di Ebrei avvenuta in Italia, in concorso allo scorso festival del cinema a Venezia.

Uno spettacolo in cui il protagonista è proprio Otello, e non Jago, come naturalmente succede. Lo spettacolo spiazza il pubblico, ma incuriosisce, anche se dopo la prima mezz’ora ci sono momenti faticosi e di scarsa energia, che proseguono grossomodo per tutto il resto dello spettacolo. Lo spettacolo è in se interessante anche se la vera punta di diamante è l’interpretazione di Giordana.

E senza dubbio un lavoro non convenzionale, rischioso da proporre ad un pubblico tradizionale, ma sfacciato ed adatto ad un pubblico alla ricerca di novità. Regia ed interpretazione intimista, una ricerca profonda dei e nei sentimenti. Un rapporto totalizzante quello con una Desdemona più “umana” e contemporanea, capricciosa, ammaliante e passionale. Un vortice di emozioni, sentimenti passioni, che si susseguono inesorabili fino alla morte.

Maria Antonietta Amenduni


3 Febbraio 2008

Così è se vi pare secondo massimo castri.

In scena al Teatro Quirino, il regista, coadiuvato da un compagnia di giovani attori, porta in scena uno spettacolo fresco, incisivo, determinato e divertente, con un notevole spessore introspettivo.

L’impossibilità di avere una visione unica e certa della realtà. E’ il filo conduttore di Così è se vi pare di Luigi Pirandello, in scena al Teatro Quirino Vittorio Gassman di Roma dal 5 al 24 febbraio, per la regia di un grande maestro del teatro italiano: Massimo Castri. Il regista, torna così ad affrontare Pirandello, autore con il quale raggiunse la fama e nello specifico affronta un testo che ha già concretizzato più volte in epoche diverse della propria carriera. Incontra per l’occasione dodici giovani attori, per un progetto di alta formazione su una delle pieces più note e complesse del Novecento: queste le caratteristiche di una messinscena che affronta un testo che, al debutto, provocò nel pubblico “sconcerto, intontimento, esasperazione e sgomento.

Rappresentata per la prima volta nel 1917, Così è (se vi pare) è una commedia tratta dalla novella La signora Frola ed il signor Ponza, suo genero. L'opera è incentrata su uno dei temi più forti della poetica pirandelliana: l'inconoscibilità del reale, a cui ognuno può dare una propria interpretazione e una propria verità che possono non coincidere con quelle degli altri. Lo spettacolo, infatti, ruota attorno agli interrogativi posti da un gruppo di pettegoli - ansiosi di etichettare e ridurre ciascuno ad un ruolo definito - alla Signora Frola circa il suo bizzarro comportamento in famiglia. Ciascuno convinto di avere assolutamente ragione, continuano a scambiarsi illazioni sullo “strano” ménage di un marito, una fantomatica moglie ed una suocera, giunti da poco in paese.

Il tema sarà attentamente sviscerato nel romanzo del 1926, Uno nessuno e centomila, ma appare già chiaro in questa commedia nelle parole proferite da Lamberto Laudisi: «Io sono realmente come mi vede lei. — Ma ciò non toglie, cara signora mia, che io non sia anche realmente come mi vede suo marito, mia sorella, mia nipote e la signora qua — … Vi vedo affannati a cercar di sapere chi sono gli altri e le cose come sono, quasi che gli altri e le cose per se stessi fossero così o così». Queste battute poste a inizio commedia, quasi un’introduzione fatta dall’autore stesso per chiarire quale sia il punto cruciale di tutta la vicenda, mettono subito il lettore o lo spettatore di fronte a una prospettiva diversa che li allontana dal banale pettegolezzo.

Tutto un paese si affanna per sapere quale sia la verità intorno allo strano comportamento della famiglia Ponza. La curiosità nasce dal fatto che la sedicente madre della Signora Ponza, la Signora Frola, non vive con la figlia e il marito, anzi non entra neanche in casa loro, comunica con la figlia solo attraverso dei bigliettini scambiati per mezzo di un cestino calato dalla finestra. Alla Signora Frola la gente pone insistenti domande, e la poveretta si vede costretta ad asserire che il Signor Ponza, avendo perso nel terremoto tutti i suoi parenti, ha un amore ossessivo per la moglie che gli impedisce di farla uscire di casa e di far incontrare madre e figlia. Dal canto suo il Signor Ponza sostiene, invece, che la Signora Frola sia impazzita, poiché crede che la figlia morta, la prima signora Ponza, sia ancora in vita, scambiandola con la sua seconda moglie: per non deludere la suocera e per non importunare la nuova Signora Ponza, non permette che le due donne s’incontrino. Poiché non c’è maniera di confutare nessuna delle due affermazioni, la gente, smaniosa di dover a tutti costi attribuire una maschera e un ruolo ben definito ai componenti di questa famiglia, non può fare altro che interrogare la Signora Ponza, convinta che solo così finalmente si possa venire a capo del ginepraio. Ma la donna, che entra in scena velata, a simboleggiare l’impenetrabilità della verità, afferma di essere la seconda moglie del Signor Ponza, per il marito, e la figlia della Signora Frola, per la madre, ma per se stessa nessuna: «Io sono colei che mi si crede». Per Pirandello quindi l’uomo non ha una propria essenza a priori, l’uomo diventa una persona solo sotto lo sguardo degli altri, assumendo tanti ruoli e tante maschere, quante sono le persone che lo vedono.

Al contrario delle precedenti esperienze di castri con questo testo, in questa occasione il risultato è sicuramente più soddisfacente e psicologicamente più approfondito, con uno spessore introspettivo degno della complessità etica e morale del testo. Si evince uno spettacolo di grande freschezza, ma allo stesso tempo incisivo, determinato e divertente. Castri non tralascia la profondità del testo e gioca abilmente con il grottesco e con un ritmo quasi da commedia brillante impresso a tutta la vicenda dallo stesso Pirandello.

C’è sicuramente un po’ di prevenzione prima di vedere lo spettacolo, relativamente alla giovane età degli attori. Castri però riesce misuratamente ad adattare alla realtà del testo, sfruttando al meglio la materia prima messa a disposizione dai giovani interpreti, forse in certi casi ancora più acerbi. Bello e notevole è il ritmo che Castri da a tutto lo spettacolo, belle le musiche e bello il gioco di porte che si aprono e si chiudono accompagnano l’andirivieni dei personaggi con tanto di abito da sera. Bella anche la trovata della maschera o dei particolari sul viso esagerati in modo grottesco, ma perfetto ad indicare ironicamente la stupidità di una società attaccata all’immagine e al pettegolezzo.
Meritevole di nota il gruppo degli attori: Diana, una signora Frola stralunata e sofferente, il signor Ponza di Rosario Lisma, Michele Di Giacomo nel ruolo di un giustamente ironico Laudisi, e ancora Federica Fabiani, Giorgia Coco e Francesca Debri.

Maria Antonietta Amenduni


3 Febbraio 2008

Karen Blixen a pranzo da Babette

Al Teatro Orologio di Roma, torna in scena uno degli spettacoli più emozionanti della passata stagione, per l’elegante regia di Riccardo Cavallo. In scene tre interpreti sofisticate: Claudia Balboni, Lydia Biondi e Cristina Noci.

Karen Blixen è una di quelle scrittrici che si ama definire “di culto” ma che non può essere di certo considerata “di nicchia”, vasta la sua notorietà benedetta dalla gloria di due Oscar cinematografici. Uno dei suoi testi più deliziosi è senza dubbio “Il pranzo di Babette”. Da Questo testo nasce lo spettacolo, “Karen Blixen a pranzo da Babette”, uno spettacolo di Riccardo Cavallo con Claudia Balboni, Lydia Biondi, Nicola D’Eramo, Cristina Noci, Alessio Caruso, in scena al Teatro dell’Orologio di Roma dal 7 al 24 febbraio 2008.

In un piccolo paese della Danimarca, alla fine del Diciannovesimo secolo, un Reverendo fonda una piccola comunità di seguaci e alleva con purezza e riserbo due figlie ricche di qualità e doti. Le due giovani donne non rimangono inosservate, due visitatori del villaggio infatti si innamorano di loro, per dover però rinunciare al loro sogno di fronte alla impossibilità di entrare e di essere accettati fino in fondo nel loro mondo. Il riserbo e l'educazione rigorosa che le due hanno ricevuto dal reverendo hanno ridotto e frenato la realizzazione dei loro desideri e delle loro aspirazioni. Ma dopo 35 anni, la vita di queste due donne subisce quello che in apparenza è solo un piccolo cambiamento, ma che in realtà sarà il motivo di una riflessione interiore che porterà a compimento il percorso emotivo delle due donne. Una lettera di uno dei due uomini introduce in scena il personaggio di Babette, che costretta ad andarsene da Parigi (ricercata dalla polizia dopo i giorni della Comune di Parigi) vorrebbe trovare rifugio nel piccolo villaggio.

L'arrivo di Babette sarà la forza scatenante che andrà a muovere la stagnante energia del villaggio. Assunta come governante dalle due donne, Babette scopre di aver vinto alla lotteria. Decide allora di organizzare un grande pranzo in onore della ricorrenza del compleanno del defunto Reverendo, ormai diventato una guida spirituale per tutto il paese. La sola idea del pranzo scatena stupore ed inquietudine ma nessuna osa chiedere nulla a proposito.

Babette introduce la gioia di una vincita, ma non solo. Lascia che emozioni e meraviglia irrompano nelle restrizioni e nella quotidianità anestetizzata dalle grandi emozioni. Non solo. Il pranzo che Babette organizzerà sarà al di fuori di ogni abitudine sensoriale ed emozionale per gli abitanti del villaggio. Babette per l'occasione ha infatti ordinato il cibo più raffinato, le salse, le spezie, le tovaglie di lino, i piatti di ceramica direttamente da Parigi. Un'invasione di colori, di bellezza, di armonia, di piacere e di gusti raffinati squarciano il velo dell' umile e modesto stile di vita del paese che aveva impedito alle due donne di cogliere il gusto della vita, di coltivare la loro arte o i loro amori.

In un mondo di moralismi e di regole controllate, dove i desideri e gli istinti venivano controllati e compressi nel minimo necessario, Babette introduce la passione, le emozioni e il gusto per il bello attraverso un pranzo che cambierà il destino del villaggio e dei suoi abitanti. I personaggi sembrano infatti liberarsi di un segreto emotivo che tiene anima e cuore in ombra da ben 35 anni: cominciano a rivelarsi cose mai dette prima e una nuova linfa vitale sembra pervadere nuovamente i rapporti tra le persone.

Infaticabile viaggiatrice con tendenza spiccata verso l’avventura, romantica, fedele all’etica dei valori umani e sempre curiosa nei confronti delle bislacche invenzioni del destino, la scrittrice danese Karen Blixen fa pensare ad una sorta di Hemingway in gonnella (ma anche in divisa d’ordinanza per safari africani), mentre la sua propensione verso gli pseudonimi rimanda al gusto singolare di Pessoa per gli eteronimi.

Karen Blixen popola il novecento di racconti gotici, di narrazioni non di rado autobiografiche, di novelle di squisita fattura, apprezzate e metabolizzate da Truman Capote e dallo stesso Hemingway, per non citare che due dei suoi numerosi ammiratori. La sua scrittura densa, ricca di azioni e di fatti più che di notazioni extra-tematiche, non è passata inosservata dalle parti del cinema, come si è detto: ed ecco le trascrizioni filmiche di Sidney Pollack (“La mia Africa”) de “Il pranzo di Babette”: il delizioso racconto è stato successivamente trasformato in un film delicato ed emozionante (diretto da Gabriel Axel), vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 1988.

Maria Antonietta Amenduni


3 Febbraio 2008

Una donna nella mente, in scena al Teatro Manzoni.

Elena cotta è la protagonista del testo di Alan Ayckbourn, adattato e diretto da Carlo Alighiero.

Al Teatro Manzoni, c’è un chiodo fisso…Una donna nella mente.
Non è sicuramente uno delle opere meglio riuscite di Alan Ayckbourn, ma perfetta per una serata spensierata. E’ in scena al teatro manzoni di Roma lo spettacolo Una donna nella mente, di Alan Ayckbourn, traduzione Barbara Alighiero. Protagonisti dello spettacolo Elena Cotta e Arnaldo Ninchi con Riccardo Barbera, Michela Caruso, Claudio Spadola, Annalisa De Simone, Marco Zordan e con Gerolamo Alchieri. L’ adattamento e la regia sono di Carlo Alighiero.

Ayckbourn con il suo stile pieno di humour e di tagliente ironia, descrive nella sua commedia i conflitti interiori, della sua protagonista Susan, interpretata da Elena Cotta. Una situazione familiare sgradevole, il vuoto affettivo, la mancanza d’amore, scatena l’immaginazione di Susan che delusa dalla sua famiglia se ne crea un’altra nella sua mente. Gerald, suo marito, un anziano pastore protestante, è sostituito nella sua immaginazione con un marito sportivo affettuoso affascinante e seducente, e il figlio Ricky che nella realtà si rifiuta di parlare con i suoi genitori, con una figlia piena di tenerezze sempre allegra e disponibile. Unico personaggio a lei vicino e accettato è un ingenuo e disponibile dottore di famiglia Bill Windsor.

Un banale incidente, un rastrello calpestato casualmente procura a Susan un piccolo trauma cranico, e da quel momento quello che era solo immaginazione si materializza … e lei “vive” contemporaneamente con le due famiglie. Una situazione conflittuale che non può durare nel tempo. Nella mente di Susan il delicato equilibrio si rompe, i personaggi dei due mondi si incontrano, si parlano, e in una festosa e colorata corsa di cavalli diventano amici, trascurandola sempre di più. Susan non può accettare questa nuova delusione, si ribella e finalmente le viene riconosciuto da tutti, il ruolo che lei da sempre desidera: essere indispensabile per i suoi cari. Questo riconoscimento la tranquillizza e le permette di isolarsi in una serena vita immaginaria, fuori da ogni realtà…… Susan è finalmente felice!.

Alan Ayckbourn ancora una volta riesce a essere imprevedibile, affascinare, divertire ed emozionare il pubblico tenendolo inchiodato alla sua poltrona.
L’appuntamento è al Teatro Manzoni (Via Monte Zebio 14/c, tel.06/3223634) dal 29 gennaio al 24 febbraio.
orario spettacoli: dal martedì al venerdì ore 21, sabato ore 17-21
domenica ore 17.30. giovedì 14 febbraio ore 17 e ore 21.
lunedì riposo. Biglietto intero 23 euro, ridotto 20 euro, prev. 1 euro.

Maria Antonietta Amenduni


26 Gennaio 2008

Anna Bonaiuto e Frédérique Lolite, due straordinarie interpreti per Maria Stuart

In scena al Teatro Argentina, il testo di Friedrich Schiller, capolavoro del Romanticismo, diretto per l’occasione in maniera geniale da Andrea De Rosa.

Maria Stuart di Friedrich Schiller, capolavoro del Romanticismo, diventa uno spettacolo diretto da Andrea de Rosa che vede protagonista una coinvolgente Anna Bonaiuto insieme a Frédérique Lolite. Alle due protagoniste si aggiunge un altrettanto valido cast composto da Alessandra Asuni, Flavio Bonacci, Massimo Brizi, Andrea Calbucci, Fortunato Cerlino, Nunzia Schiano, Antonio Zavatteri. Dopo una fortunata tournée e straordinari consensi nelle principali città italiane, lo spettacolo è approdato il 30 gennaio al Teatro Argentina, dove resterà in scena fino al 10 febbraio. Lo spettacolo è stato insignito del Premio Speciale Ubu 2005 per l’originale uso dell’olofonia in funzione di linguaggio.

Uno spettacolo vellutato e coinvolgente che in modo assai contemporaneo ruota attorno all'odio, alla contrapposizione totale di due personaggi femminili, due gigantesse come Maria Stuart, regina di Scozia, ed Elisabetta I, regina d'Inghilterra. Modernamente si diceva perché, nel groviglio di rancori senza via di scampo a partire da quelli religiosi e sociali - Maria è cattolica, Elisabetta è anglicana; la prima è erede legittima del suo trono, la seconda è figlia di Anna Bolena, considerata da tutti una "bastarda" - ma anche nelle feroci incomprensioni politiche forse per la prima volta ci si trova di fronte a due figure indagate e rappresentate con la stessa forza.

Due coprotagoniste ineguagliabili, con i loro pro e contro, con la loro dose di bontà e di cattiveria, tanto che Schiller, prima dell'incontro fra le due regine (mai avvenuto in realtà), regala la scena alternativamente a ognuna in modo da mostrarcele dentro il loro mondo, con la loro vita.
Sottintendendo che entrambe, pur responsabili dei propri destini, sono anche degli strumenti di quel potere che si incarna nel grande meccanismo della storia. Ma è anche grazie alla ficcante traduzione di Nanni Balestrini che Maria Stuart ci appare come un dramma moderno, come la rappresentazione di due autentici cuori di donna.

Con i personaggi di Maria Stuart e Elisabetta I, - scrive il regista Andrea De Rosa - cattolica la prima,protestante la seconda, Schiller racconta il conflitto tra due società che - in un groviglio di interessi economici, politici e militari - trovano espressione nell’identità religiosa e attraverso questa si combattono sanguinosamente. Un’identità forte che, nel dramma, si scontra inesorabilmente col piano del diritto. Elisabetta deve far uccidere Maria, se vuole continuare a regnare. Ha la forza per farlo ma non il diritto. Per affermare il suo potere deve - è questo il suo dramma! - ignorare i legami familiari, la sacralità dell’ospite, il diritto dello straniero e infrangere, infine, il dogma dell’intoccabilità dei re. Maria, da parte sua, ha molte colpe, ma nessuna tale da renderla passibile della pena capitale. Deve affrontare la morte e abbandonare via via la speranza di essere salvata dal diritto. Sono proprio i rapporti tra il diritto e la forza che ci pongono domande, irrisolte, sulle loro drammatiche e attuali contraddizioni. Nella costruzione dello spettacolo ho cercato, insieme agli attori e ai collaboratori, di ascoltare e far vivere queste domande. Nel farlo, mi è spesso tornata in mente una frase di Fabrizio De Andrè che diceva: non capisco perché continuiamo a chiamarlo passato, visto che non passa mai!".

Il regista Andrea De Rosa, da sempre interessato al cinema, sensibile e bravo nell'uso della tecnologia come elemento poetico in teatro, affascinato dal mondo tragico al quale ha dedicato più di una regia, per questa ha invece privilegiato una semplicità scenica allo stesso tempo concettuale ed emozionale, restituendoci quello che è il nucleo più profondo del teatro romantico: personaggi che giganteggiano in un vuoto riempito essenzialmente dalle loro parole.

Così il regista coadiuvato dallo scenografo Tramonti, divide lo spazio scenico in due parti: una pedana quadrata, posta di fronte al palcoscenico che è lo spazio agito soprattutto da Maria Stuart mentre sul palcoscenico giganteggia il trono di Elisabetta. Solo quando le due donne si incontrano o quando l'oscuro carcere di Maria si trasforma in un bosco che le alte mura lasciano intravedere, le due donne si scambiano gli spazi. Solo dopo la decapitazione di Maria, Elisabetta guadagna la solitudine della pedana regale circondata per tutta la durata dello spettacolo ai due lati dagli altri personaggi pronti a entrare in scena quando è il loro turno. Tutto questo, ai fini dello spettacolo e del senso intrinseco del testo, risulta essere assolutamente geniale, e rende alla perfezione l’idea delle sentenza già pronunciata ancor prima di essere esplicitata! Una trovata perfetta per sottolineare meglio l’artificiosità melodrammatica che caratterizza la tragedia schilleriana.

