Al Teatro dell’Orologio
Sala Artaud

Dal 26 novembre al 14 dicembre

Marco Belocchi

In

L’ultimo incubo di Edgar Allan Poe

Scritto e diretto da

Biagio Proietti


“ Quando si fa il nome di EDGAR ALLAN POE subito si evocano termini come mistero, paura, terrore e mai come nel suo caso questi sentimenti appartengono non soltanto alla sua opera ma anche alla sua vita, una vita breve intensa e maledetta, bruciata dall’oppio e dall’alcool.
Anche la sua morte è circondata di mistero: Edgar Allan Poe è morto a 4O anni il 7 ottobre 1849 alle cinque del mattino, dopo un lungo delirio interrotto da brevi intervalli di relativa lucidità, nell’ospedale di Baltimora dov’era stato ricoverato quattro giorni prima, essendo stato trovato in condizioni pietose dentro una taverna.
Noi, con questo spettacolo, entriamo nella stanza di quell’ospedale e spiamo gli ultimi suoi momenti, cercando di ricostruire la sua ultima notte: una notte piena di rimpianti e d’incubi, popolata dai fantasmi della sua vita e da quelli creati dalla sua mente, in un flusso continuo ed angoscioso che arriva al delirio, fisico e mentale. Nel quale sfilano le creature, dolci e mostruose, dei suoi racconti più famosi da Il pozzo ed il pendolo a Hop-Frog, da Il cuore rivelatore a Il vascello fantasma, da Morella fino all’inarrestabile devastazione de La morte Rossa. Quando arriva l’alba ed è tempo di morire, la voce di Tom Waits canta che finalmente è giunto anche il tempo di amare.
Distrutto dall’alcol e dall’oppio, lui cerca di resistere ai ragni che lo stanno divorando, tormentato dal ricordo doloroso della giovanissima moglie, Virginia, morta di tubercolosi, lui resiste all’avanzata della morte contrapponendo la vitalità dei personaggi creati da lui, talmente scolpiti da sembrare vivi, talmente forti da essere per lui gli unici amici, i soli compagni in questa notte senza fine.
Come la lama del pendolo, inevitabilmente la morte colpisce e lo fa precipitare nel pozzo, spegnendo la sua vita: la notte finisce, nasce l’alba di un nuovo giorno ed Edgar Allan Poe rinasce in noi e per noi, con le sue creature mostruose e dolcissime, con la sua angoscia ed il suo delirio, con la sua capacità di portarci fino all’orlo dell’abisso, incapaci di resistere, attratti dal demone della perversità. E giù nel vortice, dove ci piace precipitare, ci attende lui, salito sul vascello fantasma per condurci là dove la sua fantasia senza fine può trascinarci. E noi siamo felici di seguirlo. Per sempre “.
Biagio Proietti

NOTA DELL’INTERPRETE

“Poe è nel nostro dna, ha popolato i nostri sogni, o forse meglio i nostri incubi, più o meno sotterranei, ha precorso le ossessioni dell’uomo moderno, ha gettato le basi di un paio di generi letterari, dal giallo all’horror, è uno dei padri della letteratura americana. Un gigante insomma. Un gigante maledetto, in un epoca in cui i maledetti prolificavano sulle due sponde dell’oceano (non a caso il primo traduttore di Poe fu Baudelaire).
I miei primi approcci a Poe dovevano risalire alla prima adolescenza quando leggevo i racconti più terrificanti e famosi; subito dopo dovrei aver visto la serie di film che ne fece Roger Corman, nello stesso tempo così artigianalmente ingenui e così visivamente indelebili, dei piccoli capolavori. Poi la lettura più approfondita e completa della sua opera. Mi è anche capitato di interpretare Il pozzo e il pendolo, qualche anno fa in uno spettacolo all’interno di un antico palazzo palermitano e Il cuore rivelatore in una registrazione radiofonica inedita. Praticamente mi accompagna da sempre.
Cimentarsi, quindi, ancora con le sue parole, con le sue storie è ritrovare un’emozione antica, mai sopita, che ti costringe a guardarti dentro fino al più remoto io. Ma questo testo che Biagio Proietti ha tirato fuori dalle sue ossessioni (anche lui è un antico frequentatore del nostro) si spinge ancora più in là: vuole entrare in quell’ambiguità fra arte e vita, in quel mondo popolato di fantasmi che doveva essere la mente di Poe, dove la sua vita si mescola con quella dei suoi personaggi, in una lucidità alcolica, o oppiacea se si preferisce. Perché dove finisce l’incubo e dove comincia la finzione? Dove finisce la vita e dove comincia la morte? Quest’estrema ossessione che accompagna gran parte della sua opera ora, qui, viene forse rappresentata, ma la scommessa, il vero sforzo interpretativo, è percepire quell’impalpabile soffio che divide la follia dalla lucidità, il genio creativo dallo stupefacente… ma sarà poi possibile farlo davvero “?

Marco Belocchi

TEATRO DELL’OROLOGIO - SALA ARTAUD
26 NOVEMBRE –14 DICEMBRE; ore 21,30/domenica ore 18,30


Ufficio Stampa: Maya Amenduni
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