Quello tra le due protagoniste poi è un duello di bravura, due interpretazioni strepitose per due attrici, che danno l’anima per due ruoli per i quali regalano ogni minima sfumatura. La Bonaiuto rende perfettamente l’inquietudine interiore del personaggio di Elisabetta che sacrifica il suo essere donna in favore delle ragioni di stato. Frédérique Lolliér nei panni di Maria Stuard, risulta sensuale e profondamente emozionante La scommessa delle due protagoniste è stata sicuramente vinta, così come giusta è tutta la regia, che nonostante le scelte che se mal gestite potevano diventare rischiose, riesce a confezionare un prodotto perfetto, coerente e avvincente.

Maria Antonietta Amenduni


26 Gennaio 2008

“Rumore rosa” in scena al Teatro India

L’amore e l’inganno, le scelte affettive sbagliate, l’usura dei sentimenti con il tempo, la paura dell’abbandono di eroi quasi sempre donne; lo spettacolo di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò sarà in scena al Teatro India.

Amori eccessivi, intolleranza, vittime e carnefici; E’ lo spettacolo “Rumore rosa” di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, che trae ispirazione dall’opera di Rainer Werner Fassbinder, non solo e non tanto da Le lacrime amare di Petra von Kant, cui le tre solitarie protagoniste dello spettacolo rimandano, quanto dai melò di Douglas Sirk, che Fassbinder amava a tal punto da precipitare i suoi drammi dai salotti perfetti dei family drama, alla realtà blasfema dei diseredati e dei diversi… L’amore e l’inganno, le scelte affettive sbagliate, l’usura dei sentimenti con il tempo, la paura dell’abbandono di eroi quasi sempre donne, emarginati o omosessuali, sono dunque i territori su cui si dipana il viaggio tra i Piccoli episodi di fascismo quotidiano. Lo spettacolo sarà in scena al teatro India dal 12 al 17 febbraio, con Silvia Calderoni, Nicoletta Fabbri, Emanuela Villagrossi e con la collaborazione di Dany Greggio.

Fassbinder osserva uomini e cose agendo per estremizzazioni e polarizzazioni: gli amori sono eccessivi e disperati, l’intolleranza è quella più cieca e feroce, “che c’entra la felicità, qui stiamo parlando di rispettabilità!” (si dice ne La paura mangia l’anima)…contemporaneamente è sempre attento a non idealizzare: tutte le sue vittime possono trasformarsi, e spesso lo fanno, in carnefici altrettanto ciechi e irrigiditi.

Simula l’ordine della vita con l’Imitation of life della zona franca della realtà e dell’ottusità quotidiana, per legittimare le ambivalenze e ambiguità che differenziano l’amore maschile da quello femminile (il primo quasi sempre permeato di non-scelte, il secondo di abbandoni totali). A questo materiale bollente e sanguinante RWF aggiunge il moltiplicarsi delle discrasie fra poteri pubblici e privati, lo scontro tra individuo e storia…fra libertà e desiderio di possedere le cose e gli altri… questioni sulle quali anche Pasolini – e noi con lui – ha costantemente insistito.

Mentre in Pre paradise sorry now gli scenari della quotidianità emergono dalle macerie e dai crolli della seconda guerra mondiale, in Rumore Rosa il tempo è quello attuale, dove il patetico del melodramma non è più oggetto di un’immedesimazione passiva, ma luogo di intensi sentimenti di comprensione. Ne’ “I film liberano la testa” RWF sostiene che per sottrarsi alle fatali e mortifere leggi della consuetudine dello sguardo occorre collocarsi a una certa distanza dall’evento, per meglio metterlo a fuoco e questo “distanziamento”, questo raffreddamento della percezione, va ben oltre il principio dello “straniamento” teorizzato da Bertolt Brecht: In Brecht vedete delle emozioni e ci riflettete sopra mentre le osservate, ma non le provate mai davvero, io faccio in modo che il pubblico senta e pensi. In questa frase – io faccio in modo che il pubblico senta e pensi - sentiamo corrispondere l’essenza di ciò che sempre abbiamo tentato di fare con il nostro teatro di dubbi e capovolgimenti. Come in questo caso. Volevamo mettere in scena un melò fassbinderiano, fare quasi un remake delle Amare Lacrime… ma di fondo non siamo mai stati interessati alle celebrazioni, preferiamo i tradimenti, i ribaltamenti di campo…da qui la decisione di collocarci alla fine della time-line, alla fine delle Lacrime amare, alla fine di Fassbinder, del suo stesso melodramma esistenziale e di quello delle sue magnifiche attrici, dopo, post, per rappresentare non più il "drama" ma l'artificio che gli consente di esistere.

Il soggetto è esploso, rinfranto come su un parabrezza spaccato. Alcuni dialoghi chiave sono stati registrati su vinile come traccia-memoria di un testo che non c'è più, che sopravvive solo nei ricordi di Marlene, la segretaria-serva, muta scrutatrice dei fatti... parole che ancora evocano attese-disattese. Rimangono un disco che gira su se stesso, un telefono che suona a vuoto, un ventilatore acceso e rumore di passi. Rimangono tre corpi, tre interpreti, tre età della vita. Rimangono dei gemiti di solitudine che si dilatano in uno spazio bianco dove è di casa un amore più freddo della morte. Il bianco del plexiglas compie una sorta di effetto "ibernante" sulle tre figure, non più personaggi ma simulazioni di essi, che non hanno sentimenti, pur dichiarando continuamente di averne.

La loro riduzione a icone-fumetto accentua è ancor più accentuata dal dispositivo scenico: alle loro spalle scorrono scenari disegnati da un fumettista, unico elemento di continuità nella frammentazione dei sentimenti. Le zoomate, i passaggi di campo fra interni rassicuranti e oppressivi ed esterni cittadini, freddi e deserti, fanno il montaggio di tre schegge di vita parallele. Ma alla costruzione del plot mancano alcuni pezzi, lo story-board va in parte ancora disegnato, o forse è lo spettatore stesso a dover completare di senso le curve mutile della simulazione? Un incidente d’auto diventa unico fulcro drammaturgico, unico elemento di collisione e confluenza delle tre storie. Un incidente-tentato omicidio che torna come loop, che ruota su disco, che è ossessivamente costruito e decostruito, che esprime la frattura insanabile fra l’immaginazione melodrammatica delle origini e la crisi dei sentimenti e degli stereotipi della messa in scena. Una cesura che Motus porta impressa come un tatuaggio indelebile.

Per ora siamo qui, con tre donne sole che possono rassomigliarsi e forse essere la stessa persona. O forse no. Tre donne che parlano e cantano d’amore e d’abbandono.Tre donne che tentano. Nel bianco di una strada ghiacciata, di un salotto minimale, di uno studio di posa, di una camera da letto, di un set cinematografico, di una sala d’aspetto, di una pista da pattinaggio, di un ospedale … nel bianco di un foglio bianco, disegnato con il tratto insicuro di chi ha ancora paura del bianco. Tre donne le cui parole sono andate, vanno a vuoto su disco, ruotano e si attorcigliano su se stesse, che appaiono e scompaiono fra le amare lacrime, le lunghe telefonate, il rumore rosa di uno spettacolo dalle curve multiple… Uno spettacolo che vuole essere anche un omaggio a Marta, Effi Briest, Lilì Marleen, Elvira, a tutte le donne protagoniste dei film di Fassbinder, alle sue meravigliose attrici. elemento di collisione e confluenza delle tre storie. Un incidente-tentato omicidio che torna come loop, che ruota su disco, che è ossessivamente costruito e decostruito, che esprime la frattura insanabile fra l’immaginazione melodrammatica delle origini e la crisi dei sentimenti e degli stereotipi della messa in scena. Una cesura che Motus porta impressa come un tatuaggio indelebile.

Per ora siamo qui, con tre donne sole che possono rassomigliarsi e forse essere la stessa persona. O forse no. Tre donne che parlano e cantano d’amore e d’abbandono.Tre donne che tentano. Nel bianco di una strada ghiacciata, di un salotto minimale, di uno studio di posa, di una camera da letto, di un set cinematografico, di una sala d’aspetto, di una pista da pattinaggio, di un ospedale … nel bianco di un foglio bianco, disegnato con il tratto insicuro di chi ha ancora paura del bianco. Tre donne le cui parole sono andate, vanno a vuoto su disco, ruotano e si attorcigliano su se stesse, che appaiono e scompaiono fra le amare lacrime, le lunghe telefonate, il rumore rosa di uno spettacolo dalle curve multiple… Uno spettacolo che vuole essere anche un omaggio a Marta, Effi Briest, Lilì Marleen, Elvira, a tutte le donne protagoniste dei film di Fassbinder, alle sue meravigliose attrici.

Maria Antonietta Amenduni


26 Gennaio 2008

Interviste impossibili: Vittorio Sermonti, Paolo Bonacelli e Roberto Herlitzka portano in scena le interviste a Marco Aurelio di Sermonti, Nostradamus di Manganelli, L’uomo di Neanderthal di Calvino: regia di Gabriele Vacis.



Luglio 1974. Radiotre lancia un nuovo format “Le interviste impossibili”: scrittori come Italo Calvino, Umberto Eco, Vittorio Sermonti, Leonardo Sciascia prestano la loro creatività e la loro voce alla radio per intervistare personaggi storici e letterari. I personaggi, interpretati da attori come Carmelo Bene, Paolo Poli, Romolo Valli, Paolo Bonacelli, rispondono alle domande taglienti degli scrittori, raccontano di sé e dell’epoca in cui vissero e diventano, attraverso lo sguardo degli intellettuali, specchio dell’attualità. Oggi gli scrittori tornano a interrogare la storia, ma lo fanno dal vivo, sul palco dell’Auditorium. E’ così che dal 4 febbraio prenderanno vita le “Interviste impossibili live”, con la regia di Gabriele Vacis e le scenofonie di Roberto Tarasco, una produzione Musica per Roma – Gush, in collaborazione con Rai-Radiotre. La prima serata sarà dedicata alle interviste storiche: Marco Aurelio di Sermonti, Nostradamus di Manganelli e l’Uomo di Neanderthal di Calvino. Interpretate da Vittorio Sermonti, Paolo Bonacelli e Roberto Herlitzka. Schematicamente: Bonacelli intervista Herlitzka (Nostradamus), Herlitzka intervista Sermonti (Marco Aurelio) e Sermonti intervista Bonacelli (Uomo di Neanderthal). Seguiranno nuovi autori e nuove interviste: il 10 marzo saranno in scena Piergiorgio Odifreddi, Antonio Scurati e Walter Siti, il 14 aprile, Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli ed Emma Dante, il 26 maggio, Alessandro Baricco, Gianrico Carofiglio e Vinicio Capossela. Diretta televisiva su RAISAT EXTRA. Diretta radiofonica su RADIORAI3

LUNEDI’ 4 FEBBRAIO SALA SINOPOLI ORE 21
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA
una coproduzione Musica per Roma – Gush,
in collaborazione con Rai-Radiotre e RaiSat Extra
Biglietto unico 10 euro (riduzioni del 25% con Parco della Musica card)
INFO: 06.80241281

Maria Antonietta Amenduni


20 Gennaio 2008

Amori e brillantina in un musical tutto da ballare e da cantare…si spera!

Arriva martedì 22 gennaio al Teatro Olimpico di Roma, la nuova edizione di Grease, con una compagnia rinnovata. Le coreografie sono di Franco Miseria e la regia di Federico Bellone.

Grease, il musical dei record, dopo aver conquistato quasi 1.300.000 spettatori in tutta Italia, a 10 anni dal debutto è prossimo al traguardo delle 1.000 repliche si conferma un vero e proprio fenomeno. Lo spettacolo che in questi ultimi anni ha visto alternarsi sul palcoscenico numero attori famosi e non nei ruoli dei vari personaggi che popolano il notissimo musical, continua nonostante tutto a far parlare di se. Si, nonostante tutto, perché di alti e bassi questo musical ne ha vissuto. L’esordio, 10 anni fa con Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, aveva fatto di questo allestimento un vero e proprio cult; poi è stata la volta di Simona Samarelli e Michele Carfora, che insieme alla bravissima Alice Mistroni, nei panni di Rizzo, erano riusciti a mantenere alto l’onore del musical; poi ci sono stati i periodi meno floridi che hanno visto nei panni di Denny Zuco, un improbabilissimo Dennis, uscito dalla trasmissione “Amici di Maria De Filippi”, e poi via via sempre peggio.

Fino ad oggi, dove un nuovo cast di giovanissimi (forse per risparmiare nel libro paga?) promette di restituire lustro e …la giusta dose di brillantina. Insomma non resta che augurarsi che dopo la noi offerta negli ultimi anni da questo spettacolo, la Compagnia della Rancia, riesca a far tornare in auge Grease. La cornice è quella del Teatro Olimpico di Roma, dove dal 22 gennaio al 2 febbraio, sarà nuovamente in scena il musical con le coreografie di Franco Miseria, per la regia di Federico Bellone.

Un collage di immagini colorate ed esplosive direttamente dall’America degli anni ’50, giubbotti di pelle, gonne a ruota, l’immancabile ciuffo alla Elvis con la brillantina e un gruppo di preparatissimi interpreti giovani e scatenati: sono questi gli ingredienti del suo inarrestabile successo. Grease nasce nel 1971, quando Jim Jacobs e Warren Casey decidono di realizzare un musical composto solo per chitarra in un teatro sperimentale di Chicago; lo chiamarono "Grease" per evocare i capelli imbrillantinati e lo stile degli anni ‘50: un successo diventato un "classico" in tutto il mondo che ha visto la consacrazione teatrale di grandi attori come John Travolta (interprete di un ruolo minore, prima di indossare il giubbotto di Danny Zuko nel celebre film) e Richard Gere.

La colonna sonora di Grease rimase per settimane al primo posto delle classifiche in molti paesi. In Gran Bretagna "You're The One That I Want" e "Summer Nights" arrivarono entrambe in vetta alle classifiche, restandovi per anni. La canzone "Hopelessly Devoted to You" ricevette una nomination al premio Oscar per la migliore canzone originale nel 1979. Il musical arriva in Italia, come detto, nel 1997, con la prima fortunata edizione: protagonista, nel ruolo di Sandy, era una giustissima Lorella Cuccarini. In poco tempo Grease si afferma come il primo long running show della storia dello spettacolo in Italia e ottiene dal pubblico un consenso senza precedenti: è il primo musical rimasto in scena a Milano per 6 mesi consecutivi, sold out nei teatri di tutta Italia, e ha alternato sul palco, dal suo debutto a oggi, più di 94 artisti.

Lo spettacolo sarà in scena nella stagione 2007-2008 con una versione completamente rinnovata nelle scene e nei costumi, nel cast e nella regia, affidata a Federico Bellone, 25 anni sulla carta d’identità e una passione per il musical da sempre, già collaboratore di Saverio Marconi in numerosi musical. La storia d’amore tra Danny e Sandy, i sogni dei T-Birds e delle Pink Ladies e soprattutto tanto rock ‘n’ roll fanno sì che Grease sia diventato sinonimo di energia pura e divertimento da non perdere.

La promessa del cast tutto è quella che ogni sera si possa ripetere la stessa magia: il pubblico in sala deve essere protagonista di una festa elettrizzante, per ballare e scatenarsi insieme a tutto il cast di Grease trascinati dal ritmo contagioso dei brani più celebri. Insomma, per quanti hanno rimpianto Cuccarini, Ingrassia, Samarelli, Carfora e Mistroni, non resta che incrociare le dita, e augurarsi che tante promesse siano realmente all’altezza dei fatti.

Grease
Teatro Olimpico dal 22 Gennaio al 10 Febbraio 2008
Produzione: Compagnia della Rancia
Coreografie: Franco Miseria
Regia: Federico Bellone
Orario spettacoli: tutti i giorni ore 21,00, Domenica ore 18;00. Giovedì riposo

Maria Antonietta Amenduni


20 Gennaio 2008

“Prossime Aperture”: Andrea Rivera torna in scena al Piccolo Eliseo.

Dopo il successo riscosso dal suo spettacolo nella passata stagione, il menestrello trasteverino che creò polemiche e scalpore al concerto del primo maggio 2007, torna a riempire il teatro di Via nazionale a Roma.

Amato da molti, criticatissimo da tanti altri. C’è di fatto che in entrambi i casi non passa mai inosservato. Andrea Rivera , dopo il successo registrato nella scorsa stagione, ritorna al Piccolo Eliseo Patroni Griffi, da martedì 22 gennaio fino al 10 febbraio, con la nuova edizione di Prossime aperture, arricchita da nuovi inserti e nuove provocazioni e dove il protagonista è sempre alla ricerca di storie da raccontare. In scena con l’artista trasteverino, definito il Pasquino dei nostri giorni, Lisa Lelli e il polistrumentista Matteo D’Incà (chitarre, contrabbasso, mandolino e … tutto quello che capita).

Andrea Rivera (Roma, 23 marzo 1971), attore e cantante, conosciuto anche per i suoi interventi comici (nei panni di un "citofonista") nella trasmissione di Serena Dandini Parla con me, di cui ha interpretato anche la sigla finale, a Roma è molto noto come animatore delle notti trasteverine in numerosi locali e per le strade, dove si è esibito come chitarrista, cercando un nuovo modo di comunicare basato sulle tecniche degli artisti di strada e del teatro canzone. Proprio questo filone teatrale, da lui ripercorso sulla scia di Giorgio Gaber, denunciando con toni fortemente critici le mode e i costumi della società di oggi, gli è valso nel 2004 la menzione della giuria al Premio Gaber, per "talento e coraggio". Al cinema, è stato uno dei protagonisti del film Dentro la città di Andrea Costantini, nel 2004; è stato inoltre fra gli interpreti del film per la tv Il generale, di Giorgio Capitani, e “Il cielo è sempre più blu”, fiction dedicata a Rino Gaetano.

Il primo maggio 2007, in occasione della festa del lavoro, è stato fra i conduttori del tradizionale concerto in Piazza San Giovanni. In quella occasione, Rivera è stato oggetto di un'accesissima polemica avviata dalla Chiesa cattolica per un intervento satirico nei confronti della Chiesa cattolica stessa. Rivera prese di mira l'avversione della gerarchia cattolica nei confronti delle teorie evoluzionistiche, ed il rifiuto della Chiesa cattolica stessa alla celebrazione religiosa del funerale di Piergiorgio Welby per il suo rifiuto dell'accanimento terapeutico. Dall'intervento di Rivera si sono subito dissociati i segretari di CGIL, CISL e UIL, organizzatori del concerto, definendola «fuori luogo» rispetto alla manifestazione. La Rai ha precisato di non avere alcuna responsabilità rispetto alle opinioni espresse da Rivera. Il giorno dopo, l'Osservatore Romano, organo ufficiale della Santa Sede, definì le parole di Rivera come un «vile attacco» paragonabile ad un «atto di terrorismo», I politici ed i media si sono divisi nel giudizio sull'episodio: condannando il comportamento di Rivera o sostenendo il suo diritto di libera espressione del proprio pensiero (garantito dalla Costituzione italiana all'art. 21). Rivera ha ricevuto il sostegno di Dario Fo e Daniele Luttazzi.

In seguito Rivera si è dichiarato «profondamente dispiaciuto di aver creato polemiche così accese nel mondo televisivo, politico e religioso» e «consapevole di non aver fatto delle esternazioni leggere», ma che non era sua intenzione offendere il Papa e la Chiesa, affermando però che «per me è sovrano il popolo e non gli autori del concerto; voglio dare voce alla gente comune che non può mai dire in tv quel che pensa», «non è forse vero che a Welby sono stati negati i funerali concessi invece a Pinochet? Chi è allora l'ipocrita?». Insomma uno che non ha paura delle sue opinioni e le porta avanti a testa alta, in modo deciso e convincente; e che le sue idee piaccino o no, stà di fatto che non si può negare che Andrea Rivera sia un validissimo artista! Per chi (come chi vi scrive), seguiva le sue esibizioni per le vie di trastevere, il fatto che Rivera oggi riempia i teatri, non è affatto una sorpresa.

Il libero menestrello di strada torna con la sua chitarra nel rigore del teatro, le sue parole irriverenti, veritiere, pungenti e ironiche sono accompagnate dalla musica suonata dal vivo, dagli interventi di un’attrice e dalla comicità dei video. L’improvvisazione con il pubblico è il vero collegamento “elettrico” per richiamare la gente... dai citofoni al teatro! Sul palco si ripercorre la carriera di Rivera, anche attraverso filmati che lo riprendono in azione proprio a Trastevere, alle prese con passanti, turisti e 26 denunce per “disturbo della mente pubblica”.

“Qualche anno fa Costanzo mi ha cercato”. E invece no, meglio la strada (concretizzazione delle parole di Gaber: “ C’è solo la strada su cui puoi contare / la strada è l’unica salvezza ”). Ma la coscienza suggerisce “Andrea, ora sei diventato un comico!” “ Sì, ora posso pubblicare il cofanetto con il libro e il dvd e distribuirlo anche in edicola…! ” Tra monologhi, video-interviste (“ piacere sono Paul, exit Paul”) e canzoni, ce n’è decisamente per tutti: dagli operai di oggi (“molti di voi non hanno più la coscienza di classe… però vogliono la classe A senza coscienza….”) ai politici (“caro compagno ti sei mangiato i nostri ideali altro che i bambini…. ”), alle subrettine dalla carriera facile (“vedrai cara dopo tre film imparerai la dizione”) sino a cercar di capire se la libertà ormai l’abbiamo rinchiusa in un salario o se la vera felicità è riscoprire la visione infantile di un mondo “ dove il cavaliere sia inesistente e dove non ci sia una lega, ma 20000 leghe… si… ma sotto i mari…”

Piccolo Eliseo Patroni Griffi
Via Nazionale, 183 - 00184 Roma
tel. botteghino: 06 4882114 | 06 48872222
info@teatroeliseo.it www.teatroeliseo.it teatroeliseo.blogspot.it
orario spettacoli:
da martedì a sabato ore 20,45
domenica ore 17
lunedì riposo

Maria Antonietta Amenduni


12 Gennaio 2008

Tutta la maestria di Ronconi, ne “Il Ventaglio” di Goldoni

Uno spettacolo che è un perfetto connubio di esperienza e genialità, al Teatro Argentina di Roma. In scena Giulia Lazzarini, Massimo De Francovich, Pia Lanciotti, Pasquale Di Filippo.

“Al di là dell’occasione del tricentenario della nascita, il motivo vero della scelta del Ventaglio è la singolarità di questa commedia”. E’ per questo che Luca Ronconi ha deciso di dirigere “Il Ventaglio” di Carlo Goldoni, in scena al Teatro Argentina dal 9 al 27 gennaio. Una commedia “perfetta”, nel suo incastro infallibile di equivoci, litigi tra innamorati, fraintendimenti. Per il regista, Il ventaglio è «una commedia interessantissima perché porta in scena tutte le classi sociali del tempo: nobili, borghesi, mercanti, artigiani, contadini, in una parola tutto il “mondo” di allora. E tutti quanti sono utili ed essenziali nel gioco del teatro». Goldoni scrisse in francese la prima stesura del testo (L’éventail), a Parigi, la città dove risiedeva dal 1762, dopo la precipitosa fuga da Venezia, a seguito delle polemiche e delle persecuzioni scatenate contro di lui dal rivale Gozzi. La versione in italiano risale al 1765: la commedia fu poi spedita a Venezia dove si rappresentò con successo. Mancano poco più di vent’anni alla Rivoluzione Francese, ma Goldoni ha già intuito, con l’acutezza di sempre, quanto sta per accadere. «Il motore della vicenda – spiega Ronconi - è un oggetto da nulla, un ventaglio da pochi soldi: eppure questo inerte accessorio riesce ad incrinare legami, a produrre scontri, a scatenare crisi. Perché di un ventaglio non si può fare a meno, in un secolo in cui manca l’aria, in cui tutti i censi rappresentati sulla scena non hanno più fiato». «Ho fatto una Commedia di molte scene, brevi, frizzanti, animate da una perpetua azione, da un movimento continuo, onde i Comici non abbiano da far altro, che eseguire più coll'azione che colle parole...» Così descriveva Goldoni in uno scritto del 1763 L'Éventail, vaticinandone il successo che poi in effetti riscosse. Luca Ronconi trova assai affine al proprio percorso artistico questo insieme, e ne esalta la macchineria attraverso una lettura del testo che si dimostra fedele e attenta, come di consueto, ma che non teme di portare all’esasperazione la conclamata artificiosità della sua struttura. Nel ventaglio, che passa di mano in mano in un turbinio spasmodico, egli ravvisa l’unica possibile speranza di una borghesia che già intravede il proprio declino e riconosce il proprio sostanziale fallimento storico, che si sente soffocare, e che spasima per un soffio d’aria fresca, nel miraggio che esso rechi con sé un più risolutivo rinnovamento. I grandi spettacoli degli anni Cinquanta e Sessanta di Visconti e di Strehler hanno contribuito concretamente a rivedere, con un approccio realistico, il modo di mettere in scena Goldoni strappandolo a qualsiasi compiaciuta leziosità. Anche i più recenti Goldoni di Castri hanno proseguito su questa strada spingendo oltre il discorso sul realismo, attingendo quasi al naturalismo. Oggi credo che sia possibile un’altra strada perché i testi di Goldoni non richiedono tutti lo stesso approccio. All’inizio ero indeciso se mettere in scena Il ventaglio o Una delle ultime sere di Carnovale. Ho scelto il primo testo perché pensavo che il secondo non si sarebbe potuto rappresentare se non inserendolo in quel codice di realismo borghese di cui dicevo prima. Una delle ultime sere di Carnovale è stata pensata e scritta da Goldoni prima della partenza per Parigi, come l’addio a Venezia. Un addio accorato ma che lascia aperta la speranza in un possibile ritorno. Goldoni scrive Il ventaglio quando ormai sta a Parigi: è il risultato di una frustrazione, tanto è vero che nasce prima come un canovaccio, che non è mai stato ritrovato, dopo il tiepido o il nessun successo di altre commedie scritte per il Théâtre Italien. Goldoni allora la riscrive per mandare a Venezia una specie di messaggio in bottiglia, da lontano. È anche per questo che la sentiamo come una vera e propria commedia dell’esilio, abbastanza diversa dalle altre”. Tutti i personaggi sono mossi da Goldoni con mirabile senso del meccanismo drammaturgico, fino all'immancabile lieto fine. Nell’ambito della regia contemporanea Luca Ronconi è sicuramente l’artista che ha saputo meglio relazionare esperienza e genialità, applicandola sia al grande repertorio drammatico, sia a testi eccentrici, fuori dal contesto della tradizione. Un artista come pochi, anzi, forse come nessuno, che fa del teatro una “magia reale” ed entusiasmante in qualsiasi sua forma, muovendosi lungo il tracciato della teatralità allo stato puro, e agisce dipanando con semplicità disarmante ogni più piccolo tracciato della matrice scenica. A interpretare Il Ventaglio nella nuova lettura Ronconiana, che tuttavia si tiene volutamente aderente al testo originale per non tradirne l'essenza, è stato chiamato un cast che accomuna interpreti di fama, ad attori più giovani. Massimo De Francovich fa del personaggio del Conte un elegante ed esilarante maître du village; Giulia Lazzarini è una coinvolgente Gertruda, amabile governatrice del borgo; la come sempre molto brava Pia Panciotti interpreta le pene d’amore di Candida; l’affascinante Raffaele Esposito stuzzica le voglie erotiche di Evaristo; Molto bravi anche Giovanni Crippa nei panni del Barone, che appare un estraneo, fuori dai confini del paese, e Riccardo Bini perfettamente a suo agio nei panni di Timoteo; Federica Castellini dona alla figura di Giannina una piacevole, irruente sessualità; Francesca Ciocchetti recita perfettamente il ruolo della pettegola. Da apprezzare anche Gianluigi Fogacci, Simone Toni, Giovanni Vaccaio. Adorabile l’interpretazione dell’orgoglioso Limonino, da parte di Pasquale Di Filippo. Da segnalare inoltre il cast tecnico, con le scene di Margherita Palli, le musiche di Paolo Terni, il suono curato da Hubert Westkemper, i costumi di Gabriele Mayer e il disegno luci curato da Gerardo Modica. Ci si diverte e si apprezza la maestri di Ronconi, che con il Ventaglio, propone agli spettatori uno spaccato scenico in prospettiva, che permette di guardare negli anni a venire, la drammaturgia del grande veneziano.

IL VENTAGLIO

di Carlo Goldoni
regia Luca Ronconi
scene Margherita Palli
costumi Gabriele Mayer
luci Gerardo Modica
musiche Paolo Terni
suono Hubert Westkemper
con (in ordine di locandina) Raffaele Esposito, Giulia Lazzarini, Pia Lanciotti
Giovanni Crippa, Massimo De Francovich, Riccardo Bini, Federica Castellini
Francesca Ciocchetti, Gianluigi Fogacci, Simone Toni, Giovanni Vaccaro
Pasquale Di Filippo Matteo Romoli, Marco Vergani
e con Ivan Alovisio, Gabriele Falsetta, Andrea Luini

info per il pubblico
ufficio promozione Teatro di Roma: tel. 06.68.40.00.346 - fax 06.68.40.00.360,
promozione@teatrodiorma.net; www.teatrodiroma.net
biglietteria Teatro Argentina: tel. 06.68.40.00.313 (ore 10-14; 15-19, lunedì riposo)

Maria Antonietta Amenduni


12 Gennaio 2008

Assurdo, realtà e paradossi, in scena ne “Il Compleanno” di Pinter

Al Teatro Quirino, Fausto Paravidino, dirige e interpreta una delle prime opere del Premio Nobel, Harold Pinter. Un “ribaltamento generazionale” che vede in scena anche Ariella Reggio e Giuseppe Battiston.

L’enfant prodige del teatro italiano e la prima opera di Harold Pinter. E’ questo il binomio che accomunino l’attore, autore e regista (anche cinematografico) Fausto Paravidino e “Il Compleanno” di Harold Pinter. Lo spettacolo diretto ed interpretato dallo stesso Paravidino, è in scena al Teatro Quirino dal 15 gennaio al 3 febbraio, ed è l’omaggio di un giovane drammaturgo alla scrittura del premio Nobel. Un teatro d’attori, che trova la misura ai silenzi pieni di Pinter, alle pause e ai sottotesti della sua “musica da palcoscenico”. Paravidino sente questa commedia molto affine: «La prima cosa che ho letto è stata Il Compleanno. Ho percepito a orecchio la sua rivoluzione. Per la prima volta ho riconosciuto in una scrittura teatrale un parlato reale […] Ho cominciato a scrivere per il teatro copiando da Pinter. Continuo a scrivere per il teatro e continuo a copiare da Pinter».

L’opera Il compleanno (The Birthday Party), è stata composta da Pinter nel 1957, e rappresentata per la prima volta all'Ars Theatre di Cambridge il 28 aprile 1958, pubblicata a Londra nel 1959. Si tratta di una commedia in tre atti, che presenta tutte le caratteristiche del teatro pinteriano, dove l’assurdo percepito dallo spettatore è la realtà quotidiana privata dai paradossi che abitualmente accettiamo. Questo testo anticipa gran parte delle tematiche del drammaturgo inglese: siamo in una stanza tranquilla e rassicurante, e da fuori arrivano le minacce a questa quiete, contaminano la scena a poco a poco e s’insinuano attraverso fessure invisibili. Un villain giunge da un luogo non precisato a rovesciare l’ordine del quotidiano, o forse a ripristinarlo, facendo emergere il malessere di tutti i personaggi, la loro doppia vita, la loro instabile condizione umana.

Paravidino affronta questo allestimento partendo da un’unica idea, un ribaltamento generazionale rispetto al testo pinteriano, perché «l’attore che interpreta il perseguitato Stanley è un pochino più grande del suo persecutore Goldberg», specifica. Ed infatti Stanley avrà il volto di Giuseppe Battiston, accanto all’evanescente Meg di Ariella Reggio, mentre per sé il regista riserverà il ruolo del sadico Goldberg. Un teatro “d’attori”, quindi, quello che piace a Paravidino che in questa occasione trova la misura ai silenzi pieni di Pinter, alle pause ed ai sottotesti della sua “musica da palcoscenico”. L’allestimento, come detto, parte dal ribaltamento generazionale: il perseguitato Stanley è infatti più anziano del suo persecutore Goldberg. Due ignoti visitatori piombano a casa di un giovane misantropo isolato dal mondo e, senza che si chiarisca il motivo del loro arrivo, gli organizzano una festa di compleanno anche se lui non fa che ripetere che non è il suo compleanno.

Il testo anticipa gran parte delle tematiche del drammaturgo inglese: siamo in una stanza tranquilla e rassicurante, e dall’esterno arrivano le minacce a questa quiete, contaminano la scena e s’insinuano attraverso fessure invisibili. Viene rovesciato l’ordine del quotidiano - o forse ripristinato - ed emerge il malessere di tutti i personaggi, la loro doppia vita, l’instabilità della condizione umana. Oltre a Fausto Paravidino, Giuseppe Battiston e Ariella Reggio, in scena troviamo anche Beppe Chierici, Paolo Zuccari e Valentina Cenni. Lo spettacolo ha i costumi di Sandra Cardini e le scenografie (con il disegno luci) di Laura Benzi.

“Il Compleanno” di Pinter comunque, non si può raccontare o descrivere. Il teatro pinteriano va visto e lo stesso Paravidino (in occasione della presentazione dello spettacolo a Firenze) ha sottolineato questa caratteristica dell’opera. “E’ una piécè - ha detto - ottima solo per una buona compagnia di attori, senza la bravura è assurda, i dialoghi sono secchi, le battute scarne , i ritmi precisi e il silenzio che vale come e quanto le parole. Quello di Pinter è un linguaggio parlato che si modella sulle insicurezze e le fobie dei personaggi che diventano portavoce delle fobie e paure proprie del XX secolo”.

Maria Antonietta Amenduni


5 Gennaio 2008

Molly Sweeney: la storia vera di una cecità, ricca di sfumature

In scena al Teatro Valle, Umberto Orsini e Valentina Sperlì raccontano la storia di Molly. La protagonista cieca ma autonoma, lavora come fisioterapista. La sua oscurità è ricca di suoni, rumori, musiche, sensazioni ed emozioni vibranti.

Trenta minuti di buio completo. In questa atmosfera si dipana la prima parte dello spettacolo Molly Sweeney, in scena a Roma al Teatro Valle dall’8 al 27 gennaio. Il testo, ispirato a un fatto vero raccontato dal neurologo Oliver Sacks nel saggio Vedere e non vedere, apre uno squarcio sui problemi etici e filosofici che la cura dei pazienti può generare.
Brian Friel rielabora il singolare caso clinico di Molly Sweeney mantenendone il rigore scientifico, mentre la regia conduce gli spettatori in una dimensione sensoriale, portandoli a vivere una straniante avventura percettiva.
Molly, quarantenne cieca ma completamente autonoma, lavora come fisioterapista in un centro benessere. Il tatto è la strada per entrare in contatto col mondo e per riconoscerlo, e supplisce perfettamente all’assenza della vista.
La donna, convinta a sottoporsi ad un’operazione chirurgica, riacquista in parte la vista, ma il tanto atteso esito positivo provoca invece in lei un grande un trauma. Molly si trova infatti a dover ri-conoscere il mondo, a doversi reinventare il suo orientamento, a re-imparare a vedere. Tutto ciò sfocierà in un tragico fallimento, probabilmente già intuito dalla paziente prima dell’intervento. Si riapre dunque l’antico interrogativo che William Molyneux sottopose all’amico John Locke: Immaginiamo un uomo nato cieco e ormai adulto, a cui sia stato insegnato a distinguere un cubo da una sfera mediante il tatto e al quale venga ora data la vista; sarebbe egli in grado, prima di toccarli di distinguerli e dire quale sia la sfera e quale il cubo, servendosi solo della vista?.Lo spettacolo in scena al Valle propone dunque un modo diverso di “ascoltare e vedere” lo spettacolo, e lo fa con una prima parte buia in cui ci si immerge completamente nel mondo della protagonista Molly.

Il mondo “buio” di Molly, non è però quello che ci fa paura da bambini, non è un buio che spaventa, ma una condizione di oscurità viva e ricca di suoni, rumori, musiche, sensazioni ed emozioni vibranti; a suo modo Molly vive in un mondo ricco di colori e sfumature che fanno parte della sua vita di tutti i giorni e che le danno un quadro chiaro del mondo.

Tutto questo viene trasmesso al pubblico in modo convincente da una bravissima e sensibile Valentina Sperlì in scena con uno straordinario, concreto, determinato Umberto Orsini, nel ruolo di un insinuante professor Rice, che sembra non prendere in considerazione le conseguenze emozionali, etiche dell'operazione alla quale sottopone Molly, che neppure il rozzo marito di lei (Leonardo Capuano) è in grado di affrontare senza paura.. La Sperlì e Orsini tornano in scena insieme dopo la bella prova regalata da entrambi nello spettacolo “Vecchi tempi”, per a regia di Roberto Andò (2004).
In scena anche una bella scoperta come quella di Leonardo Capuano; meno noto al grande pubblico teatrale, ma conosciuto da chi cerca artisti capaci di ricavarsi spazi propri e vogliosi di mettere in scena il loro personale percorso teatrale.

I tre protagonisti, grazie anche alla bella regia di Andrea De Rosa, riescono a portare il pubblico in un modo in cui l’ascolta e la vista dipendono dal tatto, riuscendo a farlo immergere in un buio estremamente vicino alla reale cecità della protagonista di questa storia vera. Trenta minuti di oscurità completa dunque in cui gli spettatori vengono circondati dalle parole amplificate dei personaggi che si muovono per la platea anch'essi "ciechi" senza potere essere visti, noi e loro viaggiatori dentro la notte più fonda.
Un testo contemporaneo non solo per i temi trattati ma anche per il modo in cui li tratta.

Maria Antonietta Amenduni


5 Gennaio 2008

“La vedova scaltra” in scena all’Eliseo

Lina Wertmuller dirige la sua personalissima visione del testo Goldoniano, simbolo del passaggio tra la commedia dell'arte e la commedia nova. Protagonista Raffaella Azim; Gianni Cannavacciuolo nel ruolo di Arlecchino.

Anche per una regista di grande esperienza cinematografica, conosciuta e apprezzata all’estero, come Lina Wertmuller, c’è sempre una prima volta. E’ il caso dello spettacolo “La vedova scaltra”, in scena al Teatro Eliseo di Roma dall’ 8 al 27 gennaio, in cui la regista lavora per la prima volta su un testo della tradizione teatrale italiana classica.
Protagonista dello spettacolo è l’attrice Raffaella Azim, in scena con Roberto Valerio, Giovanni Costantino, Francesco Feletti, Massimo Grigò e Angela Ravanelli e con Gianni Cannavacciuolo nel ruolo di Arlecchino. La celebre regista propone una sua visione della commedia, un'opera fresca, divertente. Un testo di transizione tra la commedia dell'arte e la commedia nova, un'idea carica di echi sensuali ma anche di segreti e profondi simbolismi.

Nella Venezia del Settecento, pullulante di artisti e avventurieri provenienti da ogni parte d’Europa, Carlo Goldoni colloca La vedova scaltra (1748), commedia carica di echi sensuali e di segreti simbolismi. Rosaura, maritata giovanissima a un signore anziano e ricco, rimasta vedova è oggetto dei corteggiamenti di quattro cavalieri. Il filo conduttore di tutta l’opera è, nella rilettura di Lina Wertmüller, un sostanziale bisogno d’amore, assenti la mondanità e il desiderio di costruire un nucleo familiare. L’appassionata ma saggia vedova è mossa da valori freschi e autentici, ritrova l’amore come senso principale della vita, anticipando il Romanticismo. Enrico Job ha immaginato al centro dell’azione un letto, simbolo di voluttà, per Rosaura rimasto sempre vuoto, un letto quasi verginale nonostante la vedovanza, denso di sogni e di solitudini. Nella rielaborazione dell’opera, sono stati eliminati alcuni personaggi e maschere e la polemica tra vecchio e nuovo si concentra su Arlecchino, testimone della Commedia dell’Arte. Si preparano gli sconvolgimenti rivoluzionari che distruggeranno l’incipriata eleganza di un secolo.

“Quello di Carlo Goldoni è un secolo agitato e rivoluzionario, sul crinale fra l’ ancienne regime e i tempi nuovi” – afferma Lina Wertmuller. – “L’idea non è solo quella di una vedovella in cerca di marito, ma vi s’intrecciano due percorsi: quello dei cavalieri vogliosi di conquistare una preda e quello della donna che cerca un uomo, un vero uomo. L’incrocio tra i desideri dei pretendenti e quelli della vedova è l’avventurosa partita da percorrere”. La regista si soffermata inoltre sulla scelta di scene e costumi, fatta da Enrico Job, e sul letto che domina la scena: “Non è solo un rimando al Settecento in cui le "Femme des Lettres" come Madame de La Favette o Madame de Sevigny ricevevano, ma un letto simbolo di tutte le voluttà che per lei è sempre rimasto vuoto, e la sua vasta dimensione è lì a sottolineare soprattutto quel vuoto. C’è il letto e lei in quel letto, con tutta la cabala del gioco della vita. Lei, nel candore che, malgrado la vedovanza, rende quel letto quasi verginale, denso di sogni, di solitudine che l’amore, quello vero sensuale, non ha mai riempito, che è centro di un gioco che non si può più sbagliare”.

In questa personale visione dello spettacolo la regista ha eliminato anche alcuni personaggi: “Nella rielaborazione sono stati eliminati, oltre alla sorella di Rosaura, alcuni personaggi-maschere come Pantalone e il Dottor Balanzone. Un testo più asciutto, nel quale la polemica tra vecchio e nuovo, si concentra su Arlecchino. È lui il testimone della "Commedia dell’Arte", la maschera su cui si riversano tutti i difetti degli italiani ma che con la simpatia e l’allegria riesce a farsi amare. Il nostro Arlecchino, anticipando il "Servo di due padroni", ne serve addirittura quattro ma in realtà serve solo Rosaura. All’inizio Rosaura è anche Venezia. Come Rosaura si prende gioco dei suoi pretendenti, così Venezia tiene sulle spine i suoi figli adorati, dal carattere litigioso e criticone. Secondo noi la lettura più interessante e forse anche la più appropriata per questa vedova è proprio con il seme dell’Amore, soffio purificante che anticipa il grande vento del Romanticismo, anche addensatore di quei nuvoloni Sturm und drang che cambieranno per sempre i cieli della cultura europea, mentre fuori forse impazza il Carnevale”.

Maria Antonietta Amenduni


30 Dicembre 2007

Canto perché non so nuotare... da 40 anni

Massimo Ranieri, in scena al Teatro Sistina, con uno spettacolo tratto dal suo omonimo doppio album , nato per festeggiare i 4° anni di carriera. L'orchestra che il corpo di ballo sono composti interamente da donne.

Una voce che con le sue canzoni ha fatto innamorare e sognare. Un’artista che con tutta la sua presenza scenica, passa con estrema serenità dal canto, alla recitazione, alla conduzione. Un artista che ha fatto il cantante perché…non sa nuotare. Dal 4 al 13 gennaio, al Teatro Sistina di Roma. Massimo Ranieri, sarà il protagonista di “Canto perché non so nuotare... da 40 anni”, uno spettacolo teatrale, tratto da un omonimo doppio album uscito nel 2006, nel quale Massimo Ranieri ripercorre la sua carriera artistica reinterpretando i più bei brani del suo repertorio, intervallati da parti recitate o improvvisate in cui parla della sua vita e della sua carriera artistica. Accanto ai suoi brani più famosi, da Rose rosse a Se bruciasse la città, da Vent'anni a Erba di casa mia e Perdere l'amore, Massimo Ranieri interpreta nello spettacolo molte canzoni del repertorio classico napoletano e alcune delle canzoni canzoni d’autore degli ultimi decenni:brani di grandi cantanti come Battisti, Battiato, Mina, Mia Martini e Charles Aznavour.

Per festeggiare i 40 anni di carriera Massimo Ranieri, aveva realizzato nel 2007 un doppio Cd, uscito in contemporanea con il debutto della sua nuova trasmissione televisiva Tutte donne tranne me. L’istrione della canzone italiana, dopo la parentesi dei suoi ultimi tre capitoli discografici legati al patrimonio della canzone napoletana, torna qui al suo repertorio, dedicando il primo Cd alla revisione di 12 fra le sue canzoni più famose e scegliendo nel secondo alcune delle canzoni d’autore da lui giudicate le più belle degli ultimi decenni. Il disco è impreziosito da duetti con Jenny B, Linda, Simona Bencini e Silvia Mezzanotte. Certo il cd non è quello che si può definire un capolavoro, anche per colpa degli arrangiamenti che nel panoramo misicale italiano sono ormai tutti uniformati, ma Raneri, con la sua voce e con il suo talento dal vivo, riesce a dare sempre una marcia in più. Il risultato è, come ogni progetto in cui Ranieri si lancia, un lavoro fatto con il cuore. Ed è così che è nato questo spettacolo.

Massimo Ranieri torna ad esibirsi con uno spettacolo che ha i colori e le emozioni di un grande show, cantando i suoi brani piu’ famosi e tanto amati dal pubblico. Una particolarità di questo spettacolo è costituita dal fatto che sia l'orchestra che il corpo di ballo sono composti interamente da donne. Coreografie di Franco Miseria arricchite dagli splendidi costumi di Giovanni Ciacci che rendono ogni brano un quadro a se. Nello spettacolo scritto con Gualtiero Peirce, lo showman canta , balla e recita raccontando tappe emozionanti della sua vita.Suo compagno di viaggio è anche il piccolo Lele D’Angelo nei panni di un amico immaginario che sorprenderà gli spettatori con un numero degno di Brodway. “Ho cominciato a cantare a 8 anni – racconta Massimo Ranieri - per un motivo soltanto…la paura…ma questa e’ la storia che vi racconterò”

Maria Antonietta Amenduni


30 Dicembre 2007

Le voci di dentro - “tarantella” in tre atti

Uno dei testi più onirici di Eduardo De Filippo, per la regia Francesco Rosi, è in scena al Teatro Argentina. Nei panni diel protagonista Alberto saporito, uno straordinario e “stralunato” Luca De Filippo.

Una delle più grottesche, oniriche, surreali e amaramente comiche commedie eduardiane. E’ “Le voci di dentro”, spettacolo in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 6 gennaio. Uno spettacolo che ha già tanto fatto parlar bene di se, con uno strepitoso successo di pubblico e di critica che da oltre un anno lo accompagna, e che vede in scena Luca De Filippo diretto da Francesco Rosi, prodotto dal Teatro di Roma e Elledieffe.

Alberto Saporito (interpretato da uno “stralunato” Luca De Filippo) ha un incubo, forse una visione, che definirà un “sogno”: il delitto commesso da una famiglia di tranquilli borghesi (i Cimmaruta, suoi vicini di casa) che non esita a denunciare, tanto ci crede. Quando la polizia irrompe nella casa degli accusati (che Enrico Job ha concepito come una benestante cucina con finestrone che affaccia su una realistica piazzetta Riario Sforza, nel cuore di Napoli, in bicromia bianco e nero) e li porta in questura, scopre che mancano sia le prove sia lo stesso cadavere. Il sogno però, produce tutta una serie di conseguenze reali: gli accusati, invece di proclamare ad alta voce tutti insieme la loro estraneità al delitto, sospettano che sia stato commesso da uno di loro e si accusano l’un l’altro, arrivando a progettare un delitto vero per coprirne uno solo immaginato. Situazione paradossale, che si risolve solo nel finale quando, deus ex machina, spunta Aniello Amitrano, il presunto assassinato, vivo e vegeto. Non resta allora che l’amara morale: “un assassinio lo avete messo nelle cose normali di tutti i giorni… il delitto lo avete messo nelle cose di famiglia!”.

Tra i personaggi, spiccano Pasquale Cimmaruta (Gigi Savoia), fallito e perdigiorno, “travolto dalla vita”, afflitto da un’opportuna “disfunzione cardiaca”, marito geloso di Matilde (Carolina Rosi), voluttuosa pseudo-cartomante, adesca uomini; Rosa Cimmaruta (Antonella Morea) con la cameriera Maria (Anna Morello), che con il racconto dei loro inquietanti sogni già all’inizio del primo atto introducono in quell’atmosfera mista di reale e surreale che connota tutta la commedia; Carlo Saporito (Marco Manchisi), fratello ipocrita e bigotto di Alberto; e poi Michele “o guardaporta” (Matteo Salsano), che emblematicamente dice che “mo si sono imbrogliate le lingue” o il bizzarro Zi’ Nicola Saporito (Giuseppe Rispoli), voce inascoltata della saggezza che, proprio per questo, non parla più e si esprime solo con botti e mortaretti.

“Con la messa in scena di Le voci di dentro dopo Napoli Milionaria! desidero proseguire, insieme a Francesco Rosi, il discorso teatrale sulla drammaturgia di Eduardo”, afferma Luca de Filippo. “Le due commedie – continua l’attore - scritte a pochi anni di distanza (Napoli Milionaria! nel 1945 e Le voci di dentro nel 1948), segnano infatti il momento di passaggio da un Eduardo in cui è ancora viva la speranza nei grandi cambiamenti e nel recupero dei valori fondamentali, dopo il terribile dramma della guerra, ad un Eduardo in cui la disillusione ed il pessimismo prevalgono in misura crescente. E’ il momento in cui Eduardo passa dalla riflessione sulla società all’approfondimento spietato dei rapporti all’interno della famiglia, sempre più espressione di ipocrisia, tornaconto personale, cinismo e sempre meno di quei grandi ideali quali la fraternità, la solidarietà, la pietà, che avrebbero dovuto segnare il rinnovamento sociale ed individuale”.

La contemporaneità di questo testo è sorprendente, e lo evidenzia anche il regista Francesco Rosi: “Oggi, per noi che facciamo i conti con una cronaca quotidiana sempre più tormentata da violenze insopportabili, da crimini commessi in nome degli interessi più sordidi, il valore di profezia della commedia di Eduardo, definita dall’autore una “tarantella in tre atti”, la sua attualità, sono sconcertanti”.

Maria Antonietta Amenduni


19 Dicembre 2007

Gigi Proietti 2: l’atteso ritorno al Gran Teatro di Roma

Combattivo come sempre, Proietti ritorna sulle scene. Sono passati quattro mesi dall’affaire-brancaccio, e lui ritorna a fare il pienone in un teatro, grande cinque volte tanto, con “Di nuovo buonasera”.

Eravamo rimasti alla fine di luglio, quando in modo assai poco cortese, a Gigi Proietti, è stata tolta la direzione del Brancaccio, in favore di Maurizio Costanzo.
Il 29 dicembre, al Gran Teatro di Roma, finalmente il grande attore e regista romano, ritorna sulle scene e lo fa in grande, con l’annunciato pienone di “Di nuovo buonasera”, uno spettacolo evento perche', come ribadisce il titolo scelto, rappresenta il ritorno sulla scena del celebre mattatore romano. Così alla faccia di chi gli ha teso il poco simpatico sgambetto, ora per vederlo, bisogna affrettarsi a comprare i biglietti, che stanno andando letteralmente a ruba.

"Non è il Teatro che fa l’attore, ma l’attore che fa il teatro, e noi arriviamo qui con lo stesso esito positivo avuto in altri luoghi teatrali. Mi sembra d'esser tornato ai tempi dello storico Teatro Tenda di Roma quando la gente, viste le mastodontiche dimensioni del teatro, mi urlava dal fondo 'A Gigi mannace na fotografia!'". Cosi' Gigi Proietti, con l'ironia dirompente che fa di lui uno tra gli attori italiani piu' amati, ha presentato il suo spettacolo che sarà n scena fina al 16 marzo.

Ad oggi sono stati venduti ben 60.000 biglietti dello spettacolo con il quale Proietti ha debuttato la scorsa stagione al Brancaccio. Lo show sara' un omaggio al varieta' "povero", ovvero all'avanspettacolo, genere che per anni ha divertito pubblici eterogenei per eta' e ceto sociale. Una contaminazione di generi e stili, nella tradizione degli spettacoli di Proietti, sara' la formula che andra' in scena al Gran Teatro con pezzi di repertori a firma illustre, un omaggio al genio di Eduardo De Filippo con "Pericolosamente"; storiche parodie, personaggi vecchi e nuovi ma anche balletti, poesie e canzoni.

Proietti, per tutta la conferenza, non ha mai fatto riferimenti specifici a chi lo ha sostituito alla direzione del Brancaccio, ma a chi lo ha stuzzicato chiedendo, se si tiene informato sulle sorti del teatro di Via Merulana, ha risposto: “Francamente non ci penso più, ormai fa parte del passato. Penso solo che le iniziative manageriali che ho avuto in questa città, forse hanno dato fastidio a qualcuno, ma con questo non voglio dire che la mia città non mi ama!!! la botta l’ho avuta ed è stata bella pesante, per me è stata una sconfitta quella del Brancaccio. Ora ho metabolizzato, e non me ne importa più niente. Adesso sono qui al Gran Teatro” E qui l’attore romano trova anche spazio e voglia per scherzare: “Io non voglio dirigere niente, non mi interessa. Mi piacciono di più le collaborazioni. Certo, qui al Gran Teatro sto proprio bene; visto mai che succede qualcosa e si può rimanere, oltre al fatto che sta vicino casa mia. Dalla Cassia a via Merulana per sei anni è stato un incubo (ride, ndr)!”

Con lo spettacolo Di nuovo buonasera, Proietti va oltre la brutta vicenda che lo ha visto protagonista quest’estate, e afferma di volersi godere questo momento, di voler chiudere bene il 2007 ed iniziarlo altrettanto bene con questo spettacolo.
Ma la voce di una sua possibile collaborazione con il Teatro di Roma, circola insistente già da un po’ di tempo, anche se lui dice di non saperne nulla: “È stato il sindaco Walter Veltroni, ad avanzare, questa estate, l'ipotesi di una mia collaborazione come consulente esterno, visti i buoni risultati ottenuti al Teatro Brancaccio. Ma era una cosa buttata li pour parlè. Poi ci sono state le vacanze, non ci siamo più sentiti anche perché credo che il sindaco ara abbia cose molto importanti a cui pensare”.

Comunque Proietti ha gradito il progetto del Teatro di Roma che vuole coinvolgere il Comune, la Regione e la Provincia, per espandere la propria influenza su vari teatri della periferia: “Ci tengo a sottolineare che io non ho mai chiesto nomine a nessuno, perché a me le nomine non piacciono. S’è c’è un lavoro riconoscibile da fare, in un progetto innovativo e valido come sembra essere quello del Teatro di Roma, che ben venga, ma per ora non so nulla, e nessuno mi ha contattato. Una volta scelto il direttore artistico del Teatro di Roma e chiarito l'ipotetico ruolo che mi si vuole affidare, deciderò sul da farsi. Adesso voglio fare le mie scelte personalmente, senza che nessuno venga a dirmi cosa fare o non fare. Quello che farò da oggi in poi, lo decido solo io” ha detto l'attore durante la conferenza stampa.

“Voglio cominciare l’anno e finirlo in modo positivo” – ha concluso Proietti – “Fate gli auguri ai vostri lettori, da parte mia, di buone feste e di un grande 2008”

Di Nuovo Buonasera
di e con Gigi Proietti
Gran Teatro di Roma
Via di Tor di Quinto
dal 29 Dicembre 2007 al 16 Marzo 2008
Infoline: 06.44258270
Biglietteria Teatro: 06.33270050


Maria Antonietta Amenduni


16 Dicembre 2007

Al Teatro eliseo “E’ tempo di miracoli e canzoni”

Rocco Papaleo e Alessandro Haber, diretti dal regista Giovanni Veronesi, sono i protagonisti dello spettacolo in scena al teatro di Via Nazionale, che farà da colonna sonora alle festività natalizie.

Uno spettacolo originale e inedito, che vede in scena due protagonisti d’eccezione – Rocco Papaleo e Alessandro Haber, il tutto sapientemente condito da un regista quale Giovanni Veronesi, per la prima volta impegnato in un lavoro teatrale. “E’ tempo di miracoli e canzoni”, è in scena al Teatro Eliseo dal 18 dicembre al 6 gennaio, per far da colonna sonora al periodo natalizio. Qui musica e parole si fondono nella magia del teatro, per questa insolita coppia di attori tanti amati nel cinema ma ugualmente apprezzati a teatro. Ma Haber e Papaleo, va sottolineato, non sono solo due bravi attori, ma anche due cantautori di talento: Alessandro Haber, è al suo terzo disco, e Rocco Papaleo, spesso impegnato con il suo gruppo jazz, è stato il vincitore della scorsa edizione del Festival Gaber. Ora questi due poliedrici personaggi, sono per la prima volta insieme su un palcoscenico. È tempo di miracoli e canzoni”, è un concerto, ma soprattutto un racconto rende omaggiovoce al loro amore per la musica. È da questa passione, e dall’incontenibile voglia di cantare, che la rappresentazione assume l’unicità di un concerto e la fantasia creativa caratteristica del mondo teatrale.

“È uno spettacolo atipico – afferma Giovanni Veronesi - che mischia un po’ di prosa e un po’ di cabaret e la musica dal vivo”. I due attori libereranno le proprie emozioni lasciandosi guidare da un percorso musicale che li porterà in un viaggio all’interno della loro memoria, della loro storia, della loro carriera.

Scritto dallo stesso Papaleo in collaborazione con Giovanni Veronesi, lo show vede i due interpreti italiani nelle vesti di “cantattori” accompagnati da un gruppo di pregiati musicisti, per chiacchierare, strillare, raccontare, emozionare ed emozionarsi con l’obiettivo di comunicare attraverso la musica. Haber duetterà con la band, attraverso il suo inconfondibile timbro vocale, coinvolgendo il pubblico nei classici della canzone d’autore, fatti suoi attraverso originali arrangiamenti. Papaleo lo accompagnerà con le sue composizioni originali cariche d’ironia e alcuni inediti.

Haber e Papaleo, accompagnano il pubblico in un particolare viaggio di musica e parole, che fa sognare e rievocao ricordi. Insieme, percorrono un viaggio in note, un viaggio che sicuramente non è soltanto il loro. Un percorso emozionare e vibrare le corde del cuore ma anche la mente, che si perde nei ricordi e nei desideri, nella fantasia che la musica, fusa in un corpo solo con il teatro, è in grado di creare.

Tante è l’emozione che traspare anche da parte dei due “cantattori” “Vorrei essere un autista di canzoni, di professione, che se uno mi chiede ‘che lavoro fai?’ Io rispondo ‘guido canzoni’ – dichiara Alessandro Haber - Certo sono un autista principiante, uno che non guarda nello specchietto retrovisore prima di partire, probabile cozzo, ma poi scampato pericolo si và, si và verso quel qualcosa, ma non un vero e proprio luogo, perché questo posto puoi abitarlo ma non puoi fotografarlo, è il posto dove vanno tutte le canzoni, anche quelle brutte, quelle non finite, quelle canticchiate, tutte...”

La voglia di esternare le proprie emozioni in musica, è stata il filo conduttore che ha fatto nascere questo spettacolo; così lo racconta Rocco Papaleo: “Faccio questo spettacolo perché un giorno mio figlio, durante il suo primo viaggio in aereo, guardando dall’oblò mi ha detto: “il mondo visto da quassù sembra un grosso giocattolo … di nessuno”.

musiche eseguite dal vivo
Sasà Flauto chitarra
Giovanna Famulari violoncello
Gianluca Mirra batteria
Carlos Sarmiento pianoforte
Luigi Sigillo contrabbasso

Maria Antonietta Amenduni


16 Dicembre 2007

Il dramma della disoccupazione al femminile

Roma ore 11 di Elio Petri, è lo spettacolo in scena al Piccolo Eliseo Patroni Griffi; Protagoniste Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariàngeles Torres.

Dal 14 dicembre ritorna a Roma, al Piccolo Eliseo Patroni Griffi, lo spettacolo Roma ore 11 di Elio Petri. Lo spettacolo, interpretato da Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariàngeles Torres, nasce dalla volontà delle attrici protagoniste di mettere in scena il lavoro di Petri, cruda indagine di cronaca tra le pieghe della condizione femminile.

Tutto parte da Roma ore 11, un film del 1952 diretto da Giuseppe De Santis, e si basa Si basa sull'inchiesta condotta da Elio Petri, che fu aiuto regista nel film, in seguito ad un fatto di cronaca avvenuto a Roma nel 1951. Elio Petri è stato il più impegnato, controcorrente e censurato dei registi italiani. In seguito ad un annuncio di lavoro su un giornale, duecento ragazze si presentano per ottenere un posto di lavoro di dattilografa presso lo studio di un ragioniere. In un'Italia esasperata dalla disoccupazione in genere, ma ancor più da una impossibilità per le donne di trovare lavoro, si presentano per il colloquio le più disparate giovani: nobili decadute, prostitute che cercano di cambiar vita, mogli con il marito disoccupato, figlie di benestanti cui la pensione non basta per sopravvivere.

Accalcatesi sulle rampe delle scale del piccolo palazzo, si scambiano impressioni e accennano alle loro vite fatte di miseria ed espedienti per vivere. Un furibondo litigio per la priorità in fila scatena le ragazze, la cui prepotenza per passare avanti trasforma l'attesa in tragedia: la ringhiera della scala cede, distruggendo ad uno ad uno i gradini, facendo precipitare le donne, alcune delle quali rimangono seriamente ferite, mentre una di esse, Cornelia Riva, muore in seguito alle ferite riportate. Portate in ospedale, l'amara scoperta: per essere curate, l'ospedale pretende il pagamento della retta giornaliera di Lire 2500. Molte di loro sono costrette a correre a casa perché impossibilitate a pagare. Il fatto che duecento candidate si fossero presentate per un solo posto mal pagato era “un dito puntato sulla piaga della disoccupazione”. Fu questo uno dei motivi che indusse De Santis e un gruppo di cineasti del neorealismo a fare un film sulla disgrazia di via Savoia. Petri condusse l’inchiesta in modo organico, capillare: ragazza per ragazza, rintracciò le loro storie, le loro famiglie, gli ambienti, registrò le espressioni dei volti, sondò i sogni e le attese, decifrò le idee di giustizia e ingiustizia, ricostruì l’immagine di quel mondo. Più di un’inchiesta l’indagine di Petri divenne una denuncia delle miserie, della disperazione, delle prepotenze sessuali subite dalle ragazze, cosa che costò al film il boicottaggio e la censura.

Pur non essendo un testo scritto per il teatro, Petri tratteggia dei personaggi vivi, concreti, pronti per essere recitati. Le giovani donne, le loro famiglie, i portieri dei palazzi e le varie umanità che incontra ci restituiscono una ricchezza e una diversità di psicologie, un linguaggio vivo e fiorito, per niente letterario e che non scade mai nell’oleografia. E nonostante parlino di miseria e di una guerra appena passata, la forza vitale di questi personaggi e la leggerezza con cui vengono raccontati, fanno sì che spesso ci si sorprenda a ridere insieme a loro. E’ un’Italia lontana e ingenua, che parla di come erano i nostri padri e le nostre madri, eppure sorprendentemente racconta anche l’Italia di oggi con le sue miserie, i suoi piccoli sogni, i suoi grandi problemi di lavoro.

Il testo è una raccolta di voci, una cronaca itinerante che attraversa i quartieri periferici di Roma, negli anni della ricostruzione post-bellica, un viaggio lungo strade sterrate non ancora urbane, calpestate dalle scarpe del giornalista Elio Petri.

“La spinta iniziale che ci ha fatte incontrare è stata la voglia condivisa di trovare un luogo e un tempo per “fare un teatro” che ci appartenesse di più – affermano all’unisono Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariàngeles Torres - Dopo anni di vita di tournèe abbiamo sentito l’esigenza di fermarci, di cercare uno spazio protetto dove poterci fare domande senza cercare subito risposte, dove poter stare in disequilibrio senza paura di cadere e dove poter cercare davvero, senza ansia di fare buone prestazioni….Roma ore 11 vuole essere anche un omaggio a Elio Petri, grande regista del nostro cinema migliore, che pare essere già dimenticato”.

PICCOLO ELISEO PATRONI GRIFFI
Lo spettacolo sarà in scena fino al 20 gennaio
Durata dello spettacolo: 90 Minuti

Via Nazionale, 183 - 00184 Roma
tel. botteghino: 06 4882114 | 06 48872222
info@teatroeliseo.it www.teatroeliseo.it teatroeliseo.blogspot.it
ORARIO SPETTACOLI:
Martedì, giovedì, venerdì – ore 20,45
Sabato ore 16,30 e 20,45
Mercoledì e domenica – ore 17,00
Lunedì riposo

Lunedì 24 e martedì 25 - riposo
Mercoledì 26 S. Stefano - ore 17
Lunedì 31, San Silvestro, brindisi con la compagnia, ore 20
Martedì 1° gennaio ore 20,45

Maria Antonietta Amenduni


16 Dicembre 2007

Quando finzione e realtà superano i confini.

In scena al Teatro Manzoni, “Adorabile Giulia”, con Paola Quattrini e Pietro Longhi, per la regia di Silvio Giordani. Una commedia brillante ed ironica con continui colpi di scena.

Commedia moderna esilarante e piena di dialoghi entusiasmanti. Un intreccio goliardico tra finzione scenica e realtà quotidiana. Quando realtà e funzione si confondono e superano i rispettivi confini. E’ “Adorabile giulia” di S.Maugham, G.Bolton, M.G.Sauvajon, Golden, adattamento di Giovanni Antonucci, con Paola Quattrini e Pietro Longhi, e con Paola Cerimele, Carlo Ettorre, Raffaello Lombardi, Luca Marchese, Tito Manganelli, Gabriella Silvestri. Lo spettacolo in scena al Teatro Manzoni dal 26 dicembre 2007 al 20 gennaio 2008, è diretto da Silvio Giordani.
E’ la storia di una celebre coppia di attori che ha condiviso, sulla scena e sulla vita privata, la passione per il teatro e le inevitabili situazioni ricche di equivoci e di ritrovati entusiasmi. Tratta dalla commedia il cui titolo originale è “Theatre”, ha dato recentemente origine ad un film di successo: Diva Giulia con Annette Benino e Jeremy Irons.

La protagonista Giulia Lambert, quì interpretata da Paola Quattrini, è un’attrice che si ostina a vivere la parte della giovane donna sia in teatro che nella vita privata. Questa sua ostinazione la porta ad innamorarsi di un giovane, coetaneo di suo figlio. Ciò offre a Michele, il marito (Pietro Longhi) attore, regista e guida costante di Giulia sulla scena, l’ occasione di guardarsi intorno e scegliersi una nuova compagna. L’unione tra i due sembra finita, ma il loro amore per il teatro, unito all’ interesse, all’ ambizione e alla stessa fondamentale vanità di tutti gli attori, non gli permette di disunire le loro esistenze e li condurrà ad una romantica riappacificazione.
Un chiara ed evidente crisi dello sdoppiamento tra realtà e finzione. Una commedia brillante ed ironica con continui colpi di scena.

“La grande validità della commedia sta nella straordinaria compiutezza delle personalità dei protagonisti – afferma Silvio Giordani - Essi sono attori e rimangono attori fino in fondo. Si struggono talmente tra finzione e realtà da non riuscire più a delimitare lo sdoppiamento, confondendo così troppo spesso l’uomo o la donna reale con il personaggio. Divertente ed ironico ritratto – documento sociale che tra risate e colpi di scena continui raggiunge una notevole profondità nell’introspezione psicologica. Giulia Lambert e suo marito sono due grandi personaggi che non sembrano neppure inventati davvero. Troppi esempi ne esistono, anche vicino”.
In scena al teatro Manzoni (via Monte Zebio 14/c-tel.06/3223634) dal 26 dicembre 2007 al 20 gennaio 2008. Orario spettacoli: dal martedì al venerdì ore 21, sabato ore 17-21 domenica ore 17.30 lunedì riposo. Giovedì 17 gennaio ore 17 e ore 21. Biglietti: intero 23 euro, ridotto 20 euro + 1 euro prev. 31 dicembre doppio spettacolo: ore 20 – 40€ + 2 € prev. - 0re 23 - 60€ + 2€ prev.

Maria Antonietta Amenduni


16 Dicembre 2007

Grande successo del musical “La Divina Commedia”, in scena fino a febbraio 2008 a Tor Vergata



Straordinario successo de “La Divina Commedia. L’opera”, l’imponente kolossal musicale tratto dal capolavoro di Dante Alighieri, ideato da mons. Marco Frisina e prodotto da Nova Ars Musica Arte Cultura, che rimane in scena nella capitale sino al 24 febbraio 2008: dal debutto il 23 novembre scorso, in soli 15 giorni di repliche, sono oltre 25.000 gli spettatori accorsi ad assistere allo straordinario viaggio in musica attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso, un incredibile ed emozionante spettacolo che richiama il pubblico di ogni età, registrando nei week end il tutto esaurito. Eclatante la risposta delle scuole con ben 60.000 studenti provenienti da tutta Italia che hanno prenotato per la tappa romana dello spettacolo.

Per assistere allo spettacolo è possibile acquistare i biglietti presso il circuito Listicket di Lottomatica Italia Servizi chiamando il numero del call center 199.109783 o collegandosi al sito www.listicket.it, per informazioni www.ladivinacommediaopera.it . (prezzi a partire da € 20)

Maria Antonietta Amenduni


16 Dicembre 2007

“Volevo vedere il cielo”, di Massimo Carlotto, n scena al teatro Orologio



Pochi giorni, ma da tenere d’occhio. Al Teatro Orologio di Roma, nella Sala Artaud, dal 18 al 23 dicembre, è di scena “Volevo vedere il cielo”, di Massimo Carlotto, con Miana Merisi, per la regia di Maria assunta Calvisi.
Una donna, di cui non si conosce neanche il nome. Si sa invece che il marito si chiama Arturo, un brav’ uomo, grande lavoratore, “sempre su e giù col muletto”, ormai rassegnato alle avversità della vita. Curiosamente non si conosce neanche il nome della figlia, “la ragazzina” che cerca in tutti i modi di sfuggire dalle grinfie della madre che la vorrebbe velina o concorrente del Grande Fratello, anche una donnaccia purchè non come lei, frustrata e infelice. Un’infelicità annegata nel vermouth, unico sollievo ad una vita grigia da discount, offerte speciali e sogni bruciati.
Non occorre un accadimento eclatante per far scoppiare il dramma. Il dramma è covato dentro, pronto ad esplodere perché alimentato giorno per giorno dall’angoscia di una quotidianità vissuta nella speranza di un riscatto che solo “la ragazzina” ormai può offrire.
Nel testo l’ambiente è quello della periferia torinese, nella messinscena la donna è una borgatara romana. Ma la radiografia di uno spaccato della società di oggi dove si alimentano i falsi miraggi, i luoghi comuni, gli stereotipi del successo e della felicità, non cambia perché non cambia il senso di desolazione e di miseria culturale e morale.

“Volevo vedere il cielo, almeno un pezzettino…” dice la donna con amarezza. Ma per lei il cielo non c’è mai stato nella sua stanza, come nella canzone.,.
“Io volevo solo che la mia ragazzina fosse felice, che almeno lei lo vedesse il cielo.
Niente più niente al mondo potrà rimettere a posto le cose”.
(Maria Assunta Calvisi)

La Compagnia sarda “Effimero Meraviglioso” guidata da Maria Assunta Calvisi, nasce nel 1991 come gruppo di giovani attori non professionisti ed è caratterizzata da scopi e filoni particolari. Creare è l’obbiettivo principale – dice la Calvisi – ed imparare a farlo non è cosa da poco.
I giovani attori vengono affiancati da attori professionisti che attraverso stages, laboratori, collaborazioni in scena contribuiscono alla loro crescita.
La Sardegna e la sardità. Ovvero le tradizioni di una terra che è davvero molto isola, terra orgogliosa di sé, attraversata nei secoli da varie popolazioni sono la peculiare fonte inesauribile di ispirazione.
Ecco perchè la gran parte dei testi, scritti da Nino Nonnis, compagno di vita e di lavoro della regista, trovano la loro radice proprio in questa specificità culturale. Di quando in quando scommettiamo su divagazioni al femminile…

Ed ecco l’altro filo logico che accompagna il viaggio di questa compagnia “itinerante”.
La donna, o meglio ancora, alcune figure di donne molto speciali che provocano suggestioni artistiche nella regista. Nascono così “Frida Kahlo”, “Grazia a Maria” e ora la protagonista di “Volevo vedere il cielo”.
Sulla scena con Miana Merisi, attrice ricorrente nei lavori della Calvisi, la giovane Francesca Cara.

“ VOLEVO VEDERE IL CIELO”
Libero adattamento di Maria Assunta Calvisi da un testo di Massimo Parlotto
Con MIANA MERISI
e la partecipazione di Francesca Cara
Regia di
MARIA ASSUNTA CALVISI

Maria Antonietta Amenduni


16 Dicembre 2007

Teatro di Roma: L’Assemblea dei Soci nomina il nuovo Consiglio di Amministrazione dell’ente. Oberdan Forlenza confermato presidente. Albertazzi giunto al capolinea.



L’Assemblea dei Soci del Teatro di Roma, riunitasi il 12 dicembre 2007, composta da Regione Lazio (rappresentata dall’Assessore alla cultura, spettacolo e sport Giulia Rodano), Provincia di Roma (rappresentata dall’Assessore alla cultura Vincenzo Vita) e Comune di Roma (rappresentato dall’Assessore alle politiche culturali Silvio Di Francia) si è riunita oggi, mercoledì 12 Dicembre.

Innanzi tutto, ha ringraziato il Maestro Giorgio Albertazzi, che ha diretto il Teatro per sei anni, per il lavoro svolto con serietà, generosità e passione.

L’Assemblea ha poi nominato – su proposta congiunta dei Soci - il nuovo Consiglio di Amministrazione dell’ente, composto da Alessandro Curzi, Silvana Novelli, Massimo Pedroni e Debora Pietrobono. L’assemblea ha inoltre confermato come presidente del CdA Oberdan Forlenza. Il CdA rimarrà in carica per tre anni.

L’Assemblea dei Soci ha inoltre definito gli indirizzi programmatici cui si ispirerà l’attività del Teatro di Roma, che recentemente ha acquisito nuovi spazi.

Il Consiglio di Amministrazione si insedierà nei prossimi giorni e provvederà alla nomina del Direttore.

Maria Antonietta Amenduni


8 Dicembre 2007

Carlo Giuffré al Teatro Quirino, è “Il Sindaco del Rione Sanità”.

Nella versione di Giuffré, il protagonista Antonio Barracano, diventa la speranza di vedere il mondo cambiato, e prendendosi una sorta di licenza poetica, inserisce un finale a sorpresa, particolarmente emozionante e colorato.

Nella scorsa stagione, aveva conquistato critica e pubblico; era quello che si definisce un grande successo. Oggi è un vero e proprio ritorno quello de “Il sindaco del rione sanità”, al Teatro Quirino di Roma: debuttò infatti proprio qui, nel lontano 1960, il testo che Eduardo De Filippo, autore della commedia, aveva indicato quale suo ruolo preferito, definendolo come uno dei personaggi più interessanti che un attore possa desiderare. Non poteva dunque mancare un appuntamento tanto importante, Carlo Giuffré, tra i massimi interpreti contemporanei del teatro di Eduardo col quale si misura per la sesta volta, incontrando ancora i testi e le battute del suo più celebre predecessore. Forte di una specifica tradizione culturale – insignito, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano, col Premio Olimpico dell’Eti alla carriera - con l’esperienza di 60 anni di palcoscenico e quasi 80 di vita, l’attore imposta la regia di questo testo difficile e duro - capace di «raccontare la vita e le scansioni dell’anima» mettendone in evidenza il valore di monito alla città che ha bisogno di una nuova presa di posizione ma anche e soprattutto di una speranza nel futuro, in un momento in cui Napoli vive un crescendo di criminalità e violenza proprio perché «coloro che veramente amano questa città non devono mai smettere di indignarsi e urlare la loro rabbia!». Quale maggiore attualità dunque, della vicenda di Antonio Barracano. Come racconta lo stesso Eduardo il personaggio centrale del dramma è stato ripreso dalla vita reale: «Si chiamava Campoluongo. Era un pezzo d'uomo bruno. Teneva il quartiere in ordine. Venivano da lui a chiedere pareri su come si dovevano comporre vertenze nel rione Sanità. E lui andava. Una volta ebbe una lite con Martino 'u Camparo, e questo gli mangiò il naso. Questi Campoluongo non facevano la camorra, vivevano del loro mestiere, erano mobilieri. Veniva sempre a tutte le prime in camerino. «Disturbo?» chiedeva. Si metteva seduto, sempre con la mano sul bastone. «Volete 'na tazza??C????????¨? 'e cafè?». Lui rispondeva «Volentieri». Poi se ne andava.» Allora Campoluongo, diventa, malgrado tutto, la speranza di vedere il mondo cambiato, tanto più nella versione di Giuffré che, prendendosi una sorta di licenza poetica, inserisce un finale a sorpresa, particolarmente emozionante e colorato. La trama: Antonio Barracano è un uomo che gestisce la sua legge nel rione Sanità ed è per questo che viene riconosciuto come "sindaco" del quartiere. Dispensa consigli, pareri, e risolve i problemi della povera gente. Ma proprio per compiere un gesto di eroismo Antonio Barracano viene ferito a morte nel tentativo di sedare un conflitto. Probabilmente una delle commedie più amare di Eduardo che mette in risalto alcune problematiche della società napoletana caratterizzate da una illegalità sempre più diffusa. Carlo Giuffrè riesce a mettere in scena, in modo straordinario, uno dei personaggi più difficili e complessi di Eduardo De Filippo. Lo fa con la maestria che lo ha fatto diventare uno dei più grandi artisti del nostro teatro. Lo fa con l’originalità di una regia corposa, vivace ed esuberante. E la memoria torna indietro nel tempo, torna alla grandezza di quel teatro di de Filippo, torna all’estrema umanità dei personaggi da lui interpretati, e circondati da altrettanti personaggi che non hanno eguali nella storia del teatro. L’unicità dell’arte di Eduardo, rivive, vestita di nuova luce in questo lavoro di Giuffrè; un allestimento, al quale, personalmente, è difficile trovare delle pecche. Il plauso, va anche a tutto il cast composto, oltre che da Giuffrè, da Piero Pepe, Aldo De Martino, Alfonso Liguori e con Antonella Lori, Massimo Masiello, Gennaro Di Biase, Vincenzo Borrino, Roberta Misticone, Enzo Romano In scena al Teatro Quirino dall’11 Dicembre 2007 al 13 gennaio 2008

…e prima della prima
In occasione della prima romana dello spettacolo, Carlo Giuffrè riceverà un Premio Speciale alla Carriera: alle ore 20, nella platea del Teatro Quirino, il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli premierà i 60 anni di attività di un’eccellenza della scena italiana; un plauso quindi all’arte della recitazione che negli anni Giuffrè ha saputo sempre meglio coltivare e privilegiare. Il riconoscimento nasce nell’ambito del Prologo Festival Teatro Italia di Napoli, per il quale sarà presente il Presidente della Fondazione Campania dei Festival Rachele Furfaro. A fare gli onori di casa, sostenendo un omaggio ad un grande protagonista del teatro e dello spettacolo italiani della seconda metà del ‘900, interverranno il Presidente dell’Eti Giuseppe Ferrazza e il direttore generale Ninni Cutaia.

la mostra
Eduardo, inoltre, sarà “presente” e quindi variamente ricordato anche in una forma più insolita: in occasione delle repliche dello spettacolo, il teatro, ospiterà immagini della commedia disegnate da Daniele Bigliardo. In mostra Eduardo a Fumetti, una pubblicazione (edita da Elledì ’91) che illustra i testi di De Filippo per disegni in bianco e nero. Cinque fumetti de Il sindaco del rione Sanità diventeranno invece pannelli a colori esposti nel foyer: l’inaugurazione mercoledì 19 alle ore 17.30 alla presenza di Carlo Giuffrè che incontrerà quindi il pubblico e dialogherà con Daniele Bigliardo, disegnatore dell’intera collana.

Per informazioni e prenotazioni biglietteria del teatro tel. 06/6794585 (ore 10/19 - lunedì riposo)
inizio spettacoli serali ore 20.45
repliche pomeridiane ore 16.45: mercoledì 12/12; domenica 16/12; domenica 23/12; mercoledì 26/12;
giovedì 27/12; domenica 31/12; domenica 6/01; giovedì 10/01; domenica 13/01.
repliche ore 19.00: mercoledì 19/12; lunedì 31/12 Speciale San Silvestro; mercoledì 2/01; mercoledì 9/01
martedì 01/01 riposo
lunedì riposo

Maria Antonietta Amenduni


8 Dicembre 2007

La storia della Bambola abbandonata

La storica regia di Giorgio Strehler torna in scena in un nuovo riallestimento, firmato da Andrea Jonasson e Giuseppina Carutti; uno spettacolo fatto e pensato per gli spettatori di domani…

Al Teatro Valle, dal 12 dicemebre al 6 gennaio, la magia del teatro di Strehler, rivivrà grazie ad una bambola. L’unico spettacolo che Giorgio Strehler ha scritto e diretto completamente in proprio è uno spettacolo per bambini: si tratta de La storia della Bambola abbandonata che nasce nel 1976 dedicato ai “piccoli uomini” che il regista rendeva protagonisti in un divertimento-gioco da affrontare con la serietà e la responsabilità del lavoro. Un testo che Giorgio Strehler trasse da un classico di Brecht, Il cerchio di gesso del Caucaso e da La storia della bambola abbandonata dello spagnolo Alfonso Sastre. Uno spettacolo dal forte impatto etico, che pone una domanda fondamentale: le cose sono di chi le lavora, di chi le migliora, di chi le ama e le difende oppure di chi le ha ricevute senza aver fatto nulla per conquistarle?

Paca e Lolita sono due bambine coetanee. Paca trova nell’immondizia una vecchia bambola malandata, gettata via dalla ricca e viziata Lolita. La prende con sé e, con l’aiuto di alcuni amici, la ripara. Lolita, indispettita nel vedere il suo vecchio giocattolo tornato come nuovo nelle mani di un’altra ragazzina, rivuole indietro la bambola. Come risolvere la lite? Nella fiaba moderna si innesta il racconto brechtiano del Cerchio di gesso del Caucaso, in cui due donne si contendono, questa volta, un bambino, abbandonato dalla ricca madre naturale e allevato con amore dalla povera serva Gruscia. Sarà un giudice a decidere se debba prevalere la legge del sangue o quella dell’amore.

La storica regia di Strehler torna in scena in un nuovo riallestimento, realizzato coinvolgendo anche alcuni bambini di scuole elementari di Milano, Roma e Prato. I ragazzi parteciperanno alle prove e lavoreranno sul testo e alla messa in scena assieme agli attori del Piccolo: il teatro diventa a tutti gli effetti materia didattica. Quella stessa messa in scena è poi stata ripresa negli anni ’90 ed oggi il testo è diventato un progetto firmato da Andrea Jonasson e Giuseppina Carutti, per rendere un omaggio al Maestro a dieci anni dalla scomparsa. Così, la bella favola sembra superare del tutto i limiti del tempo per tornare sempre di più viva e palpitante. La storia scritta dunque – quella della bimba ricca Lolita che abbandona per poi rivolerla indietro la sua bambola, “adottata” nel frattempo dalla povera Paca – si presenta ancora diversa, intrecciandosi alla vita vissuta dei bambini coinvolti sulla scena. Sarà infatti un lavoro propedeutico allo spettacolo, in collaborazione con alcune scuole romane, a selezionare alcuni piccoli attori per i quali il teatro coinciderà anche con un’esperienza di vita. Proprio come aveva voluto Strehler, attraverso la creazione di un personaggio e comprendendone la complessità della costruzione, si crea lo spunto per riflettere, un modo per interrogarsi, sulla favola e sulla sua morale. Un percorso umano prima ancora che teatrale, che sfida la forma del racconto, semplice e sincera, per trasformarsi in uno straordinario viaggio nel mondo del teatro.

Guardando questo spettacolo, viene voglia di tirare un forte respiro e riempirsi i polmoni di aria pura perché “La Storia della bambola abbandonata” è uno spettacolo fatto e pensato per gli spettatori di domani, i grandi che verranno dopo di noi, e che ci si augura siano in grado di fare grandi cose, di rimettere ordina alla confusione etica e civile che lo spettacolo mette in risalto. Viene voglia di fermare il tempo nell’istante in cui ognuno di noi preferirebbe farlo, al fine di realizzare il collage di un mondo migliore, smontavo i ricordi fino ai più piccoli fotogrammi e operavo una scelta accurata degni istanti che si vorrebbe durassero in eterno. Uno spettacolo che è un inno a migliorare e a migliorarsi, a capire che non basta raggiungere solo l’ombra di ciò che desidiamo, perché altrimenti si spegne la speranza, come una candela smorzata dalla sua stessa cera. Un senso di confusione e smarrimento, avvolge lo spettatore, e fa venire voglia di essere miglio, più forti e risoluti versò le brutture del mondo, più tenci o semplicemente più testardi.

E’ con estrema emozione che Andrea Jonasson, ha ripreso in mano questo spettacolo: “Questo ritorno della Storia della bambola abbandonata nasce da un sogno a occhi aperti. Ero a Vienna, poco prima dei festeggiamenti per i 60 anni di vita del Piccolo e - pensando che dopo pochi mesi sarebbero stati i dieci anni della morte di Giorgio - mi è sembrato che sarebbe stato bello ricordarlo, non tanto con una lettura di suoi testi o lettere, ma proprio con qualcosa che era stato profondamente suo. Mi sono detta: ecco mi piacerebbe fare La storia della bambola abbandonata perché avevo visto Giorgio al lavoro - erano i primi anni che stavo in Italia - e toccato con mano il suo entusiasmo mentre provava con i bambini e gli attori alla Piccola Scala”. In scena anche: Riccardo Ballerini, Chiara Claudi, Francesco Guidi, Alberto Onofrietti, Camilla Zorzi Andrea Jonasson incontrerà poi altri giovani spettatori nei loro spazi abituali, per raccontare anche fuori dal palco la favola della bambola abbandonata dalla ricca Lolita ed “adottata” dalla povera Paca (alla Libreria Giannino Stoppani il 1° dicembre, alla Biblioteca Centrale per Ragazzi il 15 dicembre e ad Explora – Museo dei Bambini il 16 dicembre). La presenza di questo spettacolo al Valle diventa anche occasione per spiare dietro le quinte: BENVENUTI A TEATRO è un viaggio nei segreti del teatro e dello spettacolo, che il Piccolo di Milano dedica non solo al pubblico dei più giovani, in collaborazione con Intesa-Sanpaolo (16 dicembre e 23 dicembre, ore 15).

La storia della bambola abbandonata
di Giorgio Strehler
da Bertolt Brecht e Alfonso Sastre
regia Giorgio Strehler
ripresa da Andrea Jonasson
regista assistente Giuseppina Carutti
scene e costumi Luciano Damiani
musiche Fiorenzo Carpi a cura di Giulio Luciani
movimenti mimici Marise Flach
con Andrea Jonasson
e con Riccardo Ballerini, Chiara Claudi, Francesco Guidi, Alberto Onofrietti, Camilla Zorzi
suonatori Anna Grazia Anzelmo, Alessandro Virzi, Francesco Zaccaria
soldati e ombre Paolo Garghentino e Eugenio Olivieri
Durata: 1h e 10' senza intervallo

Per informazioni e prenotazioni biglietteria del teatro tel. 06/68803794 (ore 10/19 - lunedì riposo)
repliche serali ore 20.45: 12-13-14-15-20-21-22-28-29-30 dicembre, 3-4-5- gennaio
repliche pomeridiane ore 16.45: 16-19–23-2 5-26-27-28-29-30 dicembre, 1-3-4-5- 6 gennaio
repliche ore 19.00: 2 gennaio
lunedì riposo

Maria Antonietta Amenduni


8 Dicembre 2007

Dal Petrolini alla Cometa, due spettacoli all’insegna del divertimento: “Meglio Zitelle” e “Grisù, Giuseppe e Maria”.



Al Teatro Petrolini e al Teatro della Cometa, due appuntamenti da segnare in agenda, all’insegna del divertimento.
A grande richiesta del pubblico torna dal 12 dicembre 2007 al 6 gennaio 2008 al TEATRO PETROLINI “MEGLIO ZITELLE”, scritto e diretto da Claudio Proietti, è la storia di tre donne ma soprattutto di tre modi di vedere la vita. Protagoniste dello spettacolo, Maria Grazia De Vita, Claudia Calafato, Emilia Pallavanti. E’ la storia di Lucia, Maria ed Anna; amiche da sempre, pronte a criticarsi e a farsi forza reciprocamente quando il mondo si scorda di loro e le emargina. Per una data circostanza si incontrano nella camera di uno squallido hotel “senza stelle” e, tutte e tre oramai prossime ai quaranta, fanno un primo bilancio della propria vita. Ne verrà fuori un ritratto divertente e malinconico, feroce e dolcissimo. Tre caratteri differenti. Sognatrice l’una, pratica e calcolatrice l’altra, isterica e impaurita la terza: in breve una specie di microcosmo che racchiude le paure e i sogni di una generazione che vive un momento di incertezza e confusione. Uno specchio su quello che oggi siamo costretti a subire. Si parla anche di uomini, ma non solo. Si parla di solitudine. Si ride. Una storia che parla di loro tre e di tutti noi. Senza discorsi qualunquistici e senza moralismi. E’ una commedia brillante. E’ la storia di una grande amicizia.
Rappresentato per la prima volta nel 2006 “MEGLIO ZITELLE!!!” ha ottenuto a tal punto il plauso del pubblico da sfidare con un rientro di quattro settimane la nuova stagione.
Secondo appuntamento sempre all’insegna dell’allegria, al Teatro della Cometa. Nicola Pistoia, Paolo Triestino e Crescenza Guarnirei sono i protagonisti della nuovissima commedia di Gianni Clementi “GRISU’,GIUSEPPE E MARIA” diretta dallo stesso Pistoia. Lo spettacolo sarà in scena dall’11 dicembre al 6 gennaio.
L’abile penna del medesimo autore di raffinati testi contemporanei come i recenti “Cappello di Carta” e “La vecchia Singer” ci propone stavolta uno straordinario affresco che ci racconta, divertendoci, di un’Italia che non c’è più. Completano il cast Antonio Conte e Sandra Caruso.
Fulcro della vicenda una sagrestia di Pozzuoli, nell’Italia povera e appassionata degli anni cinquanta dove un sacerdote ed il suo strampalato sagrestano, due sorelle nei guai insieme al fascinoso farmacista del paese ci prendono per mano e ci fanno ridere, sorridere, emozionare e ci riportano ad un’Italia dove i sogni erano spesso affidati a chilometri e valige di cartone, ad una canzone, ad una miniera lontana, ad un pallone.

Maria Antonietta Amenduni


1 Dicembre 2007

Nel bel mezzo del teatro Sistina c’è “Un letto ovale”.

Maurizio Micheli e Barbara D’Urso, sono i protagonisti della commedia di Ray Cooney e John Chapman.. Lo spettacolo diretto da Gino landi, vede in scena anche Sandra Milo.

La strana coppia del letto ovale. Maurizio Micheli e Barbara D’Urso sono i protagonisti dello spettacolo “Il letto ovale”, commedia brillante di Ray Cooney e John Chapman. Lo spettacolo, è in scena al Teatro Sistina dal 4 al 31 dicembre, Uno spettacolo pieno di divertimento e spensieratezza: Maurizio Micheli e Barbara D'Urso finalmente insieme. Micheli lo ricorderete sicuramente protagonista con Sabrina Ferilli in Un paio d'Ali, mentre la d'Urso con Enrico Montesano ci divertirono in E meno male che c'è Maria. Maurizio e Barbara saranno i protagonisti di una delle più esilaranti commedie di Ray Cooney e John Chapman: Il Letto Ovale. Con loro una irresistibile Sandra Milo e ancora Pierluigi Misasi, Lisa Angelillo e Alessandro Marrapodi. Gino Landi, che il pubblico ha imparato ad apprezzare per le sue regie e le sue coreografie non solo al Sistina ma nei teatri di tutta Italia, firma la direzione di questa versione tutta italiana.
Barbara D’Urso, in una forma splendida racconta tutta la sua gioia nell’essersi dedicata, quest’anno, al teatro: “la sensazione del contatto diretto col pubblico in sala è bellissima; e poi il momento in cui il pubblico ti aspetta dopo lo spettacolo per dirti se lo spettacolo è piaciuto o no, e bene, quello, come dicono i miei figli, è un momento troppo figo”!
Anche Maurizio Micheli, che del teatro è un grande esperto, afferma: “Il teatro comico è come un esame da passare. Se il pubblico non ride, lo spettacolo non funziona. E per noi attori, ogni giorno è un esame”.

La storia è stata ambientata per l’occasione a Milano, in un appartamento appena ristrutturato sopra gli uffici della casa editrice di Filippo ed Enrico, soci editori di libri per ragazzi, sono esattamente all’opposto come modo di vivere.
L’uno, serioso e rispettoso dei valori della famiglia, l’altro donnaiolo impenitente. Accade così che Linda, moglie di Enrico, stanca delle continue scappatelle del marito, decide di avventurarsi in una relazione extraconiugale.
ta un po’ al di sotto delle aspettative. Fatica molto a rodare nella prima lunga scena con Barbara D’Urso e Lisa Angelillo. Le frasi in napoletano e certe battute prevedibili e poco convinte non sono di certo funzionali alla comicità del testo. Tutto il primo atto risulta dunque, un po’ faticoso, e bisogna aspettare la prima mezzora di spettacolo, e l’ingresso in scena di Maurizio Micheli, per il primo vero applauso a scena aperta. A sostenere Micheli e ad aiutarlo a rendere più scorrevole il secondo atto, arriva poi Sandra Milo. E come se mancasse un po’ di energia, ma magari l’emozione della prima ha fatto brutti scherzi! Tutto sommato ci si diverte e si trascorre una serata piacevole.

Tournée 2007/2008 (calendario provvisorio)

3 e 4 novembre BARI Teatro Team
5 novembre TARANTO Teatro Orfeo
Dal 9 al 18 novembre NAPOLI Teatro Augusteo
Dal 22 al 25 novembre CATANIA Teatro Metropolitan
Dal 4 al 31 dicembre ROMA Teatro Sistina
3 e 4 gennaio ASSISI Lyrick Theatr
Dal 7 al 9 SEREGNO Teatro San Rocco
Dal 10 al 13 gennaio MONZA Teatro Manzoni
15 gennaio ARCORE Teatro Nuovo
16 gennaio GARBAGNATE Teatro Comunale
17 gennaio CASSANO M. Teatro Auditorio
Dal 18 al 20 gennaio SARONNO Teatro Giuditta Pasta
21 e 22 gennaio LOCARNO Teatro di Locarno
24 gennaio CASTIGLIONE
25 gennaio CONCOREZZO
26 e 27 gennaio SAN REMO Teatro Ariston
Dall’8 aprile al 4 maggio MILANO Teatro Manzoni

Maria Antonietta Amenduni


1 Dicembre 2007

Colline di Cartone: Componimento e regia di Marcello Amici



Colline di cartone è Teatro di Natale, è un’opera naif che La bottega delle maschere mette in scena alla fine dell’autunno per significare il Natale 2007 nel contesto delle asprezze internazionali e per ricordare il felice mondo dei bambini che prima fanno il giuoco, poi ci credono, poi lo vivono come vero. Una magia che solo i bambini sanno creare, in tutta la loro spontanea ingenuità.
È un componimento che attinge alla poesia di tanti poeti, da Pascoli a Gozzano, da Quasimodo a Pasternak, da Manzoni a Ungaretti, dalla solennità delle Sacre Scritture alla teatralità di certe laudi umbre e del Lazio dei secoli XV e XVI.
La messinscena ascende le colline di cartone del presepio, da lì gli attori guardano le contrade della terra illuminate nella notte da strane comete e popolate da gente triste. Tra quelle colline tutto diventa di favola, il quotidiano si riproduce, prende vita per essere recitato. È bello, almeno nei giorni vicini alla neve, pensare al teatro come a un luogo dove si possa contemplare la vita da una distanza giusta, da un posto protetto, tutto nostro, dove, ancora, è possibile una riflessione senza angosce, mentre la neve fiocca, fiocca, fiocca e una zana dondola pian piano ...
L’appuntamento è Dall’ 11 al 16 dicembre 2007 ore 21, presso la cripta della Basilica dei santi Bonifacio e Alessio all’Aventino, in Piazza S. Alessio 23 - Roma
In scena con Marcello Amici, Cristina Cubeddu, Daniele Pagani, Umberto Quadraroli, Anna Varlese Marco Vincenzetti

Maria Antonietta Amenduni


1 Dicembre 2007

Al Teatro Rossini di Roma: Rascel Canta Rascel. Cesare Rascel e Giuditta Saltarini rendono omaggio al grande artista che ha fatto la storia dello spettacolo italiano.



Renato Rascel: Una vita per lo spettacolo. Un talento smisurato, un pezzo di storia, tra i più importanti del nostro paese. Un maestro e un modello da seguire ancora oggi per chiunque voglia intraprende la carriera dello spettacolo. Un modello ineguagliabile, con quei personaggi che respirano un po’ l’aria di Chaplin e Cechov, gli omini sconfitti che vogliono fare i corazzieri.
Ricordo ancora quando da piccola, mia madre ascoltava innumerevoli volte “Romantica”, canzone con la quale Renato Rascel, insieme a Tony Dall’ara, vinse il festival di Sanremo nel 1960…cantante attore, comico, artista a tutto tondo, oggi purtroppo non adeguatamente ricordato e valorizzato come dovrebbe essere!
A ricordarlo e a rendergli omaggio, ci hanno pensato in questi giorni, dal 29 novembre al 2 Dicembre, al Teatro Rossini di Roma, Cesare Rascel e Giuditta Saltarini con un emozionante spettacolo in sua memoria, dal titolo: “Rascel canta Rascel”.
Lo spettacolo, per la regia di Pino Insegno e con la partecipazione straordinaria di Gianni Nazzaro, è un omaggio che il figlio e la moglie del grande interprete di “Arrivederci Roma” mettono in scena per ripercorrere attraverso una carrellata di canzoni, sketch ed immagini video tutta la carriera artistica di Renato Rascel. Ad accompagnarli un quartetto formato da batteria, basso, violoncello e piano, diretto dal maestro Andrea Bianchi.
Cesare Rascel è diplomato in jazz al “College of music” di Boston , ama cantare le canzoni del padre ma ha fondato anche un proprio gruppo Fas. FAS sono una band che propone una fusione unica di powerpop, rock ed elettronica e che si propone di rappresentare qualcosa di “nuovo” o, meglio, di non ancora presente nel panorama musicale italiano.

Biografia

Renato Rascel, al secolo Renato Ranucci è nato a Torino nel 1912. Nasce "per caso" durante una tappa della tournée della compagnia d'arte in cui lavorano suo padre Dante Ranucci, cantante di operetta, e sua madre Paola Massa, ballerina classica. Riceve il battesimo nella Basilica di San Pietro secondo il desiderio del padre, romano da sette generazioni, ed alla città eterna la sua vita resterà sempre legata.
Affidato dai genitori ad una zia, a causa del loro lavoro che li costringeva a continui spostamenti, Renato cresce nell'antico rione di Borgo insieme alla sorella Giuseppina (scomparsa prematuramente a soli 17 anni). Frequenta la Scuola Pontificia Pio X, gestita dai padri Scolopi i quali, oltre ad impartire l'insegnamento scolastico, organizzavano corsi di canto, musica e recitazione. Già durante la partecipazione a queste attività Renato mostra i segni del suo precoce talento, al punto di essere ammesso a far parte, all'età di 10 anni, del Coro delle Voci Bianche della Cappella Sistina, allora diretto dal Maestro don Lorenzo Perosi. Sempre in questo periodo si esibisce per la prima volta in pubblico come batterista di un complesso jazz di dilettanti scritturato dal Circolo della Stampa.
Poco tempo dopo debutta in teatro a fianco del padre, divenuto direttore della filodrammatica "Fortitudo", nel dramma popolare Più che monelli, dove interpreta la parte di un ragazzino che muore a causa di un sasso tiratogli da un compagno di giochi.
Consapevole del fatto che la carriera artistica non è tra le più facili e remunerative, il padre cerca di avviare Renato a lavori più sicuri e redditizi. Per qualche tempo lavora come apprendista calderaio, muratore e garzone di barbiere, ma il richiamo dell'arte è troppo forte per lui. Renato ha solo 13 anni quando viene scritturato in pianta stabile come musicista dal proprietario del locale "La Bomboniera", ed in seguito suonerà alla "Sala Bruscolotti" noto ritrovo della Capitale. A 15 anni entra a far parte del complesso musicale "Arcobaleno". L'impresario teatrale napoletano Luigi Vitolo, notata la sua esuberanza, lo spinge ad improvvisare negli intervalli dell'orchestra numeri di danza e di arte varia che riscuotono ilarità e successo dal pubblico. Da allora non sarà altro che una continua ascesa, per un grandioso artista che è stato, e ha fatto la storia dello spettacolo italiano.
E' uno dei monumenti del teatro leggero italiano, purtroppo oggi un po' dimenticato. Nella sua lunghissima carriera (è morto a Roma nel 1991), ha spaziato dall'avanspettacolo alla rivista, dalla commedia musicale, all'intrattenimento televisivo e radiofonico, coprendo in pratica tutti gli spazi che lo spettacolo ha mutevolmente occupato nell'arco di quasi un secolo.
Si può dire che Rascel lo spettacolo lo avesse in qualche modo nel sangue, se si tiene in considerazione il fatto che i suoi genitori erano cantanti d'operetta. Fin da piccolo, quindi, si ritrovò a calcare i palcoscenici di compagnie filodrammatiche e teatrali, senza trascurare generi più "nobili" come il coro di voci bianche allestito dal compositore don Lorenzo Perosi (un altro illustre dimenticato della smemorata Italia).
Dotato di una carica umana non indifferente e di una simpatia travolgente, fa le sue prime esperienze importanti poco più che adolescente. Suona la batteria, balla il tip-tap e, appena diciottenne, prende parte al trio delle sorelle Di Fiorenza come cantante e ballerino. Nel 1934 viene notato dagli Schwartz e debutta, come Sigismondo, in "Al Cavallino bianco" . Poi torna con le Di Fiorenza, e poi con Elena Gray e parte per una tournée in Africa. A partire dal 1941 fonda uan compagnia propria, insieme a Tina De Mola, allora sua moglie, con testi di Nelli e Mangini, di Galdieri e infine di Garinei e Giovannini.
Grazie a queste esperienze ha la possibilità di mettere a punto un suo personaggio caratteristico, quello per cui sarà di fatto riconosciuto dal pubblico in modo infallibile. Si tratta della macchietta del piccoletto mite e distratto, stralunato e quasi inadatto a stare al mondo. Elabora sketch e canzoni che sono autentici capolavori del genere della Rivista, in compagnia di sodali e amici rimasti poi nel tempo (su tutti, Marisa Merlini, e gli immancabili autori Garinei e Giovannini). Nel 1952 è la volta di uno spettacolo che otterrà un clamoroso successo e che lo conferma una volta di più beniamino del pubblico. Si tratta di "Attanasio cavallo vanesio", a cui farà seguito "Alvaro piuttosto corsaro" altro successo travolgente. Sono spettacoli che vanno in scena in un'Italia segnata dalla fine dell'ultima guerra mondiale, vogliosa di svago e di divertimento ma che non dimentica gli episodi amari e il sarcasmo. Rascel continua sulla stessa strada, sfornando titoli con continuità, tutti seganti dal suo stile raffinato e candido. Eccolo applaudito in "Tobia la candida spia" (i testi continuano a essere di Garinei e Giovannini), "Un paio d'ali" (uno dei sui maggiori successi in senso assoluto) e, nel 1961, "Enrico" studiato con i soliti fidati autori per celebrare il centenario dell'unità d'Italia. Da segnalare, ad ogni modo, che i rapporti di Rascel con Garinei e Giovannini, al di là delle apparenze e della solida stima, non sono mai stai propriamente idilliaci.
Per quanto riguarda il cinema, l'attività di Rascel prende il via nel 1942 con "Pazzo d'amore", per proseguire in tutti gli anni '50 con una serie di titoli non proprio memorabili. In queste pellicole, infatti, l'attore tende a ripercorrere pedissequamente gli sketch e le macchiette applaudite a teatro, senza un vero sforzo inventivo e senza tener conto delle peculiarità del nuovo e diverso mezzo di comunicazione.
Fanno eccezione "Il cappotto" (tratto da Gogol'), non a caso girato sotto la regia di Alberto Lattuada o "Policarpo ufficiale di scrittura", diretto da un altro mostro sacro del macchina da presa (nonché della letteratura), Mario Soldati. Da segnalare la grande interpretazione di Rascel nei panni del cieco Bartimeo nel "Gesù di Nazareth" di Zeffirelli. Si è trattato di un "cammeo" reso da Rascel con tono estremamente drammatico e commovente senza essere patetico.
Una curiosità derivata da tale partecipazione è rappresentata dal fatto che nelle piscine di Lourdes è ora effigiata in un mosaico proprio quella scena, utilizzando come modelli l'attore americano Powell (che nel film era Gesù), e proprio Rascel nei panni del cieco.
Infine, l'attività musicale. Si tende a dimenticare che Rascel ha scritto moltissime canzoni, alcune della quali sono entrate di diritto nel repertorio popolare e hanno avuto diffusione in tutto il mondo. Fra i molti titoli, "Arrivederci Roma", "Romantica", "Te voglio bene tanto tanto", "E' arrivata la bufera" ecc.
Infiniti i programmi alla radio che sarebbe lunghissimo ricordare. Per la televisione invece ha interpretato "I Boulingrin" di Courteline e "Delirio a due" di Ionesco e nel '70, sempre in tv, "I racconti di padre Brown" da Chesterton. Inoltre ha scritto le musiche per l'operetta "Naples au baiser de feu". Anticipatore della comicità surreale, Rascel ha rappresentato il versante nobilmente popolare della commedia, capace di piacere a tutti senza mai cadere nella volgarità o nel facile qualunquismo.

Maria Antonietta Amenduni


1 Dicembre 2007

Disney’s High School Musical: The Ice Tour

Si avvicina l’emozione contagiosa del più grande musical sul ghiaccio per la prima volta in Italia. Quello che promette di essere un "Family Show", sarà a Roma, per un totale di dieci spettacoli, al Palalottomatica dal 5 al 9 dicembre.

Tutto ebbe inizio così, con la storia di due ragazzi, Troy (Zac Efron), capitano della squadra di basket della scuola, e Gabriella (Vanessa Anne Hudgens), una timida matricola che eccelle nelle materie scientifiche e che per questo motivo partecipa al campionato di scienza. Insieme fanno alcuni provini per diventare protagonisti del musical scolastico, ma dovranno battersi contro la vanitosa Sharpay e suo fratello Ryan, che da sempre partecipano ai musical della scuola. E’ High School Musical, un Disney Channel Original Movie, un musical per la televisione, diretto da Kenny Ortega, con Zac Efron, Vanessa Anne Hudgens ed Ashley Tisdale. Il 17 agosto 2007, negli Stati Uniti, è uscito il secondo capitolo del film (intitolato High School Musical 2), mentre in Europa è stato trasmesso a settembre.
Da allora High School Musical, è divenuto una vera e propria mania, così non contenti, ora è la volta di: “Disney’s High School Musical:The Ice Tour”, che approderà al Palalottomatica di Roma il prossimo 5 dicembre. Il più grande musical sul ghiaccio promette di incantare il pubblico romano fino al 9 dicembre per un totale di dieci repliche.

Animato da valori forti e positivi come l’amicizia, la solidarietà, lo sport e la fiducia in se stessi e attraversato dal tenero sentimento che unisce i due protagonisti – Troy e Gabriella – Disney’s High School Musical:The Ice Tour è fortemente dedicato ai ragazzi ma non mancherà di coinvolgere ed emozionare anche i genitori. Interpretato da un cast altrettanto giovane - l’età media degli interpreti è di 20 anni e lo stesso coreografo ne ha solo 27 - nel primo anno di attività, dopo il debutto mondiale avvenuto a New York lo scorso 27 settembre e la prima europea tenutasi a Milano il 28 novembre, lo show toccherà 100 città di Stati Uniti, Canada, Messico, Sud America, Europa e Australia.
Il pubblico di cinque continenti sarà dunque contagiato dalle ormai celeberrime musiche, dalle coreografie e dai momenti non cantati nei quali il cast – formato da pattinatori di livello mondiale - si rivolgerà agli spettatori nella lingua locale. Il tutto in una vivace cornice ricca di luci ed effetti speciali che rendono l’atmosfera assolutamente magica.

La stessa atmosfera che ha caratterizzato il fenomeno High School Musical (creatosi con il primo film trasmesso da Disney Channel Italia nel settembre 06 e High School Musical 2 lo scorso 29 settembre) e che Fiorenza Sarotto, Vice President di Walt Disney International, ha così sintetizzato: “High School Musical rappresenta un fenomeno senza precedenti nel mondo che ha confermato la capacità di Disney di creare contenuti di qualità abbinando ai valori tradizionali forme espressive e storie coinvolgenti per i bambini e i teen-ager dei nostri tempi. Partito dal Disney Channel, è stato declinato con grande successo nel mondo della musica, dell'editoria e dello spettacolo dal vivo, come questo straordinario High School Musical: The Ice Tour. Disney Italia è davvero orgogliosa di ospitare il debutto europeo del tour.”

L’entusiasmo per questo grandioso musical sul ghiaccio è stato recentemente così raccontato da Chucky Klapow, vincitore di un Emmy Award*, coreografo dei due film e di High School Musical: The Ice Tour: “La grande sorpresa per il pubblico saranno i balli hip-hop portati sul ghiaccio: la musica eccezionale, il ritmo, le luci e le coreografie coinvolgeranno gli spettatori come a un concerto rock .”

Nel primo tempo, il pubblico si trova subito immerso nelle appassionanti vicende di Troy e Gabriella che si rincorrono tra sguardi e sorrisi, di Sharpay che insegue se stessa, di Ryan che insegue qualsiasi capriccio di Sharpay, insomma di ogni protagonista che cerca di realizzare i propri sogni. I popolarissimi personaggi dell’East High School acquisiscono una nuova dimensione nell’interpretare sui pattini le canzoni del Disney Channel Original Movie High School Musical, tra cui “Start Of Something New”, “Getcha Head In The Game”, “Stick To The Status Quo”, “Breaking Free” e “We’re All In This Together”.

Il secondo tempo si apre con l’inizio delle vacanze estive, il periodo dell’anno più atteso da ogni studente! Non sarà di certo un’estate tranquilla, dal momento che la bionda Sharpay è già pronta ad affilare di nuovo le armi per conquistare Troy e strapparlo alla dolce Gabriella: infatti ordina al direttore di Lava Springs, il country club di proprietà del padre, di proibire allo staff di partecipare al consueto spettacolo estivo, pena il trasferimento a chissà quali altre mansioni. Ma mille sorprese attendono i nostri protagonisti….

“High School Musical” è il Disney Channel Original Movie che ha vinto due Emmy Award nel Gennaio 2006; nel corso del 2006 è stato trasmesso da 25 canali tra Disney Channel e free Tv raggiungendo complessivamente 100 paesi e 100 milioni di telespettatori.
Negli Stati Uniti la colonna sonora è stata numero uno nel 2006 (raggiungendo 4 dischi di platino. fonte: RIAA), e ha sconvolto i record di classifica con 9 canzoni originali cha hanno raggiunto la HOT 100. E' stato il DVD più venduto dell'anno con 7.2 milioni di copie in tutto il mondo.

Oltre a questo successo, “High School Musical” è stato il più venduto come – “High School Musical: Il libro” - che ha venduto circa 1.2 milioni di copie, ed è stato anche il primo film per la tv venduto on line tramite iTunes. “High School Musical” è stato inoltre molto apprezzato anche all'interno dei parchi Disney, incluso DisneyLand Resort ad Anaheim, Walt Disney World Resort in Florida, e prossimamente a Disneyland Resort Paris.

INFORMAZIONI ROMA
Date
Mercoledì 5 dicembre ore 19.00
giovedì 6 dicembre ore 19.00
venerdì 7 dicembre ore 17.00 e 20.45
sabato 8 dicembre ore 11.00, 15.15 e 19.00
domenica 9 dicembre ore 11.30, 15.15 e 19.00

Circuiti di prevendita

www.greenticket.it
www.ticketone.it
www.ticket.it
www.biglietto.it

Per informazioni

The Base - Tel. 06 45496305
www.applauso.it
www.highschoolmusicaltheicetour.it
www.disneychannel.it

Maria Antonietta Amenduni


1 Dicembre 2007

Jennifer: sospesa tra ciò che è e ciò che invece vorrebbe essere

In scena al Teatro India, in un crescendo emotivo, un dolente spaccato di solitudine; “le cinque rose di Jennifer”, di Annibale Ruccello con la di regia Arturo Cirillo.

Arriva al Teatro India dal 4 al 13 Dicembre, lo spettacolo “le cinque rose di Jennifer”, di Annibale Ruccello con la di regia Arturo Cirillo; personaggi ed interpreti Arturo Cirillo (Jennifer), Monica Piseddu (Anna).
“Leggo Le cinque rose di Jennifer – aferma Arturo Cirillo - come una metafora della nostra esistenza, o per usare il linguaggio di uno degli altri personaggi che abitano la stanza in cui avviene la vicenda: “come una specie di simbolo di questa mia atroce solitudine”.
Di tutti i testi che Ruccello ha scritto credo che questo sia quello dove maggiormente egli si sia rappresentato attraverso un altro da sé, certamente è il testo più legato ad una sua personale interpretazione come attore. Tutto è nella mente del personaggio (un travestito napoletano), infatti il piano di realtà, pur essendo estremamente concreto, è continuamente minato dal sospetto che niente esista realmente.
Ambientato nei primi anni Ottanta, nell’appartamento di un travestito napoletano, Jennifer, che vive in un quartiere degradato di periferia, insegue disperatamente un misero sogno d’amore e apprende dalla radio di un maniaco che uccide ragazze come lei, lo spettacolo racconta, in un crescendo emotivo, un dolente spaccato di solitudine. La protagonista, sospesa tra ciò che è e ciò che invece vorrebbe essere, alterna vari stati d’animo: ascolta e canticchia allegramente canzonette alla radio, mentre attende inquieta una telefonata che non arriverà, ma poi, disperata, si strugge di dolore sulle note di “Ancora ancora ancora” di Mina quando, calata la sera, capisce che l’amato Franco, un ingegnere del Nord conosciuto mesi prima in discoteca, anche quel giorno non verrà a trovarla, venendo meno alla sua promessa.
L'atteggiamento scanzonato e "leggero" devia a tratti in umori scuri e gesti di violenza trattenuta: sono attimi, che tuttavia macchiano l'andamento quasi cabarettistico della pièce e ne fanno sospettare un sostrato da tragedia contemporanea. Sensazione acuita dopo l'ingresso in scena di un altro travestito, la vicina Anna, ambigua ed esaltata.
Ecco come Arturo Cirillo racconta il suo spettacolo: “ Molti sono gli indizi sparsi nel testo: la creazione di un ipotetico quartiere ghetto per travestiti di nuova e non conclusa costruzione; la numerazione dei telefoni che sembrerebbero non appartenere ad una stessa zona (si passa dal 42 di Jennifer al 45 o al 25 degli altri); la corrente elettrica che scompare verso la fine pur lasciando in funzione la radio e che lascerà nel buio solo ed unicamente la stanza di Jennifer; il telefono che perderà la linea per poi riacquistarla negli ultimi istanti della vicenda. A questo elenco va aggiunto poi la creazione di tre personaggi che per buona parte della pièce accompagneranno ossessivamente il protagonista nel suo viaggio verso la notte. Il primo è Franco, uomo del nord, conosciuto da Jennifer una sera e che lei da molto tempo pervicacemente attende ed immagina, attesa che si dimostrerà sempre più straziante ed inutile, frutto unicamente della sua ossessione. Il secondo è un assassino che semina cadaveri nel quartiere attraverso una dinamica illogica (l’arma appartiene sempre alla vittima, la casa è solidamente chiusa dall’interno, gli stessi omicidi aumentano vertiginosamente nel trascorrere delle ore) e che farebbe pensare ad una sua non reale esistenza. Il terzo personaggio, l’unico ad apparire nella stanza, è Anna, altro travestito abitante nel quartiere, il quale per due volte s’intrometterà nel rumoroso mondo di Jennifer portando una variante al dramma della solitudine, e che nella sua seconda intrusione in scena svilupperà un racconto in cui la sua identità e quella di Jennifer slitteranno una sull’altra arrivando quasi alla possibile creazione di un doppio. Poi c’è la scelta di dare il ruolo dell’altro travestito ad un’attrice. E’ ormai da tempo che io amo giocare nei miei spettacoli su una certa ambiguità dei generi, soprattutto trovo interessante vedere come un attore affronta, attraverso un lavoro quanto è possibile interiore, delle realtà a lui non immediatamente vicine. Mi è sembrato bello e stimolante inserire in uno spettacolo che parla, tra le altre cose, di una non definita identità sessuale lo sguardo e la sensibilità di una donna. In fondo quello che si vede in scena sono due realtà non complete, dei corpi e delle menti in bilico tra il maschile e il femminile (e mi piace qui notare come Ruccello nel testo faccia parlare i suoi personaggi al femminile ma li descriva sempre al maschile)”.

TEATRO INDIA, dal 4 al 13 Dicembre 2007
Nuovo Teatro NuovoTeatro Stabile di Innovazione di Napoli
in collaborazione con AMAT
LE CINQUE ROSE DI JENNIFER
di Annibale Ruccello - regia Arturo Cirillo
durata 75 minuti senza intervallo
(martedì 4 h 21; mercoledì 5 e giovedì 6 h 20; domenica h 18; altri giorni h 21)
botteghino: 06 68.40.00.311, da martedì a domenica ore 10-14 e 15-19, lunedì riposo. Prezzi: intero 15 Euro, ridotto 12 Euro

Maria Antonietta Amenduni


24 Novembre 2007

In un apposito teatro tenda, allestito a Tor Vergata, è di scena “la Divina Commedia . L’opera”.

Il kolossal in musica, ispirato al capolavoro dantesco, Ideato da mons. Marco Frisina, si avvale di nomi esclusivamente italiani e del tre volte premio Oscar Carlo Rambaldi, che ha concepito per l’occasione le figure fantastiche che animano l’opera.

Un modo insolito e diverso, per guardare con altri occhi quello che è il capolavoro della letteratura Dantesca. Un lavoro che segue il filo conduttore dell’amore che legava Dante a Beatrice, quell’amore che fa si che lui attraversi le fiamme dell’inferno pur di rivederla.
Per la prima volta il più grande poema della letteratura italiana rivive sulle scene nell’imponente kolossal musicale “La Divina Commedia. L’opera” che ha debuttato in prima mondiale il 23 novembre 2007 a Roma, in un sontuoso spettacolo, che sarà in scena fino al 6 dicembre. In anteprima mondiale, e' stata rappresentata in un teatro-tenda nell'area universitaria di Tor Vergata, appositamente concepito capace di contenere fino a 2500 persone. L'idea e' stata di mons. Marco Frisina, autore delle musiche dello spettacolo e maestro direttore della Cappella Musicale Lateranense. Piu' che ai versi, limitati a citazioni, il libretto di G.Pagano, ha puntato su una visualizzazione del mondo dantesco.
Ancor prima dell’esordio, ha già riscosso un incredibile ed inaspettato successo di pubblico, richiamando oltre 50.000 studenti provenienti da tutta Italia. Lo straordinario viaggio nel fantastico mondo dantesco attraverso la musica, linguaggio universale e di grande impatto emotivo contrappunto ad un testo straordinariamente attuale. Ideata da mons. Marco Frisina, l’opera tratta dal capolavoro di Dante Alighieri, guida lo spettatore nei gironi infernali, tra dannati costretti a subire un eterno supplizio e spaventose creature diaboliche, lo accompagnerà lungo il cammino di espiazione del Purgatorio fino ad accoglierlo nei cerchi celesti del Paradiso, tra angeli e beati, in oltre due ore di coinvolgente spettacolo dal profondo significato allegorico: il cammino di Dante nell’aldilà come ricerca del senso della vita, l’itinerario che l’uomo deve percorrere per allontanarsi dalle passioni terrene e giungere fino alla sorgente stessa dell’amore.
Di grande impatto la cornice scenica, grazie alla semplice ed imponente scenografia firmata da Antonio Mastromattei, arricchita da proiezioni tridimensionali di grande effetto studiate da Paolo Micciché e resa possibile attraverso l’utilizzo di avanzatissimi proiettori, e al gioco di luci di Maurizio Montobbio.
Tutta italiana la chiave musicale, con brani altamente suggestivi – composti da mons. Frisina, Maestro Direttore della Cappella Musicale Lateranense e autore delle colonne sonore di oltre trenta film-tv trasmessi da Rai e Mediaset, su libretto di Gianmario Pagano ispirato al testo dantesco - che spaziano dai canti gregoriani fino al blues e al rock.
Diretto da Elisabetta Marchetti e Daniele Falleri, lo spettacolo vanta la partecipazione di un maestro del cinema internazionale: il tre volte premio Oscar Carlo Rambaldi, creatore degli effetti speciali di E.T. l’Extraterrestre e di King Kong, ha concepito per l’occasione le figure fantastiche che animano l’opera tra cui il Grifone, le maschere delle Tre Furie (Aletto, Tesifone e Megera) realizzate da Sergio Stivaletti e la figura di Lucifero, inquietante presenza resa in forma di proiezione, fino ad ad arrivare alla nave di Caronte.
Interamente italiano anche il ricco cast, con Vittorio Matteucci – il Frollo di “Notre Dame de Paris” – nei panni di Dante, Lalo Cibelli nel ruolo di Virgilio e Stefania Fratepietro in quello di Beatrice e altri 21 cantanti-attori, 24 ballerini, 10 acrobati e 20 comparse che si muoveranno sul gigantesco palcoscenico sulle coreografie di Anna Cuocolo e Francesca Romana Di Maio, e le musiche incise dall’orchestra “Roma Sinfonietta” e da un coro di oltre 40 giovani talenti.
A firmare invece gli oltre seicento costumi, è Alberto Spiazzi; essenziali e funzionali, tra iconografia classica e interpretazioni moderne, con richiami alle incisioni ottocentesche di Doré, per i quali è stata impiegata un’infinità di materiali diversi, dal velluto allo chiffon, dal lamè alla lycra, fino ai led luminosi che illuminano le creature angeliche.
L’opera persegue anche finalità sociali: una parte del ricavato andrà infatti a finanziare iniziative no profit legate al territorio in ogni città che ospiterà le rappresentazioni, mentre agevolazioni e riduzioni sono previste per famiglie, anziani, studenti e disabili, allo scopo di contribuire al sostegno e alla diffusione della cultura italiana nel mondo.

Dal 23 novembre al 6 dicembre
Teatro Divina Commedia
Piazzale Giovanni Paolo II – Viale dell’Archiginnasio, Roma
Orario spettacoli:
Martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato Ore 21,00, domenica Ore 18,00, lunedì riposo
Per informazioni: Tel. 063721269 - 0637358824
www.ladivinacommediaopera.it

Maria Antonietta Amenduni


24 Novembre 2007

Al Teatro Rossini, Uno spettacolo che canta la romanità e una Roma sparita.

Valentina Comanda, Lisa Pipola, Augusto Corsari, sono le voci recitanti dello spettacolo “Streghe”. L’accompagnamento musicale è dell’ Archetipo Ensemble.

Chi ha paura dei “demoni” potrà sorridere leggendo il titolo di questo spettacolo che echeggia ad una festa di fine Ottocento, in cui le streghe erano le protagoniste assolute dell’inno alla baldoria, al canto e alla spensieratezza. Tutto questo avveniva alle porte di San Giovanni quando il sacro e profano si sposavano perfettamente alla cultura popolare dell’epoca. Il 23 giugno del 1891 sulla scia di questa tradizione, nasce il primo Concorso Canoro del quartiere storico. In quell’occasione vinse una canzone scritta da Nino Ilari e musicata da Alipio Balzelli dal titolo “Le Streghe”. A ricordare quei momenti, tra ambientazioni sceniche ispirate agli acquerelli di E. Roesler Franz è un gruppo di interpreti, composto da Valentina Comanda, Lisa Pipola, Augusto Corsari, che rendono omaggio alla Roma Sparita, tra brani indimenticabili (“Vecchia Roma”, “Nina si voi dormite”, “Tanto pè cantà” “Er Barcarolo”….) che mettono l’accento sulla gente e sui luoghi della “romanità”. Valentina Comanda, giovane promessa e allieva del LIM Laboratorio Ials Musical , (la cui Direzione Artistica è di Cesare Vangeli e la Direzione Musicale è affidata a Rossana Casale), sarà accompagnata da una voce recitante e da un gruppo di musicisti dell’Archetipo Ensemble. Non è un caso che “Le streghe”, vada in scena al Teatro Rossini, dal 26 al 28 novembre, che è stata la casa di Checco Durante e del suo allievo Alfiero Alfieri, un luogo dove rimangono vivi i costumi e le usanze di un popolo che ha fatto la storia.
Nellos pettacolo ci si rifà proprio alla così detta festa di San Giovanni. E' uno dei sabba minori chiamato anche Festa di S. Giovanni dalla tradizione cattolica. E' il periodo della raccolta delle piante e delle erbe da usare nelle operazioni magiche. Nella notte tra il 23 e il 24 giugno si usa bruciare le vecchie erbe nei falò e andare alla raccolta delle nuove oltre che mettere in atto diversi tipi di pratiche per conoscere il futuro perchè, come dice il detto, " San Giovanni non vuole inganni".
Sin dai tempi più remoti il cambio di direzione che il sole compie, tra il 21 e il 22 giugno, è visto come un momento particolare e magico.
endo che le streghe non si sarebbero potute astenere dal contare i grani di sale, i fili di saggina o i capolini che formano il seme di quel fiore e, perdendo tempo a contare, si sarebbero trovate, a notte inoltrata, a dover scappare via per non mancare al Sabba. Tutto questo senza poter essere entrate nelle case.
Le streghe si potevano avvistare, si dice, avendo i piedi immersi in un catino d’acqua, oppure semplicemente scorgendo le loro ombre in volo che si proiettavano solo sugli edifici sacri.
La festa proveniva comunque da un baccanale e quindi l’accostamento con il demonio e la sua corte di streghe era d’obbligo, sia nella tradizione pagana che in quella cristiana.
In questo enorme calderone, dove il sacro e il profano bollivano insieme, è facile scorgere le connessioni tra le corna delle lumache e quelle dei demoni, tra le teste d’aglio sotto gli indumenti e il proteggersi dalle creature del male (pensiamo, ad esempio, ai vampiri), tra le fiamme delle fiaccole e i roghi dell’inquisizione. Le origini della tradizione erano queste, poi con il tempo sfumarono in favore della baldoria, del canto e della spensieratezza.
Avanzando nei secoli, arriviamo al tardo Ottocento e, proprio in questo contesto, sorgeva (tra le tante fraschette fuori porta) l’osteria di Facciafresca: una pergola, tavoli e panche di assi di legno, buon vino e sfizi da mangiare.

Maria Antonietta Amenduni


24 Novembre 2007

In scena al Teatro Ghione di Roma, uno dei capolavori di Shakespeare: Amleto



Dopo il grandissimo successo riscosso con “Romeo e Giulietta” la scorsa stagione, torna dal 14 novembre al 2 dicembre al Teatro Ghione di Via delle Fornaci 37, l’appuntamento con la giovanissima Compagnia del Teatro del Sogno che, proseguendo sul filone classico di Shakespeare, propone uno dei massimi testi del drammaturgo inglese “Amleto” nella traduzione, riduzione e adattamento del regista Nicasio. Un cast giovane ma, che promette di far parlare ancora di se. A comporlo sono: Alessandro Parise, Selene Gandini, Mario Scerbo, Francesco Trasatti, Marco Paparella, Federico Frignani, Paolo D’Agostino, Valerio Strati, Carolina Cametti Anzelmo.
L’allestimento si basa su una visione di un Amleto giovane e adolescente, carico di sogni e di speranze. Il suo passato, fino al momento dell’apertura del sipario, è inserito in un mondo perfetto dove tutto è in sintonia con la natura e con gli uomini, un paradiso in terra. Un evento naturale, la morte del genitore trasporta il giovane Amleto verso l’inizio della sua fine. Si perde disorientato nella sua solitudine e nell’incapacità di comprendere fino in fondo gli eventi che gli si presentano davanti: la morte del padre e le nuove nozze della madre. Improvvisamente la vita gli appare in tutta la sua crudeltà, smarrendosi in essa incapace di comprendere e di accettare eventi naturali. Incapace di accettare la sessualità ancora viva della madre e incapace di dividerla con lo zio, a cui, addossa la colpa dell’omicidio del padre. La ricerca di una vendetta, richiesta dallo Spettro del padre, e la sua incapacità, essendo un non violento e un razionale, di attuarla. E’ un percorso mentale che tutti nell’adolescenza affrontiamo più o meno tragicamente, un cammino verso la maturità, che inevitabilmente, come è umano, solo con la conoscenza diretta del dolore e della morte si completa. La storia tragica del giovane Amleto nella turbinosa e dubbiosa ricerca della verità. Un giovane di tutti i tempi, molto vicino a noi nella ricerca di un domani, nella speranza di un mondo pulito e incorrotto.
Affrofondire e affrontare un testo sacro come questo, soprattutto per una compagnia giovane , è esempre piuttosto rischioso, ma è un’operazione che conviene sempre fare rischiare perché, l’Amleto è sempre attuale. Un testo che è tangibile come se fosse stato scritto ieri. Senza dubbio le condizioni sono cambiate, ma di certo l’anelito verso un mondo in cui possiamo sentirci veramente liberi, veramente noi stessi, in contatto col nostro mondo interiore è molto grande. Nella vita di tutti i giorni siamo sempre più distratti, avvolti e coinvolti, dalla rapidità dello svolgersi degli eventi; non abbiamo più un solo ruolo - madre, matrigna, amante -, sono tanti, invece, i ruoli che si sovrappongono, e sono tutti terribilmente forti, ci incasellano, ci imprigionano nelle nostre situazioni. In realtà conosciamo pochissimo noi stessi, abbiamo più occasioni per essere frastornati che per trovare il vero centro di noi. Il nostro centro resta ignoto. L’Amleto è sempre un punto fermo, un capolavoro da vedere e rivedere e su cui riflettere.

ORARI SPETTACOLI
Martedì, Mercoledì, Venerdì, Sabato ore 21
Giovedì, Domenica ore 17


Maria Antonietta Amenduni


24 Novembre 2007

“Noccioline – Peanuts” in scena al Teatro Eliseo di Roma

Nasce dalla penna di Fausto Paravidino, per molti l’enfant prodige del teatro italiano contemporaneo, lo spettacolo diretto per l’occasione da Valerio Binasco, e che vede in scena una compagnia di giovani attori.

Testo scritto su commissione del Royal National Theatre of London nell'ambito del progetto "International Connections 2001", è stata la migliore pièce straniera per la stagione 2002/03 per la rivista Theater Heute.
Lo spettacolo in questione nasce dalla penna di Fausto Paravidino, per molti l’enfant prodige del teatro italiano contemporaneo, il titolo è Noccioline - Peanuts, scritto quasi di getto all’indomani dei fatti del G8 di Genova, ora messo in scena da uno tra gli attori-registi più apprezzati degli ultimi anni, Valerio Binasco, con una compagnia di giovani attori.
L’appuntamento è al Teatro Eliseo dal 27 novembre al 16 dicembre.
Noccioline inquadra in ventitre sequenze brevi come fumetti una società: una schiera di adolescenti formato “Peanuts” – il mondo di Schultz cui i nomignoli dei personaggi e l’atmosfera linguistica rimandano – che all’improvviso passa dai giochi infantili al confronto con il presente, nel segno del medesimo “senso del vuoto”. L’effetto è tragico.
Scritto con mano felice e leggera Noccioline inizia in un salotto molto Peanuts ma blindato come il G8. Nella prima parte li troviamo seduti su un divano davanti a un enorme televisore, a consumare coca cola e cartoni animati, tra chiacchiere e dispetti. Sopratitoli altisonanti, che con caustica ironia richiamano a slogan socio-politici, preannunciano la svolta della seconda parte, in cui l’azione è trasferita nell’atmosfera repressiva di una caserma tipo Bolzaneto (il testo è stato scritto dopo i giorni del G8 di Genova). Presentandoci Buddy, eterno Charlie Brown della situazione, alle prese con un gruppo di amici-poco-amici- e-molto-conoscenti che invadono la casa che ha in custodia consumando Puffi Coca Cola e TV e portando piano piano alla sua distruzione. Buddy, cane da guardia del lussuoso appartamento, fa invano appello al loro senso di responsabilità. Così quando il figlio dei padroni trova la casa sfasciata e gli chiede di buttare fuori tutti e Buddy lo fa, a noi spettatori questo rinnegare gli amici sembra un gesto obbligato. Ma il secondo atto si apre dieci anni dopo in una evidente Bolzaneto, e la parola responsabilità, che quasi ci era diventata cara, in bocca ai carnefici dà il La ai pestaggi, alle umiliazioni e alle botte. I ragazzini del salotto sono divisi, parte vittime, parte carnefici, adulti violenti, incapaci di ricordare. Tra di essi l’Uomo Qualunque, il Buddy-Charlie, che si ritrova costretto a puntare una pistola alla tempia di Minus, il suo più caro amico. Un pensiero a Carlo Giuliani e all’anarchico Pinelli (adombrati nelle figure dell’amico sotto tiro e della vittima del pestaggio) sospendono il gesto e scuotono la coscienza di Buddy che per un attimo torna indietro nel tempo e traccia - in sogno? nella vita vera? - un suo diverso comportamento nel passato come condizione indispensabile per immaginare un presente diverso.
Il cast vede protagonisti: Elena Arvigo, Alessia Bellotto, Luigi Di Pietro, Denis Fasolo, Iris Fusetti, Aram Kian, Mauro Parrinello, Fulvio Pepe, Alba Caterina Rohrwacher, Roberta Rovelli, Michele Sinfisi.
”Mettere insieme un gruppo di attori giovani, farli lavorare su un testo contemporaneo scritto da un giovane, il quale affronta tematiche moderne e adopera uno stile 'narrativo' originale, affidare il tutto a un regista non ancora completamente 'istituzionalizzato' ci espone al rischio di 'operazione culturale” Così il regista Valerio Rinasco ha definito questa esperienza di lavoro, ed ha aggiunto: “Ci può confinare nel limbo dei buoni tentativi, come sempre accade con le 'compagnie dei giovani', o con le sperimentazioni inserite – a forza - in abbonamento, mal tollerate e mal capite. Occorre a mio parere non puntare solo sul pubblico giovane, giovanile o giovanilista, o rivolgerci a spettatori di nicchia, interessati alla drammaturgia contemporanea e più o meno preparati; ma dobbiamo passare 'l'esame' di un pubblico adulto e normale. Dobbiamo fare il nostro mestiere di teatranti che consiste semplicemente nel creare spettacoli, prima che 'operazioni culturali'. Per fare ciò dovremo portare in scena attori bravissimi. E questo potrebbe già essere un piccolo evento. Una buona partenza. Considero produttivamente e complessivamente Noccioline una scommessa coraggiosa. Credo che una scommessa di questo genere sull'autore Paravidino e sul teatro DAVVERO contemporaneo, cioè l'antica arte della commedia secondo l'arte di percepire il presente in cui viviamo, sia doversa e sono certo potrebbe dare risultati sorprendenti, anche nella lunga durata e nell'apertura a un circuito europeo, di solito più sensibile alle proposte dei giovani drammaturghi che non il nostro sfiduciato, non più simpatico, ma per questo anche più caro, Paese.

Maria Antonietta Amenduni